Annullamento atto e riadozione
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda Bis), sentenza n. 8956 del 3 agosto 2020, annullamento atto e riadozione
MASSIMA
Ai sensi dell’art. 42, comma 2 lett. l) del T.U. enti locali il Consiglio Comunale è competente in relazione agli “acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni”.
Come chiarito, infatti, anche dall’Adunanza Plenaria (sentenza n. 5 del 2015), nonostante non figuri nel c.p.a. una previsione analoga a quella in precedenza recata nell’art. 26, co. 2, l. T.a.r., deve darsi continuità alla portata assorbente del vizio di incompetenza, alla luce della previsione dell’art. 34 c.p.a. che preclude al Giudice di pronunciarsi su poteri non ancora esercitati dall’amministrazione, da riferire anche ai poteri non esercitati dall’autorità competente, ovvero quella chiamata a esplicare la propria volontà provvedimentale in base all’ordinamento di settore. Da ciò consegue che “in tutte le situazioni di incompetenza, carenza di proposta o parere obbligatorio, si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il giudice non può fare altro che rilevare, se assodato, il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus”.
L’amministrazione, a seguito dell’annullamento di un proprio atto, può rinnovarlo dovendo però riesaminare l'affare nella sua interezza e sollevando, una volta per tutte, ogni questione ritenuta rilevante anche appresa successivamente all’annullamento giurisdizionale (Cons. St. sez. III, 14 febbraio 2017, n. 660).
SENTENZA
N. 08956/2020 REG.PROV.COLL.
N. 00909/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 909 del 2020, proposto da
OMISSIS tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Clemente Maria Mannucci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Nicola Spinelli, 5;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Umberto Garofoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove 21;
nei confronti
Comitato Monte Stallonara non costituito in giudizio;
e con l'intervento di
ad opponendum:
OMISSIS, rappresentati e difesi dall'avvocato Vincenzo Perticaro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
della Determinazione Dirigenziale di Roma Capitale, Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica, Direzione Edilizia del 20.11.2019 prot. QI/178547/2019, comunicata alla Cooperativa ricorrente il 22.11.2019, con la quale è stata dichiarata la decadenza della Convenzione ex art. 35 l.865/1971 del 5.12.2007 relativa al comparto G/p del Piano di Zona B50 Monte Stallonara, con conseguente riacquisizione al patrimonio capitolino delle aree con tale atto concesse e delle porzioni immobiliari ivi realizzate; nonché di ogni altro atto presupposto o conseguente, coordinato e connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 luglio 2020 il dott. Salvatore Gatto Costantino ed uditi per le parti i difensori in collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 84 del d.l. n. 18 del 2020, convertito con l. n. 27 del 2020, e dall’art. 4 d.l. 30 aprile 2020, n. 28;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio la Cooperativa Edilizia a m.p. Acli Castelli Romani Terza ed alcuni dei suoi soci hanno agito per l’annullamento della determinazione in epigrafe indicata, con la quale l’amministrazione comunale di Roma Capitale ha dichiarato la decadenza della convenzione sottoscritta ai sensi dell’art. art. 35 della l. 865/1971 in data 5.12.2007, relativa al comparto G/p del Piano di Zona B50 Monte Stallonara, con conseguente riacquisizione al patrimonio capitolino delle aree con tale atto concesse e delle porzioni immobiliari ivi realizzate.
Ai fini che in questa sede rilevano, per l’inquadramento della vicenda oggetto del presente giudizio occorre considerare le seguenti circostanze:
- la Cooperativa ricorrente ha partecipato al Bando Regionale relativo al Programma sperimentale di edilizia residenziale denominato “20.000 alloggi in affitto” di cui alla delibera di G.R. 527/2003, adottata in attuazione del Decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 2523 del 27.12.2001 e, successivamente all’ammissione al finanziamento regionale, il Comune di Roma (oggi Roma Capitale) ha concesso alla Cooperativa medesima il diritto di superficie su alcune aree all'interno del perimetro del Piano di Zona B50 “Monte Stallonara”, ove realizzare 30 alloggi da destinare all'edilizia residenziale convenzionale agevolata;
- ottenuto il rilascio del permesso di costruire n. 456 del 12.4.2006, i lavori hanno avuto avvio, con termine di ultimazione e consegna degli immobili previsto per il 31.12.2008, sicché in data 5.12.2007 la Cooperativa ha proceduto alla sottoscrizione con il Comune di Roma della convenzione sensi dell’art. art. 35 della l. 865/1971, con la quale è stata disciplinata la concessione del diritto di superficie per la realizzazione e gestione degli edifici in corso di edificazione;
- gli immobili sono stati ultimati nel 2010 e, con verbale del consiglio di amministrazione del 25.5.2011, tutti gli alloggi della Cooperativa sono stati assegnati ai soci;
- è accaduto, tuttavia, che, a seguito di esposti, denunce e documentazione presentati all’amministrazione comunale quest’ultima ha avviato un primo procedimento per violazioni nell'esecuzione della convenzione del 5.12.2007, conclusosi, come comunicato con nota prot. 63938 del 9.4.2019, con la declaratoria di decadenza e conseguente risoluzione della convenzione in argomento, disponendosi altresì la riacquisizione al patrimonio capitolino delle aree come concesse e delle porzioni immobiliari ivi realizzate, stante la contestata mancata comunicazione inerente all'avvenuta sottoscrizione del preliminare di vendita con la Società Cooperativa Monte Stallonara e la mancata comunicazione dell'avvenuta sottoscrizione di patti di prenotazione di assegnazione in locazione da parte della Cooperativa Monte Stallonara quale promissaria acquirente del complesso immobiliare, e pertanto, priva di titolarità a consentire la concessione di alcun diritto reale sul medesimo;
- il sopra indicato atto ha costituito oggetto di impugnazione da parte della Cooperativa ricorrente con ricorso straordinario al Capo dello Stato, notificato il 25.7.2019 e depositato presso il Ministero delle Infrastrutture il successivo 26.7.2019, nonostante l’amministrazione comunale, successivamente all’adozione dell’atto in argomento, abbia richiesto alla ricorrente una integrazione documentale necessaria per l'approvazione della tabella riepilogativa della determinazione del corrispettivo massimo di cessione degli alloggi;
- l’amministrazione comunale, acquisiti ulteriori elementi, con nota prot. 143155 del 13.9.2019, ha comunicato l'avvio di un nuovo procedimento avente ad oggetto la dichiarazione di decadenza della Convenzione e la “conseguente riacquisizione al patrimonio capitolino degli immobili ivi insistenti, nello stato di fatto”, conclusosi con l’adozione della determinazione gravata, con la quale nel rilevare la violazione dei prezzi massimi di cessione sono state, in particolare, contestate : a) la violazione del Bando e dell’art. 11 del disciplinare, stante il ricorso all'intermediazione di agenzie immobiliari per la vendita di quote di alcuni dei propri soci a soggetti terzi; b) l’autorizzazione da parte delle cooperative del conduttore originario, socio della cooperativa concessionaria, a sublocare totalmente l'alloggio, dietro pagamento di un canone mensile; c) la mancata presentazione del Piano Finanziario, approvato, come previsto dalle norme convenzionali, dall'assemblea dei soci della Cooperativa concessionaria che evidenzi i costi collegati con il corrispettivo massimo di cessione; d) l’assenza di trasparenza in relazione alle voci di spesa ad alla relativa incidenza sui costi, con preclusione della possibilità per l’amministrazione di svolgere una verifica adeguata; e) gravi violazioni in relazione alle migliorie asseritamente apportate, con riferimento a plurimi profili indicati nel provvedimento.
Avverso la determinazione gravata parte ricorrente ha dedotto il vizio di incompetenza, nonché la violazione dell'art. 35 della l. n. 865/1971, dell'art. 42 comma 2 lett. l) del d.lgs. n. 267 del 2000 e del principio del contrarius actus, in quanto la determinazione di decadenza della convenzione sottoscritta con riacquisizione al patrimonio capitolino delle aree interessate e delle porzioni immobiliari ivi realizzate avrebbe dovuto essere adottata dal Consiglio comunale. Le deduzioni successive si appuntano: sulla violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale; sulla erroneità delle conseguenze che l’amministrazione ha ritenuto di trarre dalla contestata violazione del prezzo massimo di cessione e ciò in quanto l’art. 18 del d.P.R. n. 380 del 2001, l'art. 2 della convenzione e l’art. 14, lett. f) del disciplinare stabiliscono quale unica conseguenza di detta violazione la nullità delle relative pattuizioni senza determinare una incidenza sul rapporto nel suo complesso, emergendo, dunque, anche un contrasto con il generale canone di proporzionalità della determinazione gravata; sulla erroneità di tutte le contestazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato per le ragioni articolatamente esposte in ricorso, supportate dalle relative allegazioni prodotte; sull’assenza nella convenzione e nel disciplinare di una clausola risolutiva espressa, con conseguente preclusione per l’amministrazione di dichiarare la risoluzione della convenzione medesima essendo, per contro, necessario, il sindacato giurisdizionale sulla relativa azione; in via di subordine, sulla violazione degli artt. 3, 4 e 14 del disciplinare, non essendo stato previsto alcun indennizzo in favore di parte ricorrente.
Con atto depositato in data 21 febbraio 2020 hanno spiegato intervento ad opponendum i soci della Società Cooperativa Acli Castelli Romani Terza in epigrafe indicati, assegnatari di immobili realizzati dalla stessa nel programma edilizio “20.000 abitazioni in affitto”, nonché firmatari di un patto di prenotazione di assegnazione in locazione permanente di immobili a proprietà indivisa. Gli intervenienti – nello specificare di essere in possesso dei requisiti economici e personali previsti dalla Circolare CER 3.9.1990 prot. n. 1116 in attuazione dell’art. 8 della L. n. 1179/65, e pertanto dichiarati idonei a godere dei benefici previsti dal programma edilizio ai sensi del D.M. 2523 del 2001 – hanno illustrato sia il procedimento dal quale è scaturita la sottoscrizione della convenzione sia i rapporti con la Cooperativa ricorrente, nei cui confronti hanno rivolto una serie di contestazioni alla luce anche delle denunce presentate alla competente Procura della Repubblica, con produzione, tra gli altri, di atti riferiti al relativo procedimento per i reati di truffa e truffa aggravata. La difesa degli intervenienti ha, dunque, preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso, per omessa notificazione ai soci della Cooperativa ricorrente, sicché stante l’asserita assenza di legittimazione del Comitato Monte Stallonara e, comunque, l’omessa dimostrazione del perfezionamento nei confronti di detto comitato della notificazione dell’atto introduttivo del presente giudizio, troverebbe applicazione la causa di inammissibilità di cui all’art. 41, comma 2 c.p.a.. Con successiva, ulteriore eccezione di inammissibilità è stata dedotta la nullità della procura alle liti prodotta da parte ricorrente, in quanto rilasciata esclusivamente dal Presidente della Cooperativa con modalità comunque irrituali. Nel merito, gli intervenienti hanno articolatamente illustrato, con pertinente documentazione a supporto, la sussistenza di plurime violazioni da parte della ricorrente, sostenendo, dunque, la legittimità dell’operato dell’amministrazione.
Con ordinanza n. 1263 del 27 febbraio 2020 questa Sezione ha rigettato la domanda cautelare, valutando non sussistente il requisito del periculum, stante il necessario recepimento dell’atto impugnato da una successiva deliberazione del competente Consiglio Comunale, in relazione alla quale è stata anche rimarcata la sussistenza di un obbligo dell’ente di provvedere alla sollecita adozione, con l’ulteriore puntualizzazione della considerazione da parte dell’amministrazione degli elementi rappresentati nel presente giudizio da parte ricorrente e dagli intervenienti, attraverso le integrazioni ritenute eventualmente necessarie ovvero opportune.
Roma Capitale si è costituita in giudizio per resistere al gravame e con memorie del 14 febbraio 2020 e del 5 giugno 2020 ha argomentato in ordine alla infondatezza delle deduzioni articolate in ricorso, insistendo per la legittimità del proprio operato, nonché rappresentato che, nelle more della definizione del presente giudizio, la Regione Lazio ha avviato il diverso procedimento diretto alla declaratoria della revoca del contributo pubblico, stante l’acclarata violazione del Bando afferente il finanziamento regionale. Su tali basi, nell’esplicitare che l’amministrazione ha ravvisato la necessità di procedere all’adozione di un provvedimento di annullamento in autotutela in luogo della decadenza, con avvio del relativo procedimento – ragione per cui l’ente non ha proseguito nell’adozione di un formale provvedimento di decadenza –, la difesa di Roma Capitale ha eccepito la sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del presente giudizio nel merito.
Successivamente le parti hanno prodotto ulteriori memorie e documentazione, insistendo per la fondatezze delle rispettive eccezioni e deduzioni.
All’udienza pubblica dell’8 luglio 2020, previa discussione dei difensori delle parti in collegamento da remoto in videoconferenza, come indicato nel relativo verbale, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Il Collegio reputa necessarie alcune preliminari considerazioni, ritenute rilevanti al fine di evidenziare sia l’interesse originario all’impugnativa sia la relativa permanenza e, dunque, l’insussistenza di sopravvenienze determinanti il venir meno della fondamentale condizione dell’azione, oggetto di eccezione da parte della difesa dell’amministrazione comunale.
La presente controversia inerisce ad un rilevante programma sperimentale di edilizia residenziale, finanziato dalla Regione con contribuzione statale, avviato con la pubblicazione del bando indetto dalla Regione Lazio nel giugno 2003, denominato “20.000 abitazioni in affitto”, rispondente all’esigenza di incrementare l’offerta abitativa da concedere in locazione a canone convenzionato a categorie sociali in difficoltà, in possesso di determinati requisiti personali ed economici, per la cui attuazione è stata prevista l’attribuzione dal parte del Comune di Roma (ora Roma Capitale), del diritto di superficie sulle aree interessate alle concessionarie.
Nello specifico, il piano di edilizia economica e popolare B50 Monte Stallonara, interessa una superficie totale di ha 39,79, con previsione dell’insediamento di 4.775 abitanti per una cubatura residenziale complessiva di mc 382.000 ed ulteriori consistenti cubature non residenziali, con spazi adibiti a parcheggi, verde e viabilità pubblica.
Ai fini che in questa sede rilevano, l’area inclusa nel Piano di zona denominato B50 Monte Stallonara è localizzata tra via della Pisana a nord e via di Monte Stallonara ad ovest e l’area residenziale di nuova costruzione, denominata comparto G/p, si compone di fabbricati articolati in più piani, realizzati da varie cooperative e, segnatamente, dalla Cooperativa edilizia a mutualità prevalente Acli Castelli Romani Seconda, dalla Cooperativa edilizia a mutualità prevalente Acli Castelli Romani Terza, dalla Cooperativa edilizia a mutualità prevalente Acli Castelli Romani “Il Nido”.
Si tratta di un’area in precedenza interessata da attività estrattive, come consta dalla documentazione in atti e nella quale sono state rilevate ingenti quantità di rifiuti, con conseguenti esigenze di bonifiche, le cui problematiche, anche per quanto attiene all’attuazione ed ai relativi costi, esulano dalla presente controversia, non avendo costituito oggetto di approfondimento da parte dell’amministrazione ai fini delle verifiche dell’operato delle cooperative sopra indicate, tra le quali l’odierna ricorrente, e delle contestazioni alle stesse rivolte, alla base dell’adozione della determinazione gravata.
Come rappresentato nella narrativa in fatto, a seguito di esposti e delle denunce presentate alla competente Procura della Repubblica – che, a seguito di indagini, ha formulato richiesta di rinvio a giudizio per numerosi soggetti in relazione a diverse fattispecie delittuose, involgenti anche contestazioni a dipendenti dell’amministrazione comunale – Roma Capitale ha eseguito verifiche culminate dapprima in un atto, comunicato con nota prot. 63938 del 9.4.2019, di declaratoria la decadenza e conseguente risoluzione della convenzione, disponendo altresì la riacquisizione al patrimonio capitolino delle aree come concesse e delle porzioni immobiliari ivi realizzate, impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato; successivamente, nell’adozione dell’atto impugnato con il ricorso introduttivo del presente giudizio, recante le medesime determinazioni.
Premesso che il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'atto amministrativo impugnato sulla base dei suoi contenuti e dell’assetto sostanziale degli interessi che con esso viene costituito, non essendo vincolato alla qualificazione della fattispecie operata dall'amministrazione, giova sin da subito evidenziare che la determinazione impugnata integra un atto di natura provvedimentale connotato da immediata lesività, essendo stata con lo stesso dichiarata la decadenza della convenzione sottoscritta ai sensi dell’art. art. 35 della l. 865/1971 in data 5.12.2007, relativa al comparto G/p del Piano di Zona B50 Monte Stallonara, nonché disposta la riacquisizione al patrimonio capitolino delle aree con tale atto concesse e delle porzioni immobiliari ivi realizzate. Il contenuto della determinazione e i requisiti dalla stessa emergenti, dunque, escludono la possibilità di accedere alla tesi dell’Amministrazione Capitolina, secondo la quale si tratterebbe di mero atto endoprocedimentale.
Deve escludersi, altresì, che le circostanze rappresentate dall’amministrazione siano idonee a determinare una declaratoria di improcedibilità del ricorso introduttivo del presente giudizio per sopravvenuta carenza di interesse.
In conseguenza della deliberazione della Giunta regionale Lazio n. 109 del 17.3.2020, pubblicata sul B.U.R. n. 36 del 31.3.2020, di revoca del contributo pubblico alle cooperative sopra indicate, consta che l’amministrazione comunale abbia solo avviato il procedimento di annullamento dell’assegnazione delle volumetrie realizzate, stante il venir meno del presupposto che detta assegnazione aveva legittimato.
In assenza di un provvedimento conclusivo del sopra indicato procedimento in autotutela, dunque, l’atto impugnato non è stato privato della propria efficacia, dovendosi anche considerare che la deliberazione della Giunta regionale, impugnata dalle cooperative interessate e, dunque, anche dalla ricorrente, con ricorso oggetto di trattazione congiunta con quello introduttivo del presente giudizio nella medesima udienza pubblica, è ancora sub iudice, sicché non solo le rilevate sopravvenienze non dispiegano alcuna incidenza sulla procedibilità del presente giudizio ma l’amministrazione non avrebbe dovuto ritenersi esonerata dalla “adozione di un formale provvedimento di decadenza”, come, invece, prospettato dalla relativa difesa nel presente giudizio.
Chiarito quanto sopra esposto, il Collegio deve esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’intervento ad opponendum sollevata dalla difesa della ricorrente che, per la stretta interrelazione sul piano logico e giudico, si ritiene di esaminare congiuntamente all’eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa notifica a tutti i soci della cooperativa ricorrente, sollevata dalla difesa degli intervenienti.
Come esposto nella narrativa in fatto, gli intervenienti sono soci della società Cooperativa Acli Castelli Romani Seconda e, dunque, della cooperativa ricorrente, assegnatari di immobili realizzati dalla stessa nel programma edilizio “20.000 abitazioni in affitto”, nonché firmatari di un patto di prenotazione di assegnazione in locazione permanente di immobili a proprietà indivisa. Gli intervenienti, inoltre, hanno rappresentato la propria costituzione quale parte civile nel procedimento penale avviato nei confronti delle precedenti cariche sociali delle cooperative.
Se deve certamente escludersi che il ricorso introduttivo del presente giudizio avrebbe dovuto notificato ai soci delle cooperative – dovendo, dunque, concludersi per l’infondatezza dell’eccezione sollevata dagli intervenienti – e ciò per l’evidente considerazione che l’impugnativa è stata proposta dalla cooperativa secondo le regole proprie in tema di legittimazione processuale degli enti, dovendosi anche sottolineare che le vicende riferite ai dissidi interni alla cooperativa, connotatisi in termini di vero e proprio conflitto tra soci ed organi sociali, potranno costituire oggetto di contestazione nelle sedi giurisdizionali proprie, il Collegio ravvisa, nondimeno, un interesse ascrivibile in capo ai soci, idoneo a legittimare l’intervento ad opponendum nel presente giudizio.
Dalle difese articolate e dagli atti depositati degli intervenienti, infatti, emerge un loro interesse, meritevole di apprezzamento, a sostituire la cooperativa con l’amministrazione comunale nel rapporto di gestione degli immobili e dei relativi contratti, nella prospettiva del conseguimento del bene della vita anelato, da individuare nel definitivo riconoscimento della spettanza delle unità immobiliari loro assegnate. La sussistenza di tale interesse, peraltro, appare, allo stato, sostenuta dal provvedimento regionale di revoca del finanziamento alle cooperative, prodotto in atti dalla stessa ricorrente, con il quale viene mantenuto “il finanziamento complessivamente erogato….sull’immobile, legato, indissolubilmente, ai soggetti locatari/proprietari (fruitori finali)”, con attribuzione a Roma Capitale della gestione degli alloggi.
Si ritiene di specificare che la spettanza della pretesa degli intervenienti esula dal presente giudizio e che l’incidenza della deliberazione della Giunta regionale sulla loro situazione giuridica soggettiva costituisce oggetto di specifico approfondimento istruttorio disposto da questa Sezione, nell’ambito del giudizio proposto avverso detta deliberazione (R.G. 2860 del 2020), con ordinanza collegiale n.7922 del 2020, con la quale, peraltro, è stato anche sottolineato che: “laddove si accertasse il mantenimento degli alloggi in capo ai loro soci anche a seguito della revoca dell’ammissione al beneficio disposta a carico delle Cooperative, potrebbe prospettarsi come raggiunto lo scopo sociale delle Cooperative medesime, le quali non avrebbero quindi più alcun vantaggio dal mantenimento della titolarità dell’iniziativa edilizia, salvo che residuino interessi oppositivi (legati al trattenimento di proventi altrimenti da restituirsi oppure all’esistenza di oneri ed obblighi organizzativi non altrimenti eseguibili da parte dei soci in condominio) oppure ancora interessi morali (al riconoscimento della correttezza del comportamento esecutivo osservato) che, comunque, parte ricorrente dovrà adeguatamente dedurre e comprovare”.
Pur con tali precisazioni, tuttavia, il Collegio per le ragioni esplicitate nei precedenti capi della presente decisione, ritiene sussistente l’interesse idoneo a sorreggere la proposizione dell’atto di intervento ad opponendum.
Tali circostanze, inoltre, escludono la fondatezza anche dell’eccezione sollevata dagli intervenienti di inammissibilità del ricorso relativamente ai soci, afferendo la legittimità della deliberazione della Giunta regionale ad altro e distinto giudizio, allo stato pendente.
Del pari infondata si palesa l’ulteriore eccezione di inammissibilità dell’intervento sollevata dalla difesa della ricorrente a motivo della omessa notificazione dell’atto di intervento a tutti i ricorrenti, non essendo in contestazione la ritualità e tempestività della notificazione alla cooperativa e non emergendo alcuna vulnerazione del principio del contraddittorio, avendo parte ricorrente articolato ampie difese in relazione a tutte le eccezioni e deduzioni proposte con l’atto di intervento. Relativamente alla notificazione dell’atto di intervento al Comitato Monte Stallonara con pec non presente sui pubblici registri, il Collegio osserva che –, in disparte i rilievi sollevati dagli interventienti quanto alla posizione rivestita dal Comitato e la suscettibilità di valutazione del vizio della notificazione, ai fini del riconoscimento del beneficio previsto dall’art. 37 c.p.a. per la rinnovazione –, non si ravvisa la necessità di disporre integrazioni, in considerazione degli esiti del presente giudizio, secondo quanto si andrà ad esporre nei capi successivi della presente decisione.
Non meritano accoglimento, inoltre, le ulteriori eccezioni sollevate dagli intervenienti, spettando la rappresentante legale al presidente della cooperativa, il quale ha rilasciato regolare procura in data 5 dicembre 2019 e, dunque, in epoca antecedente alla notificazione del ricorso introduttivo del presente giudizio, con chiara e specifica indicazione dell’oggetto del giudizio, risultando, dunque, del tutto ultronei gli atti di ratifica prodotti per mero scrupolo difensivo dalla ricorrente.
Il Collegio può, quindi, procedere all’esame del merito.
Ai fini dell’accoglimento del ricorso riveste portata assorbente la censura diretta a far valere il vizio di incompetenza del dirigente all’adozione della determinazione gravata, venendo in rilievo un’attribuzione per legge rientrante nelle competenze del Consiglio comunale.
Con il provvedimento impugnato l'amministrazione comunale, oltre a dichiarare la decadenza della Convenzione “per la concessione del diritto di superficie ex art. 35 L. 86571971”, ha disposto la “conseguente riacquisizione al patrimonio capitolino delle aree con tale atto concesse e delle porzioni immobiliari ivi realizzate”.
Ciò in quanto il diritto di superficie in favore della Cooperativa ricorrente è stato concesso con delibera del Consiglio Comunale n. 11 del 19.1.2006, con la quale, al punto 5) del deliberato, è stato disposto “di concedere sulle medesime aree il diritto di superficie in favore dei soggetti portatori dei predetti finanziamenti, meglio specificati nelle 10 tabelle allegate, che formano parte integrante del presente provvedimento”.
Ai sensi dell’art. 42, comma 2 lett. l) del T.U. enti locali il Consiglio Comunale è competente in relazione agli “acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni”, sicché, nella fattispecie, le determinazioni oggetto del provvedimento impugnato avrebbero dovuto essere adottate con deliberazione dell’Assemblea capitolina, conclusione, questa, ulteriormente supportata dall’applicazione del principio del contrarius actus.
Si osserva, altresì, che tali regole di competenza sono ampiamente note all’amministrazione comunale, la quale, infatti, in altre analoghe fattispecie ha correttamente concluso il procedimento con la deliberazione dell’organo competente (cfr. la sentenza di questa Sezione n. 5978 del 2020); e, del resto, tale consapevolezza emerge anche dalle difese dell’ente, nella parte in cui sono state addotte a giustificativo della scelta di non procedere alla “adozione di un formale provvedimento di decadenza” le vicende riferite all’adozione della deliberazione regionale di revoca del finanziamento alle cooperative.
La riscontrata sussistenza del vizio di incompetenza, come già evidenziato, riveste carattere assorbente ai fini dell’accoglimento del gravame e dell’annullamento della determinazione impugnata.
Come chiarito, infatti, anche dall’Adunanza Plenaria (sentenza n. 5 del 2015), nonostante non figuri nel c.p.a. una previsione analoga a quella in precedenza recata nell’art. 26, co. 2, l. T.a.r., deve darsi continuità alla portata assorbente del vizio di incompetenza, alla luce della previsione dell’art. 34 c.p.a. che preclude al Giudice di pronunciarsi su poteri non ancora esercitati dall’amministrazione, da riferire anche ai poteri non esercitati dall’autorità competente, ovvero quella chiamata a esplicare la propria volontà provvedimentale in base all’ordinamento di settore. Da ciò consegue che “in tutte le situazioni di incompetenza, carenza di proposta o parere obbligatorio, si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il giudice non può fare altro che rilevare, se assodato, il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus” (ibidem).
Il Collegio, tenuto conto della rilevanza degli interessi implicati, non può che stigmatizzare l’operato dell’amministrazione, la quale non ha ancora proceduto ad un’analisi completa di tutti i profili rilevanti emergenti dalla documentazione in atti, provvedendo ad una frammentazione delle contestazioni con adozione di distinte determinazioni che, per il loro contenuto dispositivo e la natura dei poteri esercitati, non determinano alcuna sommatoria delle contestazioni bensì un superamento di quelle precedenti con quelle oggetto della determinazione successiva, non avendo neppure dato corso, come imposto dalle regole sulla competenza sopra richiamate, alla necessaria sottoposizione all’assemblea capitolina degli esiti raggiunti a seguito delle verifiche svolte. Anche le difese nell’ente nel presente giudizio non hanno, invero, fornito un concreto ed adeguato apporto alla dialettica processuale, risolvendosi sostanzialmente nella riproduzione del provvedimento, senza pertinenti deduzioni in relazione alle specifiche argomentazioni articolate dalla parte ricorrente.
Nella prospettiva, dunque, di un necessario orientamento della successiva attività amministrativa (che il giudice può disporre a tutela delle situazioni dedotte in giudizio, ex art. 34 c.p.a.), il Collegio evidenzia, in primo luogo, in conformità alle coordinate tracciate dall’univoca giurisprudenza, che proprio al fine di escludere una illimitata protrazione della vicenda controversa mediante la parcellizzazione delle risposte amministrative, la motivazione del provvedimento da adottarsi dovrà essere esaustiva e recare una completa disamina di tutte le violazioni e contestazioni nei confronti delle cooperative, che dovranno costituire oggetto di completa ed unitaria considerazione di quanto emerso nel corso dell’istruttoria, inclusi i rilievi sollevati dagli intervenienti, allo scopo di consentire un giudizio completo sul concreto assetto di interessi che viene in rilievo nella odierna fattispecie.
Giova rammentare che anche di recente il Giudice d’Appello ha avuto efficacemente occasione di sottolineare che “non sia accettabile che la crisi di cooperazione tra amministrazione e cittadino possa risolversi in una defatigante alternanza tra procedimento e processo, senza che sia possibile addivenire ad una definizione positiva del conflitto, con grave dispendio di risorse pubbliche e private” (Cons. St., sez. VI, 1321 del 2019).
La stessa giurisprudenza ha in più occasioni ribadito che l’amministrazione, a seguito dell’annullamento di un proprio atto, può rinnovarlo dovendo però riesaminare l'affare nella sua interezza e sollevando, una volta per tutte, ogni questione ritenuta rilevante anche appresa successivamente all’annullamento giurisdizionale (Cons. St. sez. III, 14 febbraio 2017, n. 660).
Nel rideterminarsi, dunque, ferma la necessità della deliberazione dell’Assemblea capitolina, secondo quanto esposto ai precedenti capi della presente decisione, l’amministrazione dovrà esaustivamente valutare non solo delle evidenze già acquisite ma anche tutti gli ulteriori elementi emergenti dalla documentazione in atti, inclusi quelli rappresentati dagli intervenienti, ovvero appresi a seguito di nuovi approfondimenti istruttori, anche in relazione alle attività di bonifica ed ai relativi costi, profilo, questo la cui rilevanza, unitamente agli altri, consta dalla documentazione prodotta senza, tuttavia, essere stata oggetto di quell’adeguato livello di approfondimento e controllo che la gravità e delicatezza della vicenda impongono.
In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso va accolto, con assorbimento delle residue deduzioni, e per l’effetto il provvedimento impugnato va annullato, salve le successive determinazioni dell’amministrazione.
In considerazione della complessità della vicenda, come emergente dalla documentazione in atti, della natura del vizio riscontrato e delle incertezze correlate agli sviluppi procedimentali direttamente incidenti sul rapporto sostanziale che viene in rilievo nella fattispecie, il Collegio valuta, nondimeno, sussistenti i presupposti per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi e nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla la determinazione gravata, salvi i successivi provvedimenti dell’Amministrazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2020, ai sensi dell’art. 84 del d.l. n. 18 del 2020, convertito con l. n. 27 del 2020, e dall’art. 4 d.l. 30 aprile 2020, n. 28, con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore
Brunella Bruno, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Salvatore Gatto Costantino
Elena Stanizzi
IL SEGRETARIO