Art. 42 bis e voci di danno
Pubblico
Mercoledì, 5 Aprile, 2017 - 15:09
Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), sentenza n. 134 del 1 febbraio 2017, sulle voci di danno di cui all’art. 42-bis TUE
N. 00134/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01968/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1968 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avvocato Claudio Colombo, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio dell’avv. Mirko Brioni, via V. Emanuele II, 60;
contro
Anas Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliata in Brescia, via S. Caterina, 6;
Provincia di Bergamo non costituita in giudizio;
Per la dichiarazione di nullità/annullamento
per quanto attiene al ricorso introduttivo:
- dell’atto di acquisizione della proprietà ex art. 42 bis del d. lgs. 327/2001, adottato il 23 giugno 2015, rep. N. 164/15;
- delle disposizioni con cui sono stati prorogati i termini delle occupazioni d’urgenza sino al 20 febbraio 2015;
e per la condanna
della società resistente alla rideterminazione dell’indennizzo dovuto;
per quanto attiene al ricorso per motivi aggiunti:
- dell’atto di acquisizione della proprietà ex art. 42 bis del d. lgs. 327/2001, adottato il 26 settembre 2016, rep. N. 204/16.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Anas Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2017 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il sig. è proprietario di terreni occupati da ANAS e trasformati per la realizzazione dell’asse interurbano Ponte San Pietro – Seriate – I° lotto, da Ponte San Pietro a Bergamo, a seguito del decreto del Prefetto del 29 aprile 1993.
Conclusi i lavori senza l’emanazione del decreto d’esproprio, il ricorrente ha ricevuto, il 15 gennaio 2013, un nuovo schema di Verbale di cessione volontaria, concordamento e liquidazione dell’indennità definitiva, che quantificava la somma complessiva di occupazione temporanea e di esproprio pari a 31.316,09 euro, dedotto l’acconto di 14.754,37 euro.
Ritenendo l’attività posta in essere da ANAS illegittima, il ricorrente ha proposto il ricorso definito con sentenza n. 30/2015, che ha ordinato ad ANAS, in alternativa, di restituire le aree occupate, corrispondendo il risarcimento dell’occupazione illegittima (divenuta tale decorsi 1800 giorni dal 7 ottobre 1999) ovvero di disporre, entro il 30 giugno 2015 (termine prorogato), l’acquisizione ex art. 42 bis del DPR 327/2001, corrispondendo, oltre al suddetto indennizzo, anche il valore delle aree ablate e il risarcimento del danno dovuto alla svalutazione delle aree residue, sia in termini di maggior costo per l’accesso, che di diminuzione del loro valore intrinseco.
Ne è derivata l’adozione dell’atto di acquisizione del 23 giugno 2015, n. Rep. 164/15, con cui l’indennizzo totale dovuto è stato quantificato in 159.567,96: dedotti gli acconti già corrisposti, ANAS ha, quindi, liquidato la differenza, pari a 127.559,74 euro.
Tale provvedimento è stato impugnato con il ricorso introduttivo della controversia in esame, deducendone l’illegittimità per:
1. violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90;
2. violazione dell’art. 42 bis del DPR 327/2001 per carenza di motivazione e per l’assenza di ogni, preventiva, attività negoziale preordinata a verificare la disponibilità del proprietario;
3. violazione dell’art. 42 bis del DPR 327/2001 e del giudicato del giudice amministrativo, poiché:
- la superficie da acquistare sarebbe stata pari a 5219,44 mq e non anche 5.190,00, come risultante dal tipo di frazionamento redatto dall’ente espropriante;
- il valore venale applicato non sarebbe quello corrispondente al valore di mercato;
- sarebbe stato completamente omesso il calcolo dell’indennizzo dovuto per il danno subito dalle due proprietà residue rimaste in disponibilità del proprietario (pari a 7.478,24 mq sul lato est della strada e 6486,58 mq posti sul lato ovest della strada) e per il mancato utilizzo di tali superfici per tutto il tempo dei lavori, in quanto danneggiate dai movimenti di terra, dai depositi di materiali di risulta, dai lavori di reinterro e ricoprimento della galleria e delle opere accessorie. La somma totale che sarebbe dovuta al ricorrente per tutto ciò sarebbe pari, secondo la stima da questi prodotta, a 883.246,92 euro;
- l’illegittima occupazione sarebbe stata fatta arbitrariamente decorrere dal 20 febbraio 2015, anziché dall’11 settembre 2004;
- non è stato calcolato il danno non patrimoniale, dovuto, ex lege, nella misura del 10 % del valore venale del bene.
All’udienza pubblica del 12 gennaio 2016, questo Tribunale ha ritenuto necessario acquisire dalla società ANAS s.p.a. una relazione idonea ad illustrare:
a) i criteri utilizzati per stabilire l’ammontare dell’indennizzo (ossia il valore di mercato delle aree da acquisire), chiarendo altresì se sono stati tenuti in considerazione i costi per “superare l’eventuale interclusione della parte residua” ovvero “il danno da svalutazione delle parti residue”, così come si è espressa questa Sezione con la sentenza n. 30/2015 (e alla luce di quanto afferma il Sig. Beretta nel ricorso);
b) le modalità di calcolo del risarcimento per il periodo di occupazione illegittima, posto che il provvedimento impugnato fissa come decorrenza la data del 20/2/2015, mentre la sentenza irrevocabile n. 50/2015 fa riferimento al settembre 2004 (individuando il termine in 1.800 giorni dal 7 ottobre 1999);
c) quali siano esattamente le somme corrisposte a titolo di acconto sull’indennità di esproprio (indicate nell’atto di acquisizione in 32.008,22 €, mentre parte ricorrente sostiene di aver ricevuto soltanto 12.982,88 €); a tal fine ANAS dovrà esibire le ricevute di versamento ed evidenziare le rispettive causali;
In data 22 aprile 2016, ANAS s.p.a. ha depositato copia della relazione interna indirizzata all’Ufficio legale, nella quale si dà atto che il procedimento per l’adozione del provvedimento di acquisizione ex art. 42 bis è stato condotto dal commissario ad acta, nella persona del Prefetto di Bergamo e, dunque, allo stesso sarebbe imputabile l’omessa partecipazione al procedimento, nonché che si è provveduto, il 6 ottobre 2015, al pagamento dell’indennizzo pari a 127.559,74 euro, a fronte dell’adozione dell’atto censurato.
È stato, altresì, chiarito che l’indennizzo è stato quantificato attribuendo al terreno in questione il valore di 13,14 euro al mq, determinato sulla scorta di “casi analoghi verificatisi nella Provincia di Bergamo” (sentenza Tribunale di Bergamo n. 1694/2011 e TAR Brescia n. 1157/2014).
Pertanto, la somma dovuta è stata quantificata moltiplicando 5.190 mq di terreno per un valore al mq di 13,14 euro (pari a 68.196,60 euro). All’importo così risultante è stato sommato l’importo dovuto per l’occupazione temporanea dal 1999 al 2015, per un totale di 90.928,80 euro, nonché gli interessi al 5 % dal 20 febbraio 2015 al 31 marzo 2015, nella misura di euro 442,56, per un totale di 159.567,96 euro. Da tale importo è stato, quindi, dedotto l’acconto già corrisposto, pari a 32.008,22 euro.
Oltre a ciò, il ricorrente è stato indennizzato per spese legali in misura pari a 6.193,36 euro, mentre l’interclusione era, alla data del 23 ottobre 2015 (data della comunicazione interna tra ANAS e il proprio legale), ancora in corso di verifica e ANAS ha declinato la possibilità di attestare la correttezza dei dati catastali, a causa della presenza di problemi sorti nella fase di digitalizzazione delle mappe catastali.
Nella stessa relazione si precisa, però, che, dopo la proposizione del ricorso, a seguito dell’affidamento di apposito incarico, da parte della ditta affidataria dei lavori e della procedura espropriativa, ad un ufficio tecnico diverso da quello che ha seguito la quantificazione dell’indennizzo, si è accertato che gli acconti corrisposti alla ditta Beretta sono stati indicati in modo errato, ammontando, essi, a 12.846,87 euro per l’acconto dell’80 % sull’esproprio e a 4.418,26 euro per occupazione temporanea e che sono state calcolate in modo errato le superfici espropriate.
Per tali ragioni, ANAS ha comunicato di aver dato incarico al tecnico di predisporre le rettifiche dei frazionamenti, a seguito delle quali sarebbe stato adottato un nuovo provvedimento ex art. 42 bis.
Il 26 luglio 2016, in vista della pubblica udienza fissata per ottobre 2016, parte ricorrente ha depositato una memoria, nella quale ha contestato la superficie occupata (pari, in realtà, a 19.184,26 metri quadrati, in quanto sarebbe stata preclusa la coltivazione su tutto il compendio) e quella espropriata, pari a 5.219 mq e non 5.190, nonché la quantificazione dell’indennizzo a metro quadrato, che non corrisponderebbe né al valore di mercato, né al valore riconosciuto per altri casi simili in Provincia di Bergamo.
In violazione della sentenza 30/2015, inoltre, non sarebbe stato indicato il costo per superare l’interclusione, il danno per la diminuzione del valore delle parti residue, né sarebbe stata considerata l’illegittimità dell’occupazione dall’11 settembre 2004, che avrebbe dovuto portare al riconoscimento degli interessi.
Il 24 novembre 2016, tali ragioni sono divenute i motivi di doglianza del ricorso per motivi aggiunti con cui la parte ricorrente ha impugnato il nuovo decreto ex art. 42 bis DPR 327/2001, depositato alla pubblica udienza del 12 ottobre 2016, con il quale sono state rideterminate le superfici occupate e da espropriare e l’indennizzo dovuto per l’illegittima occupazione.
Alla pubblica udienza del 26 febbraio 2017, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Deve essere preliminarmente dichiarata l’improcedibilità del ricorso introduttivo, in quanto, nonostante ciò non sia stato puntualmente esplicitato nel nuovo provvedimento adottato ai sensi dell’art. 42 bis del DPR 327/2001, dato il suo stesso contenuto, non può che essere considerato sostitutivo di quello precedente.
Invero, come si chiarirà nel prosieguo, le problematiche dedotte nel ricorso introduttivo sono state solo in parte superate, ma l’interesse del ricorrente deve ritenersi traslato sul nuovo decreto e le sue statuizioni, censurate con il ricorso per motivi aggiunti.
In prima battuta il ricorrente censura l’illegittima, secondo il medesimo, omissione della comunicazione di avvio del procedimento, che gli avrebbe consentito la partecipazione allo stesso e, dunque, la rappresentazione di specifici elementi tecnici da valutare da parte di ANAS.
Invero la doglianza non è del tutto priva di fondamento, sul piano formale, ma, poiché appare ragionevole ritenere che il ricorrente non avrebbe rappresentato che quanto già esplicitato nel ricorso introduttivo e ribadito nel ricorso per motivi aggiunti, in cui non è stato introdotto alcun elemento di novità che avrebbe potuto essere considerato nel procedimento amministrativo, richiamati i principi posti a base dell’art. 21 octies della legge 241/90, si ritiene maggiormente rispondente all’interesse del ricorrente una pronuncia che, anziché arrestarsi all’aspetto formale, entri nel merito delle singole doglianze di cui al ricorso.
Con la seconda censura, in particolare, è stata revocata in dubbio la correttezza del calcolo della superficie da espropriare, già dedotta in analoghi termini anche nel ricorso introduttivo.
A tale proposito si deve dare conto, in primo luogo, che la relazione depositata in atti a luglio del 2016 metteva in evidenza come la ravvisata sussistenza di errori nella redazione del tipo di frazionamento avesse imposto il conferimento di un nuovo incarico tecnico per le verifiche del caso.
L’indicazione della superficie complessiva occupata (pari 5.190 mq e di quella da espropriare, pari a 3.186 mq) risulta, dunque, essere il frutto di una rinnovata attività di accertamento tecnico e non può ritenersi illegittima per il solo fatto di non corrispondere né a quella emergente dall’ultimo decreto di occupazione (accertata in 4.850 mq nella sentenza 30/2015), né a quella indicata dal ricorrente in 5.219,44 mq, come, invece, pretenderebbe il sig. Beretta. Pertanto, non essendo stato prodotto alcun elaborato tecnico a supporto della stessa, la quantificazione di parte ricorrente finisce per essere del tutto apodittica, oggi, come già nel precedente contenzioso che ha portato alla succitata sentenza.
La planimetria di parte, infatti, non scaturendo dalla sovrapposizione con il tipo di frazionamento predisposto nell’interesse di ANAS, non risulta sufficiente a dimostrare quanto asserito dal proprietario. In particolare, gli allegati di parte ricorrente n. 27 e 28 non recano alcuna dimostrazione che la minor superficie espropriata sia effettivamente quella corrispondente alla striscia di colore giallo che si frapporrebbe tra le due superfici oggetto di esproprio e che parrebbe del tutto illogico fosse stata esclusa dall’acquisizione. Conseguentemente, esso non può essere qualificato nemmeno come un principio di prova della non corretta quantificazione delle superfici espropriate da parte di ANAS.
Non appare condivisibile nemmeno la tesi secondo cui il valore venale attribuito al terreno non sarebbe stato congruamente determinato, dal momento che il ricorrente non ha prodotto alcuna prova che la somma assunta a riferimento dalla sentenza di questo Tribunale n. 1157 del 2014 e utilizzata come parametro di riferimento nel caso di specie, non sia congrua e/o correlata ad un terreno equiparabile a quello del ricorrente: nessun elemento è , dedotto, in concreto, per dimostrare le diverse caratteristiche che determinerebbero un maggior valore del compendio in questione. Del tutto inutilizzabile, a tal fine, è la “stima del valore complementare dei terreni”, di cui all’allegato 14 di parte ricorrente, nella quale tutti i parametri, dalle superfici interessate, al valore di mercato, passando per la quantificazione del costo di interventi di ripristino dell’utilizzo della proprietà residua, sono assunti senza in alcun modo dare conto di come sono stati determinati e delle ragioni per cui dovrebbero essere maggiormente attendibili di quelli stabiliti da ANAS.
Quest’ultima ha posto in essere una specifica istruttoria, preordinata alla corretta individuazione della superficie da acquisire (resa più complessa da incongruenze delle mappe catastali) e alla determinazione del valore di mercato, ricercando quello già attribuito a terreni comparabili, oggetto di recenti acquisizioni nella stessa zona.
Il tecnico di parte ricorrente, invece, si è limitato ad utilizzare valori privi di ogni riscontro e riferimento a parametri di comparazione, perciò stesso privi di attendibilità.
Per quanto attiene, inoltre, al danno che il ricorrente lamenta di aver subìto per effetto dell’impossibilità della coltivazione di tutto il compendio sin dal 1994 ad oggi, si può ragionevolmente ritenere che si intenda fare riferimento, con quanto dedotto nel penultimo paragrafo di pag. 8 del ricorso per motivi aggiunti, a terreni che sarebbero stati oggetto di occupazione temporanea e cioè di quell’occupazione finalizzata proprio all’esecuzione dei lavori, al deposito di mezzi e materiali di risulta, ecc., di cui il proprietario si lamenta.
Nel caso di specie, tale occupazione, strumentale alla sola fase esecutiva dei lavori, è previsto sia compensata con una quota parte dell’indennizzo pari a 90.928,80 euro (e cioè della somma dovuta per l’occupazione di 5190 mq dal 1999 al 2015). Per essere più chiari, ANAS sostiene di aver complessivamente occupato 5190 mq della proprietà del ricorrente, di cui 3186 a titolo di occupazione d’urgenza preordinata al successivo esproprio e oggi acquisiti al demanio stradale e 2004 mq per scopi di cantiere e, quindi, da presumersi rientrati nella disponibilità del proprietario alla conclusione dei lavori.
Poiché parte ricorrente non ha specificamente contestato tale periodo, ma solo la superficie occupata, senza, però, fornire alcun principio di prova di un’effettiva, maggiore, estensione dell’occupazione di terreni per attività connesse al cantiere, l’indennizzo così determinato deve essere ritenuto congruo.
Merita, peraltro, una puntualizzazione - dato che il ricorso non appare chiaro su questo, come su altri aspetti spesso solo fugacemente accennati e poi non sviluppati - il fatto che, se la volontà di parte ricorrente fosse quella di lamentare il danno derivato dall’impossibilità di coltivare anche la superficie del compendio non interessata dall’occupazione temporanea per effetto indiretto della presenza del cantiere o per il superamento dei limiti della superficie complessiva di cui era stata autorizzata l’occupazione (anche solo a fini temporanei), si sarebbe, in concreto, in presenza di un’attività illecita dell’Amministrazione, anch’essa fonte di responsabilità che, però, avrebbe dovuto essere tempestivamente fatta valere sin dalla proposizione del contenzioso avanti il giudice ordinario.
La questione della quantificazione del danno dovuto da tale tipo di occupazione, non coperta dalla dichiarazione di pubblica utilità, infatti, non rientrerebbe, per ciò stesso, nella giurisdizione di questo giudice.
Il ricorso è, invece, fondato, nella parte in cui censura la mancata pronuncia in ordine all’istanza di indennizzo per il pregiudizio subìto in conseguenza della perdita di valore della parte del compendio non ablata.
È pur vero, infatti, che la sentenza n. 30 del 2015 poneva come eventuale il riconoscimento di un siffatto indennizzo, ma, in realtà, la stessa non lo qualificava come ipotetico, ma lo subordinava, invece, a un’apposita istruttoria per verificare la sussistenza del presupposto oggettivo, rappresentato dall’interclusione, in tutto o in parte, della porzione residua del compendio occupato, rimettendo ad ANAS, in tal caso, la scelta tra la realizzazione, a proprie spese, di un idoneo accesso alternativo, ovvero la corresponsione di un indennizzo pari al costo del ripristino dell’accessibilità dei propri fondi interclusi.
In alcun modo può, dunque, sostenersi che gli indennizzi in questione non fossero dovuti, se non dimostrando che i fondi del ricorrente non sono risultati interclusi per effetto dell’occupazione e della realizzazione dell’opera.
Ciò, però, nel caso di specie, non è stato comprovato da ANAS, mentre gli elaborati tecnici prodotti in giudizio supportano, al contrario, l’affermazione del ricorrente, secondo cui almeno una delle due parti residue del fondo di proprietà dello stesso e cioè quella posta ad est della strada realizzata, sarebbe rimasta interclusa dalla presenza dell’opera pubblica stessa, che ha diviso in due parti il compendio originario. Invero, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso per motivi aggiunti, può ritenersi che il lotto verso ovest (indicato nella stima di parte come “Lotto 1”) abbia conservato la propria accessibilità e che l’interclusione riguardi solo quello che è stato indicato come lotto 2 che, nella stima di parte ricorrente, è definito come “intercluso”. Ciononostante il provvedimento impugnato deve ritenersi illegittimo, in quanto, nonostante non abbia in alcun modo contestato l’affermazione del proprietario secondo cui l’interruzione della strada che consentiva l’accesso al compendio avrebbe determinato l’interclusione della proprietà residua (almeno in parte), ANAS, contrariamente a quanto stabilito nella sentenza n. 30/2015, ha fatto propria una lettura distorta e opportunistica di quanto ivi statuito, senza procedere ad alcuna verifica tecnica per accertare le reali condizioni di accessibilità della proprietà del ricorrente.
È stata, dunque, illegittimamente pretermessa ogni istruttoria preordinata alla quantificazione, in violazione dell’obbligo imposto dalla sentenza 30/2015, dell’indennizzo dovuto per consentire al ricorrente di ripristinare, se e nella misura in cui è stato precluso, l’accesso alla parte residua della proprietà.
Analoghe considerazioni si debbono riproporre per quanto riguarda l’ipotizzata perdita di valore della proprietà residua, per effetto delle diverse modalità di coltivazione o di utilizzo della stessa, comunque imposte dalla sottrazione di quella parte della proprietà trasferita al demanio statale.
Anche in relazione a questo profilo, l’indennizzo risulta essere stato quantificato senza rispettare i parametri di legge, così come individuati nella sentenza n. 30/2015, per cui l’atto adottato deve essere qualificato come elusivo del giudicato, prima ancora che non conforme alla norma.
Tutto ciò rende opportuno precisare, peraltro, che, poiché il provvedimento impugnato non solo non prevede la corresponsione degli indennizzi in parola, ma nemmeno esclude la sussistenza delle condizioni soggettive cui era collegata la loro liquidazione e non vi è traccia, dunque, di alcuna attività istruttoria in tal senso, si ravvisano i presupposti per la trasmissione degli atti alla Procura regionale della Corte dei Conti. Ciò al fine di verificare la sussistenza della responsabilità dei soggetti che, dal 2015 ad oggi, violando l’art. 42 bis del DPR 327/2001 e le statuizioni della sentenza di questo Tribunale n. 30/2015, hanno errato la quantificazione delle somme dovute a fronte dell’acquisizione della proprietà, una prima volta con l’adozione del decreto Rep. N. 164/15 del 23 giugno 2015 e poi, ancora, con l’adozione del decreto Rep. N. 204/16 del 26 settembre 2016, costringendo il proprietario alla proposizione di ben due ricorsi, per contestarne la legittimità e a subire il danno dell’ulteriore ritardo nell’ottenere la liquidazione delle maggiori somme dovute, in particolare, per l’interclusione dei fondi e la svalutazione della parte residua, così ingenerando ulteriori spese per l’erario (per il protrarsi dell’occupazione illegittima, per le spese giudiziali, per gli interessi di mora, ecc.).
Infine, il ricorso è fondato anche per quanto attiene alla mancata quantificazione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale, dovuto in maniera forfettaria, pari al 10 % del valore venale del bene e, quindi, pari a 4.186,40 euro.
Di tale indennizzo non si fa menzione nella sentenza 30/2015, ragionevolmente perché nulla era dedotto con riferimento ad esso. Cionondimeno, esso è indubbiamente dovuto, essendo esso espressamente previsto dall’art. 42 bis del DPR 327/2001, senza che lo stesso sia subordinato all’accertamento di un qualsiasi presupposto, se non quello che sta alla base dell’adozione dell’atto e cioè la necessità di acquisire al demanio statale beni illegittimamente occupati e trasformati.
Del resto, l’obbligo della sua corresponsione, a prescindere da qualsiasi onere di prova del danno subìto e per effetto della stessa acquisizione a fronte dell’utilizzazione senza titolo, è stato introdotto dal legislatore allo specifico scopo di superare le obiezioni di illegittimità costituzionale della norma connesse al fatto che, senza di esso, la somma corrisposta per l’acquisto della proprietà al di fuori della regolare procedura espropriativa sarebbe sostanzialmente equivalente all’indennizzo dovuto a seguito del legittimo esercizio del potere ablatorio. Ragione per cui, l’indennizzo dovuto nel caso di specie non può non includere tale voce di danno, pena l’illegittimità costituzionale dell’applicazione della norma operata dall’ANAS.
In sintesi, dunque, fermo restando l’indennizzo dovuto per l’acquisizione della proprietà (41.864,04 euro) - che, per quanto più sopra rappresentato, si ritiene congruo -, nonché per l’occupazione temporanea (90.928,80 euro) e per l’illegittima occupazione dal 2004 al 2015 (23.025,22) - non specificamente contestate se non con riferimento alla superficie occupata che, però, parte ricorrente non ha saputo dimostrare essere stata effettivamente superiore a quanto calcolato da ANAS – quest’ultima dovrà provvedere ad integrare il provvedimento da ultimo impugnato, quantificando l’indennizzo dovuto per il ripristino dell’accessibilità ai fondi interclusi e la svalutazione subìta dalle porzioni residue del compendio per effetto della sua divisione, nonché prevedendo la corresponsione dell’indennizzo forfettario per il danno non patrimoniale, pari a euro 4.186,40.
La mancanza di tali voci di risarcimento del danno comporta la declaratoria dell’illegittimità del provvedimento impugnato con il ricorso per motivi aggiunti, che dovrà, dunque, essere caducato e riadottato dall’ANAS nel rispetto di quanto più sopra evidenziato, entro il termine del 30 giugno 2017.
Le spese del giudizio possono essere in parte compensate, attesa la solo parziale fondatezza del ricorso.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
- dichiara improcedibile il ricorso introduttivo;
- accoglie in parte il ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato e rimette ad ANAS l’adozione del nuovo provvedimento secondo quanto in motivazione precisato;
- condanna ANAS s.p.a. al pagamento delle spese del giudizio che liquida, previa parziale compensazione, in 4.000,00 (quattromila/00) euro, oltre ad accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2017 con l'intervento dei magistrati:
Alessandra Farina, Presidente
Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore
Alessio Falferi, Primo Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Mara Bertagnolli Alessandra Farina
IL SEGRETARIO