Occupazione abusiva immobili della PA: danno erariale
Corte dei Conti, Sez. I App., 10/06/2024, n. 142, sul danno da occupazione abusiva di cespiti della PA
MASSIMA
Alcuni cespiti immobiliari di proprietà dell'Ente (terreni e fabbricati) erano stati occupati abusivamente da parte di terzi per lungo tempo, senza che l'Amministrazione intraprendesse alcuna azione tesa ad ottenerne il rilascio e senza che - per immobili occupati in forza di un originario contratto di locazione - fossero mai stati riscossi i relativi canoni né si fosse, in mancanza, provveduto ad intimare lo sfratto per morosità. Al riguardo, il giudice ha affermato che, in presenza di un'occupazione abusiva di immobili, il danno non consiste esattamente in un danno da mancata entrata, ma deriva dal mancato godimento dei beni occupati dovuto al mancato esperimento delle azioni di rilascio, non potendosi, fondatamente, (più) sperare nell'adempimento spontaneo degli occupanti sine titulo, considerata la loro insolvenza, protrattasi per anni, e l'incapienza dei loro patrimoni a soddisfare, coattivamente, la ragioni creditorie dell'Ente. L'evento di danno riguarda non la cosa, ma proprio il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa. Il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione, cagionata dall'occupazione abusiva, del "diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo". Il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l'evento di danno condizionante il requisito dell'ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire.
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO
composta dai magistrati:
Enrico TORRI - Presidente
Natale LONGO - Consigliere
Aurelio LAINO - Consigliere
Donatella SCANDURRA - Consigliere
Beatrice MENICONI - Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di appello in materia di responsabilità iscritti al n. 60297 del registro di segreteria, promossi da
- P.F., nato a F. (V.) il (...) ((...)), rappresentato e difeso, per procura da intendersi apposta in calce all'atto di appello, dagli Avv.ti Fabrizio Tigano (c.f. (...) - pec prof.avv.fabtig67@pec.giuffre.it), Letterio Donato (c.f. (...) - pec: leliodonato@pec.giuffre.it) e Domenico Rosso (c.f. (...) - pec. avv.domenicorosso@pec.it), con domicilio eletto in Roma, Corso Vittorio Emanuele II 326, presso l'Avv. Bruno Tassone (c.f. (...) - pec: brunotassone@ordineavvocatiroma.org), nonché presso la pec del proprio difensore prof.avv.fabtig67@pec.giuffre.it
-appellante principale -
contro
- PROCURA REGIONALE presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Calabria;
- PROCURA GENERALE della Corte dei conti
-appellati -
e nei confronti di
-C.B., nato a V. V. il (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso, come da procura alle liti allegata all'atto di appello, dagli avvocati Domenico Sorace (c.f. (...)- pec: avvdomenicosorace@pec.it) e Raffaele Ruocco (c.f. (...) - pec: raffaele.ruocco@ avvocaticatanzaro.legalmail.it), con domicilio eletto presso lo studio del primo sito in Vibo Valentia, Viale Accademie Vibonesi, n. 2, con indicazione del seguente indirizzo pec: avvdomenicosorace@pec.it;
-appellante incidentale-
- M.A., non costituita
per la riforma
- della sentenza n. 118/2022 emessa dalla Corte dei conti Sezione Giurisdizionale per la Regione Calabria, depositata in data 24 maggio 2022 e notificata in data 27 giugno 2022.
VISTO l'atto d'appello;
ESAMINATI tutti gli altri atti e documenti di causa;
UDITI nella pubblica udienza del 19 aprile 2024, con l'assistenza del Segretario di udienza dott. A.S., il relatore Consigliere Beatrice Meniconi, i difensori delle parti appellanti Avv.ti Fabrizio Tigano, Donato Letterio e Domenico Sorace, e il V.P.G. Consigliere Giulio Stolfi per la Procura Generale.
Svolgimento del processo
1. La sentenza di prime cure, in parziale accoglimento della domanda della Procura contabile, ha condannato P.F. (quale responsabile dell'Ufficio Legale) M.A. (quale responsabile dell'Ufficio Gestione Patrimonio Immobiliare) e C.B. (Direttore dell'U.O. Gestione Tecnico Patrimoniale) dell'Azienda S.V.V.-A.- al pagamento in favore dell'ente di appartenenza, rispettivamente di Euro 23.640,00, di Euro 19.700,00 e di Euro 11.820,00, oltre accessori, per non avere correttamente gestito il patrimonio immobiliare della citata A..
Le indagini, originate dalla denuncia di un Consigliere regionale della Calabria e delegate alla Guardia di Finanza - Gruppo di Vibo Valentia, evidenziavano che alcuni cespiti immobiliari di proprietà dell'A. (terreni e fabbricati) erano stati occupati abusivamente da parte di terzi per lungo tempo, senza che l'Amministrazione intraprendesse alcuna azione tesa ad ottenerne il rilascio e senza che - per immobili occupati in forza di un originario contratto di locazione - fossero mai stati riscossi i relativi canoni né si fosse, in mancanza, provveduto ad intimare lo sfratto per morosità.
In dettaglio venivano configurate due poste di danno:
a) "danno erariale riveniente dalla occupazione abusiva da parte di terzi di terreni e fabbricati di proprietà dell'A. di V.V. e dalla mancata proposizione di azioni di rilascio": con riferimento infatti a due terreni e tre fabbricati il requirente ne rilevava l'occupazione senza alcun titolo da parte di soggetti privati, e, malgrado alcuni tentativi di composizione bonaria/mediazione con i medesimi negli anni 2014-2015-2016, l'A. mai intraprendeva azioni legali al fine di ottenere il rilascio degli immobili ed il pagamento delle somme arretrate, ormai in gran parte prescritte, ed in ogni caso irrecuperabili, atteso che, in esito alle indagini patrimoniali condotte, gli occupanti sine titulo risultavano privi di redditi o con redditi modesti e non intestatari di beni da aggredire, con il rischio, paventato in alcuni casi, di perdere la proprietà del bene per usucapione. Secondo la Procura contabile i dirigenti dell'A. avrebbero dovuto impedire il maturare di crediti così ingenti nei confronti di soggetti insolventi, intimando tempestivamente il rilascio degli immobili.
b) "danno erariale riveniente dalla locazione di immobili di proprietà dell'A. e dalla mancata riscossione dei canoni di locazione": con riferimento ad un solo immobile sito in Via dei M. (in V.), detenuto da C.I. (per uso palestra) in forza di contratto di locazione scaduto il 30.9.2005 (senza riscossione dei relativi canoni di locazione, ormai prescritti), il requirente ne rilevava la prosecuzione della detenzione ad opera del medesimo soggetto, senza più titolo, per numerosi anni (con mancata riscossione dei crediti per indennità di occupazione, maturati dopo la scadenza contrattuale, dal 2005 fino al 2011, anch'essi prescritti), poiché l'incarico all'Ufficio legale finalizzato al recupero dei canoni e al rilascio dell'immobile non veniva portato a compimento, non essendo mai azionate le azioni di sfratto per morosità o per finita locazione.
Il requirente quantificava il danno in complessivi Euro 167.464,78, oltre accessori (decurtando la quota inizialmente riferita ad un immobile abusivamente utilizzato come bar), di cui venivano ritenuti responsabili gli odierni appellanti, nonché A.M., in conseguenza della perdurante inerzia, gravemente colposa, mantenuta per anni, ciascuno nel proprio ruolo.
La Sezione territoriale, con la sentenza n. 118/2022 - respinte le eccezioni preliminari sollevate dai convenuti (relative alla prescrizione ed alla assenza di attualità del danno) - ha rilevato la sussistenza delle due distinte poste di danno individuate dalla Procura contabile, con riferimento
-a) all'occupazione abusiva di cinque immobili (2 terreni e 3 fabbricati) di proprietà dell'A. da parte di soggetti terzi, che ne hanno beneficiato per lungo tempo, per l'omessa attivazione da parte dell'A. delle necessarie azioni (giudiziarie) finalizzate ad ottenerne il rilascio;
-b) dalla locazione di 1 fabbricato dell'A. in assenza della riscossione dei canoni di locazione e dell'intimazione dello sfratto per morosità.
Conseguentemente, riconfigurata parzialmente la consistenza del danno, ha accolto la domanda risarcitoria ritendo responsabili i convenuti, a titolo di colpa grave, per non aver tenuto una condotta fattiva, pur potendolo, né individualmente (ad es. compiendo atti di messa in mora, consultando un professionista esterno) né cooperando tra loro.
2. Avverso la predetta sentenza hanno interposto appello, con atti ritualmente notificati, P.F. e C.B..
Solo M.A. non risulta aver impugnato la sentenza in esame.
In dettaglio, con l'atto di appello, P.F., ha lamentato:
1. "Inattualità/inesistenza del danno, correttezza del comportamento tenuto ed assenza del nesso di causalità"
Secondo l'appellante la sentenza gravata non avrebbe tenuto nella debita considerazione il difetto non solo di un danno reale (non tutti i crediti sarebbero ancora prescritti, anche perché la prescrizione, agendo solo in via di eccezione, non impedirebbe, di per sé, la riscossione dei crediti) ma anche di un danno potenziale (i crediti non avrebbero comunque mai potuto essere riscossi per l'incapienza delle controparti).
In altri termini una eventuale diffida, come anche l'azione per il rilascio degli immobili e l'esazione dei canoni scaduti, sarebbero state inutili.
L'appellante avrebbe correttamente agito, non consigliando una azione processuale inutile, essendo esperibile nel caso di specie solo l'azione di rivendicazione dei beni, tuttavia rischiosa per la difficoltà nel dimostrare il titolo di proprietà degli immobili.
L'indagine patrimoniale svolta dalla Procura contabile non potrebbe considerarsi prova di un "evento tale da compromettere la reale possibilità di escutere il debitore" richiesto dalla giurisprudenza delle Sezioni Riunite della Corte dei conti.
2. "Sovrapposizione e confusione degli specifici ruoli e competenze di ciascun Ufficio e di ciascun convenuto; errato riconoscimento di responsabilità; in subordine, errata quantificazione della responsabilità".
All'appellante, in qualità di responsabile dell'Ufficio legale dell'ente, sarebbe inibito lo svolgimento di attività di amministrazione attiva, riservata invece agli uffici tecnici, non potendosi ledere l'autonomia e l'indipendenza degli avvocati degli enti pubblici con la subordinazione gerarchica e l'ingerenza nella trattazione degli affari legali ad essi riservata. Nessun addebito di trascuratezza potrebbe essere mosso all'appellante, non disponendo del potere di inviare una diffida o una costituzione in mora, né potendo muovere inviti agli uffici di amministrazione attiva per mettere in mora gli occupanti di immobili.
3. "Assenza della colpa grave e del nesso di causalità".
Ad avviso dell'appellante agli avvocati preposti all'Ufficio legale sarebbe preclusa l'ingerenza nella gestione e nella politica finalizzata alla esternalizzazione del servizio. La complessità della vicenda avrebbe determinato la scelta, giuridicamente corretta, di puntare al recupero degli immobili, anziché al recupero dei canoni, pressoché impossibile da portare a termine. Peraltro i decreti regionali di trasferimento, non intestati all'A., non sarebbero stati sufficienti per promuovere una azione di rivendica, non sostenuta da adeguati documenti probatori, mai inviati al P.. Le scelte operate non sarebbero mutate neanche a seguito della esternalizzazione ad altro legale.
4. "Sulla condanna alle spese".
L'appellante ha chiesto la riforma del capo relativo alla condanna alle spese di primo grado e la condanna alle spese di parte avversa relativamente ad entrambi i gradi di giudizio.
Ha concluso chiedendo:
"1. In via principale, accertare e dichiarare, il difetto di legittimazione passiva e l'assenza di responsabilità dell'odierno appellante sul presupposto dell'assenza di condotte inerti e/o omissive o, comunque, gravemente colpose allo stesso ascrivibili e che, in ogni caso, abbiano contribuito alla causazione del danno e, per l'effetto, assolverlo;
2. In subordine, riqualificare l'elemento soggettivo riconducendolo all'ipotesi di colpa lieve e, per l'effetto, assolvere il convenuto;
3. In via ulteriormente gradata, nella non temuta ipotesi in cui venga riconosciuta la responsabilità del convenuto, rideterminare le percentuali di addebito riducendo quello contestato al convenuto deducente non oltre la misura del 10%", con vittoria di spese e compensi di entrambi i gradi di giudizio.
La sentenza di prime cure è stata censurata, con l'atto di appello del C., per i seguenti motivi:
1. "Sulla erroneità della statuizione di rigetto dell'eccezione di inammissibilità e/o improcedibilità dell'azione erariale per insussistenza di un danno attuale e concreto. Errores in procedendo e in iudicando per omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione, travisamento dei fatti, illogicità e ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria".
Secondo l'appellante la sentenza di prime cure, in assenza di prescrizione e/o decadenze del diritto di credito vantato dalla P.A., avrebbe errato nel desumere l'esistenza del danno erariale solo sulla base della impossibilità di escutere il debitore in ragione della propria condizione di insolvenza, richiamando la sentenza delle Sezioni Riunite di questa Corte n. 27/2021, relativa a fattispecie estranea a quella di causa. Ha elencato le posizioni di alcune occupanti degli immobili, per i quali l'A. avrebbe ancora la possibilità di recuperare il credito vantato, in quanto non prescritto, né decaduto, con conseguente, almeno parziale, inammissibilità/improcedibilità dell'azione, e decurtazione del complessivo ammontare del danno erariale.
2. "Sulla erroneità della statuizione di rigetto dell'eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale. Errores in procedendo e in iudicando per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2 della L. n. 20 del 1994: omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione, travisamento dei fatti, illogicità e ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria".
Con riferimento all'unico immobile oggetto di contratto di locazione, la parte appellante -pur condividendo l'impostazione della sentenza gravata, per cui la prescrizione sarebbe decennale (trattandosi di responsabilità contrattuale da inadempimento all'obbligo di restituzione della cosa locata al termine della locazione)- evidenzia l'errore di calcolo in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado, in considerazione della notifica dell'invito a dedurre al C. solo in data 28.7.2021. Fermo restando che il diritto di credito dell'A. -riferito ai periodi dal 30 settembre 2005 al gennaio 2011 sarebbe prescritto, di mese in mese, dal 30 settembre 2015 al gennaio 2021, come affermato nella sentenza gravata- il problema, tuttavia, riguarderebbe l'esordio prescrizionale dell'azione di responsabilità amministrativa, che non si potrebbe esser prescritta "mese per mese dal 30 settembre 2021 in poi", poiché ciò significherebbe applicare al risarcimento del danno erariale una prescrizione di sei anni, anziché di cinque.
3. "Sulla insussistenza dei presupposti (oggettivi e soggettivi) necessari per ravvisare profili di responsabilità erariale nel comportamento dell'odierno appellante. Errores in procedendo e in iudicando per omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione; travisamento dei fatti; illogicità e ingiustizia manifesta; difetto di istruttoria".
La competenza a diffidare e costituire in mora gli occupanti non sarebbe dell'appellante (ma esclusivamente di M.A. e del Direttore dell'Ufficio Legale), che dal 2017 al 2019 avrebbe comunque sollecitato l'Ufficio Legale ad adottare i provvedimenti di competenza, proponendo soluzioni utili al rilascio degli immobili (tramite i decreti regionali di trasferimento trascritti), tuttavia non percorse, con conseguente affidamento da parte dell'A. del mandato difensivo ad un professionista esterno, che avrebbe poi proseguito l'attività, per come indicata dal C.. C. si sarebbe attivato per tutelare il patrimonio immobiliare aziendale in vari modi, ma non avrebbe potuto conferire alcun mandato difensivo ad un legale esterno, attività riservata solo ai vertici aziendali. Ne discenderebbe la necessità, per l'appellante, di riconsiderare l'elemento psicologico della condotta, non caratterizzata da colpa grave, la sua incidenza nel decorso causale e l'antigiuridicità.
4. "In via subordinata, nella denegata ipotesi in cui dovesse essere confermata la sussistenza di profili di responsabilità in capo all'odierno appellante: erronea determinazione del quantum per mancato esercizio del potere riduttivo. Errores in procedendo e in iudicando per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 52 del R.D. n. 1214 del 1934 e 83 del R.D. n. 2440 del 1923; omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione, travisamento dei fatti, illogicità e ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria."
Per l'appellante il danno erariale dovrebbe essergli comunque ridotto, in considerazione del contesto organizzativo e fattuale in cui egli si trovò ad operare, per avere, in particolare, accettato la direzione dell'Ufficio pur non avendone le competenze tecniche per spirito di servizio nei confronti dell'Azienda di appartenenza;
5. "Sempre in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui dovesse essere confermata la sussistenza di profili di responsabilità in capo all'odierno appellante: erronea determinazione della percentuale di addebito imputata all'avv. C.". "Errores in procedendo e in iudicando per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 83 c.g.c.; omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione, travisamento dei fatti, illogicità e ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria"
Per l'appellante la sentenza gravata non avrebbe tenuto conto degli apporti riconducibili a soggetti non evocati in giudizio, quali i vertici aziendali e i precedenti titolari degli uffici muniti di competenze relative alla gestione del patrimonio immobiliare dell'A.. Inoltre la sentenza censurata non avrebbe effettivamente considerato la decorrenza dell'incarico dell'appellante, che dovrebbe determinare lo scomputo di un periodo (30.4.2015-10.8.2016), come desumibile dalla ipotesi di riparto avanzata in citazione dalla Procura.
Ha concluso chiedendo la riforma della sentenza, ed in particolare di:
"a) in via preliminare di rito, dichiarare l'inammissibilità e/o l'improcedibilità dell'azione erariale per assenza di un danno attuale e concreto per le ragioni dedotte in narrativa;
b) in via preliminare di merito, accertare e dichiarare la prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale per le ragioni dedotte in narrativa;
c) nel merito, - in via principale, ritenere infondata la domanda proposta con atto di citazione e, per l'effetto, disporre l'assoluzione di B.C. per insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi necessari per ravvisare profili di responsabilità nel comportamento dell'odierno appellante;
- in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui dovesse essere accertata la sussistenza di profili di responsabilità, rideterminare l'erroneo ammontare del danno erariale imputato al C. anche attraverso l'esercizio del potere riduttivo (cfr. sub. (...) e ss.), nonché ridurre la percentuale di imputazione del danno erariale del C. in considerazione del contributo causale apportato da altri soggetti coinvolti nella vicenda e non chiamati in giudizio, dell'effettivo periodo imputabile all'odierno appellante (cfr. sub. (...) e ss.), nonché a seguito della parziale prescrizione del diritto di azione erariale.
Con tutte le conseguenze di legge, anche in ordine alle spese del doppio grado di Giudizio".
3. Con memoria di conclusioni, depositata in data 27 marzo 2024, la Procura Generale ha contestato partitamente ciascun motivo di appello, ritenendo la pronuncia impugnata esente dai vizi dedotti dagli appellanti, salvi possibili errori di calcolo dell'esordio prescrizionale in relazione alla posta di danno concernente l'immobile sito in V. alla via dei M.. Ha concluso, previa richiesta di riunione degli appelli, per il rigetto dei gravami, con ogni conseguenza in ordine alle spese di giudizio.
4. All'udienza odierna i difensori delle parti appellanti hanno diffusamente chiarito le rispettive prospettazioni, riportandosi alle conclusioni in atti. La Procura Generale ha controdedotto sui singoli aspetti, concludendo come in atti.
Al termine della discussione la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
5. Il Collegio, preliminarmente, rileva che gli appelli all'odierno esame sono stati proposti nei confronti della stessa sentenza e, pertanto, ne dispone la riunione, ai sensi dell'art. 184, co. 1 c.g.c.
6. In via ulteriormente preliminare si rileva che la convenuta M.A., malgrado la regolarità delle notifiche, non ha interposto appello, con conseguente definitività, nei suoi confronti, della sentenza oggi in esame.
7. Il Collegio osserva che gran parte dei motivi di proposti dagli attuali appellanti, sono, in buona sostanza, assimilabili e pertanto si provvederà, ove possibile, ad una trattazione congiunta dei medesimi.
1. È comune ad entrambi gli appellanti la questione (preliminare) per cui la sentenza di prime cure avrebbe, erroneamente, affermato l'attualità e concretezza del danno pur non essendo ancora (tutti) prescritti i diritti di credito che l'A. vanta nei confronti dei terzi occupanti.
In altri termini entrambi gli appellanti sostengono che, sussistendo ancora per l'A. la possibilità di recuperare alcuni crediti, non essendo ancora decorso il termine ultimo di prescrizione, il danno sarebbe privo del carattere della definitività, potendo, in ipotesi, gli occupanti sine titulo provvedere ancora al pagamento.
La censura, relativa all'assenza di danno, non è fondata.
La sentenza gravata ha ritenuto sussistere l'attualità e concretezza del danno alla luce del particolare inquadramento della fattispecie di danno azionata dalla Procura contabile, la quale nell'atto di citazione già evidenziava che "Ove si fosse agito con la diligenza del buon padre di famiglia, infatti, i dirigenti/funzionari dell'A. di V. avrebbero dovuto avvedersi delle condizioni economiche degli indebiti occupanti e sollecitare/azionare il rilascio dei beni immobili proprio per evitare il maturare di mensilità di fatto non riscuotibili" e che "...per effetto del protrarsi della occupazione abusiva degli immobili da parte di soggetti insolventi, oltreché morosi, che giammai saranno in grado di pagare i propri debiti. In particolare...la prescrizione dei canoni di locazione...ben avrebbe potuto essere evitata grazie ad una proficua collaborazione degli uffici responsabili della gestione del patrimonio immobiliare e dell'ufficio legale. Inoltre...sono continuate a maturare morosità che giammai potranno essere saldate a causa della sostanziale insolvenza degli indebiti occupanti..."
La pronuncia gravata ha, in altri termini, affermato che, in presenza di una occupazione abusiva di immobili, il danno non consiste esattamente in un danno da mancata entrata, ma deriva dal mancato godimento dei beni occupati dovuto al mancato esperimento delle azioni di rilascio, non potendosi, fondatamente, (più) sperare nell'adempimento spontaneo degli occupanti sine titulo, considerata la loro insolvenza, protrattasi per anni, e l'incapienza dei loro patrimoni a soddisfare, coattivamente, la ragioni creditorie dell'A. di V.V..
Non è dunque conferente la giurisprudenza citata dagli appellanti con riferimento al danno da mancata entrata, dovendo invece farsi riferimento, con riguardo alle ipotesi di occupazione abusiva caratterizzata dall'originario difetto di titolo, al regime della responsabilità di cui all'art. 2043 del cod. civ.
In proposito si osserva, come rilevato dalla Procura generale, che l'orientamento della Sezione territoriale è in linea con la più avveduta giurisprudenza della Corte di Cassazione, che si è pronunciata sulla tematica del risarcimento del danno da occupazione sine titulo con la sentenza resa a Sezioni Unite n. 33645 in data 15 novembre 2022, qualificandolo come "danno da perdita subita (del godimento)".
Per la Cassazione "l'evento di danno riguarda non la cosa, ma proprio il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa. Il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione, cagionata dall'occupazione abusiva, del "diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo". Il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l'evento di danno condizionante il requisito dell'ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire".
Ora è ben vero che la sentenza gravata ha dichiarato di aderire all'orientamento giurisprudenziale più rigoroso (per cui, in caso di occupazione del bene, il danno sarebbe sempre presente, in re ipsa) in luogo di quello diversamente garantista (per cui il danno subito andrebbe necessariamente provato in tutte le sue componenti), ma ciò non determina un vulnus per la posizione degli appellanti, alla luce dell'orientamento seguito dalle ridette Sezioni Riunite della Cassazione, che hanno sostituito la locuzione "danno in re ipsa" con quella di "danno presunto" o "danno normale".
Nel caso in esame infatti la concreta possibilità di godimento -diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo- dei beni da parte della A. che è andata perduta, richiesta quale mera allegazione probatoria dalle richiamate Sezioni Riunite - considerata la "tendenziale normalità del pregiudizio al godimento del proprietario a seguito dell'occupazione abusiva"- mai è stata negata avendo, se mai, le contestazioni degli appellanti ad oggetto non le limitazioni al godimento degli immobili, ma le ragioni di credito dell'A., in ipotesi, non ancora prescritte.
Ciò, con riferimento al primo gruppo di immobili, in cui l'occupazione abusiva è caratterizzata dall'originario difetto di titolo, è coerente con le conclusioni cui perviene la sentenza gravata che lo qualifica quale "danno da mancata utilizzazione del bene, ossia da responsabilità extracontrattuale per la perdita della (mera) chance di usufruire dell'immobile".
Ad abundantiam si osserva inoltre che costituisce un'ipotesi remota la possibilità per gli occupanti abusivi di saldare in limine litis il loro debito con l'A., e ciò può affermarsi non solo sulla base, in generale, dell'id quod plerumque accidit, ma, nel caso specifico, anche del comportamento tenuto nel corso del tempo dagli occupanti abusivi che, malgrado alcuni tentativi di bonario componimento, mai si sono curati di saldare le quote di loro spettanza, che, stando alle indagini patrimoniali dalla Procura attrice, neanche sarebbe possibile per la riscontrata incapienza dei patrimoni degli occupanti, spesso risultati anche privi di redditi.
Quanto detto ovviamente vale a maggior ragione con riferimento al secondo gruppo di immobili -in cui l'occupazione abusiva deriva dal sopravvenuto venir meno del titolo che ab origine giustificava l'occupazione dell'immobile, configurandosi quale inadempimento contrattuale dell'obbligazione di restituire la cosa locata a cessata locazione- in quanto in tali ipotesi i crediti relativi sono tutti prescritti, come risulta dallo stesso atto di citazione, per cui non può dubitarsi della concretezza ed attualità del danno.
Tuttavia la questione della prescrizione della anzidetta posta di danno è sollevata dalla difesa del C. (secondo motivo di censura) il quale - pur concordando sul termine di prescrizione decennale della anzidetta responsabilità contrattuale configurato dal primo giudice- ha rilevato che, almeno in parte (importi riferiti al periodo 30.9.2015-luglio 2016), questa posta di danno sarebbe prescritta per via del decorso dell'(ulteriore) termine quinquennale a disposizione della Procura erariale per esercitare l'azione che la legge gli intesta.
La Procura Generale ha eccepito che il periodo contestato sarebbe invece stato inciso dalla disciplina eccezionale dettata dal D.L. n. 18 del 2020 per contrastare l'insorgere della emergenza epidemiologica da COVID-19.
In effetti l'art. 85, comma 4, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 e s.m.i., ha previsto la sospensione, a decorrere dall'8 marzo 2020, dei termini connessi alle prescrizioni in corso, in conseguenza dell'emergenza epidemiologica anzidetta.
Ora se è vero quanto affermato dalla difesa del C., per cui l'azione erariale si è prescritta, mese per mese, nel termine di cinque anni (dal 30 settembre 2020 in poi) e non di sei anni (a decorrere dal 30 settembre 2021 in poi), come erroneamente indicato in sentenza, è altrettanto vero ciò che è stato eccepito dalla Procura Generale con riferimento alla sospensione del termine di prescrizione dovuto all'emergenza epidemiologica da Covid 19, che ha interessato proprio il periodo in esame, decorrendo dall'8 marzo 2020 (quindi in data antecedente al primo termine di prescrizione indicato del 30 settembre 2020) sino al 1 settembre 2020 (ai sensi dell'anzidetto art. 85, quarto comma, ultimo periodo), per un totale di 177 giorni, così determinando un pari prolungamento del termine prescrizionale sino alla data del 26 marzo 2021.
La Procura contabile non ha contestato la data di notifica dell'invito a dedurre, risalente al 28 luglio 2021, con la conseguenza che devono ritenersi prescritte le poste di danno relative al periodo dal 26 marzo 2021 al 27 luglio 2021, e quindi per un totale di quattro mesi.
Considerato che la sentenza gravata ha correttamente determinato l'importo mensile dei canoni di occupazione in Euro 450,00, per un totale quindi di Euro 1.800,00 (450,00 x 4) e che il danno è stato addebitato al Cavetta nella misura del 15% (per un totale di Euro 11.820,00) ne consegue che dall'importo anzidetto andrà detratta la corrispondente quota addebitabile al Cavetta di Euro 270,00 (15% di Euro 1.800,00), e pertanto la quota di danno per esso rideterminata ammonterà ad Euro 11.550,00 (11.820,00-270,00).
2. Con riferimento alla carenza, nel merito, degli elementi costitutivi della responsabilità erariale, si rende opportuna la trattazione congiunta delle censure sollevate dagli appellanti relative all'erronea valutazione delle loro condotte, all'erronea qualificazione dell'elemento soggettivo, alla valutazione del nesso di causalità.
La sentenza di prime cure è in proposito esente da vizi logici e giuridici e risulta correttamente motivata, e alla stessa si fa rinvio per la individuazione e descrizione delle condotte e degli apporti causali alla determinazione del danno oggetto dell'odierno giudizio.
Sono state, in dettaglio, ricostruite dal giudice territoriale le competenze degli uffici di appartenenza degli odierni appellanti e gli obblighi di servizio su di essi gravanti, attinenti anche al loro dovere di attivarsi per la gestione del patrimonio immobiliare dell'A. di V.V., con specifico riferimento alle azioni di rilascio degli immobili abusivamente occupati e di recupero dei canoni scaduti per come risultanti dai documenti ufficiali (Regolamento aziendale).
Non è revocabile in dubbio la competenza del C., in merito alla gestione del patrimonio immobiliare e all'amministrazione degli immobili, proprio in quanto "Direttore dell'U.O. responsabile della gestione del patrimonio immobiliare", per cui non è condivisibile la tesi della esclusiva responsabilità in capo ad altri soggetti per l'omissione di atti ed attività idonee a tutelare il ridetto patrimonio immobiliare (il Direttore dell'Ufficio Legale P. e la Responsabile della Posizione organizzativa M.). Né può ignorarsi che il medesimo, per il titolo posseduto, potesse quanto meno comprendere la portata degli atti da compiere per la corretta gestione degli immobili, che, in concreto si sono limitati a sporadiche richieste, non risolutive, inoltrate all'Ufficio Legale, che non hanno impedito "lo stallo" della situazione.
Anche la condotta del P. (Responsabile dell'Ufficio Legale dell'Ente) è stata caratterizzata da una colposa inerzia.
In qualità di legale dell'ente avrebbe dovuto attivarsi per tutelare, a termini di legge, il patrimonio immobiliare, rientrando tra le specifiche competenze del difensore di un ente pubblico, per di più in posizione apicale, il potere di inviare atti a tutela delle ragioni della proprietà, o comunque di delegarlo ad altri, ciò che non si risolve certo in una indebita ingerenza nell'attività degli organi di amministrazione attiva.
Avrebbe poi dovuto fornire consulenze sulle attività da intraprendere, compulsando i vertici aziendali ai fini dell'esercizio delle azioni giudiziarie necessarie al rilascio dei beni, individuando iniziative alternative a fronte della ritenuta difficoltà di intraprendere alcune azioni.
In altri termini, ciò che si vuol dire, è che gli appellanti avrebbero dovuto, in tutti i modi, evitare l'inerzia che ha contraddistinto le loro condotte e che, in ultimo, ha consentito il protrarsi, sine die, della occupazione, ingiustificata, degli immobili dell'azienda sanitaria, alla quale si è posto concreto rimedio solo attraverso l'affidamento dell'incarico legale all'esterno.
La corretta ricostruzione nella sentenza gravata delle condotte gravemente colpose serbate da ciascuno degli appellanti conduce a condividere l'orientamento del primo giudice anche con riferimento alle percentuali di responsabilità e di addebito addossate a ciascuno di essi, con conseguente rigetto dei motivi di censura relativi a tale ultimo aspetto.
3. Conclusivamente, restando assorbite tutte le altre questioni, argomentazioni ed eccezioni, l'appello del P. deve essere integralmente rigettato, mentre quello del C. viene parzialmente accolto, per l'operare della prescrizione, con conseguente riduzione dell'importo della condanna ad Euro 11.550,00, ferma per il resto la sentenza gravata.
Le spese di giudizio a carico degli appellanti sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d'Appello, disattesa ogni contraria istanza, eccezione o deduzione, definitivamente pronunciando sugli appelli proposti nei giudizi iscritti al n. 60297
- dispone la riunione degli appelli, ai sensi dell'art. 184, co. 1, del c.g.c.;
- accoglie parzialmente l'appello proposto da C.B., nei termini di cui in motivazione, con riduzione della condanna all'importo di Euro 11.550,00, ferma per il resto la sentenza gravata.
- rigetta l'appello proposto da P.F., confermando la sentenza appellata.
- condanna gli appellanti alle spese di giudizio liquidate in Euro 144,00 (Centoquarantaquattro/00).
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Conclusione
Così deciso in Roma, all'esito della Camera di consiglio del 19 aprile 2024.
Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2024.