Obbligo o meno della PA di provvedere alla richiesta di 42-bis TUE? - TAR Emilia-Romagna, sent. n.505 del 29.05.2015
Pubblico
Mercoledì, 28 Ottobre, 2015 - 01:00
Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna, (Sezione Seconda) Sent.n.505 del 29 maggio 2015, sull'obbligo o meno della PA di provvedere in ordine alla richiesta di adozione di un provvedimento ex art.42-bis TUE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 172 del 2015, proposto da:
G.S. e R.Z., rappresentati e difesi dall'avv. Alessandro Mantero, con domicilio eletto presso la Segreteria T.A.R., in Bologna, Strada Maggiore n. 53;
contro
Provincia di Rimini, in persona del Presidente della Giunta Provinciale p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Nicoletta Flamigni, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Beatrice Belli, in Bologna, Strada Maggiore n. 47;
per ottenere
sentenza dichiarativa dell'illegittimità del silenzio - inadempimento che i ricorrenti ritengono sia stato serbato dall'amministrazione provinciale di Rimini riguardo alla loro istanza in data 11/12/2014, diretta all'adozione di provvedimento espresso comportante l'acquisizione ex art. 42 bis T.U. espropriazioni dell'opera viaria "variante alla strada provinciale n.17 Saludecese". I ricorrenti chiedono, inoltre, che sia fissato termine di gg. 30, decorrente dalla pubblicazione dell'emananda sentenza, ovvero dalla sua notificazione ove anteriormente eseguita, entro cui la Provincia debba pronunciarsi sulla predetta acquisizione sanante e inoltre che, in caso di perdurante inerzia da parte della Provincia, il T.A.R. nomini un Commissario ad acta che provveda in merito, in sostituzione dell'amministrazione inadempiente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Rimini;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2015, il dott. Umberto Giovannini e uditi, per le parti, i difensori, come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
A seguito dell'annullamento degli atti della procedura espropriativa per la realizzazione della variante alla strada provinciale n. 17 "Saludecese", posta in essere dall'amministrazione intimata per effetto della sentenza di questo T.A.R. n. 3472 del 2008, confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 9613 del 2010, gli odierni ricorrenti, proprietari di alcuni terreni interessati dalla realizzazione dell'opera pubblica viaria, hanno presentato un'azione risarcitoria per l'illecita occupazione delle aree, a partire dal 1998, senza con ciò abdicare alla rispettiva proprietà. Tale ricorso sub. R.G. 376/2011 è ancora pendente.
Successivamente, in data 11/12/2014, gli stessi hanno presentato un'istanza chiedendo all'amministrazione di attivare il procedimento di acquisizione sanante ai sensi dell'articolo 42 bis del testo unico in materia espropriativa o, in alternativa, di procedere alla restituzione dei terreni o al risarcimento per equivalente degli stessi, sulla base del valore di mercato (prodromico ad un atto di cessione volontaria).
L'amministrazione aveva fornito un riscontro all'istanza con nota in data 15 gennaio 2015, in cui aveva evidenziato di essersi attivata per definire l'indennizzo delle aree in contestazione, ma di non essere pervenuta ad alcun accordo.
Gli interessati, con il presente ricorso, hanno adito il T.A.R. ai sensi dell'articolo 117 del c.p.a. per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dall'amministrazione intimata e per la dichiarazione dell'obbligo della stessa di pronunciarsi sulla loro istanza, nonché per la nomina di un commissario ad acta.
Si è costituita in giudizio l'amministrazione provinciale intimata, la quale ha precisato di aver avviato il procedimento di acquisizione sanante ex articolo 42 bis (vedi pagina 2 della memoria difensiva depositata il 6 maggio 2015) e ha confermato la volontà di acquisire le aree di proprietà dei ricorrenti occupate senza titolo, tuttavia "rinviando all'esito del ricorso R.G. 376/2011, pendente dinanzi al T.A.R., la determinazione dell'indennizzo" di cui al citato articolo 42 bis.
L'amministrazione intimata, quindi, ritenendo di non essere rimasta inerte nella presente situazione di illecito, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Alla camera di consiglio del 14 maggio 2015, la causa è stata chiamata; le parti hanno sviluppato le rispettive difese anche nel corso della discussione orale ed essa, infine, è stata trattenuta in decisione, come da verbale.
Va preliminarmente osservato che la stessa amministrazione, tramite i propri difensori in questa sede e con la nota del 15 gennaio 2015, ha dichiarato di aver attivato il procedimento di acquisizione, confermando la volontà di acquisire le aree di proprietà dei ricorrenti. Tuttavia, la stessa amministrazione non ha concluso il procedimento di acquisizione sanante, avendone rinviato la conclusione con la nota sopra citata, che, peraltro, ha soltanto l'effetto di procrastinare tale momento in violazione di un puntuale obbligo di legge (cfr Consiglio di Stato, Sez. IV, 9/5/2013 n. 2511). Tale nota, pertanto, non fa venir meno l'inerzia dell'Amministrazione intimata in ordine all'obbligo di concludere il procedimento. Ciò premesso in linea di diritto, va osservato come costituisce oramai ius receptum che l'occupazione sine titulo, anche se accompagnata dalla irreversibile trasformazione del fondo, sia fatto materiale non idoneo a determinare l'effetto traslativo della proprietà del bene occupato; esito, questo, non consentito dall'art. 1 del Protocollo Addizionale CEDU, come costantemente interpretato dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (ex multis seconda sezione, 30 maggio 2000, B.A. s.r.l. c. Italia, n. 31524/96; terza Sezione, 12 gennaio 2006, Sciarrotta c. Italia, n. 14793/02) dal Consiglio di Stato (ex plurimis Ad. Pl. 29/4/2005, n. 2; id. sez. VI, 10/5/2013, n. 2559; id. sez. V, 24/4/2013, n. 2279) e, da ultima, dalla stessa Corte di Cassazione (sez. II 14/1/2013, n. 705). E' pacifico, pertanto, che anche nel caso di specie, gli odierni istanti abbiano sempre mantenuto, sino ad oggi, la proprietà dell'area oggetto del procedimento espropriativo, per effetto della sentenza del T.A.R. Emilia - Romagna n. 3472 del 2008, confermata dal Consiglio di Stato, pur avendone perduto la concreta disponibilità a causa della realizzazione dell'opera pubblica.
Dopo l'entrata in vigore dell'anzidetto art. 42 bis del T.U. approvato con D.P.R. n. 327 del 2001 (disposto per effetto dell'art. 34, comma 1, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011 n. 111), nell'ipotesi di utilizzo di un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, la pubblica amministrazione ha in ogni caso l'obbligo di far venir meno l'occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, dovendo scegliere, a tal fine - alternativamente - tra l'emanazione di un provvedimento adottato in base alla disciplina ivi contenuta e - per l'appunto - sanante la situazione di illegittimità determinatasi, ovvero l'immediata restituzione del bene la cui occupazione si è protratta contra ius, previo ripristino dell'area ed il pagamento dei danni da illegittima occupazione, senza che l'avvenuta realizzazione dell'opera pubblica precluda l'una o l'altra via.
Allo stesso tempo, non risulta esclusa dall'ordinamento la possibilità per le parti di accordarsi per una cessione bonaria dell'immobile alla pubblica amministrazione, con contestuale accordo per il ristoro dei danni derivanti dall'occupazione illegittima subita (così Consiglio di Stato sez. IV, 4/9/2013, n. 4445, in termini id. sez. IV, 2/9/2011, n. 4970; sez. IV, 29/8/2011, n. 4833; sez. IV, 20/7/2011, n. 4408).
Ciò a maggior ragione nel caso in esame, in cui l'amministrazione stessa conferma di aver attivato il procedimento di acquisizione sanante e di voler acquisire le aree di proprietà dei ricorrenti.
Ritiene il Collegio che al puntuale obbligo a carico dell'Amministrazione di far cessare la situazione di illecito, corrisponda una pretesa del proprietario vittima dell'occupazione sine titulo a stimolare l'esercizio del potere autoritativo di acquisizione, ferma restando l'insopprimibile facoltà dell'Amministrazione di optare per la restituzione dell'area previa riduzione in pristino oppure, ancora ed alternativamente, di proporre una soluzione concordata per il trasferimento della proprietà, mediante contratto o accordo. L'art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001, nell'affermare che l'Amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, può disporre che il bene sia acquisito al suo patrimonio non disponibile, non attribuisce all'autorità una mera facoltà, il cui esercizio sarebbe per definizione libero, ma le conferisce una potestà, cioè l'esercizio obbligatorio di un potere in funzione della cura dell'interesse pubblico, consistente nella immediata cessazione della detenzione illecita del bene (T.A.R. Umbria, sez. I, 5/5/2014, n. 238, T.A.R. Sicilia - CT- sez. II, 7/12/2012, n. 2874), in attuazione dello stesso principio di legalità, con conseguente acquisizione al patrimonio dell'ente, di un bene oramai definitivamente utilizzato a scopi pubblicistici.
Il Collegio ritiene pertanto di non potere seguire l'orientamento, pur invalso nella giurisprudenza amministrativa, volto a negare, in tale fattispecie, la sussistenza di un obbligo giuridico di provvedere tutelabile mediante l'azione oggi codificata dall'art. 117 cod. proc. amm., in considerazione dell'ampiezza della discrezionalità dell'Amministrazione in subiecta materia (v. ex multis T.A.R. Liguria, sez. I, 17/3/2010 n. 1174; Consiglio di Stato, sez. IV, 21/4/2008, n. 5998; T.A.R. Puglia -BA- sez. III, 19/11/2008, n. 2635; T.A.R. Puglia -LE- sez. I, 12/7/2012, n. 1242); orientamento, questo, peraltro non pacifico (vedi nel senso del dovere dell'Amministrazione di pronunciarsi sull'istanza Cons. Stato, sez. IV, 27/4/2015 n. 2126; T.A.R. Campania -SA- sez. II, n. 1395 del 2010, T.A.R. Campania -NA- sez. V, n. 2875 del 2009; C.G.A.R.S., sez. Cons., n. 486 del2009). In primo luogo, si deve osservare che l'art. 2 della L. n. 241 del 1990, nel testo modificato dalla L. 6 novembre 2012, n. 190 c.d. "anticorruzione", innovando la disciplina precedente, ha esteso l'obbligo di conclusione del procedimento iniziato su istanza di parte o d'ufficio anche in ipotesi di "manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda", seppure tramite l'adozione di un provvedimento "in forma semplificata". In tale modo il legislatore ha generalizzato l'obbligo giuridico di provvedere (T.A.R. Sardegna sez. II, 12/12/2013, n. 879), senza prevedere alcuna limitazione per l'attività autoritativa, frutto di valutazioni discrezionali amministrative o tecniche, dal momento che il carattere discrezionale è preso in considerazione dal legislatore soltanto ai fini della cognizione della eventuale domanda di accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale sottostante (art. 31 c. 3 Cod. proc. amm.), ma non della sola domanda dichiarativa della illegittimità del silenzio serbato dall'Amministrazione.
In altre parole, mentre sul versante processuale il comma 3 dell'art. 31 cod. proc. amm. stabilisce che "il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione" non è desumibile, in base all'art. 2 della legge generale sul procedimento amministrativo, specie nel testo attualmente in vigore, una speculare limitazione dell'obbligo giuridico di concludere i procedimenti iniziati, come confermato dall'amministrazione stessa, al fine di delimitarne l'applicazione e la conseguente tutela di accertamento e condanna approntata dagli artt. 31 e 117 Cod. proc. amm.
Quanto, poi, alla disciplina di settore oggi contenuta nel D.P.R. n. 327 del 2001, l'obbligo di provvedere a fronte di istanza volta a far cessare la situazione di illecito permanente determinatasi per effetto della trasformazione e detenzione di bene privato sine titulo, risulta invero avere ulteriore consistenza.
Infatti, pur avendo indiscutibilmente l'Amministrazione un potere discrezionale amministrativo (quanto all'an) in merito alla emanazione di un provvedimento di acquisizione coattiva, oggi disciplinato dal citato art. 42 bis T.U. espropriazione, rimane fermo il principio - oramai del tutto pacifico - per cui permangono tre alternative e precisamente: l'acquisto in via autoritativa con effetto sanante o in via consensuale mediante contratto/accordo, o, infine, la restituzione del bene, previa riduzione in pristino; giova evidenziare, anche al fine di dettare criteri conformativi per la successiva attività amministrativa, come in tal ultima ipotesi, la restitutio in integrum, quale tutela reale tipica accordata al diritto di proprietà, non soffra dei temperamenti di cui agli artt. 2058 (risarcimento in forma specifica) e 2933 c.c., (esecuzione forzata degli obblighi di non fare in pregiudizio all'economia nazionale), non trattandosi di tutela risarcitoria (così Cassazione civ. sez. I, 23/8/2012, n. 14609; in termini anche: Cass. Civ. sez.II, 29/1/2009, n. 2238 e 1/8/2003, n. 11744; T.A.R. Lombardia - Milano sez. III, 5/4/2011, n. 880), la quale si aggiunge, rimanendo su un piano distinto, all'eventuale concorrente tutela risarcitoria in presenza di danni risarcibili secondo l'art. 2043 c.c. Pertanto, a fronte, come nel caso di specie, di una richiesta da parte del soggetto interessato, pur dovendosi negare qualsivoglia dovere di adottare l'atto di cui all'art. 42 bis, va affermato l'obbligo di esprimere compiutamente e definitivamente la posizione dell'Amministrazione (in questo senso T.A.R. Umbria, 05/05/2014, n. 238; C.G.A.R.S. 25/5/2009, n. 486, T.A.R. Campania -NA- sez. V, 1/3/2013, n. 1200) tutelabile con lo speciale rito di cui agli artt. 31 e 117 cod. proc. amm., non dovendosi confondere la discrezionalità amministrativa in materia, con il più volte descritto obbligo di far cessare il comportamento illecito ascrivibile alla stessa Amministrazione, adeguando lo stato di fatto a quello di diritto.
Tanto premesso, a fronte di una situazione, quale quella in esame, di trasformazione ed occupazione sine titulo, l'Amministrazione è tenuta a valutare gli interessi in conflitto, esercitando il potere discrezionale che l'ordinamento le riconosce e che ben può concretizzarsi nella decisione di non acquisire l'immobile ed in tal caso, procedere alla restituzione dell'immobile secondo gli ordinari canoni civilistici. Come è stato già efficacemente affermato in giurisprudenza, nei casi come quello in esame, si pone per l'Amministrazione un'alternativa fra l'adempimento di un obbligo restitutorio e risarcitorio disciplinato dal diritto civile e l'esercizio di una potestà autoritativa di acquisizione del bene di cui la stessa dispone in forza del regime speciale ad essa assicurato dal diritto amministrativo, secondo una tesi ascrivibile a fattispecie di "esproprio semplificato" (T.A.R. Puglia - Bari sez. II, 9/4/2013, n. 522; Consiglio di Stato sez. IV, 19/3/2014, n. 1344; Cassazione SS.UU civ.. 13/1/2014, n. 441). Secondo altra (più corretta) tesi, trattasi di fattispecie di sanatoria, seppur atipica, non diversa dal precedente potere di acquisizione contenuto nell'art. 43 del t.u. espropriazioni (T.A.R. Puglia -BA- sez. III, 29/9/2011, n. 1413; T.A.R. Sardegna sez. II, 12/11/ 2012, n. 932), oggetto di dichiarazione di incostituzionalità (Corte Cost. sent. n. 293/2010).
La scelta che l'Amministrazione deve compiere non è, però, libera, in quanto l'art. 42 bis, primo comma, D.P.R. n. 327 del 2001, nell'affermare che l'Amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, "può" disporre che il bene sia acquisito al suo patrimonio indisponibile, non attribuisce all'autorità una semplice facoltà (il cui esercizio è per definizione libero), ma le conferisce una (appunto) potestà, cioè l'esercizio obbligatorio di un potere in funzione della cura dell'interesse pubblico (così T.A.R. Sicilia - Catania sez. II, 7/12/2012, n. 2874).
Dalle considerazioni che precedono discende che l'Amministrazione ha un vero e proprio obbligo di esercitare tale potere qualora il suo esercizio, all'esito della valutazione sugli interessi in conflitto, risulti meglio corrispondere all'interesse pubblico rispetto alla soluzione alternativa consistente nella restituzione dell'immobile.
La valutazione discrezionale sugli interessi in conflitto risulta, quindi, sempre necessaria nei casi di cui al citato art. 42 bis, primo e secondo comma, perché, qualora essa deponga nel senso che l'interesse pubblico, nella sua composizione con gli altri interessi confliggenti, risulti meglio soddisfatto attraverso l'acquisizione del bene, all'Amministrazione non resta alcuna facoltà di optare per la restituzione dell'immobile, atteso che tale soluzione pregiudicherebbe il corretto perseguimento dell'interesse che l'autorità è deputata a soddisfare (ancora T.A.R. Sicilia - CT- sez. II, 7/12/2012, n. 2874). Ciò - si ripete - dipende dal fatto che le potestà (e in primo luogo la potestà amministrativa), a differenza delle facoltà, non costituiscono un mero potere, ma si sostanziano in un potere-dovere, nel senso, cioè, che il titolare delle stesse ha l'obbligo di esercitare il potere che l'ordinamento gli attribuisce ogniqualvolta tale esercizio risulti idoneo a soddisfare l'interesse per il quale il potere stesso è stato conferito.
In altri termini, l'Amministrazione, nell'esercizio della sua discrezionalità, è chiamata a decidere in via preliminare se esercitare o non esercitare la potestà amministrativa di acquisizione che l'ordinamento le attribuisce e, solo nel caso in cui tale decisione abbia avuto esito negativo, essa è tenuta, come qualsiasi soggetto di diritto comune, alla restituzione dell'immobile e al risarcimento del danno. La valutazione degli interessi in conflitto di cui all'art. 42 bis, primo comma,D.P.R. n. 327 del 2001 è, perciò, necessariamente prodromica rispetto alla concreta opzione fra acquisizione autoritativa e restituzione "civilistica" e deve essere obbligatoriamente compiuta dall'Amministrazione in tutti i casi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dal primo e dal secondo comma della disposizione indicata (utilizzo di un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, ovvero in forza di atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, ovvero di atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera, ovvero di decreto di esproprio successivamente annullato in sede giurisdizionale, ovvero, infine, nel caso di ritiro di uno di tali atti da parte dell'Amministrazione durante la pendenza di un giudizio per il loro annullamento).
Tale valutazione amministrativa deve tuttavia pur sempre intervenire, proprio in quanto l'ordinamento non attribuisce all'Amministrazione una libera facoltà di acquisizione dell'immobile, ma le impone il dovere di procedere a tale acquisizione qualora, in base alla valutazione prescritta dal citato art. 42 bis, essa costituisca uno strumento più adeguato per il corretto perseguimento dell'interesse pubblico (così ancora T.A.R. Perugia, T.A.R. sez. I Perugia , Umbria, 05/05/2014, n. 238; T.A.R. Sicilia - Catania sez. II, 7 dicembre 2012, n. 2874).
A fronte di una situazione quale quella in esame, l'Amministrazione è, quindi, tenuta in primo luogo a valutare gli interessi in conflitto, esercitando il potere amministrativo discrezionale che l'ordinamento le riconosce (esercizio che ben può concretizzarsi nella decisione di non acquisire l'immobile in via autoritativa), e, solo in seconda battuta, qualora cioè l'esito di tale valutazione discrezionale si traduca nella decisione di non acquisire il bene, essa dovrà considerarsi effettivamente tenuta alla restituzione dell'immobile secondo gli ordinari canoni civilistici, tenendo ben presente, in subiecta materia, l'inapplicabilità delle limitazioni di cui agli artt. 2058 e 2933 c.c., come in precedenza chiarito. Sulla scorta di tali considerazioni deve, perciò, ritenersi che in tutti i casi in cui si verifichi la situazione contemplata dall'art. 42 bis, primo e secondo comma, D.P.R. n. 327 del 2001, l'autorità abbia l'obbligo di attivare e concludere il procedimento relativo alla valutazione degli interessi in conflitto, al fine di stabilire se procedere all'acquisizione autoritativa dell'immobile, ovvero alla sua restituzione secondo la disciplina civilistica.
Nel caso in esame sussiste, quindi, l'obbligo di provvedere che la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato quale presupposto per l'esperimento dell'azione avverso il silenzio inadempimento della P.A., in quanto l'amministrazione provinciale, ai sensi dell'art. 42 bis, primo comma, D.P.R. n. 327 del 2001, è effettivamente tenuta ad effettuare la valutazione amministrativa discrezionale che la ricorrente ha sollecitato con l'istanza del 11/12/2014, consistente, in concreto, nella scelta fra l'acquisizione autoritativa dell'immobile secondo la disciplina di cui alla norma indicata, da una parte, e l'opzione in favore della soluzione restitutoria e risarcitoria regolata dal diritto comune, dall'altra.
Deve ulteriormente precisarsi, tuttavia, che l'alternativa provvedimentale che si pone per l'Amministrazione allorquando essa proceda alla preliminare valutazione degli interessi in conflitto, non è esattamente quella fra acquisizione autoritativa e concreta restituzione dell'immobile, ma piuttosto quella fra acquisizione e non acquisizione del bene.
Il procedimento che l'Amministrazione è tenuta a concludere e la volontà provvedimentale che la stessa è tenuta ad esprimere nell'ipotesi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dai primi due commi dell'art. 42-bis non concerne, invero, l'alternativa fra l'acquisizione autoritativa e la concreta restituzione del bene, ma quella fra la sua acquisizione e la non acquisizione, in quanto la concreta restituzione rappresenta un semplice obbligo civilistico - cioè una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire l'immobile assunta dall'Amministrazione in sede procedimentale - ed essa non costituisce, né può costituire, espressione di una specifica volontà provvedimentale dell'autorità (atteso che, nell'adempiere gli obblighi di diritto comune, l'Amministrazione opera alla stregua di qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento e non agisce "iure auctoritatis"). Tale precisazione si rende necessaria per chiarire che la presente decisione di accoglimento non potrebbe essere portata ad esecuzione al fine di ottenere la restituzione del bene, nel caso in cui l'Amministrazione, adempiendo alla pronuncia di questo Tribunale, ritenesse di non acquisire in via autoritativa il bene o nel caso in cui in tal senso dovesse provvedere un eventuale commissario "ad acta" nominato dal giudice.
I ricorrenti, in altri termini, non potrebbero mai ottenere la restituzione dell'immobile nelle forme del giudizio di ottemperanza alla presente decisione e ciò in quanto non è possibile che tramite l'esperimento del ricorso avverso il silenzio - pur a seguito della eventuale disposta conversione in rito ordinario - si chieda la tutela di una posizione di diritto soggettivo, quale è la pretesa alla restituzione e/o al risarcimento per equivalente a fronte di occupazione acquisitiva. A ciò si aggiunga che il giudizio di ottemperanza non è che il portato esecutivo del giudizio di cognizione, legato ai limiti della domanda proposta in tale giudizio (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 19/3/2014, n. 1344) ovvero, nella fattispecie, della domanda di accertamento dell'illegittimità del silenzio - rifiuto nell'ambito dello speciale rito di cui agli artt. 31 e 117 cod. proc. amm..
È, infine, opportuno osservare che le conclusioni appena indicate risultano perfettamente coerenti con le affermazioni della giurisprudenza (cfr., ad esempio, Consiglio di Stato sez. IV, n. 1514/2012; T.A.R. Sicilia - PA- sez. II, n. 428/2012, T.A.R. Campania -NA- sez. V, n. 1171/2012; T.A.R. Sicilia - CT, sez. II, n. 1652/2012; id. n. 1498/2012; id. n. 1273/2012), per i casi in cui il proprietario illegittimamente spogliato del proprio bene avesse adito il giudice mediante il rito ordinario per ottenere la restituzione dell'immobile e il risarcimento del danno.
Nelle pronunce cui si è fatto riferimento, invero, la giurisprudenza non si è limitata a condannare l'Amministrazione alla restituzione e al risarcimento del danno per l'occupazione illegittima, ma, in base ai principi derivanti dall'interpretazione sistematica della disciplina e utilizzando le possibilità implicite nel principio di atipicità delle pronunce di condanna di cui all'art. 34, primo comma, lett. c), c.p.a., ha formulato le proprie decisioni in modo tale che esse non pregiudicassero la possibilità per l'Amministrazione di acquisire il bene ai sensi del citato art. 42 bis, ordinando all'autorità di provvedere ai sensi di tale disposizione, qualora essa non ritenesse di restituire l'immobile al legittimo proprietario previa riduzione in pristino stato.
Ciò conferma la peculiarità della situazione in cui si trova l'Amministrazione nei casi di cui all'art. 42 bis, primo e secondo comma, e dimostra che tale situazione non si sostanzia in un semplice obbligo "civilistico" di restituzione e di risarcimento del danno, ma contempla la necessaria e preliminare valutazione discrezionale ed autoritativa sugli interessi in conflitto, al fine di giungere ad una decisione di natura provvedimentale - che può ben avere esito negativo - in merito all'eventuale acquisizione del bene.
Giova evidenziare, infine, come nel compiere tale valutazione, nell'ipotesi di scelta di acquisizione, l'Amministrazione intimata, per le considerazioni prima esposte, dovrà essa stessa ed unilateralmente determinare, in via amministrativa ed in mancanza di accordi con gli interessati, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale di cui al citato art. 42 bis, in applicazione dei puntuali criteri e parametri normativi.
Per i suesposti motivi il ricorso va accolto e deve, quindi, ordinarsi alla Provincia di Rimini di provvedere sull'istanza della ricorrente entro il termine di giorni novanta - tenuto conto della complessità tecnica e amministrativa che la decisione provvedimentale, specie nel caso di acquisizione autoritativa del bene, può implicare - decorrente dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla notifica della stessa su istanza di parte, se anteriore, provvedendo all'acquisizione dell'immobile, attraverso l'emanazione di un provvedimento formale conclusivo del procedimento, ai sensi dell'art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001, ovvero manifestando il proprio intento di non procedere a tale acquisizione, restando così soggetto agli obblighi restitutori e risarcitori disciplinati dal diritto comune.
Nel caso di perdurante inerzia dell'amministrazione oltre il suddetto termine di novanta giorni, provvederà il Commissario ad acta, ponendo sin da ora le relative, eventuali, ulteriori spese (che saranno liquidate con separato provvedimento) a carico della Provincia di Rimini, con obbligo di rivalsa nei confronti del funzionario responsabile.
Le spese di causa seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna, Bologna (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso ex art. 117 Cod. proc. amm., come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, ordina alla provincia di Rimini di provvedere, nel termine di novanta giorni decorrenti dalla comunicazione o notifica della presente sentenza, all'adozione delle proprie determinazioni finali in ordine all'istanza presentata dalla ricorrente in data 11/12/2014, provvedendo all'acquisizione dell'immobile ai sensi dell'art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001, ovvero manifestando il proprio intento di non procedere a tale acquisizione, secondo i criteri di cui in motivazione.
Nomina quale commissario ad acta, per il caso di inottemperanza oltre detto termine, il Prefetto della provincia di Rimini o un funzionario da lui delegato, al fine di esercitare i poteri previsti dal citato art. 42-bis.
Condanna la provincia di Rimini al pagamento delle spese di causa in favore dei ricorrenti che si liquidano in complessivi Euro. 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2015, con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Mozzarelli, Presidente
Ugo Di Benedetto, Consigliere
Umberto Giovannini, Consigliere, Estensore