Strada ad uso pubblico e dicatio ad patriam
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), sentenza n. 5438 del 1 giugno 2023, sulla natura pubblica o privata di una strada e sulla dicatio ad patriam
MASSIMA
Per costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, non vale di per sé a fornire evidenza della natura pubblica della strada, ma consente di porre semplicemente una presunzione (superabile) al riguardo (Cons. Stato, IV, 10 ottobre 2018, n. 5820, ove si evidenzia che "l'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù", ciò poiché appunto non vale di per sé, ai fini della pubblicità della strada, "in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima"; cfr. anche Id., II, 18 maggio 2020, n. 3158).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione ha affermato chiaramente che la cd. "dicatio ad patriam" rappresenta "un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività 'uti cives', indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima" (cfr. Cons. Stato, V, 22 agosto 2019, n. 5785; IV, 15 marzo 2018, n. 1662; 22 maggio 2017, n. 2368; V, 16 novembre 2018, n. 6460; nello stesso senso cfr. Cass., II, 14 giugno 2018, n. 15618; 21 febbraio 2017, n. 4416; I, 11 marzo 2016, n. 4851; II, 12 agosto 2002, n. 12167; I, 7 maggio 1993, n. 5262; SS.UU., 3 febbraio 1988, n. 1072).
I presupposti per l'integrazione della dicatio ad patriam consistono nell'uso esercitato "iuris servitutis publicae" da una collettività di persone; nella concreta idoneità dell'area a soddisfare esigenze d'interesse generale; in un titolo valido a costituire il diritto, ovvero in un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l'intenzione di porre il bene a disposizione della collettività (sui diversi profili, cfr. inter multis, Cons. Stato, n. 5785 del 2019, cit.; n. 6460 del 2018, cit.; V, 10 settembre 2018, n. 5286; 9 luglio 2015, n. 3446; 24 maggio 2007, n. 2621 e 2622; Cass., SS.UU., n. 1072 del 1988, cit.).
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 9841 del 2020, proposto da Centro Residenziale Montelarco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luca Perticone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Rignano Flaminio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Emanuele Riccardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Giovanni Nicotera, 29;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 03316/2020, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Rignano Flaminio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2023 il Cons. Alberto Urso e uditi per le parti gli avvocati Perticone, e Cordasco per delega di Riccardi;
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza ex art. 54 D.Lgs. n. 267 del 2000 D.Lgs. n. 52 del 25 novembre 2019, il Sindaco di Rignano Flaminio (RM) ordinava al Centro Residenziale Montelarco la rimozione dei sistemi di videosorveglianza installati all'ingresso e uscita del centro stesso in quanto collocati su strada aperta al pubblico transito.
2. Avverso il provvedimento il Centro proponeva ricorso muovendo varie doglianze sulla legittimità dell'operato dell'amministrazione.
3. Il Tribunale amministrativo adito, nella resistenza del Comune di Rignano Flaminio, respingeva il ricorso.
4. Avverso la sentenza ha proposto appello il Centro Residenziale Montelarco deducendo:
I) erronea inversione dell'onere della prova; violazione dell'art. 112 Cod. proc. civ. per extrapetita;
II) nel merito: erronea valutazione delle risultanze probatorie; erronea applicazione delle norme sulla servitù e dell'istituto della dicatio ad patriam, nonché erronea applicazione della normativa urbanistica vigente all'epoca;
III) erronea applicazione del D.L.Lgt. n. 1446 del 1918 e dell'art. 14 L. n. 126 del 1954;
IV) mancata o comunque erronea valutazione di fatti non contestati.
5. Resiste al gravame il Comune di Rignano Flaminio, chiedendone la reiezione.
6. Sulla discussione delle parti all'udienza pubblica del 18 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. Va respinta in limine l'eccezione d'inammissibilità dell'appello formulata dal Comune, che deduce al riguardo l'assenza di specifiche censure avverso la sentenza impugnata e la mera riproposizione in questa sede dei motivi di ricorso in primo grado.
In senso contrario, è sufficiente osservare come l'appellante enuclei in modo sufficientemente dettagliato le ragioni di doglianza nei confronti della sentenza, i cui capi criticati pure chiaramente individua (v., al riguardo, infra, sub 3 ss.), e il che vale di per sé a ritenere infondata l'eccezione d'inammissibilità del gravame sollevata dal Comune, salvi i profili di eventuale inammissibilità dei singoli motivi di doglianza, oltreché l'esame nel merito delle censure.
1.1. Parimenti infondata è l'eccezione d'inammissibilità o improcedibilità dell'appello argomentata dal Comune in ragione del fatto che il Centro non avrebbe dimostrato la proprietà delle aree, difettando dunque di legittimazione attiva all'azione.
Anche in questo caso, è sufficiente osservare come il provvedimento impugnato sia stato adottato nei confronti del Centro Residenziale Montelarco e contenga ordini rivolti allo stesso, sicché non può che spettare al medesimo Centro la legittimazione all'impugnativa.
2. Va premesso ancora che col quarto motivo d'appello il Centro ha denunciato, in via subordinata, un vizio d'incompetenza nell'adozione del provvedimento impugnato (cfr. infra, sub 6 ss.).
Come noto, la deduzione di vizi di tal natura nei confronti del provvedimento amministrativo non può avvenire in via subordinata da parte del ricorrente, implicando in caso di accoglimento (che, si anticipa, avverrà nel caso di specie) un potere amministrativo non ancora esercitato, ex art. 34, comma 2, cod. proc. amm. (Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015 n. 5).
Per questo, nel momento in cui dedotta, una censura d'incompetenza sfugge di per sé al potere di graduazione delle domande e va esaminata in via prioritaria dal giudice (Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 2015, cit.).
Nondimeno, nel caso di specie il suddetto vizio riguarda le telecamere di videosorveglianza e i cartelli apposti presso uno soltanto degli accessi al Centro; ragion per cui, pur valendo per la corrispondente parte del provvedimento l'esame prioritario (e, come anticipato, accoglimento) del motivo d'incompetenza (su cui infra, sub 6 ss.), resta fermo sul resto del provvedimento l'esame delle altre doglianze (prioritariamente) proposte dall'appellante.
3. Col primo motivo di gravame il Centro Residenziale si duole dell'errore di ultrapetizione in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nell'aver deciso in ragione del profilo della proprietà delle strade, che tuttavia l'amministrazione non aveva invocato, avendo limitato le proprie eccezioni alla diversa fattispecie dell'assoggettamento a uso pubblico per asservimento al pubblico transito.
In tale contesto, erroneamente la sentenza avrebbe imputato al Centro Residenziale di non avere assolto l'onere della prova a proprio carico in relazione alla natura privata delle strade, considerato che, da un lato i pertinenti atti amministrativi provengono dallo stesso Comune, che tuttavia mai li ha prodotti, dall'altro l'eccezione di pubblica servitù per usucapione o dicatio ad patriam richiede comunque allegazione e prova.
3.1. Il motivo non è suscettibile di favorevole considerazione.
3.1.1. I profili inerenti alla proprietà (pubblica o privata) dell'area, come chiarito dalla stessa sentenza, sono (insieme con quello della sua destinazione a uso pubblico, su cui infra, sub 4 ss.) preliminari allo scrutinio di legittimità del provvedimento impugnato, sicché correttamente il giudice vi ha posto l'attenzione (in via incidentale) per valutare la legittimità dell'ordine di rimozione degli apparati di videoregistrazione installati, e ciò a prescindere dal contenuto delle eccezioni sollevate dall'amministrazione.
Per questo, salvo l'apprezzamento sul merito delle valutazioni eseguite dal Tar (e al di là, peraltro, della decisività o meno, nella stessa valutazione del giudice di primo grado, del profilo della proprietà delle strade), non vi sono ragioni per ravvisare sic et simpliciter un vizio della sentenza per il fatto di aver conosciuto, in via incidentale, degli aspetti inerenti alla proprietà delle aree.
Quanto ai profili probatori, è senz'altro corretta l'affermazione della sentenza per cui compete al ricorrente offrire prova dei fatti posti a fondamento della propria domanda, e in specie delle circostanze da cui discende l'illegittimità del provvedimento (né peraltro, in tale contesto, lo stesso ricorrente invoca specifici atti procedimentali che il Comune avrebbe omesso di produrre ex art. 46, comma 2, cod. proc. amm., o avanza mirate istanze istruttorie o d'accesso alla documentazione amministrativa).
Mentre, quanto alle conclusioni sulla natura pubblica o privata dell'area e sulla sua destinazione (inclusa la valutazione del materiale istruttorio ai fini dell'acquisizione della prova in un senso o nell'altro, nonché l'esame della questione dell'applicabilità alla fattispecie dell'art. 8 L. n. 765 del 1967), le stesse afferiscono più propriamente al merito della controversia, nel cui ambito possono perciò essere considerate (cfr. infra, sub (...) ss.).
4. Col secondo motivo l'appellante si duole dell'errore che avrebbe commesso il giudice di primo grado nel ritenere la natura pubblica delle strade coinvolte.
Nella specie, non potrebbe ravvisarsi alcuna dicatio ad patriam in difetto, da un lato, di volontà in tal senso espressa ai proprietari privati, dall'altro, di usucapione ventennale, essendo stati apposti cancelli o barre d'accesso per l'ingresso al complesso residenziale quanto meno sino a dopo il 2006 (essendo le stesse state eliminate, probabilmente, nel 2009, momento che nelle memorie difensive l'appellante differisce al 2017), e anche il sistema di videosorveglianza era installato e presente almeno sino al 2005.
D'altra parte, la convenzione di lottizzazione (anteriore al 1967) nulla prevedeva in ordine al trasferimento di proprietà delle aree al Comune, mentre la proprietà privata è affermata anche dalla sentenza del Tribunale di Tivoli n. 1246 del 2015, passata in giudicato, in cui si statuisce che il Comune si limitò ad acquisire nell'ambito della convenzione alcuni lotti interni al centro.
Ancora, non è dato ravvisare nella specie alcuna idoneità del bene a soddisfare un pubblico interesse, atteso che la viabilità interna del centro non congiunge pubbliche vie; al riguardo, le stesse risultanze catastali non hanno di per sé rilievo, considerato che la rete viaria vi viene inserita a soli fini di controllo urbanistico del territorio.
4.1. Il motivo non è condivisibile, anche a fronte delle precisazioni motivazionali che seguono.
4.1.1. È pacifico, in fatto, come la strada su cui le telecamere di videosorveglianza sono state installate è inserita nell'elenco generale delle strade comunali approvato giusta delibera del Consiglio Comunale di Rignano Flaminio n. 60 del 22 aprile 1983.
Il che, per costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, non vale di per sé a fornire evidenza della natura pubblica della strada, ma consente di porre semplicemente una presunzione (superabile) al riguardo (Cons. Stato, IV, 10 ottobre 2018, n. 5820, ove si evidenzia che "l'iscrizione di una strada nell'elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del comune, ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell'uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù", ciò poiché appunto non vale di per sé, ai fini della pubblicità della strada, "in difetto dell'appartenenza della sede viaria al Comune, l'iscrizione della via negli elenchi delle strade comunali, giacché tale iscrizione non può pregiudicare le situazioni giuridiche attinenti alla proprietà del terreno e connesse con il regime giuridico della medesima"; cfr. anche Id., II, 18 maggio 2020, n. 3158).
Nella specie, si deve ritenere che il profilo da indagare (in via incidentale, ai fini del vaglio sulla legittimità del provvedimento, nel quadro delle censure proposte dal ricorrente) sia quello della destinazione o meno a uso pubblico della strada, non già della sua titolarità dominicale, da ritenersi privata nei termini che seguono.
4.1.2. Occorre premettere che il complesso residenziale per cui è causa è stato realizzato giusta licenza di lottizzazione del 26 settembre 1963 (citata anche nell'atto del Commissario Prefettizio del 17 giugno 1967, in atti), seguita da "patto d'obbligo" del 28 settembre 1963 con cui la società di costruzioni s'impegnava, tra l'altro, alla costruzione di strade asfaltate, con banchine, ed altre opere (attraversamento stradale, servizio di fognatura, rete elettrica, etc.) e prevedeva espressamente la messa a disposizione di un'apposita area in favore del Comune, per gli eventuali fabbisogni dello stesso.
Successivamente, giusta delibera del Commissario Prefettizio del 17 giugno 1967, il patto d'obbligo veniva "approvato in via di sanatoria", dando conto dell'attività realizzativa già compiuta, e anche della maggior estensione dell'area ceduta al Comune.
Nessuno di tali atti (la cui sequenza e contenuto è pacifica fra le parti, e richiamata dallo stesso appellante) indicava specificamente che la proprietà delle strade realizzate venisse attribuita al Comune, né ciò può essere affermato sic et simpliciter in forza dell'art. 28 L. n. 1150 del 1942, come modificato dall'art. 8 L. n. 765 del 1967 (che prevede, fra l'altro, la subordinazione dell'autorizzazione alla lottizzazione alla stipula di convenzione che contempli "la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate all'art. 4 della L. 29 settembre 1964, n. 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2", includendovi così anche le strade residenziali ex art. 4, lett. a), L. n. 847 del 1964). A tal fine è sufficiente rilevare come la licenza fosse nella specie anteriore all'ingresso in vigore della norma, e non rileva in diverso senso la delibera prefettizia del 17 giugno 1967 (anch'essa peraltro anteriore alla L. n. 765 del 1967), atteso che il regime transitorio previsto dall'art. 8 ("Le autorizzazioni rilasciate dopo il 2 dicembre 1966 e prima dell'entrata in vigore della presente legge e relative a lottizzazioni per le quali non siano stati stipulati atti di convenzione contenenti gli oneri e i vincoli precisati al quinto comma del presente articolo, restano sospese fino alla stipula di dette convenzioni") è modulato comunque in funzione del tempo delle "autorizzazioni" (laddove rilasciate, cioè, dopo il 2 dicembre 1966, mentre la licenza risale qui al 1963, e la delibera prefettizia determinava semplicemente un'integrazione dell'atto d'obbligo), e in ogni caso la stessa disposizione si limita a imporre che l'atto di convenzione debba avere un certo contenuto, pena la sospensione dell'autorizzazione, ma non produce ex se un effetto traslativo non previsto dai titoli.
Per questo, come anticipato, non vi sono elementi da cui emerge una proprietà pubblica della strada, né peraltro ciò l'amministrazione ha sostenuto nel resistere al ricorso in primo grado.
Ne consegue che l'intera indagine deve concentrarsi sulla servitù od uso pubblico impresso alla strada, pur di proprietà privata.
4.1.3. Occorre premettere a tal fine come la documentazione in atti offra una rappresentazione spesso contraddittoria dei fatti, dei comportamenti tenuti, e delle stesse posizioni assunte dalle parti sulla questione della natura delle strade e dei corrispondenti diritti (o poteri) e obblighi di ciascuna.
In tale contesto, muovendo dal dato sopra evidenziato (i.e., il fatto che la strada interessata è dal 1983 inserita nell'elenco delle pubbliche strade comunali, come confermato da successivo aggiornamento della toponomastica del 2001, con conseguente presunzione semplice di destinazione pubblica), vanno considerati gli elementi caratterizzanti la fattispecie, in grado d'incidere univocamente sul relativo inquadramento.
Nella specie, risultano determinati alcuni elementi emersi dalla narrativa e dalla documentazione in atti, in grado di confermare (e non consentire il superamento della presunzione) circa la pubblica destinazione della strada.
4.1.3.1. In particolare, è rilevante osservare che presso il Centro, come pacifico e non contestato, è presente un edificio pubblico, recante un centro polivalente con delegazione di alcuni servizi comunali e presidio A..
A ben vedere, siffatta destinazione è coerente con (e trova anzi la sua giustificazione ne) gli originari accordi di lottizzazione, ai quali è da ritenersi conseguente: l'edificio sorge infatti su area ab origine "messa gratuitamente a disposizione del Comune per eventuali fabbisogni del Comune stesso" (cfr. patto d'obbligo, sub art. 6), e cioè - come ribadito successivamente - "ad uso esclusivo dei servizi pubblici … tra i quali è compresa appunto l'area da destinarsi al Comune …" (delibera Prefettizia del 17 giugno 1967, cit., ove si legge che "nella lottizzazione sono state previste zone da destinarsi ad uso esclusivo dei servizi pubblici …").
Allo stesso modo, è pacifico come nel Centro sia presente un edificio di culto adibito a Parrocchia, come tale aperto al pubblico, e anche ciò si pone tra l'altro in coerenza con gli atti relativi alla lottizzazione (delibera Prefettizia, cit.: "nella lottizzazione sono state previste zone da destinarsi ad uso esclusivo dei servizi pubblici e … tra queste è compresa … la costruzioni di una Chiesetta …"), né rileva in senso diverso il fatto che l'assemblea dei proprietari delle unità immobiliari abbia rimesso il debito per gli oneri condominiali riconducibili alla detta Parrocchia.
A tali elementi, di per sé determinanti (cfr. amplius infra, al successivo ), si affianca il fatto che, come è prova in atti, a far data dal 30 gennaio 1989 il Comune ha approvato il regime del trasporto pubblico includendovi le strade della frazione di Montelarco, e che in tale contesto ha istituito e gestito il servizio di scuolabus.
Allo stesso modo, il Comune ha apposto la segnaletica stradale nell'area e disciplinatone il traffico, oltre ad aver apposto e regolato anche i dissuasori di velocità, seppur in alcuni casi in coordinamento con l'amministrazione del Centro.
Dal che emerge, complessivamente, un'effettiva destinazione a uso pubblico delle strade, la quale non può che essere avvenuta con il consenso dei relativi proprietari, e conduce a ritenere che effettivamente tale uso pubblico sia stato impresso alle strade e perduri da tempo.
Al riguardo, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato e della Corte di cassazione ha affermato chiaramente che la cd. "dicatio ad patriam" rappresenta "un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività 'uti cives', indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima" (cfr. Cons. Stato, V, 22 agosto 2019, n. 5785; IV, 15 marzo 2018, n. 1662; 22 maggio 2017, n. 2368; V, 16 novembre 2018, n. 6460; nello stesso senso cfr. Cass., II, 14 giugno 2018, n. 15618; 21 febbraio 2017, n. 4416; I, 11 marzo 2016, n. 4851; II, 12 agosto 2002, n. 12167; I, 7 maggio 1993, n. 5262; SS.UU., 3 febbraio 1988, n. 1072).
I presupposti per l'integrazione della dicatio ad patriam consistono nell'uso esercitato "iuris servitutis publicae" da una collettività di persone; nella concreta idoneità dell'area a soddisfare esigenze d'interesse generale; in un titolo valido a costituire il diritto, ovvero in un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l'intenzione di porre il bene a disposizione della collettività (sui diversi profili, cfr. inter multis, Cons. Stato, n. 5785 del 2019, cit.; n. 6460 del 2018, cit.; V, 10 settembre 2018, n. 5286; 9 luglio 2015, n. 3446; 24 maggio 2007, n. 2621 e 2622; Cass., SS.UU., n. 1072 del 1988, cit.).
Nel caso di specie i suddetti elementi sono ben riscontrabili, ed è rinvenibile in specie la destinazione ad uso pubblico delle strade coinvolte.
4.1.3.2. In particolare, quanto agli edifici pubblici, come posto in risalto essi attuano la originaria volontà delle parti nella lottizzazione (art. 6 patto d'obbligo e successiva delibera Prefettizia, cit.) ed esprimono ex se una destinazione a servizio pubblico in favore della collettività generalizzata.
È per ciò chiaro come, nelle intenzioni delle parti - e della stessa impresa di costruzioni - e nell'uso impresso, tali aree ed edifici abbiano destinazione di pubblico servizio, dovendo perciò necessariamente essere accessibili al pubblico, mediante percorso che non può che transitare, dalla pubblica via, per le strade del Centro residenziale, ben aventi dunque (necessitata) destinazione e uso pubblico.
In tal senso, anche l'elemento per cui è necessario che la strada "sia concretamente idonea a soddisfare, attraverso il collegamento anche indiretto alla pubblica via, esigenze di interesse generale" (Cons. Stato, V, 8 gennaio 2021, n. 311) può ben dirsi integrato nella specie a fronte della sussistenza in loco di aree ed edifici pubblici - di cui l'impresa lottizzante era ben al corrente, essendo la loro cessione o realizzazione posta fra le previsioni di lottizzazione - nei sensi suindicati.
Il che consente di per sé di ravvisare la destinazione a uso pubblico delle strade, impressa ai luoghi e spontaneamente accettata nei sensi suindicati, rendendo infondate le doglianze in diverso senso formulate dall'appellante.
Si aggiungano a ciò gli ulteriori dati suesposti consistenti nell'ammissione del trasporto pubblico in loco, nell'apposizione di segnaletica stradale e nella regolazione del traffico da parte dell'amministrazione, tutti elementi che non possono che sottendere una corrispondente volontà dei proprietari, e che concorrono a dimostrare come la destinazione all'uso pubblico delle strade sia stata ben accettata dagli stessi.
In tale contesto non ha valore decisivo, in diverso senso, il fatto che per alcuni periodi siano stati apposti dei cancelli all'area: a ben vedere, infatti, erano stati compiuti atti (e manifestazioni di volontà) il cui effetto di messa a disposizione pubblica delle strade non è stato infirmato da tale (circoscritto) comportamento; ciò a prescindere dalla deduzione per cui tali cancelli sono stati da tempo rimossi, e tutto ciò comunque in un contesto in cui, si ripete, sono presenti edifici pubblici (aventi tale precipua destinazione proprio in conseguenza degli accordi di lottizzazione), oltreché servizi di trasporto pubblico, regolazione del traffico e apposizione di segnaletica stradale pubblica.
A ciò si aggiungano ulteriori elementi, quali l'installazione da parte del Comune di messaggistica variabile, e la cura - quanto meno in alcuni rilevanti frangenti - della manutenzione e rifacimento delle strade, seppure in altri casi (nel quadro della contraddittorietà del comportamento delle parti, di cui si è già dato conto) la stessa è stata richiesta dall'amministrazione al Centro Residenziale, ma pur sempre prevalentemente ai fini della corretta circolazione dello scuolabus, destinato a trasporto pubblico.
Allo stesso modo, non assume rilievo la pregressa installazione di telecamere di videosorveglianza in loco, che di per sé non vale a superare le suddette circostanze da cui emerge la volontà di destinazione pubblica dell'area.
Il che è sufficiente, nel complesso, a ravvisare la destinazione a uso pubblico del tratto viario, non essendo peraltro ammissibile nella presente sede la produzione (e invocazione) di documenti nuovi, depositati dall'appellante in violazione del divieto dei nova di cui all'art. 104, comma 2, cod. proc. amm., in un contesto in cui la relativa ricerca poteva ben avvenire in precedenza a cura dello stesso appellante.
Né rileva ancora, in senso contrario, l'invocata sentenza del Tribunale ordinario di Tivoli n. 1246 del 2015, la quale semplicemente afferma che in relazione ai terreni trasferiti al Comune questo è soggetto agli oneri consortili, ma non incide in alcun modo sul tema (qui rilevante) dell'uso pubblico delle strade, come sopra ravvisato, anche alla luce della destinazione pubblica degli edifici presenti in loco.
Di qui il rigetto della doglianza.
5. Col terzo motivo l'appellante si duole dell'errata valutazione sulla mancata costituzione da parte del Comune di un consorzio stradale obbligatorio, atteso che lo stesso Comune - in caso di riconosciuto carattere pubblico delle strade - dovrebbe sostenerne gli oneri economici, anche tramite consorzio, obbligatorio ai sensi del D.L.Lgt. n. 1446 del 1918 e dell'art. 14 L. n. 126 del 1954.
5.1. Il motivo non è suscettibile di favorevole considerazione.
5.1.1. Occorre premettere che il giudice di primo grado ha dichiarato l'inammissibilità della corrispondente doglianza in quanto inidonea a incidere sulla legittimità dell'ordinanza di rimozione impugnata.
Ciò posto, al di là del fatto che l'appellante non muove specifiche e mirate censure avverso siffatta ratio decidendi, è qui assorbente osservare come, in effetti, per come prospettata la doglianza non incida in alcun modo sui profili di legittimità del provvedimento impugnato, bensì attenga agli obblighi (eventualmente) gravanti in capo al Comune a fronte della (dedotta dall'appellante in termini eventuali) natura pubblica e apertura al pubblico transito delle strade coinvolte.
Per tali ragioni, la stessa doglianza non è suscettibile di favorevole apprezzamento ai fini dell'annullamento del provvedimento sindacale impugnato.
6. Col quarto motivo l'appellante si duole dell'errore in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nel non avvedersi che la circostanza per cui uno degli ingressi del complesso, interessato dal provvedimento impugnato, è situato sul territorio del Comune di Morlupo non è stata mai contestata in giudizio.
Via A.M. (già via "Costa di Fontana Conte") ricade infatti nel viario e stradario del Comune di Morlupo, sicché il provvedimento impugnato va senz'altro caducato (quanto meno) in relazione a tale ingresso, attesa l'incompetenza al riguardo del Comune di Rignano Flaminio in favore di quella di Morlupo.
Lo stesso provvedimento reca peraltro alcuni espressi riferimenti alla "entrata/uscita Morlupo", di fatto confermando la collocazione di tale ingresso nel territorio comunale di un diverso Comune.
Per questo l'appellante domanda "in via subordinata" l'annullamento o dichiarazione di nullità del provvedimento "nella parte che incide sui cartelli e sulle telecamere di videosorveglianza installate e apposte all'entrata/uscita Morlupo".
6.1. Il motivo è fondato e va accolto, come anticipato con effetto prioritario in relazione alla parte del provvedimento inerente al corrispondente ingresso al Centro (cfr. retro, sub 2).
6.1.1. In effetti, l'amministrazione non ha contestato in primo grado il fatto che uno degli ingressi al Centro (e presso il quale sono state installate alcune delle telecamere e dei cartelli oggetto dell'ordine di rimozione) sia collocato in territorio di Morlupo, come affermato dal ricorrente, e ciò deve ritenersi peraltro confermato anche alla luce della documentazione comunale (cfr. nota del Servizio di polizia locale del 26 luglio 2019, richiamata anche dalla memoria del Comune in primo grado, ove si legge che "Gli ingressi/uscite della principale strada della loc. Monte Larco si immettono sulla SR 3 Flaminia, una nel territorio di Rignano Flaminio e l'altra in territorio di Morlupo").
Alla luce di ciò, in tal senso va letta dunque l'ordinanza ove fa riferimento "all'entrata/uscita Morlupo del Centro".
In tale contesto, ferme per quanto di rilievo le suesposte osservazioni in ordine alla natura e alle caratteristiche della strada interessata, il Comune di Rignano - come affermato peraltro dalla stessa sentenza di primo grado e in sé non oggetto di censura - non può esercitare alcun potere in relazione all'installazione di impianti di videosorveglianza e cartellonistica presso il territorio di un altro Comune, come nella specie avvenuto.
Per questo, in accoglimento della doglianza, in riforma della sentenza, va parzialmente accolto il ricorso di primo grado e dichiarato nullo (trattandosi di un'incompetenza per territorio, corrispondente a un difetto assoluto d'attribuzione ex art. 21-septies L. n. 241 del 1990) il provvedimento gravato in relazione alla disposta rimozione del sistema di videosorveglianza e dei cartelli installati all'entrata e uscita sita nel territorio di Morlupo.
7. In conclusione, per le suesposte ragioni, l'appello va parzialmente accolto, nei termini suindicati, e, in parziale riforma della sentenza, va accolto in parte il ricorso di primo grado e dichiarato parzialmente nullo il provvedimento impugnato, nei limiti sopra indicati.
7.1. La peculiarità della fattispecie e la complessità di alcune delle questioni trattate giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione e, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie in parte il ricorso di primo grado e dichiara parzialmente nullo il provvedimento amministrativo gravato, nei limiti di cui in motivazione;
Compensa integralmente le spese fra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Conclusione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati:
Diego Sabatino, Presidente
Valerio Perotti, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere
Alberto Urso, Consigliere, Estensore
Anna Bottiglieri, Consigliere