Parametri 42-bis - TAR Umbria, sent. n. 164 del 07.04.2015
Pubblico
Venerdì, 29 Maggio, 2015 - 02:00
Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria, (Sezione Prima), sentenza n.164 del 7 aprile 2015, sulle occupazioni illegittime e parametri 42-bis
N. 00164/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00508/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 508 del 2011, proposto da:
Silvia, Gina e Norberto Mangiabene, rappresentati e difesi dall'avv. Giorgio Fregni, con domicilio eletto presso l’avv. Francesco Sardegna, in Perugia, corso Cavour, 25;
contro
Comune di Città della Pieve, rappresentato e difeso dagli avv. Roberto Baldoni e Mario Rampini, con domicilio eletto presso Mario Rampini, in Perugia, piazza Piccinino n. 9;
ASL n. 2 dell’Umbria, rappresentata e difesa dagli avv. Giuseppe Marruco e Giulia Silvestri, con domicilio eletto presso Giulia Silvestri, in Perugia, via Guerra, 21;
per la condanna
del Comune di Città della Pieve e dell’ASL n.2 dell’Umbria, in solido, al risarcimento di tutti i danni patiti dai ricorrenti derivanti dal fatto illecito permanente rappresentato dall’irreversibile trasformazione dell’area di relativa proprietà, unitamente a rivalutazione monetaria ed interessi legali.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Città della Pieve e della ASL 2 dell’Umbria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2015 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con sentenza non definitiva n. 41 depositata il 16 gennaio 2014, l’adito Tribunale, respinte le eccezioni sollevate dalle Amministrazioni convenute, ha ritenuto fondata, quanto all’” an debeatur”, la pretesa risarcitoria azionata dagli odierni ricorrenti per occupazione “sine titulo” subita in conseguenza del procedimento espropriativo iniziato dal Comune di Città della Pieve e non conclusosi con l’emanazione del decreto di esproprio.
La suddetta sentenza, riconosciuta la indefettibilità di un passaggio intermedio precedente il momento risarcitorio, consistente nell'assegnazione di un termine all'Amministrazione al fine di definire (in via negoziale o autoritativa ex art. 42-bis d.P.R. 327/2001) la sorte della titolarità del bene illecitamente appreso, ha disposto verificazione, ex art. 66 cod. proc. amm., nominando all’uopo il Direttore del Dipartimento di Scienze Economico-Estimative e degli Alimenti della Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia, chiedendo di appurare “l’esatta consistenza, estensione e valore di mercato attuale delle aree occupate e trasformate, come descritte negli atti di causa, se del caso previa consultazione dei pubblici registri immobiliari”
Con nota del 7 febbraio 2014, il Direttore del neo Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali, giusta disattivazione dal 1 gennaio 2014 della Facoltà di Agraria e del Dipartimento di Scienze Economico-Estimative e degli Alimenti, ha delegato alla verificazione Antonio Pierri quale Professore del suddetto Dipartimento.
I ricorrenti hanno nominato quale consulente tecnico di parte il perito agrario Guido Salvatori.
Il 22 aprile 2014 il Prof. Pierri ha depositato la propria relazione conclusiva, determinando quale valore di mercato attuale la somma di 121.200,00 euro in ragione di un valore di 30,00 euro/mq, trattandosi di area classificata SPU “Zone per servizi e attrezzature pubbliche” interamente urbanizzata e con caratteristiche di edificabilità, pur se concretizzabili esclusivamente tramite un PPE di iniziativa pubblica.
Entrambe le difese delle Amministrazioni convenute hanno contestato la stima effettuata dal verificatore, evidenziando in necessaria sintesi:
- la non edificabilità nè di diritto nè di fatto dell’area in questione, in quanto non edificabile per edilizia privata, essendo le opere di urbanizzazione realizzate esclusivamente funzionali all’adiacente complesso ospedaliero;
- la non utilizzabilità dei valori delle aree urbane limitrofe proposte dall’Ufficio Tributi in sede di accertamenti IMU;
- il conseguente valore di mercato attuale dovrebbe pertanto determinarsi in ragione del valore agricolo, pari a 1,6 euro/mq. per un valore attuale di mercato pari a complessivi 6.464,00 euro, elevabile a 5 euro per metro quadro ipotizzando la correttezza del criterio differenziale utilizzato dal verificatore.
La difesa comunale ha poi ribadito l’eccezione di avvenuto pagamento, in favore degli odierni ricorrenti, della somma di 8.043,45 euro a titolo di acconto del corrispettivo di cessione volontaria (poi non perfezionatosi) depositando mandati di pagamento del 1983, da attualizzarsi con gli interessi e la rivalutazione in complessivi 57.136,09 euro, somma di cui chiedono pertanto la decurtazione rispetto a quanto eventualmente dovuto agli odierni ricorrenti.
La difesa dell’ASL 2, attuale unico possessore dell’area trasformata, ha chiesto la fissazione di termine da parte dell’adito Tribunale, per l’emissione del provvedimento di “acquisizione sanante” di cui all’art. 42-bis del t.u. espropriazioni.
Con memoria di replica la difesa degli odierni istanti ha eccepito la tardività delle contestazioni mosse nei confronti delle valutazioni effettuate dal verificatore, le quali avrebbero dovuto esprimersi nel corso delle operazioni peritali; ha altresì ribadito di non aver mai ricevuto le somme oggetto dei mandati di pagamento depositati dal Comune, mancando la prova del pagamento, sostenendo in ogni caso che l’eventuale detrazione dovrebbe disporsi soltanto in linea capitale, senza rivalutazione ed interessi. Ha quindi aderito alle valutazioni espresse dal verificatore, dovendosi considerare l’area trasformata quale area edificabile in considerazione dell’ubicazione in prossimità delle mura storiche cittadine nonché dell’intervenuta urbanizzazione e determinare il valore venale del bene secondo il valore di mercato attuale, come peraltro riconosciuto espressamente dalla stessa sentenza n. 41/2014. Infine ha insistito per l’accoglimento anche della propria concorrente domanda di risarcimento dei danni sia per il mancato godimento del bene durante il periodo di occupazione illecita (dal 16 ottobre 1982 oppure in subordine dal 16 ottobre 1987) sia per i pregiudizi di carattere non patrimoniale patiti, in applicazione analogica dell’art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 o comunque dell’art. 2059 c.c.
Le parti hanno svolto difese in vista della pubblica udienza dell’11 febbraio 2015, nella quale la causa è passata in decisione.
DIRITTO
2. Viene all’esame del Collegio la prosecuzione del giudizio risarcitorio azionato dai sig.ri Mangiabene, proprietari dell’area contraddistinta catastalmente al foglio 57 mappali 605, 606 e 119, per un totale di 4.040 mq., per i danni patiti per occupazione “sine titulo” subita in conseguenza dell’occupazione preordinata all’espropriazione effettuata nel 1982 dal Comune di Città della Pieve, non conclusasi con l’emanazione del decreto di esproprio.
3. Con la sentenza non definitiva n. 41 del 16 gennaio 2014 il Collegio, respinte le eccezioni comunali di acquisto della proprietà per usucapione e di prescrizione, ha riconosciuto la fondatezza, limitatamente all’” an debeatur”, della pretesa risarcitoria azionata, concretando l’occupazione dell’area un illecito di carattere permanente in danno dei ricorrenti.
3.1. Deve però essere anzitutto individuata, nell’ambito del presente giudizio risarcitorio, la legittimazione passiva, invocando gli odierni istanti la responsabilità solidale di entrambe le Amministrazioni convenute.
Il procedimento espropriativo è stato esclusivamente condotto dall’Amministrazione comunale, la quale ha approvato la dichiarazione di pubblica utilità (del. C.C. n. 40 del 27 marzo 1982) disposto l’occupazione delle aree (ordinanza sindacale n. 16 del 18 maggio 1982) l’immissione in possesso (verbale del 16 ottobre 1982) ed effettuato la irreversibile trasformazione, mediante realizzazione di opera pubblica diversa da quella programmata.
Con determinazione dirigenziale regionale n. 3912 del 28 maggio 1999 l’intera area occupata e trasformata è stata trasferita all’ASL 2 dell’Umbria, ai sensi dell’art. 5 del D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 recante il trasferimento alle aziende sanitarie dell’intero patrimonio immobiliare comunale con destinazione sanitaria. L’azienda sanitaria, pur divenendo l’unico soggetto possessore, è dunque subentrata nella disponibilità dell’area in questione successivamente alla sua trasformazione e alla scadenza dell’efficacia del periodo di occupazione legittima, non potendo oramai più procedere alla definizione del procedimento ablatorio, poiché a prescindere dal profilo della competenza, il decreto di esproprio emanato dopo la scadenza del termine di occupazione legittima sarebbe stato pacificamente “tam quam non esset” (Cassazione civ. sez. I, 23 febbraio 2012, n. 2775; T.A.R. Puglia - Lecce sez. 16 dicembre 2013, n. 2523; Consiglio di Stato sez. V, 16 gennaio 2013, n. 238).
Ne consegue la parziale estraneità dell’azienda sanitaria alla produzione del danno da occupazione illecita, potendo essa invero procedere - solo dall’entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 - alla sanatoria, pur non retroattiva e quindi atipica, degli effetti prodotti mediante adozione del provvedimento di acquisizione coattiva di cui all’art. 43 del citato d.P.R., elemento da reputarsi non trascurabile ai fini del giudizio di responsabilità solidale di cui all’art. 2055 c.c.
La responsabilità risarcitoria conseguente alla c.d. occupazione acquisitiva è addebitabile in via solidale a tutti coloro che, con il proprio comportamento, abbiano concorso alla produzione dell'evento; ciò in quanto l'occupazione acquisitiva è la risultante della necessaria concorrenza di un comportamento attivo di carattere materiale - la realizzazione dell'opera pubblica, con conseguente irreversibile trasformazione del fondo privato - e di un comportamento omissivo di ordine giuridico-amministrativo - la mancata adozione del decreto di espropriazione entro la scadenza del termine dell'occupazione legittima, con la conseguenza che l'ascrivibilità ad un determinato soggetto anche solo di una delle due condotte ora indicate è, in via di massima, sufficiente a renderlo responsabile per l'intero nei confronti del proprietario illecitamente espropriato (così Cassazione civ. sez. I, 27 ottobre 2006, n. 23279).
Ritiene il Collegio che, seppur in misura minore rispetto alla condotta attiva ed omissiva riferibile al Comune, la mancata adozione da parte dell’azienda sanitaria - dal 30 giugno 2003 (data di entrata in vigore del t.u. espropriazioni) ad oggi - degli strumenti offerti dall’ordinamento a sanatoria dell’occupazione illecita, sia apprezzabile ai sensi dell’art. 2055 c.c. quale comportamento rilevante a concorrere sul piano causale alla produzione dei danni patiti dagli odierni ricorrenti (specie in riferimento al danno da mancato godimento del bene) con conseguente responsabilità in solido con l’Amministrazione comunale, fermo restando, nei rapporti interni, l’azione di regresso nella misura determinata dal diverso grado di colpa.
3.2. Entrambe le difese delle Amministrazioni resistenti domandano ai fini dell’esclusione o della riduzione del danno risarcibile l’accertamento del concorso del fatto colposo dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 1227 c.c., dal momento che quest’ultimi avrebbero tenuto un comportamento “ostruzionistico e capzioso” in ordine alla definizione amichevole tramite cessione volontaria del procedimento ablatorio.
E’ innegabile come dagli atti di causa emerga la reiterata volontà, da prima del Comune di Città della Pieve e poi della stessa ASL 2 dell’Umbria, di concludere il procedimento ablatorio mediante proposta di cessione volontaria, la quale si è poi concretizzata in preliminari di cessione (sottoscritti il 18 giugno 1983 e il 21 settembre 1996 con il Comune) tuttavia non seguiti dal perfezionamento del definitivo.
Secondo la disciplina del negozio di cessione volontaria, oggi disciplinata dall’art. 45 del t.u. espropriazioni e prima dall’art. 12 L. 22 ottobre 1971 n. 865, il proprietario espropriando è titolare di un diritto di credito alla conclusione del contratto (ex multis Cassazione civ. sez. I, 14 febbraio 1997, n. 1414) ma non ha alcun obbligo di accettare le proposte di cessione provenienti dall’autorità espropriante o dall’Amministrazione che utilizza il bene, rientrando tale scelta nella propria sfera di autonomia negoziale.
Se è indubbio l’ obbligo delle parti, secondo i comuni principi (art. 1337 - 38 c.c.), di tenere un comportamento improntato alla correttezza e buona fede nel corso delle trattative contrattuali, non ritiene il Collegio di poter imputare agli odierni ricorrenti alcun ruolo determinante nella ingiustificata rottura delle trattative preordinate al perfezionamento della cessione definitiva, essendo esso dipeso, in buona parte, da altri fattori ivi compresa la mancata condivisione del valore dell’indennizzo proposto.
Tutto ciò deve poi essere necessariamente calato nel contesto del procedimento espropriativo in cui si colloca il momento della cessione volontaria, laddove la pendenza di trattative per la cessione non fa venir assolutamente meno il potere dell’autorità espropriante di emanare (entro il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità) il decreto di esproprio, fatto salvo il diritto dell’espropriato alla percezione delle maggiorazioni spettanti per la manifestata disponibilità alla cessione (ex plurimis Cassazione civ. sez. II, 8 maggio 2014, n. 9990).
3.3. Deve pertanto escludersi, ai fini del giudizio di diligenza di cui all’art. 1227 c.c., il concorso del danneggiato alla produzione del danno da occupazione illecita, non potendosi imputare ai ricorrenti il negligente ritardo del Comune nella definizione del procedimento, che avrebbe senz’altro comunque potuto utilmente emanare il decreto di esproprio nei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
4. Come chiaramente espresso nella richiamata sentenza non definitiva n. 41 del 16 gennaio 2014, condizione per la soddisfazione della domanda di risarcimento per equivalente va individuata nella necessità di un “preventivo passaggio intermedio” (accordo o provvedimento sanante traslativo), al fine della formazione di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà, e ciò anche alla luce dello ius superveniens costituito dal recente art 34 del D.L. 6 luglio 2011 convertito in L.15 luglio 2011 n.181.
4.1. La nuova norma, che novella il vigente t.u. espropriazioni mediante l’inserimento dell’art 42-bis - su cui peraltro pende giudizio di legittimità costituzionale per ipotizzato contrasto con gli artt. 3, 24, 42, 97, 111 e 117 c.1, Cost. giusta ordinanza di remissione 13 gennaio 2014 n. 441 da parte delle Sezioni Unite della Cassazione - è dichiarata espressamente applicabile ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore (comma 8), e contempla, come condizione legittimante, la corresponsione di “indennizzo” sotto il duplice profilo: a) del pregiudizio patrimoniale da determinarsi in misura corrispondente al valore venale; b) di quello non patrimoniale, forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale.
Ai sensi del c. 4, il provvedimento notificato al proprietario comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle predette somme a titolo di indennizzo.
4.2. Rimane pertanto anche nell’attuale mutato contesto - per altro in gran parte riproduttivo della sanatoria atipica contenuta nel precedente art 43 t.u. espropriazioni - la necessità di un passaggio intermedio, necessario e logicamente precedente il momento risarcitorio, consistente nell'assegnazione di un termine all'Amministrazione perché definisca (in via negoziale o autoritativa ex art. 42-bis citato) la sorte della titolarità del bene illecitamente appreso, cui segue, ma in posizione inevitabilmente subordinata e condizionata, la condanna risarcitoria, secondo il criterio esaustivo previsto dallo stesso art. 42-bis (o dalla transazione e dal prezzo della compravendita, in caso di esito negoziale paritetico), che sia ammissibile a risarcimento (secondo i noti canoni di causalità immediata e diretta rispetto all'illecita apprensione), ivi inclusa la parte concernente i danni riflessi ed indiretti alla parte reliquata della proprietà privata.
5. Tanto premesso, occorre dunque stabilire, sulla base della verificazione effettuata, precisi criteri di stima del valore di mercato attuale al fine della corresponsione degli indennizzi/risarcimenti dovuti, da utilizzare nell’atto di acquisizione in via autoritativa o nella proposta di acquisto negoziale che l’ASL, attuale unico possessore dell’area trasformata, avrà cura di effettuare.
5.1. Preliminarmente, priva di pregio è l’eccezione di tardività delle controdeduzioni mosse dalle Amministrazioni convenute in merito alle valutazioni espresse dal verificatore.
Infatti, la disciplina di cui all'art. 67 cod. proc. amm., in tema di consulenza tecnica d'ufficio - connotata da un articolato contraddittorio tra consulente d'ufficio e consulenti di parte - non si applica all'istituto della verificazione, disciplinata dal precedente art. 66 cod. proc. amm., attesa la diversità dei due istituti, non solo sul piano soggettivo, ma anche sul piano oggettivo e funzionale, consistendo la verificazione in un mero accertamento a funzione descrittiva ed illustrativa per completare la conoscenza dei fatti che non siano desumibili dalle risultanze documentali, mentre la consulenza tecnica d'ufficio si estrinseca in una vera e propria valutazione non meramente ricognitiva di questioni di fatto, la cui risoluzione presuppone specifiche cognizioni di ordine tecnico, da utilizzare ai fini della decisione (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 12 novembre 2014, n. 5552; T.A.R. Umbria 15 maggio 2014, n. 258). In sede di verificazione, pertanto, il contraddittorio tra verificatore e periti di parte ha mero carattere eventuale, potendosi ogni osservazione in merito alle operazioni e valutazioni effettuate in sede di verificazione essere effettuata dalle parti tramite le memorie da prodursi in vista dell’udienza di discussione nel merito, nel rispetto dei termini perentori di cui all’art. 73 cod. proc. amm.
5.2. La giurisprudenza è pacifica nell’affermare che il risarcimento del danno da perdita di terreni espropriati deve essere commisurato in base al valore venale effettivo (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2482; id. 14 maggio 2014, n. 2470; id. 22 gennaio 2014, n. 306; id. 6 dicembre 2013, n. 5820; id. 21 ottobre 2013, n. 5095; id. 30 settembre 2013, n. 4871; id. 9 gennaio 2013, n. 76) con riferimento al momento del trasferimento della proprietà.
Non vi è pertanto dubbio che ai fini del risarcimento del danno da illegittima occupazione debbano essere riconosciute anche le potenzialità economiche di terreni, non coincidenti con il loro sfruttamento agricolo, e non formalmente trasfuse negli strumenti urbanistici mediante l'attribuzione di un indice fondiario, ma comunque compatibili con la tipizzazione da questi impressa ed inoltre non in contrasto con vincoli inderogabili di legge o da questa discendenti. Pertanto, deve darsi continuità alla regola che consente al proprietario dei terreni espropriati di dimostrare di offrire la concreta prova in giudizio di tali potenzialità, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, ivi compresa la sua ubicazione più o meno interna o esterna a centri abitati, la presenza di opere urbanizzative e di altre infrastrutture (ex multis così Consiglio di Stato sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5067; Cassazione sez. VI, 21 marzo 2013, n. 7174).
5.3. La verificazione disposta dal Prof. Pierri ha accertato che le aree oggetto di occupazione risultano tipizzate dal vigente P.R.G. quali SPU “Zone per Servizi e attrezzature pubbliche”con indice di edificabilità non superiore a 4 metri cubi per metro quadrato, esclusivamente attuabile mediante PPE di iniziativa pubblica. Le aree risultano interamente trasformate, avendo l’Amministrazione provveduto a realizzare un manufatto adibito a camera mortuaria e un parcheggio a servizio dell’Ospedale di Città della Pieve, e ubicate nelle immediate vicinanze delle mura storiche cittadine ed all’interno dell’area urbanizzata di P.R.G..
5.4. Quale criterio di stima il verificatore ha utilizzato i parametri di valutazione delle aree urbane contigue definite e proposte dal Comune di Città della Pieve in sede di verifica e accertamento IMU, con un valore differenziale non inferiore a 30 euro al metro quadro, per un valore complessivo di mercato attuale, per le aree per cui è causa, pari 121.200,00 euro (4.040 metri quadri x 30 euro/mq.).
5.5. Come noto anche in riferimento alla determinazione dell’indennità di esproprio - da parametrarsi necessariamente al valore di mercato dei beni occupati sia in riferimento alle aree edificabili (Corte Cost. 22 ottobre 2007, n. 349) che non edificabili (Corte Cost. 10 giugno 2011, n. 181) - il legislatore non si cura di stabilire criteri per la quantificazione del suddetto valore, lasciato dunque all’elaborazione giurisprudenziale, secondo cui può essere per lo più utilizzato il metodo sintetico-comparativo (ex multis Cassazione civ. sez. I, 21 febbraio 2014, n. 4187; Consiglio di Stato sez. IV, 15 luglio 2011, n. 4311) consistente nell'attribuire al bene da stimare il prezzo di mercato di immobili omogenei, con riferimento tanto agli elementi materiali, quali la natura, la posizione, la consistenza morfologica e simili, quanto alla condizione giuridica.
Mette conto evidenziare come il suesposto metodo non abbia carattere preminente, potendo in realtà il giudice ed il suo ausiliario utilizzare anche il metodo analitico - ricostruttivo, che muove dalle caratteristiche specifiche del fondo espropriato (Cass. civ. sez. I, 5 marzo 2012, n. 3394).
5.6. Il verificatore, pur utilizzando criteri in parte diversi ovvero i dati forniti dall’Ufficio Tributi comunale per le aree limitrofe ai fini dell’accertamento IMU, ha evidenziato la sostanziale edificabilità di fatto dell’area di proprietà dei ricorrenti, ubicata in un contesto oramai completamente urbanizzato e a ridosso delle mura storiche cittadine, secondo un percorso argomentativo che il Collegio reputa in linea di massima condivisibile, così come quanto alla riconosciuta edificabilità di diritto, dal momento che l’area risulta comunque possedere un indice di edificabilità, pur se esclusivamente condizionato dalla preventiva approvazione di un piano attuativo di iniziativa pubblica.
5.7. Ne consegue anzitutto, ad avviso del Collegio, l’impossibilità di condividere l’assunto della difesa delle Amministrazioni convenute volto ad individuare il valore di mercato come coincidente con il valore delle aree agricole seppur prossime al Capoluogo, dal momento che risulta comprovata una seppur condizionata suscettività edificatoria, senza poi contare che il valore agricolo e in specie il valore agricolo medio (VAM), se risulta oramai definitivamente espunto dall’ordinamento per la determinazione dell’indennità di espropriazione, risulta tanto più superato a fortiori al fine risarcitorio (Corte Cost. 6 dicembre 2013, n. 5820).
5.8. Tanto premesso in ordine al procedimento seguito dal verificatore e dalla stima effettuata, non ritiene il Collegio di poter condividere in toto le conclusioni in ordine alla concreta attribuzione di un valore pari a 30 euro/mq. Infatti, la subordinazione della concreta edificabilità ad un PPE di esclusiva iniziativa pubblica, senz’altro ascrivibile a vincolo c.d. di rinvio o strumentale (Consiglio di Stato sez. VI, 19 marzo 2008, n. 1201; id. 24 marzo 2009, n. 1765) incide negativamente sulle obiettive ed intrinseche attuali caratteristiche ed attitudini dell'area, in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio, circostanza questa non sufficientemente tenuta presente dal verificatore.
5.9. Così opinando, ritiene il Collegio di individuare il valore attuale di mercato dell’area occupata dall’ASL n. 2 in euro 20,00/mq. peraltro di poco superiore al valore attribuito dall’Agenzia del Territorio (prot. 6015 del 14 gennaio 2003) su incarico dello stesso Comune resistente, per un valore di mercato complessivo pari a 80.800,00 euro (20 euro m/q x 4.040 metri quadrati).
6. Dalla somma così determinata va decurtato quanto corrisposto dai ricorrenti a titolo di acconto per la cessione volontaria poi non perfezionatasi, pari ad euro 8. 043,45, su cui vanno corrisposti gli interessi moratori.
6.1. Posto che per giurisprudenza pacifica l’onere della prova dell’avvenuto fatto estintivo dell’altrui pretesa è a carico del debitore convenuto (ex multis Cassazione civ 4 novembre 2013, n. 24703), il Comune di Città della Pieve ha depositato in giudizio i mandati di pagamento nn. 192 del 17 dicembre 1983 e 1233 del 10 settembre 1983 in favore di Parrini Cristina, Mangiabene Leonetto e Mangiabene Gina a titolo di corrispettivo per la proposta di cessione volontaria delle aree in esame, pur se privi dell’asserita quietanza sottoscritta da tutti i creditori.
Tali mandati, quali ordinativi di pagamento provenienti da un ente pubblico, costituiscono elementi idonei a comprovare l’avvenuta estinzione del debito, poiché il mancato rilascio della quietanza non può tornare a danno del debitore, il quale può comunque provare con altri mezzi l’avvenuta estinzione dell’obbligazione (Cassazione civ. sez. III, 6 giugno 1973, n. 1630).
Essendo il corrispettivo della cessione volontaria, non diversamente dall'indennità di espropriazione, debito di valuta e non di valore, in quanto oggetto di obbligazione indennitaria e non risarcitoria, deve applicarsi il principio nominalistico sancito dall'art. 1224 c.c. con la conseguenza che il ritardo nell'adempimento non ne consente l'automatico adeguamento al mutato potere di acquisto della moneta, né giustifica il riconoscimento del danno da lucro cessante, in assenza della prova del pregiudizio da parte del creditore (ex plurimis Cassazione civ. sez. VI, 28 novembre 2014, n. 25302; sez. I, 23 settembre 2011, n. 19437; id. 25 giugno 2010, n. 15331).
6.2. Non avendo l’Amministrazione provato tal pregiudizio, sulla somma pari a 8.043,45 euro debbono pertanto essere conteggiati soltanto gli interessi moratori decorrenti dalla data di emissione dei mandati sino ad oggi.
7. Quanto agli ulteriori danni di cui i ricorrenti chiedono il risarcimento, va anzitutto tenuto presente quanto al danno da mancato godimento del bene, che la decorrenza del periodo di occupazione illecita va individuata nel 16 ottobre 1987 ovvero nella scadenza del termine quinquennale di occupazione legittima di cui all’ordinanza sindacale n. 16 del 18 maggio 1982.
Per il computo del suddetto danno, qualora le parti giungano ad un trasferimento negoziale del diritto di proprietà ed in mancanza d'indicazioni e deduzioni più puntuali, deve ritenersi che il risarcimento per il mancato godimento debba calcolarsi assumendo a valore-base quello di mercato del bene, come sopra stimato, e applicando ad esso il tasso d'interesse legale, da ritenersi quale presumibile e normale indice di redditività dell'immobile (ex multis T.A.R. Puglia - Bari sez. I. 17 agosto 2010, n. 3403; Cassazione, sez. I, 5 maggio 2005, n. 9361; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 11 maggio 2009, n. 2520)
D'altra parte, a monte, il valore base del suolo dev'essere attualizzato anno per anno (a partire dal 16 ottobre 1987), con utilizzo dell'indice ISTAT, e solo sul relativo risultato dev'essere computato il danno per la perdita della possibilità di utilizzo del bene, calcolato attraverso il tasso di interesse legale, che rappresenta la commisurazione equitativa dei c.d. frutti civili, in mancanza di una più puntuale dimostrazione dei frutti e di altra utilità perduti (similmente: Cassazione, sez. I, 5 maggio 2005 n. 9361; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 11 maggio 2009 n. 2520).
A tali importi devono aggiungersi poi gli interessi legali per il ritardo nell'erogazione delle somme, da computarsi anno per anno, partendo dalla data del 1987 (ovvero dal primo anno di scadenza dell'occupazione; analogamente: Cassazione, sez. I, 29 ottobre 2008 n. 25983) sino al soddisfo.
8. Quanto infine al danno non patrimoniale lamentato dai ricorrenti, si ritiene che esso in carenza di dimostrazione da parte del danneggiato (come nel caso di specie) delle specifiche conseguenze pregiudizievoli patite, quale pacifico danno conseguenza (per tutte Cassazione Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972) sia risarcibile rectius indennizzabile soltanto ove l’Amministrazione opti per l’acquisizione in via autoritativa, essendo la previsione di cui all’art. 42 c. 1, del t.u. espropriazioni della corresponsione “di un indennizzo forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene” norma del tutto eccezionale e insuscettibile di applicazione analogica. Infatti, essa risulta in contrasto con il principio, del tutto pacifico nel nostro ordinamento, secondo cui i pregiudizi di carattere non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c., anche se collegati a valori riconosciuti a livello costituzionale, debbono essere risarciti solo a seguito dell'integrale allegazione e prova in ordine alla relativa consistenza e riferibilità eziologica alla condotta del soggetto asseritamente danneggiato (ex multis Cassazione Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972; Consiglio di Stato sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4781).
9. Sulla base di tali premesse, il Collegio ritiene di dover fare applicazione dello strumento processuale della c.d. condanna ai criteri di cui all’art. 34 c.4 cod. proc. amm. in base al quale l'Amministrazione intimata, fatta salva l'ipotesi, per la verità teorica, che la stessa decida di restituire l'area, limitandosi a risarcire il danno da occupazione illegittima - si dovrà attenere nel prosieguo alla seguente regola d'azione: a) entro il termine di sessanta giorni (decorrente dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ove anteriore), l’ASL e i ricorrenti potranno addivenire ad un accordo con effetti traslativi della proprietà, in base al quale la proprietà passa all’ASL ed alle parti ricorrenti è corrisposta la somma specificamente individuata nell'accordo stesso, la quale dovrà essere determinata secondo i criteri di cui in motivazione; la somma da liquidare alla parte ricorrente pari al valore venale dei suoli, dovrà comprendere, altresì, il danno per il periodo di utilizzazione senza titolo di tali beni calcolato secondo i suesposti criteri; essa - giova infine aggiungere - andrà depurata della somma di 8.043,45 euro, unitamente agli interessi di mora, corrisposta dal Comune di Città della Pieve in favore dei ricorrenti in relazione alla vicenda ablatoria per cui è causa, conformemente al c. 2 del citato art 42-bis; b) ove siffatto accordo non sia raggiunto nel termine indicato, l’ASL - entro i successivi sessanta giorni e, pertanto, entro il complessivo termine di 120 giorni dalla data di comunicazione della presente sentenza - ove ritenga che ricorrano le condizioni di cui all'art. 42-bis del t.u. n. 327/2001, potrà emettere un formale e motivato decreto, con cui potrà disporre l'acquisizione dell'area al suo patrimonio indisponibile; in tal caso, l’ASL sarà tenuta a risarcire per equivalente il danno (rectius l’indennizzo) per equivalente, determinando l'importo da erogare con le modalità indicate al precedente punto a); c) qualora l’Amministrazione ed i ricorrenti non concludano alcun accordo e l’ASL neppure adotti un atto formale recante l'acquisizione o la restituzione dell'area in questione, decorsi i termini sopra indicati, le parti ricorrenti potranno chiedere al Tribunale amministrativo l'esecuzione della presente sentenza, per l'adozione delle misure consequenziali, salva la trasmissione degli atti alla Corte dei conti per la valutazione dei fatti che hanno condotto alla medesima fase del giudizio; d) sulle somme tutte sopra indicate andranno riconosciuti gli interessi legali dal giorno del dovuto e fino all'effettivo soddisfo.
10. Per le ragioni che precedono, il ricorso va accolto e, per l'effetto, va pronunciata condanna, ex art. 34 c. 4 cod. proc. amm., del Comune di Città della Pieve e dell’ASL n. 2 dell’Umbria, in solido, a risarcire il danno ingiusto cagionato ai ricorrenti mediante l'occupazione sine titulo dell'area di loro proprietà, con le statuizioni più sopra enunciate.
Le spese di lite, comprensive dei costi di verificazione, seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei limiti e nei termini di cui in motivazione e, per l'effetto:
- subordinatamente alla stipula di un atto negoziale o all’emanazione di atto autoritativo traslativo della proprietà, condanna in solido il Comune di Città della Pieve e l’ASL n. 2 dell’Umbria al risarcimento del danno in favore dei ricorrenti, da quantificare secondo i criteri e le modalità di cui in motivazione, da determinarsi secondo la procedura di cui all'art. 34 c. 4 cod. proc. amm. ed i criteri parimenti in motivazione indicati;
- condanna in solido il Comune di Città della Pieve e l’ASL n. 2 dell’Umbria al pagamento delle spese di lite in favore dei ricorrenti, in misura di complessivi 4.500,00 euro, oltre accessori di legge, di cui 1.200,00 euro a titolo di compenso spettante al verificatore.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Cesare Lamberti,Presidente
Stefano Fantini,Consigliere
Paolo Amovilli,Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/04/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)