Occupazione illegittima e responsabilità di chi l'ha causata
Pubblico
Giovedì, 31 Agosto, 2017 - 15:15
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, sentenza n. 623 del 29 giugno 2017, sulle occupazioni illegittime e la responsabilità amministrativa conseguente
La massima
La scadenza del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità – ai sensi dell'art. 13, comma terzo, della legge 25 giugno 1865, n. 2359, comportava – così come ora espressamente previsto dall’art. 13, comma 6, del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 - la sua sopravvenuta inefficacia e la conseguente illiceità del possesso del terreno, a suo tempo acquisito in esecuzione della ordinanza di occupazione d’urgenza.
Anche a seguito dell’entrata in vigore del testo unico, in assenza della conclusione ‘fisiologica’ del procedimento espropriativo con l’adozione del decreto di esproprio oppure con un accordo di cessione tra l’Autorità espropriante e il proprietario del bene, il proprietario di un suolo illegittimamente occupato può trasferire il predetto bene all’Amministrazione con una manifestazione di volontà resa nei modi di legge nell’ambito di un accordo transattivo in cui le parti concordino anche il valore del trasferimento a prescindere dalla quantificazione dell’indennità, secondo i relativi principi contenuti nel testo unico sugli espropri .
Tuttavia, nel caso in cui ci sia stata una deviazione patologica dallo schema legale, ove sul bene del privato sia stata realizzata un’opera pubblica e le parti non abbiano concluso un accordo traslativo, l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto può essere disposta con l’esercizio dal parte dell’Amministrazione del potere ad essa conferito dall’art. 42 bis DPR 327 del 2001;
L’art. 42 bis del testo unico si è ispirato al principio per il quale – in assenza di un atto di natura ablatorio, ovvero di un altro titolo giuridico espressamente previsto dalla legge – l’Amministrazione non acquista la proprietà di un suolo illecitamente posseduto, neanche se sia stata realizzata un’opera utilizzata dalla collettività.
Ai sensi dell’art. 42 bis, e in assenza di un accordo, le uniche alternative possibili per l’Amministrazione sono dunque rappresentate: dalla restituzione del bene al legittimo proprietario; in alternativa, dalla emanazione del provvedimento di acquisizione, in assenza di un accordo transattivo.
Una scelta manifestamente irrazionale di non emanare il provvedimento di acquisizione, comportando l’obbligo di demolire le opere realizzate con denaro della collettività, implicherebbe la conseguente responsabilità devoluta alla cognizione della Corte dei Conti, mentre invece l’ordinamento non può che qualificare come secundum ius il provvedimento di acquisizione, che in quanto tale salvaguardi l’opera pubblica ed eviti lo spreco del denaro pubblico.
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 156 del 2012, proposto dal OMISSIS rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Giuffre', con domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via Nino Bixio, 34;
contro
il Comune di Cardeto, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la condanna
del Comune di Cardeto al risarcimento del danno derivante dall’occupazione illegittima e dalla conseguente trasformazione del fondo, con annesso fabbricato, del fondo di sua proprietà sito in località S. Elia al N.C.T. del Comune di Cardeto, foglio 16 particella 169.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2017 il referendario Angela Fontana e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Nell’odierno giudizio, il ricorrente riassume un giudizio civile promosso per ottenere il risarcimento del danno subito per l’illegittima condotta espropriativa del Comune di Cardeto e conclusosi con la declaratoria del difetto di giurisdizione da parte del giudice ordinario (Tribunale di Reggio Calabria, sent. nr.1579/2011, depositata l’8 novembre 2011).
Egli espone che il Comune di Cardeto, con deliberazione n.472 del 25 novembre 1994, aveva approvato la perizia di variante dei “lavori di recupero e valorizzazione delle aree di interesse storico vallata S. Agata” che includevano l’ammodernamento della strada sita in località Mallemace - S.Elia.
Aveva provveduto, altresì, a dichiarare la pubblica utilità dell’opera e, in data 10 marzo 1995, il Sindaco del Comune di Cardeto aveva emanato il decreto di occupazione d’urgenza degli immobili interessati, incluso il fondo di proprietà del ricorrente, sebbene non nella sua interezza, in quanto venivano occupati solo 46 del 210 mq di superficie dello stesso.
Il Comune si era, quindi, immesso nel possesso del fondo il 21 aprile 1995 ma non aveva completato il procedimento espropriativo nel termine quinquennale di cui all’art. 20 L.865/1971.
Con l’odierno gravame, il ricorrente ha chiesto:
a) l’accertamento della illegittimità degli atti del procedimento espropriativo, in quanto l’amministrazione non ha emanato nei termini di legge il decreto di esproprio, né ha adottato il provvedimento previsto dall’art. 43 del d. lgs. 327/2001 (oggi 42 bis);
b) previo accertamento della acquisizione del bene in capo alla amministrazione per effetto della irreversibile trasformazione del terreno, la condanna dell’amministrazione al risarcimento di tutti i danni corrispondenti alla perdita del bene, alla occupazione illegittima, oltre gli interessi legali e la rivalutazione, dalla data della irreversibile trasformazione al soddisfo o quella che il tribunale vorrà riconoscere anche in via equitativa.
All’udienza pubblica del 10 maggio 2017, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. - Nel merito il ricorso è fondato nei termini che seguono, poiché perdura l’occupazione del terreno del ricorrente, malgrado siano divenuti inefficaci la dichiarazione di pubblica utilità ed il decreto di occupazione d’urgenza, ai quali non ha mai fatto seguito il decreto di esproprio.
Al riguardo va rilevato che il procedimento, a suo tempo, è stato attivato sulla base del quadro normativo antecedente all’entrata in vigore del testo unico sugli espropri.
Come rilevato dalla giurisprudenza (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 10 giugno 2009 n. 3192), la scadenza del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità – ai sensi dell'art. 13, comma terzo, della legge 25 giugno 1865, n. 2359, comportava – così come ora espressamente previsto dall’art. 13, comma 6, del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 - la sua sopravvenuta inefficacia e la conseguente illiceità del possesso del terreno, a suo tempo acquisito in esecuzione della ordinanza di occupazione d’urgenza.
3. Risulta dunque fondata la deduzione con cui i ricorrenti hanno lamentato che – scaduti gli effetti degli atti del procedimento espropriativo – il possesso del terreno, da parte del Comune, è divenuto sine titulo.
Si deve dunque ora verificare quali siano le conseguenze di tale occupazione sine titulo e quali misure – nel vigente quadro normativo - possano essere chieste al giudice amministrativo, a tutela del diritto di proprietà.
3.1. Anche a seguito dell’entrata in vigore del testo unico, in assenza della conclusione ‘fisiologica’ del procedimento espropriativo con l’adozione del decreto di esproprio oppure con un accordo di cessione tra l’Autorità espropriante e il proprietario del bene, il proprietario di un suolo illegittimamente occupato può trasferire il predetto bene all’Amministrazione con una manifestazione di volontà resa nei modi di legge nell’ambito di un accordo transattivo in cui le parti concordino anche il valore del trasferimento a prescindere dalla quantificazione dell’indennità, secondo i relativi principi contenuti nel testo unico sugli espropri .
Tuttavia, nel caso in cui ci sia stata una deviazione patologica dallo schema legale, ove sul bene del privato sia stata realizzata un’opera pubblica e le parti non abbiano concluso un accordo traslativo, l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto può essere disposta con l’esercizio dal parte dell’Amministrazione del potere ad essa conferito dall’art. 42 bis DPR 327 del 2001; e, dunque, mediante l’adozione di un provvedimento - non avente efficacia retroattiva - di acquisizione al patrimonio indisponibile del bene privato utilizzato per la realizzazione dell’opera pubblica.
Il legislatore – così come già prevedeva l’originario art. 43 del testo unico sugli espropri, poi dichiarato incostituzionale per eccesso di delega – ha tipizzato la fattispecie.
Prima dell’entrata in vigore del medesimo testo unico, mancava una normativa espressa per il caso in cui l’Amministrazione avesse realizzato un’opera pubblica in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio.
Nel corso del tempo, tale vuoto normativo era stato colmato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, dapprima e sino al febbraio 1983 con l’affermazione (tradizionalmente condivisa dal Consiglio di Stato) sulla sussistenza del potere di esproprio a titolo di sanatoria e poi con l’affermazione della regola opposta della mancanza di un tale potere, conseguente alla fattispecie complessa in base alla quale l’avvenuta realizzazione dell’opera comporterebbe l’acquisto dell’area a titolo originario, da parte dell’Amministrazione (v. la sentenza delle Sezioni Unite n. 1464 del 1983).
Anche in considerazione dei principi nel frattempo desumibili dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (e per le ragioni di cui alla Relazione redatta dal Consiglio di Stato, in occasione della stesura delle relative disposizioni), dapprima l’art. 43 del testo unico e poi il vigente art. 42 bis (che ha colmato il vuoto derivante dalla dichiarazione di incostituzionalità del medesimo art. 43) hanno disciplinato le conseguenze giuridiche ed i poteri esercitabili, nel caso di occupazione sine titulo di un fondo altrui, connessa all’esercizio del potere pubblico caratterizzante gli atti del procedimento espropriativo.
Così come ha ripetutamente affermato la Corte EDU, l’art. 42 bis del testo unico si è ispirato al principio per il quale – in assenza di un atto di natura ablatorio, ovvero di un altro titolo giuridico espressamente previsto dalla legge – l’Amministrazione non acquista la proprietà di un suolo illecitamente posseduto, neanche se sia stata realizzata un’opera utilizzata dalla collettività.
In assenza dell’esercizio del potere previsto dall’art. 42 bis, la illegittima occupazione di un bene privato, sia pure preordinata alla realizzazione di un’opera pubblica, determina dunque l’obbligo di restituzione nei confronti del proprietario.
In base all’art. 42 Cost. ed all’art 1 Protocollo 1 CEDU, infatti, solo gli atti tipici previsti dalla legge possono disporre gli effetti ablativi della proprietà.
L’accertamento giurisdizionale della illegittimità o della mancata conclusione del procedimento espropriativo - per la circostanza che esso non si sia concluso con l’adozione del decreto di esproprio né con l’accordo di cessione – determina dunque il verificarsi dei presupposti posti dal legislatore per la piena tutela del diritto di proprietà, mediante un provvedimento restitutorio da parte del giudice amministrativo, che può essere impedito (oltre che da un accordo tra le parti) dalla adozione del provvedimento di acquisizione emesso ai sensi del precitato art. 42 bis.
Quando il proprietario a tutela del suo diritto chiede il risarcimento del danno (con la domanda di restituzione e di riduzione in pristino, ovvero per equivalente), il giudice amministrativo deve qualificare la domanda tenendo conto della disciplina sostanziale e processuale posta dal legislatore e deve rilevare quali siano le alternative poste dal legislatore e a cui essa l’Amministrazione conformare il proprio operato.
3.2 Ai sensi dell’art. 42 bis, e in assenza di un accordo, le uniche alternative possibili per l’Amministrazione sono dunque rappresentate:
- dalla restituzione del bene al legittimo proprietario;
- in alternativa, dalla emanazione del provvedimento di acquisizione, in assenza di un accordo transattivo.
Queste sono le uniche ipotesi possibili – previste dalla legge - per adeguare lo stato di fatto a quello di diritto.
Va rimarcato al riguardo come in ogni caso deve restare impregiudicata l’area della discrezionalità amministrativa.
L’Amministrazione – pur tenuta al ripristino della legalità - resta titolare del potere (“valutati gli interessi in conflitto”) di scegliere tra la restituzione del bene ovvero l’acquisizione dello stesso ai sensi dell’art. 42 bis.
In altri termini, solo essa (non potendo il giudice amministrativo sovrapporre una propria statuizione) può valutare se, in relazione alle risorse economiche disponibili ed agli interessi da soddisfare, il terreno vada restituito, previa demolizione di quanto costruito, ovvero vada acquisito ai sensi dell’art. 42 bis.
Ovviamente, una scelta manifestamente irrazionale di non emanare il provvedimento di acquisizione, comportando l’obbligo di demolire le opere realizzate con denaro della collettività, implicherebbe la conseguente responsabilità devoluta alla cognizione della Corte dei Conti, mentre invece l’ordinamento non può che qualificare come secundum ius il provvedimento di acquisizione, che in quanto tale salvaguardi l’opera pubblica ed eviti lo spreco del denaro pubblico.
Infatti, la responsabilità – di cui i funzionari rispondono innanzi alla Corte dei Conti – non è quella della emanazione del provvedimento di acquisizione (valutato con favore dal sistema, per l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto), ma di coloro che hanno fatto sì che si arrivasse all’occupazione del bene altrui, con la costruzione dell’opera, in assenza del valido ed efficace decreto di esproprio.
3.3. In altri termini, la fattispecie caratterizzata dalla illecita perdurante occupazione del fondo su cui sia stata realizzata un’opera pubblica è sottoposta ad una peculiare disciplina per la quale l’adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto si può avere (fermo restando il diritto al risarcimento del danno per il periodo di occupazione sine titulo) o con la restituzione dell’area (eventualmente con la demolizione di quanto realizzato), ovvero con l’emanazione del provvedimento di acquisizione e la corresponsione a favore del proprietario di un importo superiore al valore venale del bene, secondo i parametri previsti dall’art. 42 bis del citato testo unico.
Tale articolo, recependo i principi in materia di integrale e piena tutela della proprietà privata espressi dalla Corte di Strasburgo, dispone che a seguito di provvedimento di acquisizione del bene, al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale determinato, salvo diversa previsione di legge, sulla base delle disposizioni dell’art. 40 del testo unico sugli espropri, quando si tratta – come nel caso di specie - di un terreno non edificabile.
Al proprietario illegittimamente espropriato deve essere corrisposto un ulteriore indennizzo forfettariamente liquidato nella misura del 10% del valore venale del bene ed a titolo risarcitorio – se non risulta una diversa entità del danno - l’interesse del 5% annuo sul valore del bene, per il periodo di occupazione senza titolo.
In sostanza al proprietario, qualora l’amministrazione eserciti il potere di acquisizione e non proceda alla restituzione, spetta per legge non il controvalore del bene, bensì un importo superiore, pari al 110% del valore venale del bene, oltre al risarcimento del danno per il periodo di occupazione sine titulo.
4. Non può invece il giudice amministrativo condannare l’amministrazione al risarcimento nei confronti del proprietario per il controvalore per perdita del bene, quand’anche questa sia la richiesta formulata dal ricorrente e ciò per le seguenti ragioni.
In primo luogo, la legge – nel prevedere una specifica disciplina della fattispecie – non attribuisce rilevanza ad una dichiarazione unilaterale del proprietario: in base all’art. 42 bis, l’Amministrazione diventa proprietaria solo ove ritenga di esercitare motivatamente il suo potere di acquisizione, sopportandone i relativi costi (maggiorati rispetto a quelli che vi sarebbero stati nel caso di emanazione di un legittimo decreto d’esproprio).
L’art. 42 bis si basa tutto sul principio (più volte ribadito dalla CEDU) per il quale – in assenza di un formale atto di acquisizione, emesso in applicazione di una norma di legge – il bene illegittimamente occupato va restituito al suo proprietario.
In secondo luogo, la domanda giudiziale volta al risarcimento del danno – pari al controvalore della res – in realtà comporterebbe una rinuncia ‘condizionata’ alla pronuncia del giudice che liquidi il risarcimento del danno, ed il cui evento è comunque giuridicamente precluso, poiché – per il principio della separazione dei poteri anch’esso posto a base dell’art. 42 bis – solo l’Amministrazione e non il giudice amministrativo può valutare quale degli interessi debba prevalere tra quelli “in conflitto” e decidere se restituire il terreno ovvero acquisirlo (con la corresponsione di un importo superiore al suo valore venale).
In altri termini, il proprietario del bene occupato sine titulo fa valere il proprio diritto dominicale che dà luogo anzitutto ad una tutela reintegratoria (sicché non può chiedere il risarcimento per equivalente per perdita di un bene che è ancora suo) ed ha titolo ad ottenere o la restituzione del terreno ovvero - in caso di perdita del bene nel caso di adozione del provvedimento ex art. 42 bis - ha diritto a ricevere l’indennizzo in misura superiore al valore venale del bene.
Resta, ovviamente, impregiudicata la facoltà delle parti di addivenire ad un accordo transattivo in cui il trasferimento della proprietà del bene a favore dell’amministrazione può essere effettuato per un corrispettivo liberamente determinato dalle parti (corrispondente, ad esempio, al solo valore venale del bene).
5. Tali osservazioni inducono il Collegio ad una complessiva rimeditazione dell’indirizzo giurisprudenziale pure seguito da questa Sezione, in base al quale si è ritenuto di accogliere domande meramente risarcitorie proposte da privati i cui beni risultassero occupati sine titulo, ricostruendo dogmaticamente la proposizione della domanda giudiziale alla stregua di una abdicazione del diritto di proprietà (istituto che non è affatto considerato rilevante dall’art. 42 bis, che disciplina la fattispecie).
6. Nel caso qui in esame, è incontestato che l’Amministrazione stia possedendo contra legem il bene del ricorrente.
Risulta infatti dai documenti prodotti in giudizio che l’occupazione legittima del bene, per l’estensione di 46 mq, sia scaduta il 10 marzo del 2000 e che il fondo non è stato restituito all’avente diritto.
Da tale illiceità della condotta dell’Amministrazione, consegue il suo dovere di applicare i principi di legge al fine di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, nel rispetto delle ragioni proprietarie.
Il Collegio dunque dispone che – qualora l’Amministrazione non eserciti il potere di cui all’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001 e quindi acquisire la proprietà dell’area – vada restituito l’immobile (previa demolizione di quanto costruito) e vada risarcito il danno per l’occupazione contra legem subita dal proprietario da quando l’occupazione è divenuta sine titulo (per la mancata conclusione del procedimento espropriativo) e sino al momento della restituzione medesima.
Ovviamente, in tal caso questo Tribunale non potrà che trasmettere gli atti alla procura della Corte dei Conti, affinché in quella sede si accertino le responsabilità per il duplice esborso di denaro pubblico (quello servito per realizzare l’opera e quello occorrente per demolirla).
Qualora il Comune deliberi di salvaguardare l’opera realizzata e le finanze pubbliche e di provvedere nel senso di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto mediante l’esercizio del potere previsto dall'art. 42-bis del D.P.R. 327 del 2001, l’indennizzo dovuto dovrà essere liquidato secondo gli indicatori fissati dalla predetta norma, salvo il potere del giudice civile di verificare se l’indennizzo è stato quantificato congruamente (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2012, n. 1438).
7. Per le ragioni che precedono, il Collegio:
- dichiara la illegittima occupazione del fondo de quo, per la estensione di mq. 46, a far data dalla scadenza del quinquennio dal 10 marzo del 2000, posto che da quella data l’occupazione è divenuta sine titulo;
- dispone che – entro il termine di novanta giorni – decorrente dalla notifica della presente sentenza, il funzionario competente del Comune di Cardeto attivi il relativo procedimento (previa comunicazione agli interessati) e poi proceda nel termine di legge alla sua conclusione, con la scelta discrezionale e motivata se emanare l’atto di acquisizione ai sensi dell’art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001 (così evitando la demolizione dell’opera pubblica), ovvero se disporre la restituzione del fondo ai proprietari (previa demolizione di quanto realizzato);
- dispone che, nel caso di acquisizione ex art. 42 bis, sia liquidato in favore di parte ricorrente un importo pari al valore venale del bene “all'attualità”, calcolando gli interessi – come previsto dallo stesso articolo – per il periodo di occupazione sine titulo(fermo restando che, trattandosi di una indennità, per le relative eventuali controversie sussisterà la giurisdizione del giudice civile);
- dispone che - in mancanza di tale acquisizione - il funzionario disponga la restituzione dell’area al proprietario, previo ripristino dello status quo ante a spese dell’Amministrazione (trasmettendo in tal caso la trasmissione degli atti alla Corte dei Conti, affinché questa valuti se sia stata irragionevolmente disposta la demolizione dell’opera pubblica);
- dispone che, qualora entro il fissato termine di novanta giorni l’Amministrazione disponga la restituzione dell'immobile illegittimamente occupato, essa avvenga, con rimessione in pristino stato del fondo, entro i trenta giorni successivi all'adozione della relativa deliberazione.
8. Il Collegio dispone che il sopra fissato termine di novanta giorni potrà essere prorogato o aumentato nel caso di istanza di una delle parti, ove sussistano giustificati motivi.
Il Collegio si riserva, nella sede e con i poteri propri del giudizio di ottemperanza, di valutare la condotta successivamente tenuta dalle parti ai fini dell'eventuale riconoscimento della risarcibilità dei nuovi danni cagionati dall'ulteriore protrarsi dell'illegittima occupazione e per la trasmissione degli atti alla Procura regionale della Corte dei Conti per l'accertamento di eventuali profili di responsabilità contabile, qualora si giunga – nel caso di inerzia dell’Amministrazione - alla proposizione di un ricorso per l’ottemperanza.
9. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso n. 156 del 2012, come in epigrafe proposto, così dispone:
- accoglie il gravame, nei limiti e nei termini di cui in motivazione, disponendo per l’effetto a carico del comune di Cardeto l’obbligo di porre in essere gli adempimenti indicati in motivazione nei termini ivi fissati;
- condanna il Comune di Cardeto al pagamento delle spese processuali in favore della parte ricorrente, che liquida in euro 2.000,00 (duemila) oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2017 con l'intervento dei magistrati:
Roberto Politi, Presidente
Angela Fontana, Referendario, Estensore
Donatella Testini, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Angela Fontana Roberto Politi
IL SEGRETARIO