Autotutela ed azione di annullamento
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), sentenza n. 940 del 9 febbraio 2022, sull’autotutela e l’inammissibilità della richiesta di annullamento
MASSIMA
Il potere di autotutela soggiace alla più ampia valutazione discrezionale dell’amministrazione competente e non si esercita in base ad un’istanza di parte, avente al più portata meramente sollecitatoria e inidonea, come tale, ad imporre alcun obbligo giuridico di provvedere, con la conseguente inutilizzabilità del rimedio processuale previsto avverso il silenzio inadempimento della pubblica amministrazione (cfr., tra le tante, già Cons. Stato, VI, 6 luglio 2010, n. 4308; id., IV, 24 maggio 2010, n. 3270; id. V, 30 dicembre 2011, n. 6995; id., V, 3 maggio 2012, n. 2548; id., VI, 15 maggio 2012, n. 2774; id., 3 ottobre 2012, n. 5199; id., VI, 11 febbraio 2013, n. 767; IV, 24 settembre 2013, n. 4714; 7 luglio 2014, n. 3426; 26 agosto 2014, n. 4309; V, 23 dicembre 2015, n. 5821; IV, 14 maggio 2016, n. 1012; Cons. giust. amm. sic., sez. giur., 13 febbraio 2012, n. 160; nonché, più recentemente, Cons. Stato, IV, 7 giugno 2017, n.2751 e id., V, 24 settembre 2019, n. 6420).
SENTENZA
N. 00940/2022REG.PROV.COLL.
N. 00490/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 490 del 2021, proposto da
OMISSIS S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Guglielmo Calcerano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di San Vito Romano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Marco Morelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
OMISSIS S.r.l.s, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Emanuele Riccardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 10948/2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Vito Romano e di Lgn Food S.r.l.s;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 dicembre 2021 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Calcerano e Riccardi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla società OMISSIS s.r.l. per la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dal Comune di San Vito Romano sull’atto di invito e diffida della ricorrente trasmesso a mezzo PEC in data 3 febbraio 2020, con il quale si chiedeva la revoca e/o l’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione rilasciata alla società OMISSIS s.r.l. per lo svolgimento dell’attività commerciale di media struttura di vendita esercitata in Viale Piave n. 72 di San Vito Romano.
1.1. A fondamento della domanda la ricorrente aveva esposto che: svolgeva attività di commercio all’ingrosso e/o al dettaglio di prodotti alimentari, di articoli di vestiario confezionati, prodotti tessili, elettrodomestici, apparecchi radio e televisivi, nonché dell’import-export dei prodotti stessi; a decorrere dell’anno 2009, aveva esercitato l’attività in San Vito Romano(RM), presso la struttura sita in Viale Piave n. 60, quale piccola struttura di vendita, attraverso l’utilizzo del marchio “Conad City”; aveva inviato al Comune di San Vito Romano, in data 3 febbraio 2020, un’istanza con la quale diffidava l’Amministrazione convenuta a revocare l’autorizzazione rilasciata alla OMISSIS S.r.l., odierna controinteressata, per l’esercizio del Supermercato “Decò” che svolgeva attività commerciale secondo la tipologia “media struttura di vendita” nella medesima strada; aveva, a tal fine, rappresentato come la controinteressata fosse priva dei requisiti previsti della legge della Regione Lazio n. 33 del 1999 per l’esercizio dell’attività svolta, per non avere dotato la struttura di un adeguato parcheggio e di idonei percorsi per disabili.
1.2. Il Tribunale – dato atto dei motivi di censura, delle domande consequenziali (accertamento dell’illegittimità del silenzio e dichiarazione dell’obbligo di provvedere; condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale) e della resistenza in giudizio dell’intimato Comune di San Vito Romano e della controinteressata OMISSIS s.r.l.- ha ritenuto l’insussistenza dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere su una richiesta di intervento in autotutela relativo ad un’autorizzazione rilasciata nel 2007 al Supermercato Auro, non impugnata nei termini di legge, cui era subentrata la OMISSIS a seguito di contratto di affitto di azienda e di Segnalazione Certificata di Inizio di Attività presentata al Comune nel 2016.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore delle altre parti.
2. La sentenza è stata impugnata dalla società Margherita 99 S.r.l., con due motivi articolati in più censure e proposizione, in subordine, di questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990.
2.1. Il Comune di San Vito Romano e la controinteressata si sono costituiti per resistere al gravame.
2.2. Alla camera di consiglio del 9 dicembre 2021 è stata riservata la decisione.
3. Col primo motivo l’appellante sostiene l’erroneità della sentenza, in quanto avrebbe omesso di considerare la disciplina di settore di cui alla legge regionale n. 33 del 1999, applicabile ratione temporis, ed avrebbe perciò “sbrigativamente” inquadrato l’intera vicenda sotto la disciplina dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990.
L’appellante argomenta quindi in merito a detta normativa di settore, osservando che non conterrebbe la previsione di alcun termine di decadenza della pubblica amministrazione dal potere di revoca e che, malgrado ciò, il Comune avrebbe omesso di verificare la posizione della controinteressata, sebbene con la propria istanza la ricorrente avesse sollecitato la revoca dell’autorizzazione per lo stato di fatto attuale della struttura, che sarebbe incompatibile col possesso dei requisiti fissati dalla legge n. 33 del 1999 per violazioni di quest’ultima sopravvenute al rilascio della licenza del 2007.
3.1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di cui appresso.
4. In via preliminare va ribadito il principio -affermato nella sentenza impugnata ed espressione di un consolidato indirizzo giurisprudenziale- per il quale il potere di autotutela soggiace alla più ampia valutazione discrezionale dell’amministrazione competente e non si esercita in base ad un’istanza di parte, avente al più portata meramente sollecitatoria e inidonea, come tale, ad imporre alcun obbligo giuridico di provvedere, con la conseguente inutilizzabilità del rimedio processuale previsto avverso il silenzio inadempimento della pubblica amministrazione (cfr., tra le tante, già Cons. Stato, VI, 6 luglio 2010, n. 4308; id., IV, 24 maggio 2010, n. 3270; id. V, 30 dicembre 2011, n. 6995; id., V, 3 maggio 2012, n. 2548; id., VI, 15 maggio 2012, n. 2774; id., 3 ottobre 2012, n. 5199; id., VI, 11 febbraio 2013, n. 767; IV, 24 settembre 2013, n. 4714; 7 luglio 2014, n. 3426; 26 agosto 2014, n. 4309; V, 23 dicembre 2015, n. 5821; IV, 14 maggio 2016, n. 1012; Cons. giust. amm. sic., sez. giur., 13 febbraio 2012, n. 160; nonché, più recentemente, Cons. Stato, IV, 7 giugno 2017, n.2751 e id., V, 24 settembre 2019, n. 6420).
In relazione all’an del provvedere, il richiamato indirizzo giurisprudenziale si fonda sulla considerazione che, se si imponesse un obbligo di provvedere, il rischio sarebbe anche quello di eludere i termini di impugnare mediante la proposizione di un’istanza all’amministrazione, con possibilità di impugnare l’eventuale esito negativo della procedura, nonostante l’avvenuta decorrenza dei termini per proporre ricorso nei confronti del provvedimento di primo grado, con evidente compromissione delle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche (cfr., da ultimo, Cons. Stato, VI, 25 maggio 2020, n. 3277).
4.1. La sentenza gravata ha fatto buon governo del richiamato orientamento poiché l’istanza del 3 febbraio 2020, posta a fondamento del ricorso, era chiaramente volta ad ottenere da parte dell’amministrazione comunale la revoca o l’annullamento in autotutela dell’autorizzazione rilasciata alla società OMISSIS, nel presupposto dell’illegittimità di tale autorizzazione sin dal momento del suo rilascio.
In tale senso depone il ricorso introduttivo del giudizio, laddove a fondamento della cesura dell’inerzia dell’amministrazione comunale pone l’assunto che <<il provvedimento di autorizzazione per lo svolgimento dell’attività commerciale di “media struttura di vendita” rilasciato dal Comune di San Vito Romano non risulta rispondente ai criteri dettati dalla Legge Regione Lazio n. 33/1999, in particolare agli artt. 16, 18 e 19.
Difatti, la società OMISSIS S.r.l. non si è in alcun modo dotata di idonei parcheggi e di idonei percorsi per disabili.
Peraltro, la sopra detta società ha adibito a parcheggio il perimetro della struttura, non essendo provvista di idonei parcheggi come previsto invece dalla sopra citata legge […] >>, onde concludere che <<Il Comune di San Vito Romano, che ha rilasciato alla società odierna controinteressata l’autorizzazione ex Legge n. 33/1999 è, dunque, incorso in una macroscopica violazione della normativa posta a tutela del regolare svolgimento dell’attività di commercio.>> (cfr. punto 2.5 del ricorso).
Anche la revoca dell’autorizzazione risulta essere stata invocata al fine di “rimuovere l’atto illegittimo in forza del quale la società OMISSIS S.r.l. esercita l’attività di commercio” (punto 2.2 del ricorso). Il ricorso proposto contro il silenzio, dopo aver fatto cenno all’art. 30 della legge regionale n. 33 del 1999, ha indicato, a fondamento dell’asserito potere di revoca dell’autorizzazione, l’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 e la giurisprudenza applicativa di tale ultima disposizione, con la precisazione che nel caso di specie “i presupposti per procedere alla revoca dell’autorizzazione sono rappresentati dalla discrepanza tra le aree indicate dalla odierna controinteressata destinate a parcheggi e la situazione attuale, in quanto il Supermercato “Decò” non presenta i requisiti per poter esercitare l’attività per la quale è stata chiesta l’autorizzazione per media struttura di vendita, proprio perché non dispone di un’area parcheggio che soddisfi i criteri dettati dalla Legge Regionale n. 33/1999” (pag. 12 del ricorso introduttivo).
D’altronde, che la “discrepanza” fosse riscontrabile, secondo la ricorrente, già in occasione del rilascio dell’autorizzazione nel 2007, è desumibile dalla denuncia penale presentata soltanto nel 2019 da OMISSIS contro i funzionari comunali che erano stati coinvolti nel procedimento amministrativo del 2007 e che è stata archiviata dal giudice penale.
4.2. Essendo stata formulata la domanda introduttiva nei termini sopra specificati, è indubitabile che essa lamentasse l’inerzia a seguito di una richiesta di intervento in autotutela per rimuovere un’autorizzazione ritenuta illegittima ab origine, in modo da ottenere un riesame di quest’ultima, malgrado la società ricorrente non avesse impugnato l’autorizzazione rilasciata nel 2007 al OMISSIS né avesse formulato tempestiva denuncia dell’insussistenza dei presupposti della Scia di subentro del 2016 della OMISSIS, sollecitandone la verifica da parte dell’amministrazione (cfr., sull’art. 19, comma 6 ter, della legge n. 241 del 1990, Cons. Stato, IV, 14 maggio 2019, n. 3124).
E’ corretta perciò la decisione di inammissibilità del ricorso avverso il silenzio rifiuto, poiché non sussisteva alcun obbligo di provvedere, da parte dell’amministrazione comunale, a seguito della diffida del 3 febbraio 2020, espressa nei termini sopra specificati, anche a prescindere dalla risposta già inoltrata da parte del Comune di San Vito Romano con la nota del 10 aprile 2019, che aveva fatto seguito alla precedente diffida del 27 marzo 2019.
Non è pertanto necessario approfondire la questione della coincidenza o meno delle due diffide, sostenuta dal Comune ed esclusa dalla ricorrente, al fine di concludere per l’inammissibilità della pretesa della società di ottenere una (seconda) risposta da parte dell’amministrazione.
4.3. Parimenti corretta - oltre che, come si dirà, non specificamente contestata dall’appellante - è l’ulteriore affermazione della sentenza gravata circa l’insussistenza, nel caso di specie, di un’ipotesi di autotutela doverosa (cfr., a proposito delle ipotesi, individuate in via interpretativa, in relazione alle quali è ravvisabile un obbligo di provvedere con conseguente configurazione di fattispecie di cosiddetta autotutela obbligatoria, tra le altre, Cons. Stato, VI, 20 giugno 2019, n. 4211) ed, in special modo della fattispecie dell’art. 21 novies, comma 2 bis, della legge n. 241 del 1990, atteso che “nel caso in esame, la ricorrente neppure prospetta la ravvisabilità di false dichiarazioni di parte volte ad ottenere il provvedimento favorevole, mentre il procedimento penale aperto dalla Procura della Repubblica di Tivoli nel 2019, finalizzato ad accertare la ricorrenza di reati di falso rilevanti ai sensi dell’art. 480 c.p., risulta archiviato (cfr. documentazione versata in atti dal Comune resistente)”.
5. Il ricorso in appello, mutando del tutto l’impostazione sia della diffida che del ricorso proposto col rito avverso il silenzio, argomenta in merito alla mancanza in capo alla controinteressata dei requisiti richiesti dalla legge regionale n. 33 del 1999 per l’apertura di una media struttura di vendita, per fatti sopravvenuti al rilascio dell’autorizzazione.
Si tratterebbe perciò, ad avviso dell’appellante, di sopravvenienze che avrebbero dovuto comportare l’attivazione, da parte dell’amministrazione comunale, di poteri di vigilanza e controllo sull’esercizio dell’attività di media struttura di vendita, ai sensi dell’art. 30 della legge regionale n. 33 del 1999.
Il ricorso in appello è inammissibile per due concorrenti ordini di ragioni.
5.1. In primo luogo, per violazione dell’art. 101, comma 1, Cod. proc. amm. in quanto l’appellante non contesta specificamente la ratio decidendi basata sull’affermazione dell’insussistenza dell’obbligo di provvedere sull’istanza di riesame di atti amministrativi divenuti definitivi né contesta specificamente l’applicazione fatta dal primo giudice dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, in riferimento all’archiviazione della denuncia penale.
Piuttosto, sostiene che la propria istanza non avrebbe dovuto essere qualificata come rivolta a sollecitare l’adozione di un provvedimento in autotutela ed imputa al giudice di primo grado l’erroneo inquadramento dell’intera vicenda nella fattispecie dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990.
In effetti, come giustamente rileva la difesa comunale, era stata la stessa parte ricorrente a qualificare la propria azione denunciando il silenzio - inadempimento dell’ente sulla propria istanza di autotutela.
5.2. In correlazione a ciò, l’appello risulta inammissibile anche per violazione dell’art. 104, comma 1, Cod. proc. amm. poiché, innovando del tutto la domanda originaria, basata sull’asserito obbligo di provvedere mediante annullamento o revoca in autotutela dell’autorizzazione rilasciata come viziata ab origine, l’appellante assume l’obbligo dell’amministrazione di vigilare sul corretto esercizio dell’attività autorizzata per fatti sopravvenuti, in conformità alla disciplina di settore di cui alla legge regionale n. 33 del 1999, specificamente all’art. 30.
Tuttavia, il richiamo di tale disposizione, solo accennato nel ricorso introduttivo, risulta formulato nel ricorso in appello sia con i profili di novità sopra evidenziati, che rendono il gravame inammissibile, sia con un’interpretazione della disposizione che ne tradisce la ratio legis.
L’art. 30 della legge della Regione Lazio 18 novembre 1999, n. 33 (Disciplina relativa al settore del commercio), nella parte richiamata dall’appellante (vale a dire l’incipit dell’attuale comma 5, secondo cui “Le attività commerciali devono essere esercitate in conformità all’autorizzazione pena la revoca della autorizzazione stessa”), corrisponde alla previsione dell’art. 22 (Sanzioni e revoca) del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, in parte modificata dagli artt. 65-70 del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59).
Le due norme contengono previsioni sanzionatorie applicabili al titolare dell’autorizzazione che non ne rispetti le prescrizioni o che perda i requisiti, in costanza di esercizio di attività commerciali autorizzate.
Non è quindi pertinente l’assimilazione, sostenuta negli atti di primo grado ed in parte ribadita in appello, della “revoca” dell’autorizzazione di cui alla disciplina del commercio alla revoca dell’atto amministrativo contemplata dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, del quale la società ricorrente ha invocato l’applicazione con la diffida del 3 febbraio 2020.
Piuttosto va ribadito che le sopravvenienze idonee ad attivare l’obbligo di procedere dell’amministrazione devono avere carattere oggettivo, non potendo essere riferite alla posteriore (o tardiva) percezione o acquisizione della parte che ne sollecita l’autotutela (così Cons. Stato, V, n. 6420/2019 cit.).
6. Quanto detto sopra sull’inammissibilità del ricorso in primo grado e del ricorso in appello consente di ritenere, prima ancora che manifestamente infondata, addirittura irrilevante, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 che l’appellante ha sollevato rispetto agli artt. 1, 2, 3, 97 e 117 della Costituzione.
La questione è posta per i seguenti due profili: l’irragionevolezza del termine massimo di diciotto mesi per l’annullamento in autotutela dell’atto illegittimo; il contrasto della disposizione, se applicata alla materia delle autorizzazioni per esercizi commerciali, con l’art. 117 della Costituzione in tema di riparto di competenze e potestà legislativa regionale in materia di commercio.
6.1. In relazione al primo profilo, è sufficiente osservare che l’inammissibilità del ricorso non dipende dall’applicazione del termine massimo di esercizio del potere di annullamento d’ufficio, bensì dalla natura discrezionale di tale potere e dall’impossibilità di invocarne l’esercizio per il riesame di atti amministrativi divenuti definitivi per decorso del termine di impugnazione.
6.2. In relazione al secondo, valgono le considerazioni svolte a proposito dell’istituto della “revoca” dell’autorizzazione all’esercizio di attività commerciale, che, così come disciplinato dall’art. 30 della legge regionale n. 33 del 1999, non è affatto soggetto ai limiti di esercizio degli artt. 21 nonies e 21 quinquies della legge n. 241 del 1990.
Queste ultime disposizioni, non interferendo con i poteri sanzionatori previsti dalla disciplina, nazionale e regionale, in materia di commercio, non regolano nemmeno le sopravvenienze cui si riferisce l’atto di appello, laddove (peraltro inammissibilmente, come detto) sostiene che il Comune di San Vito Romano avrebbe dovuto attivare il potere di vigilanza presupposto dall’art. 30 della legge regionale.
Essendo questa, tutt’al più, la norma applicabile, è priva di rilevanza la questione di legittimità costituzionale posta con riferimento all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990.
Tale questione va perciò disattesa.
7. Col secondo motivo di appello è denunciata l’omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria.
Il motivo non merita favorevole apprezzamento, considerato che, avendo il tribunale dichiarato inammissibile il ricorso, ne è risultato l’assorbimento della domanda risarcitoria.
Sebbene infatti l’assorbimento non sia stato dichiarato, consegue necessariamente alle ragioni della pronuncia in rito.
La riscontrata insussistenza dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere comporta la mancanza dell’elemento costitutivo della responsabilità della pubblica amministrazione per il mancato esercizio di un’attività che la parte ha infondatamente ritenuto obbligatoria (arg. ex art. 30, comma 2, Cod. proc. amm.) e, a maggior ragione, per il ritardo nell’emettere un provvedimento infondatamente ritenuto come dovuto (art. ex art. 2 bis, comma 1, della legge n. 241 del 1990 e 30, comma 4, Cod. proc. amm.).
7.1. Ogni altro profilo di danno, diverso da quello prodotto dall’asserita violazione da parte dell’amministrazione comunale dell’obbligo di provvedere sull’istanza avanzata dalla società ricorrente il 3 febbraio 2020, che si è ritenuto insussistente, esula dal thema decidendum.
La relativa domanda risarcitoria, che parte ricorrente basa, piuttosto confusamente, sull’esercizio asseritamente illegittimo dell’attività commerciale da parte della società controinteressata, è inammissibile, oltre che per la ragione appena detta, per l’assoluta genericità della relativa formulazione, che non consente di individuarne una causa petendi nei confronti della pubblica amministrazione, rientrante nella giurisdizione amministrativa.
8. In conclusione, l’appello va dichiarato inammissibile.
8.1. Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore di ciascuno degli appellati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado, che liquida, in favore di ciascuna delle parti appellate, nell’importo di € 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 dicembre 2021 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Federico Di Matteo, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere
Alberto Urso, Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Giuseppina Luciana Barreca
Luciano Barra Caracciolo
IL SEGRETARIO