Difetto di giuririsdizione del GA sull'indennizzo da art.42-bis
Pubblico
Sabato, 28 Maggio, 2016 - 02:00
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda Bis), sul difetto di giurisdizione del GA sull'indennizzo da art.42-bis
N. 04795/2016 REG.PROV.COLL.
N. 02357/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2357 del 2010, proposto da:
Achille ______, in qualità di eredi, rappresentati e difesi dall’avv. Corrado Morrone, con domicilio eletto presso Studio Legale Morrone in Roma, viale XXI Aprile n. 11;
contro
Comune di San Polo dei Cavalieri, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Paolo De Camelis, con domicilio eletto presso Paolo De Camelis in Roma, via D.A. Azuni n. 9;
per l’accertamento
del diritto al risarcimento del danno per l’illegittima occupazione ed espropriazione dell’immobile e del terreno di proprietà del sig. Achille Antonini, sito nel Comune di San Polo dei Cavalieri, distinto al N.C.T. alla p.lla 272/p, foglio 22, oggetto del procedimento espropriativo promosso per la realizzazione di un centro sportivo comunale;
e per la conseguente condanna
del Comune di San Polo dei Cavalieri all’integrale risarcimento del danno ingiusto che il ricorrente ha subito a causa dell’intervenuta “occupazione acquisitiva” posta in essere dal Comune stesso;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di San Polo dei Cavalieri;
Vista l’ordinanza di interruzione del giudizio n. 4269/2015;
Visto l’atto di riassunzione del giudizio depositato in data 8 luglio 2015;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 febbraio 2016 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 5 marzo 2010 e depositato il successivo 16 marzo 2010, il ricorrente Achille Antonini ha proposto azione per l’accertamento del proprio diritto al risarcimento del danno subito a causa dell’illegittima occupazione ed espropriazione di un terreno di sua proprietà sito nel Comune di San Polo dei Cavalieri, chiedendo – nel contempo – la condanna di quest’ultimo a corrispondere le somme a tale titolo dovute (complessivamente indicate in € 346.638,98, oltre rivalutazione ed interessi).
In particolare, il ricorrente – dopo aver, tra l’altro, rappresentato di aver previamente proceduto all’esperimento di un giudizio dinanzi al Tribunale Civile di Tivoli al fine di ottenere anche il risarcimento dei danni derivanti dall’occupazione illegittima dei propri beni e dell’irreversibile trasformazione di quest’ultimi, sfociato dopo ben tre anni nella sentenza n. 39 del 2009 di dichiarazione di “difetto di giurisdizione del giudice ordinario”, oggetto di gravame innanzi “alla Corte d’Appello Civile di Roma” - ha esposto che:
- il terreno in questione – a seguito dell’avvio di un procedimento di espropriazione da parte del Comune intimato con la delibera n. 76 del 1999 - è stato oggetto di occupazione d’urgenza in esito alla delibera n. 10 del 2000 e, poi, irreversibilmente trasformato dalla già citata Amministrazione senza che quest’ultima portasse mai a compimento la procedura espropriativa;
- a causa di quanto riportato, è intervenuta la perdita del terreno per “accessione invertita”, mentre “l’occupazione del terreno .. è divenuta abusiva ed illegittima” già a fare data dal 21 marzo 2005 per l’intervenuta scadenza del termine quinquennale di legge;
e, pertanto, ha chiesto – nella piena consapevolezza dell’orientamento assunto dalla giurisprudenza CEDU circa la piena operatività del “principio della restituito in integrum” e, quindi, del carattere meramente subordinato riconosciuto al “risarcimento del danno” (Sez. IV, 6 marzo 2007, Scordino/Italia n. 3) - il ristoro dei danni subiti in ragione della condotta illecita del Comune, invocando, a tali fini, non solo il “valore di mercato del bene nel momento della scadenza dell’occupazione legittima” e le conseguenze negative riconnesse al periodo di occupazione illegittima ma anche l’indennizzo per occupazione legittima e il pregiudizio morale sopportato a seguito del sentimento di frustrazione derivante dallo spossessamento illegale dei beni.
Con atto depositato in data 17 giugno 2010 si è costituito il Comune intimato, il quale – nel prosieguo e precisamente con memoria prodotta in data 14 ottobre 2011 – ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto proposto “fuori dal termine decadenziale dei 60 gg. dall’adozione del provvedimento impugnato” nonché l’intervenuta prescrizione dell’azione risarcitoria proposta. In aggiunta il Comune ha, altresì, rilevato l’estinzione di ogni suo obbligo “per effetto del deposito dell’indennità di esproprio e dei relativi interessi presso la Cassa Depositi e Prestiti”.
Rispettivamente in date 6 e 7 ottobre 2011 il ricorrente e il citato Comune hanno prodotto documenti.
A seguito del deposito di scritti difensivi ad opera delle parti in causa, con ordinanza n. 10363 del 30 dicembre 2011 la Sezione ha disposto incombenti istruttori a carico del Comune resistente, precipuamente inerenti alle “determinazioni che il medesimo intenda eventualmente assumere ai sensi dell’art. 42 bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327”.
Con atto depositato in data 13 marzo 2012 si sono, poi, costituiti i sig.ri Alessandrini Laura e Stefano Catanoso, nello loro qualità di unici eredi testamentari del ricorrente originario, deceduto – come adeguatamente comprovato – in data 2 gennaio 2012.
In ottemperanza all’ordinanza di cui sopra, in data 25 settembre 2012 il Comune di San Polo dei Cavalieri ha depositato copia del provvedimento n. 75 del 14 settembre 2012, con cui la Giunta Comunale ha espressamente deliberato l’intenzione di assumere, “ai sensi dell’art. 42 bis cit. e con provvedimento ad hoc, al suo patrimonio indisponibile l’area” in contestazione e, dunque, disposto “che il responsabile dell’ufficio tecnico provveda all’avvio del relativo procedimento e a tutti gli e incombenti correlativi”.
Con atto depositato in data 30 ottobre 2012 è stato, poi, comunicato dal difensore dei ricorrenti il sopravvenuto decesso in data 4 luglio 2012 del sig. Stefano Catanoso e, dunque, chiesto il “rinvio dell’udienza di discussione”.
A seguito dell’ordinanza istruttoria n. 8597 del 2014, con cui la Sezione ha ritenuto opportuno acquisire, tra l’altro, informazioni circa “lo stato dell’iter del procedimento volto all’acquisizione” sopra indicato, in data 20 novembre 2014 il Comune ha prodotto una relazione in cui ha dato conto di essersi attivato per “valutare” la volontà degli interessati “a procedere alla cessione volontaria dei terreni occupati” ma che tale indagine è rimasta senza esito per l’area di proprietà del sig. Antonini in ragione della impossibilità di “risalire alla titolarità dei beni… non essendo stato prodotto alcun titolo di proprietà”.
In data 6 febbraio 2015 la sig.ra Laura Alessandrini ha depositato una memoria con cui ha lamentato, tra l’altro, la mancata applicazione dell’istituto di cui all’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001 e, pertanto, ha insistito per l’accoglimento delle domande già spiegate “col ricorso introduttivo”.
Constatato che – nonostante quanto preannunciato nell’istanza di rinvio depositata in data 30 ottobre 2012 – alcuna costituzione volontaria risultava attuata da parte degli eredi del sig. Catanoso, con ordinanza n. 4269 del 17 marzo 2015 il Tribunale ha dichiarato l’interruzione del giudizio.
In data 8 luglio 2015 è stato depositato “atto di riassunzione” – ritualmente notificato al Comune resistente in data 8 giugno 2015 - da parte della s_________, in qualità di eredi del sig. Stefano Catanoso, con cui si è, peraltro, ritenuto – tenuto conto delle “importanti novità normativo-giurisprudenziali intervenute di recente in materia”, riportate anche nella sentenza n. 71 del 2015 della Corte Costituzionale – di precisare le conclusioni rassegnate nel 2010 nel senso di richiedere al Tribunale di ordinare al Comune resistente di procedere all’adozione del “provvedimento acquisitivo ex art. 42 – bis T.U. espr.” e, di conseguenza, di condannare lo stesso Comune a corrispondere il relativo indennizzo nonché il risarcimento del danno ingiusto da “illegittima occupazione senza titolo dal 22.3.2005”.
In data 22 dicembre 2015 i ricorrenti hanno, altresì, prodotto una “perizia di stima”dei pregiudizi subiti e, dunque, delle somme a tale titolo vantate.
A seguito della produzione di ulteriori memorie, con cui – in particolare – il Comune resistente ha contestato l’ammissibilità delle pretese azionate con l’atto di riassunzione, in quanto del tutto innovative rispetto a quelle originariamente formulate, e, comunque, precisato di aver già operato - con la delibera n. 75/2012 - la scelta definitiva di procedere ai sensi dell’art. 42 bis T.U. Espr., chiedendo – in ultimo – una mera integrazione dell’ordinanza n. 10363/2011 nel senso di assegnare “congruo termine alle parti per addivenire ad una soluzione alternativa” e, in caso di inutile decorso di quest’ultimo, “di provvedere a determinare e corrispondere … quanto dovuto agli aventi diritto, ai sensi dell’art. 42 bis”, all’udienza pubblica del 3 febbraio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
2. Tutto ciò premesso, il Collegio ritiene di dover esaminare – in via preliminare – l’eccezione di inammissibilità delle domande formulate dai ricorrenti con l’atto di riassunzione, sollevata dall’Amministrazione resistente sulla base dell’assoluta novità di esse.
Tale eccezione è infondata e, pertanto, va respinta.
Come posto adeguatamente in evidenza dai ricorrenti, la questione prospettata tende essenzialmente alla definizione di una situazione di “irregolarità” o, meglio, di “illiceità”, venutasi a determinare a causa dell’occupazione d’urgenza di un’area di proprietà del proprio dante causa, il sig. Ac______i (ricorrente “originario”), risalente al 5 febbraio 2000, e del conseguente avvio di un procedimento di espropriazione da parte del Comune resistente con la deliberazione C.C. n. 20 del 21 ottobre 2000, a seguito dei quali è stata poi attuata l’irreversibile trasformazione della stessa area senza, però, che venisse mai concluso il procedimento espropriativo, idoneo a determinare il trasferimento della proprietà.
In sintesi, si tratta di una controversia precipuamente inerente alla “regolarizzazione” dei rapporti intercorrenti tra gli attuali ricorrenti, subentrati per successione al ricorrente originario, e il Comune, in quanto tendente al ripristino della “legalità”, inequivocabilmente violata dall’effettivo spossessamento subito da privati di un bene di loro proprietà e dalla correlata apprensione dello stesso bene da parte dell’Amministrazione pubblica, concretamente attuata mediante la realizzazione di opere riconosciute di “pubblica utilità”.
Come noto, al fine di ovviare a situazioni di tal genere la giurisprudenza del giudice ordinario aveva elaborato – già negli anni ottanta (cfr. Cass., 26 febbraio 1983, n. 1464) – l’istituto della c.d. “accessione invertita”, in virtù della quale l’acquisizione da parte dell’Amministrazione del diritto di proprietà su un’area – coerentemente configurata “a titolo originario” - era ricondotta alla realizzazione dell’opera pubblica o, in termini più generali, all’irreversibile trasformazione del bene, fatto – comunque – salvo il diritto del proprietario originario di chiedere e ottenere il risarcimento dei danni subiti.
In linea con quanto – del resto - ricordato anche nell’atto introduttivo del presente giudizio, l’istituto dell’accessione invertita è oramai venuto meno e, più precisamente, è stato espunto dal nostro ordinamento primariamente in virtù dell’orientamento assunto dalla CEDU, la quale ne ha rilevato il contrasto con i diritti fondamentali dell’uomo (cfr., ex multis, Corte di Strasburgo, 30 maggio 2000, n. 31524/96).
Il legislatore italiano ha, pertanto, avvertito la necessità di ideare soluzioni alternative, idonee a fare fronte ai casi di irreversibile trasformazione di aree di proprietà di soggetti privati per la realizzazione di opere di pubblica utilità in carenza della previa adozione di un provvedimento espropriativo, idoneo a determinare il trasferimento della proprietà.
Tale necessità ha, pertanto, condotto:
- all’introduzione dell’art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, il quale – al comma 1 – prevedeva la c.d. “acquisizione sanante”, mediante il riconoscimento del potere per l’autorità “che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità” di disporre l’acquisizione di esso “al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni”. Come noto, tale previsione è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta con sentenza 4-8 ottobre 2010, n. 293 in ragione della rilevata violazione dell’art. 76 Cost.;
- con l’art. 34 del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è stato, poi, introdotto nel citato D.P.R. n. 327 del 2001 l’art. 42 bis, di disciplina – al pari del precedente – del potere dell’Amministrazione di acquisire al proprio patrimonio indisponibile il bene modificato “per scopi di interesse pubblico” “in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità”, prescrivendo – a differenza di quanto riportato nella precedente prescrizione – un “indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale” subito dal proprietario. Tale articolo è stato sottoposto, di recente, al sindacato della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato la questione sollevata “non fondata” con sentenza n. 71 del 30 aprile 2015.
Ciò detto, risulta evidente come, nell’ipotesi in cui risulti avviato un procedimento espropriativo ma lo stesso non sia, poi, portato - come nell’ipotesi in esame - a conclusione e sia stata, comunque, realizzata l’irreversibile trasformazione dei beni, l’Amministrazione ha il potere di assumere iniziative differenti, tra cui figura, tra l’altro, l’adozione di un provvedimento di “acquisizione sanante”, ai sensi dell’art. 42 bis su indicato.
Tenuto conto di tale rilievo e accertato, ancora, che, in epoca successiva alla proposizione del presente ricorso, il Comune di San Polo dei Cavalieri ha adottato la delibera n. 75 del 14 settembre 2012, con cui ha assunto la decisione – dallo stesso definita “definitiva” (oltre che “essenziale e imprescindibile ai fini del decidere” – cfr. memorie depositate in date 12 gennaio 2016 e 30 dicembre 2015) - di procedere all’acquisizione sanante, non possono non trovare condivisione le affermazioni dei ricorrenti secondo cui, in sede di atto di riassunzione, non è stata realizzata una “mutatio libelli”, bensì si è proceduto ad una mera “emendatio libelli”.
Come riconosciuto – del resto – dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la recente sentenza 15 giugno 2015, n. 12310, “la modificazione della domanda … può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa, ovvero il petitum o la causa petendi, sempre a condizione che la domanda così modificata risulti connessa alla vicenda sostanziale già dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali”.
In sintesi, è, dunque, possibile affermare che meritano di essere configurate in termini di domande “modificate” – le quali, in quanto tali, sono ammesse nel nostro ordinamento - anche domande connotate da modifiche inerenti ad elementi “fondamentali” della domanda originaria o, ancora, “domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono, pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività”, tanto più ove le stesse traggano origine dallo sviluppo della vicenda nell’ambito processuale, con l’unica condizione del rispetto del diritto di difesa e, quindi, della facoltà della controparte di contraddire, in un’ottica di risoluzione “definitiva dei problemi che hanno portato le parti dinanzi al giudice, evitando che esse tornino nuovamente in causa in relazione alla medesima vicenda sostanziale”, nel rispetto dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo (cfr. sent. n. 12310 del 2015, già cit.).
In ragione di quanto riportato e, ancora, compiutamente valutate sia l’evoluzione della vicenda nel tempo che le asserzioni della controparte, non può, dunque, che pervenirsi alla conclusione della piena facoltà per i ricorrenti di formulare le pretese riportate nell’atto di riassunzione, specie ove si tenga conto che si tratta – comunque – di pretese che, oltre a risultare strettamente connesse a determinazioni assunte dal Comune nel corso del giudizio(rectius: la delibera Giuntale n. 75 del 14 settembre 2012) e, anzi, traenti origine essenzialmente da quest’ultime, sono riportate in un atto ritualmente notificato alla controparte, nel pieno rispetto della facoltà di quest’ultimo di contraddire.
In definitiva, l’eccezione di inammissibilità del Comune, essenzialmente basata sulla concretizzazione di un’ipotesi di “mutatio libelli”, è infondata.
3. Per quanto attiene, poi, al contenuto specifico che connota le pretese de quibus, il Collegio osserva che:
- è meritevole di accoglimento quella concernente l’emanazione da parte del Comune di San Polo dei Cavalieri di un formale “provvedimento acquisitivo ex art. 42 – bis T.U. espr.”, connotato – sulla base di quanto espressamente prescritto dal legislatore – da un’“efficacia” non retroattiva e, pertanto, operante “ex nunc”. Preso atto delle specificità che connotano la controversia in esame, identificabili precipuamente con il rilievo che, già con la delibera Giuntale n. 75 del 14 settembre 2012, il citato Comune aveva deciso “di assumere al suo patrimonio indisponibile l’area per cui è causa, ai sensi dell’art. 42 bis cit.” (cfr., tra l’altro, memoria prodotta in data 12 gennaio 2016) e, ancora, con la constatazione che – per stessa ammissione del Comune resistente – si tratta di una scelta “definitiva” (tanto che nella memoria dal predetto depositata in data 30 dicembre 2015 si legge che “non corrisponde al vero” che “il Comune ha solo avviato ma non concluso il procedimento di scelta” – cfr. memoria depositata in data 30 dicembre 2015), non appare, infatti, che - pur nella piena consapevolezza dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il potere di disporre l’acquisizione di cui si discute costituisce espressione del “più generale potere di amministrazione attiva che compete agli enti pubblici cui il giudice amministrazione non può sostituirsi” (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. IV, 11 settembre 2014, n. 4696) – possano essere ravvisati elementi ostativi alla disposizione dell’obbligo per il Comune di procedere, in un congruo termine che può essere fissato in 90 gg. dalla data di comunicazione e/o notificazione della presente sentenza, all’adozione del provvedimento acquisitivo (cfr., tra le altre, TAR Lazio, Sez. II, n. 9479/2015), potendo, anzi, quest’ultimo configurarsi – in ragione delle peculiarità che connotano il caso in trattazione - come una mera “formalizzazione” di un impegno già assunto dall’Amministrazione o, ancora, come mero adempimento dell’obbligo di concludere il procedimento amministrativo “mediante l’adozione di un provvedimento espresso”, nel rispetto dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, atto, tra l’altro, non solo a determinare una volte per tutte il ripristino della “legalità” ma anche a concretizzare una soluzione giuridica della controversia che sembra porsi pienamente in linea con la volontà di entrambe le parti coinvolte nella vicenda;
- per quanto attiene alla pretesa dei ricorrenti afferente la condanna del Comune alla corresponsione dell’indennizzo dovuto ai sensi di legge entro il termine di trenta giorni, per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito, così come calcolato nelle perizie prodotte in giudizio, va precisato che, con la recente ordinanza 29 ottobre 2015, n. 22096, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite – a definizione della controversa questione concernente l’effettiva natura giuridica dell’indennizzo di cui si fa menzione nell’art. 42 bis, prospettata, del resto, anche nel corso del giudizio instaurato dinanzi alla Corte Costituzionale poi sfociato nella sentenza n. 71 del 2015 – ha avuto modo di chiarire che si tratta di un ristoro economico avente “natura non già risarcitoria ma indennitaria, con l’ulteriore corollario che le controversie aventi ad oggetto la domanda di determinazione o di corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario”. Ciò detto, la pronunzia di questo Tribunale si deve limitare ad accogliere la predetta domanda con riferimento all’an della spettanza, in favore della parte ricorrente - ad esito dell’intervenuta acquisizione ex art. 42 bis – dell’importo pari al valore venale del bene “all'attualità” da determinarsi ad opera dell’Amministrazione, fermo restando che, trattandosi di una indennità, per le eventuali controversie relative alla detrminazione del quantum sussisterà la giurisdizione del giudice civile;
- non è possibile, pertanto, esimersi dal declinare la giurisdizione del giudice amministrativo, con conseguente inammissibilità della domanda, con riguardo alla determinazione del quantum ad esito del compimento del procedimento di cui si è detto e delle determinazioni assunte da parte del Comune resistente, con la precisazione – ancora – che la domanda potrà essere eventualmente riproposta dagli interessati dinanzi al giudice ordinario per l’ipotesi in cui la liquidazione di tale indennizzo che l’Amministrazione – come ricordato - è tenuta ad operare in sede di redazione dello stesso provvedimento di acquisizione, ai sensi dell’art. 42 bis, comma 4, non dovesse essere ritenuta soddisfacente;
- in ultimo, permane da valutare la pretesa dei ricorrenti riguardante il risarcimento del danno “ingiusto da illegittima occupazione senza titolo dal 22.3.2005 sino all’emanazione del provvedimento acquisitivo”. Premessa l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione formulata dall’Amministrazione resistente, posto che, per quanto concerne il danno da perdita di godimento, opera la prescrizione quinquennale con decorrenza dalle singolo annualità (cfr. Cass. a Sezioni Unite,sent. n. 735 del 19 gennaio 2015) e, nel caso in esame, l’atto introduttivo del giudizio risulta essere stato proposto entro tale termine (atteso che la notificazione risale al 5 marzo 2010, mentre l’occupazione legittima risulta essere venuta meno a fare data dal 21 marzo 2015 – cfr. anche TAR Lazio, sent. n. 9479/2015, già cit.), e precisata, ancora, la netta irrilevanza, a tali fini, del deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti “dell’indennità di esproprio e dei relativi interessi”, addotto dal Comune, tale domanda è meritevole di condivisione, atteso che – come affermato dai ricorrenti ma anche dimostrato dalla documentazione prodotta agli atti - con decorrenza dal 22 marzo 2005 è stata attuata un’occupazione abusiva dell’area di loro proprietà, precisando – ancora – che, ai fini del computo del risarcimento del danno richiesto - non appare incongruo prendere in considerazione la previsione di cui all’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001 e, dunque, liquidare una somma pari all’interesse del cinque per cento annuo “sul valore determinato” dal Comune di San Polo dei Cavalieri in sede di redazione del provvedimento di acquisizione.
4. Per le ragioni illustrate, il ricorso in parte va dichiarato inammissibile e in parte va accolto.
Tenuto conto della soccombenza parziale, le spese di giudizio sono compensate per la metà e, pertanto, liquidate a favore dei ricorrenti in complessivi euro 1.000,00, oltre agli accessori di legge.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 2357/2010, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e in parte lo accoglie nei termini indicati in motivazione e, per l’effetto:
- dispone che il Comune di San Polo Cavalieri proceda ad adottare un formale provvedimento di acquisizione sanante ed a liquidare la conseguente somma dovuta ai sensi dell’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001, nel termine di 90 giorni dalla data di comunicazione o notificazione, di cui parte ricorrente è espressamente onerata, della presente sentenza;
- condanna il Comune di San Polo Cavalieri a corrispondere il risarcimento del danno subito da illegittima occupazione senza titolo dal 22 marzo 2005 “sino all’emanazione del provvedimento acquisitivo”, il quale è liquidato in una somma pari all’interesse del cinque per cento annuo “sul valore” che sarà determinato dal predetto Comune in sede di redazione del provvedimento di acquisizione;
- dichiara il proprio difetto di giurisdizione per il capo di domanda specificato in motivazione, con la precisazione ai sensi dell’art. 12 c.p.a. che la giurisdizione a conoscere delle controversie inerenti la determinazione dell’importo spettante ex art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001, che eventualmente dovessero insorgere ad esito dell’emanazione del provvedimento di acquisizione ai sensi del menzionato art. 42 bis, appartiene al giudice ordinario;
- compensa per metà le spese di lite e per la restante parte condanna il Comune di San Polo dei Cavalieri al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese di giudizio, liquidate in € 1.000, oltre accessori di legge;
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2016 con l'intervento dei Magistrati:
Solveig Cogliani,Presidente
Antonella Mangia,Consigliere, Estensore
Maria Ada Russo,Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/04/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)