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ANNULLAMENTO PROCEDURA

Pubblico
Giovedì, 25 Maggio, 2017 - 14:09

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Prima), sentenza n. 5846 del 17 maggio 2017, sull’annullamento di una procedura ablativa
 
N. 05846/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00973/2016 REG.RIC.
N. 06384/2003 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6384 del 2003, proposto da: 
OMISSIS, rappresentati e difesi dall'avvocato Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, v.le G. Mazzini 11; 
contro
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale Dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti di
OMISSIS., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Giuliano Giovagnoli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Botero, 60;
 
 
 
sul ricorso numero di registro generale 973 del 2016, proposto da: 
OMISSIS, rappresentati e difesi dagli avvocati Pasquale Di Rienzo e Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, v.le G. Mazzini, 11; 
contro
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui è domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
OMISSIS.”), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Amedeo Salvetti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Monte Urano, 47-C5; 
Quanto al ricorso n. 6384 del 2003
per l’accertamento e la dichiarazione
-di illiceità della protratta occupazione degli immobili di proprietà dei ricorrenti per cui è controversia e della definitiva trasformazione di essi in considerazione della irreversibile destinazione pubblica che è stata impressa;
-dell’acquisizione in capo al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti per accessione invertita conseguente a quanto sopra e del diritto dei ricorrenti al risarcimento del danno subito
e per la condanna
in solido tra loro tra il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e la Gia.fi Costruzioni al pagamento dei danni subiti dai ricorrenti, da commisurarsi al valore del bene.
Quanto al ricorso n. 973 del 2016
per l’accertamento e la dichiarazione
- di illiceità della protratta occupazione degli immobili di proprietà dei ricorrenti per cui è controversia e della definitiva trasformazione di essi in considerazione della irreversibile destinazione pubblica che è stata impressa;
- dell’illegittimità della condotta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e della OMISSIS, concretizzante un illecito permanente perdurante sino alla cessazione dell'illegittima occupazione delle aree per effetto della restituzione delle stesse, ovvero della stipula con i ricorrenti di un accordo transattivo che determini il definitivo trasferimento della proprietà, ovvero dell'adozione di un legittimo provvedimento ex art. 42 bis, D.P.R. 327/01, in ogni caso a fronte della corresponsione ai ricorrenti di una somma a titolo di indennizzo per il pregiudizio patrimoniale subito pari al valore venale delle aree;
e per l'effetto, per la dichiarazione
dell'obbligo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e della Società OMISSIS di addivenire entro un termine stabilito a un accordo transattivo con i ricorrenti, che determini il definitivo trasferimento delle aree, alla quale ipotesi i ricorrenti si dicono sin d'ora disponibili, con contestuale condanna dei predetti a risarcire ai ricorrenti il danno per equivalente, detratto quanto già corrisposto, corrispondente al valore venale delle aree, da determinarsi alla data del 10 gennaio 2016 in curo 3.500.000,00, con rivalutazione monetaria ed interessi successivi alla anzidetta data, ovvero, qualora ne sussistano i presupposti, all'adozione del provvedimento ex art. 42 bis, D.PR 327,01, con le modalità e i contenuti i previsti;
 
 
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in entrambi i giudizi del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e della società OMISSIS.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 aprile 2017 la dott.ssa Lucia Maria Brancatelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
 
FATTO
I ricorrenti sono proprietari di un appezzamento di terreno, sito nel Comune di Formia e distinto in catasto al fg. 29, particelle 91 sub. 2, 146 sub. 1 e 71.
Con procedura avviata in forza del decreto del Prefetto della Provincia di Latina del 20.2.1993, la predetta area veniva occupata dalla OMISSIS concessionaria del Ministero dei Lavori pubblici, per la realizzazione di una caserma della Guardia di Finanza a Formia.
Gli istanti citavano il predetto Ministero e la OMISSIS innanzi alla Corte di Appello di Roma, per ottenere l’indennità di esproprio relativa alla occupazione de quo.
All’esito del giudizio, veniva riconosciuta la somma dovuta ai ricorrenti a titolo di indennità da occupazione legittima, mentre il giudizio relativo all’indennità di esproprio era dichiarato inammissibile, per l’assenza di un decreto adottato a conclusione del procedimento ablatorio.
I ricorrenti hanno, quindi, adito questo Tribunale, incardinando il giudizio riportato in epigrafe con il n. reg. 6384/2003, chiedendo, previo accertamento dell’illiceità dell’occupazione e della perdita di proprietà del terreno a causa della irreversibile destinazione pubblica impressa allo stesso, la condanna in solido del Ministero intimato e della C.g.f. al risarcimento del danno per un importo pari al valore venale del bene.
Contestualmente, a mezzo di atto di citazione del 5 novembre 2004, convenivano innanzi al Tribunale di Roma il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e la concessionaria C.g.f., chiedendo il risarcimento dei danni subiti per l’illecita acquisizione dell’appezzamento di terreno in parola.
Il Tribunale, con la sentenza n. 12232/09, ha condannato le parti al pagamento di una somma a tale titolo. Avverso tale pronuncia è stato proposto appello, conclusosi con la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2318/2015 che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di questo Tribunale, in quanto la domanda attorea aveva quale causa petendi la richiesta di risarcimento dei danni subiti per l’irreversibile trasformazione del fondo in assenza del decreto di esproprio.
I ricorrenti hanno, quindi, riassunto il predetto giudizio innanzi a questo T.a.r., con il ricorso n. reg. 973/2016, chiedendo l’accertamento dell’illiceità delle condotte delle parti resistenti e la condanna delle stesse sia ad addivenire ad un accordo transattivo con i ricorrenti, che determini il definitivo trasferimento delle aree in questione, ovvero ad adottare, qualora ne sussistano i presupposti, un provvedimento ex art. 42 bis D.P.R. n. 327/2001, sia al risarcimento dei danni subiti.
In entrambi i giudizi si è costituito il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e, limitatamente al secondo, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in riassunzione per mutatio libelli rispetto alle domande già formulate innanzi al giudice ordinario.
Si è, altresì, costituita la società C.g.f., eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo l’estromissione dal giudizio.
Entrambe le parti intimate hanno, poi, fatto presente che a seguito della sentenza n. 12232/09 pronunciata dal Tribunale di Roma, i ricorrenti hanno ottenuto il pagamento di parte delle somme ivi statuite a titolo di risarcimento del danno.
In vista della udienza fissata per la trattazione dei ricorsi in epigrafe, parte ricorrente ha prodotto memorie difensive, chiedendo la riunione dei relativi giudizi.
Alla pubblica udienza del 26 aprile 2017, uditi per le parti i difensori presenti come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, il Collegio dispone la riunione dei ricorsi individuati in epigrafe, per evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva, trattandosi della medesima vicenda.
Va, poi, rilevata l’infondatezza dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dalla società C.g.f., rispetto alla pretesa risarcitoria formulata dai ricorrenti con l’odierno gravame.
La società, in forza dell’accordo stipulato con il resistente Ministero, si era impegnata, quale concessionaria per la realizzazione dell’opera di interesse pubblico da completare sopra i terreni di proprietà dei ricorrenti, “a tutto quanto occorra per la progettazione esecutiva degli immobili, comprese le attività preliminari, quali (…) le necessarie attività di procedure espropriative dell’area”. Ne consegue che dell’eventuale risarcimento del danno derivante dall’illecita condotta serbata nel corso dell'occupazione illegittimamente protrattasi oltre il termine di occupazione illegittima sono chiamati a rispondere, in solido, tanto l’ente espropriante (in quanto beneficiario dell’espropriazione) quanto il concessionario, materialmente tenuto a porre in essere le relative attività in forza della delega conferitagli dall’amministrazione (in termini, cfr. Cass., sez. I, 28 maggio 2010, n. 13087).
Non è fondata neppure l’eccezione di inammissibilità del giudizio in riassunzione promosso dai ricorrenti, per mutamento del petitum, motivata in ragione della circostanza che le domande formulate innanzi al g.o., presupponendo l’avvenuto trasferimento della proprietà dell’area per effetto dell’istituto dell’ “accessione invertita”, si limitavano alla formulazione della sola domanda di condanna al risarcimento dei danni subiti e non anche all’adozione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis D.P.R. n. 327/2001.
Si tratta, per l’evidenza, non di una inammissibile mutatio libelli bensì di una semplice e consentita emendatio libelli, vale a dire di una nuova qualificazione della domanda originariamente formulata alla luce delle sopravvenienze normative e giurisprudenziali nel frattempo verificatesi.
Sotto tale profilo, è utile richiamare la decisione del CGA n. 137 del 16 gennaio 2014, con la quale è stata esclusa la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato con riferimento ad una decisione giudiziale nella quale il T.a.r., in presenza di un ricorso volto ad ottenere la sola condanna al risarcimento del danno, ha ordinato all’amministrazione di procedere alla restituzione del bene o l’applicazione dell’art. 42 bis. Il giudice d’appello ha, infatti, ritenuto che non era stato attribuito al ricorrente un bene della vita non richiesto o non compreso nella domanda, essendosi limitato il Tribunale amministrativo ad “interpretare e qualificare le conclusioni del ricorrente adeguandole in via dinamica alla sopravvenuta disciplina normativa e giurisprudenziale che si era nel frattempo andata affermando, avendo pur sempre riguardo al contenuto sostanziale della pretesa azionata, attinente alla posizione proprietaria pregiudicata dalla illegittima attività della autorità amministrativa … individuando l’oggetto della domanda e qualificando l’azione sulla base di elementi sostanziali in maniera tale da assicurare la conclusione del processo con una sentenza di merito”.
Tali conclusioni possono essere tenute ferme anche con riguardo alle domande di parte ricorrente formulate in modo non coincidente nei due ricorsi all’odierno esame, le quali, alla luce dello jus superveniens, vanno considerate, sostanzialmente, un petitum unico, come precisato e specificato nel secondo, più recente ricorso.
E in merito alle pretese formulate dai ricorrenti, ritiene il Collegio che i ricorsi siano fondati e debbano essere accolti, nei sensi di seguito specificati, anche ai fini conformativi di cui all’art. 34, c. 1, lett. e), c.p.a..
I ricorrenti fondano la loro pretesa sulla omessa adozione di un valido decreto di esproprio, circostanza, questa, non contestata dalle parti intimate.
Orbene, come noto, qualora, alla dichiarazione di pubblica utilità non abbia fatto seguito l’adozione di un tempestivo decreto di esproprio - come nel caso di specie, ove all’esito dei giudizi esperiti innanzi all’A.g.o. è risultato che l’attività espropriativa non si è conclusa con l’emissione di un provvedimento finale ablatorio - pur in presenza della realizzazione dell’opera programmata, il trasferimento della proprietà non ha luogo.
Il Ministero ha, dunque, l’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, restituendo l’immobile al legittimo titolare dopo aver demolito quanto realizzato.
La realizzazione di un intervento pubblico su un fondo illegittimamente occupato costituisce, infatti, un mero fatto, non idoneo a determinare il trasferimento della proprietà, che può conseguire solo a un formale atto di acquisizione dell’Amministrazione e non anche ad atti o comportamenti, anche di tipo rinunziativo o abdicativo (ex plurimis Consiglio di Stato, sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2259).
Ne discende che, nel caso di specie, la protratta occupazione degli immobili di proprietà dei ricorrenti è illecita così come la definitiva trasformazione di essi in considerazione della irreversibile destinazione pubblica impressavi, e, specularmente, la condotta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e della Gia.fi. Costruzioni è illegittima; ciò che, in accoglimento dei primi due capi di domanda nel ricorso n. rg 973 del 2016, deve condurre alla relativa declaratoria da parte del Collegio.
Tanto chiarito, e venendo all’esame del terzo capo di domanda, occorre ora interrogarsi sulla valenza e gli effetti dell’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, laddove si stabilisce che, valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.
Orbene, come ritenuto nella decisione della IV sezione del Consiglio di Stato n. 1514 del 16 marzo 2012, tale disposizione regola i rapporti tra potere amministrativo di acquisizione in sanatoria e processo amministrativo di annullamento in termini di reciproca autonomia, consentendo l'emanazione del provvedimento dopo che “sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio” od anche, “durante la pendenza di un giudizio per l'annullamento degli atti citati, se l'amministrazione che ha adottato l'atto impugnato lo ritira”. Ciò significa che ove il giudice, in applicazione dei principi generali, condannasse l'amministrazione alla restituzione del bene, il vincolo del giudicato eliderebbe irrimediabilmente il potere sanante dell'amministrazione (salva ovviamente l'autonoma volontà transattiva delle parti) con conseguente frustrazione degli obiettivi avuti a riferimento dal legislatore.
In tale decisione si è, pertanto, condivisibilmente addivenuti alla conclusione che i principi desumibili dalla norma succitata e le possibilità insite nel principio di atipicità delle pronunce di condanna, ex art. 34, c. 1, lett. c) c.p.a., impongano una limitazione della condanna all'obbligo generico di provvedere ex art. 42 bis.
L’applicazione di tali principi alla fattispecie all’odierno esame pianamente comporta che, accertata l'assenza di un valido titolo di esproprio, nonché l’intervenuta modifica del fondo e la sua utilizzazione, impregiudicata resta la discrezionale valutazione in ordine agli interessi in conflitto da parte del Ministero resistente, il quale, ove ritenga di non restituire il fondo ai legittimi proprietari previa riduzione nel pristino stato, potrà in via alternativa disporre la sua acquisizione.
Qualora decida per l'acquisizione, dovrà liquidare in favore dei ricorrenti il valore venale del bene al momento dell'emanazione del provvedimento, aumentato del 10% a titolo di forfettario ristoro del pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale arrecato, nonché il 5% del valore che l'immobile aveva in ogni anno successivo alla scadenza della occupazione legittima a titolo di occupazione sine titulo, detratto, ovviamente, quanto già corrisposto a vario titolo ai ricorrenti, e subordinando, come per legge, l'effetto traslativo all'effettivo pagamento delle somme.
L’ultima posta risarcitoria indicata dovrà essere corrisposta anche nel caso in cui l'amministrazione dovesse optare per la restituzione. In quest'ultimo caso, ove le somme già ricevute dal ricorrente si rivelassero superiori al danno da occupazione, esse dovranno essere restituite per l'eccedenza.
La società C.g.f. sarà tenuta a rispondere in solido con il Ministero al pagamento delle somme spettanti ai ricorrenti, come sopra determinate.
Quanto alla commisurazione del valore delle aree, si dovrà fare riferimento alla natura non edificabile delle stesse, risultante dalla destinazione a verde pubblico impressa dagli strumenti pianificatori, come risulta dalla nota dell’Ufficio tecnico erariale di Latina del 2 ottobre 1993 versata agli atti del giudizio, nella quale si fa presente che “il P.R.G. del Comune di Formia assegna all’area la destinazione di Parco pubblico con tassativa esclusione di ogni attività edificatoria”.
In proposito, occorre rammentare che la giurisprudenza è da tempo stabilmente orientata nel senso che, ai fini della quantificazione del danno derivante ai proprietari di terreni abusivamente occupati dall'amministrazione, il valore venale del bene è quello desumibile dalla destinazione urbanistica dell'immobile come impressa dalle scelte di pianificazione territoriale, dovendosi, in particolare, fare riferimento alla classificazione inserita negli strumenti urbanistici al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e non potendo la natura edificatoria essere supposta o fatta discendere dalla prevista realizzazione dell'opera pubblica (fra le molte, cfr. Cons. Stato, sez. IV., 2 dicembre 2013, n. 5734; id., 27 settembre 2012, n. 5113).
In conclusione, i ricorsi in epigrafe indicati vanno accolti nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, vanno dichiarati:
- l’illiceità della protratta occupazione degli immobili di proprietà dei ricorrenti per cui è controversia e della definitiva trasformazione di essi;
- l’illegittimità della condotta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e della OMISSIS;
- l’obbligo del Ministero di attivarsi, ai sensi e per gli effetti di cui 42 bis D.P.R. n. 327/2001 e dell’art. 34, comma 4, c.p.a., ponendo in essere, qualunque sia il suo dispositivo, il provvedimento entro il termine di giorni centottanta (180) dalla comunicazione o dalla notificazione della presente sentenza.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, previa riunione, sui ricorsi n. reg. 6384/2003 e n. reg. 973/2016, in epigrafe proposti, ne dispone l’accoglimento, nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Condanna il Ministero intimato e la società OMISSIS al pagamento delle spese di lite in favore dei ricorrenti, in misura pari a euro 1.000,00, oltre accessori, a carico di ciascuna parte.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 aprile 2017 con l'intervento dei magistrati:
Rosa Perna, Presidente FF
Roberta Cicchese, Consigliere
Lucia Maria Brancatelli, Referendario, Estensore
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Lucia Maria Brancatelli Rosa Perna
 
 
 
 
 
IL SEGRETARIO
 
 

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