Occupazioni usurpative ed acquisitive pregresse
Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 03/07/2024, n. 18222, su occupazioni appropriative e usurpative pregresse
MASSIMA
Ai fini della domanda di risarcimento del danno per occupazione di suolo privato, la presenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità non differenzia l'illecito civile dedotto. L'occupazione appropriativa e quella usurpativa sono entrambe fonte di responsabilità risarcitoria della Pubblica Amministrazione secondo i principi di cui all'art. 2043 c.c., pertanto la riqualificazione della domanda è ammessa anche in fase di appello, purché il fatto costitutivo dedotto rimanga invariato.
ORDINANZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
PRIMA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. - Presidente
Dott. MARULLI Marco - Consigliere
Dott. VAROTTI Luciano - Consigliere
Dott. GARRI Guglielmo - Consigliere
Dott. RUSSO Rita Elvira Anna - Consigliere - Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 831/2023 R.G. proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso lo studio dell'avvocato IMBARDELLI FABRIZIO (omissis) rappresentato e difeso dagli avvocati MARINO MARIO SILVIO CLAUDIO (omissis), CAMILLETTI CARLO (omissis);
- ricorrente -
Contro
COMUNE DI L, in persona del Sindaco elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE QUATTRO FONTANE 161, presso lo studio dell'avvocato BALDASSARRE FRANCESCO rappresentato e difeso dall'avvocato DE GIORGI ANNA (omissis);
- controricorrente -
nonché contro
B.B., C.C., D.D.;
- intimati -
avverso la SENTENZA della CORTE D'APPELLO LECCE n. 1023/2022 depositata il 05/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/05/2024 dal Consigliere RITA ELVIRA ANNA RUSSO.
Svolgimento del processo
A.A. e altri in qualità di proprietari di alcuni terreni ubicati in L, dove oggi si sviluppano delle strade, hanno agito in giudizio lamentando che l'amministrazione comunale aveva realizzato sui suddetti terreni strade e servizi in assenza di un provvedimento di pubblica utilità dell'opera con conseguente irreversibile trasformazione dei terreni. Hanno chiesto l'accertamento dell'illecito a carattere permanente e la conseguente condanna al risarcimento del pregiudizio subito.
Il Tribunale ha respinto la domanda accertando che parte dei terreni (p.lla omissis) rientravano nel comparto D del PEEP approvato e poi reiterato, e di conseguenza ha ritenuto sussistente la dichiarazione di pubblica utilità e il vincolo espropriativo con conseguente eventuale diritto, non già al risarcimento, ma ad indennizzo (non richiesto); per altri terreni (p.lla omissis) ha rigettato la richiesta a seguito accertamento di servitù di passaggio derivante da dicatio ad patriam, e quindi ritenuto che la realizzazione da parte del Comune di lavori di miglioria su terreno già destinato a strada non integrasse i presupposti di una occupazione usurpativa dal momento che non vi era stata alcuna trasformazione del bene in opera pubblica, né ablazione del diritto di proprietà. A.A. ha proposto appello, mentre nel giudizio di secondo grado sono rimasti contumaci B.B., C.C. e D.D.
La Corte d'Appello ha osservato, quanto alla occupazione della p.lla (omissis) che nel secondo grado di giudizio l'appellante ha mutato la domanda, poiché in primo grado aveva chiesto il danno per occupazione in assenza di dichiarazione di pubblica utilità e in appello invece ha chiesto il danno connesso ad una dichiarazione di pubblica utilità che sarebbe stata adottata in modo illegittimo; ha così respinto il primo motivo d'appello. Il giudice di secondo grado ha ritenuto infondato anche il secondo motivo d'appello, riguardante la dicatio ad patriam di altra parte dei terreni (p.lle omissis), affermando che nel giudizio è emersa la prova che dette aeree erano già gravate di una servitù di passaggio e quindi la circostanza che il Comune abbia realizzato su queste aree le opere di urbanizzazione non ha comportato alcun danno per la parte appellante perché non ha perduto la proprietà.
A.A. ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a tre motivi; sono rimasti intimati gli altri proprietari. Il Comune si è difeso con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo del ricorso si lamenta la nullità della sentenza in parte qua per violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 345, primo comma c.p.c., con riferimento all'art. 360, n. c.p.c. (error in procedendo). Il ricorrente censura la pronuncia nel capo autonomo in cui è stato ritenuto inammissibile l'appello concernente la domanda con cui si chiedeva il risarcimento del danno per illegittima ablazione della porzione di terreno di circa mq 1429, identificata al N.C.T. al foglio (omissis) particella (omissis), qualificando come nuova la domanda proposta in secondo grado, deducendo che il giudice d'appello è un giudice di merito e che ha piena conoscenza del fatto processuale. Osserva di avere rilevato in grado d'appello -a fronte di una sentenza negativa di primo grado fondata sulla individuazione della dichiarazione di pubblica utilità - che il giudice ordinario ha il potere di disapplicare incidentalmente l'atto amministrativo e che è artificioso distinguere, ai fini che qui ci interessano, tra assenza e illegittimità dell'atto in quanto l'atto illegittimo è equiparabile all'atto mancante, perché entrambi non producono effetti giuridici; sicché egli non ha proposto una domanda nuova. Afferma inoltre che è superata la concezione tradizionale secondo la quale gli elementi costitutivi della domanda sono le parti il petitum e la causa petendi alla luce del principio del giusto processo e che è ammessa la modificazione sia pure nella fase iniziale del processo sia del petitum che della causa petendi, purché la domanda modificata riguardi la medesima vicenda sostanziale dedotta nel l'atto introduttivo.
2. - Il motivo è fondato, nei termini di cui appresso.
Pur non essendo condivisibile l'affermazione che sarebbe venuta meno la "concezione tradizionale" che individua gli elementi costitutivi della domanda nel petitum e nella causa petendi, deve rilevarsi che nel caso di specie il fatto costitutivo dedotto in primo e secondo grado è il medesimo e che la qualificazione della domanda spetta al giudice, a condizione che i fatti costitutivi della diversa fattispecie giuridica oggetto di riqualificazione coincidano o si pongano, comunque, in relazione di continenza con quelli allegati nell'atto introduttivo (Cass. n. 36272 del 28/12/2023).
La parte lamenta infatti di avere subito l'occupazione del suo terreno senza che sia stata avviata e conclusa una regolare procedura di esproprio: pertanto pur se inizialmente aveva dedotto l'assenza di una dichiarazione di pubblica utilità di cui puoi l'istruttoria ha rivelato l'esistenza, nel momento in cui ne contesta la validità ed efficacia e ne chiede la disapplicazione, si mantiene pur sempre nell'ambito del fatto principale allegato e dedotto cioè la sussistenza di un illecito civile, consistente nella ingiustificata privazione del possesso e della proprietà di un bene, ragion per cui reclama il risarcimento del danno. La presenza o meno della dichiarazione di pubblica utilità non è in grado di differenziare, ai fini che qui ci interessano, le due forme di illecito prospettato, entrambe a carattere permanente; la differenza tra le due ipotesi non incide sulla "causa petendi" giuridicamente significativa, rappresentata in entrambi i casi dalla - dedotta - occupazione illegittima (Cass. n. 7137 del 09/04/2015).
In tal senso la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l'occupazione appropriativa e l'occupazione usurpativa sono caratterizzate l'una dall'irreversibile trasformazione del fondo in assenza del decreto di esproprio, e l'altra dalla trasformazione in mancanza, originaria o sopravvenuta, della dichiarazione di pubblica utilità. Tuttavia, nel caso di proposizione dell'azione di risarcimento del danno in conseguenza di occupazione usurpativa è ammissibile la riqualificazione della domanda, anche da parte del giudice, come relativa ad una occupazione appropriativa, in quanto entrambe fonte di responsabilità risarcitoria della P.A. secondo i principi di cui all'art. 2043 c.c. (Cass. n. 12846 del 23/05/2018; v. anche Cass. n. 5968 del 28/02/2019). Ha quindi errato la Corte d'Appello a ritenere inammissibile la domanda e ciò salva - ovviamente - la verifica della sua fondatezza nel merito, che non compete a questa Corte.
3. - Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell'art. 132, secondo comma c.p.c., n. 4 in relazione all'art. 111 Cost., (error in procedendo) nella parte in cui ha respinto la richiesta di risarcimento dei danni per l'illecita ablazione della proprietà dei terreni identificati al N.C.T. al fg. (omissis) part. (omissis) e al fg (omissis) part. (omissis). In subordine, per quanto concerne la seconda causa di nullità, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.).
Il ricorrente deduce che la Corte ha emesso una sentenza contraddittoria perché da un lato ha affermato che il Comune ha eseguito sulle aree gravate da servitù per effetto della dicatio ad patriam soltanto opere nell'ambito del diritto che gli competeva in forza della servitù di passaggio, dall'altro ha però affermato che sulle predette aree il Comune aveva realizzato "opere di urbanizzazione primaria e secondaria", mettendo altresì in evidenza la costruzione di marciapiedi per il transito di pedoni e l'inserimento di tali strade nella toponomastica cittadina. È però evidente che la realizzazione di opere pubbliche di urbanizzazione primaria e secondaria sui terreni in questione non può ritenersi rientrante nell'ambito dei poteri connessi ad un diritto di servitù di passaggio anche di uso pubblico, perché non si tratta di opere dirette alla conservazione della servitù, ammesse dall'art. 1069 c.c., ma di opere, che incidendo profondamente nello stato dei luoghi sia dal punto di vista fisico che funzionale, si giustificano solo col diritto dominicale sui terreni stessi. Secondo il ricorrente la sentenza sarebbe carente perché si concentra essenzialmente sull'accertamento che su questa parte dei terreni esisteva una servitù di passaggio per effetto di dicatio ad patriam ma avrebbe dovuto invece anche accertare che l'utilizzazione che il Comune aveva fatto dei terreni restava nell'ambito dell'estensione del diritto di servitù secondo la previsione dell'art. 1064 c.d. e tale indagine è completamente mancata.
Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., con riferimento all'art. 360, n. 3 c.p.c. In alternativa, la nullità della sentenza per violazione dell'art. 183, sesto comma, c.p.c. con riferimento all'art. 360, , n. 4 c.p.c. (error in procendo) sempre relativamente al rigetto della domanda di risarcimento dei danni per l'illecita ablazione della proprietà dei terreni identificati al NCT al fg. (omissis) part. (omissis) e al fg. (omissis) part. (omissis). Il ricorrente deduce di aver contestato che il Comune lo ha spogliato della proprietà dei terreni per avervi esercitato atti di possesso corrispondenti il diritto di proprietà, come risulta dal fatto che li aveva utilizzati per opere di urbanizzazione primaria e secondaria; che il Comune si è difeso assumendo di non aver compiuto atti ablativi della proprietà, perché gli atti di possesso da lui compiuti erano ricompresi nell'estensione di una servitù di passaggio di uso pubblico di cui godeva; che in base ai principi sull'onere della prova, avendo egli provato che gli atti di possesso compiuti dal Comune erano ricompresi nei poteri del proprietario, competeva al comune dedurre e provare che quegli atti, che pur spettavano al proprietario, non superavano il confine entro cui si estendeva del diritto reale minore di servitù, di cui godeva. Tuttavia, egli osserva, che un possesso di tale natura non è stato provato, anzi nemmeno dedotto, onde la sentenza ha violato l'art. 2697 c.c.
4. - I motivi possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi e sono inammissibili.
Si tratta di censure dirette a sollecitare una revisione del giudizio di fatto reso dalla Corte d'Appello, la quale seppure è vero che dedica la maggior parte della sentenza alla questione della costituzione della servitù per effetto della dicatio ad patriam tuttavia afferma anche chiaramente - a pagina 10 della sentenza impugnata - che le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e la costituzione di un marciapiede per il transito dei pedoni non hanno comportato la perdita del diritto dominicale e sono null'altro che un corollario dell'esistenza della servitù di uso pubblico. Inoltre, la Corte ha anche rilevato che la parte non ha neppure collocato temporalmente dette opere. Pertanto la valutazione sul punto è stata resa ed è stato ritenuto che queste opere siano intimamente connesse con il diritto di servitù esistente sul bene, giudizio di fatto del quale in questa sede non può sollecitarsi la revisione.
Ne consegue in accoglimento del primo motivo del ricorso, inammissibile il secondo e terzo, la cassazione sul punto della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte d'Appello di Lecce in diversa composizione per un nuovo esame, relativo al capo di sentenza che riguarda il terreno al N.C.T. al foglio (omissis) particella (omissis) e per la liquidazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso, inammissibili il secondo e terzo, cassa sul punto la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Lecce in diversa composizione per un nuovo esame, e per la liquidazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2024.