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Impugnazione atti: condizioni e presupposti - Cons. Stato, sez. V, sent. 6012 del 05.12.2014

Pubblico
Martedì, 9 Dicembre, 2014 - 01:00

 

 
Il Consiglio di Stato di sofferma, con la sentenza in rassegna, sui presupposti necessari alla impugnazione di atti amministrativi. Trattasi di procedura espropriativa impugnata, rispetto alla quel il ricorso iniziale non viene accolto per motivi strettamente processuali e non di merito. 
 
Individuazione atti impugnazione – formule di stile – atti presupposti 
 
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), sentenza n.6012 del 5 dicembre 2014, sui requisiti necessari alla impugnazione atti 
 
L'individuazione degli atti impugnati deve essere operata non già con riferimento alla sola epigrafe, bensì in relazione all'effettiva volontà del ricorrente, quale è desumibile dal tenore complessivo del gravame e dal contenuto delle censure dedotte sicché è possibile ritenere che sono oggetto di impugnativa tutti gli atti che, seppure non espressamente indicati tra quelli impugnati ed indipendentemente dalla loro menzione in epigrafe, costituiscono senz'altro oggetto delle doglianze di parte ricorrente in base ai contenuti dell'atto di ricorso. 
 
Il generico richiamo, nell'epigrafe del ricorso, alla richiesta di annullamento degli atti presupposti, connessi e conseguenti, o la mera citazione di un atto nel corpo del ricorso stesso non sono sufficienti a radicarne l'impugnazione, in quanto i provvedimenti impugnati devono essere puntualmente inseriti nell'oggetto della domanda ed a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure; ciò perché solo l'inequivoca indicazione del petitum dell'azione di annullamento consente alle controparti la piena esplicazione del loro diritto di difesa. 
 
La mancata impugnazione di un atto rilevante al fine del decidere non può essere surrogata dalla formula di stile, normalmente utilizzata nell'epigrafe del ricorso, e cioè che il gravame si estende a tutti gli atti connessi e presupposti, in quanto tale formula non può ritenersi sufficiente a far ricomprendere nell'oggetto dell'impugnazione atti non nominati e dei quali non è possibile l'individuazione nel testo del ricorso, nemmeno esaminando le censure proposte. 
 
Qualora sussista un rapporto di presupposizione tra atti, l'omessa o tardiva impugnazione dell'atto presupposto rende infatti inammissibile il ricorso giurisdizionale proposto contro l'atto consequenziale, ove non emerga la deduzione di vizi propri che possano connotare un'autonoma illegittimità della singola fase procedimentale di attuazione.
 
 
N. 06012/2014REG.PROV.COLL.
N. 08145/2004 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8145 del 2004, proposto da: 
Campobasso Carlo Franco e Campobasso Francesco, rappresentati e difesi dall'avvocato Aldo Loiodice, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Ombrone, n. 12, Pal. B; 
contro
Provincia di Bari, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sabatino Minucci e Rosa Dipierro, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carlo Pandiscia in Roma, Via dei Prefetti, n. 17; 
Enel Distribuzione s.p.a., in persona del procuratore pro tempore della Direzione Rete Puglia e Basilicata, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe De Vergottini, Cesare Caturani, Giuseppe Libratti, Santa Zingrillo e Angelo Di Giovine, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, Via A. Bertoloni, n. 44; 
Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, non costituito in giudizio; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Puglia – Bari, Sezione II, n. 01672/2004, resa tra le parti.
 
 
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Bari e dell’Enel s.p.a.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti i decreti 3 ottobre 2012, n. 2582 e 30 luglio 2013, n. 1013;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2014 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti l’avvocato Carlo Pandiscia, per delega dell’avvocato Rosa Dipierro, e l’avvocato Giovanni de Vergottini, per delega dell’avvocato Cesare Caturani;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
 
 
FATTO e DIRITTO
1.- Con decreto dell'Assessore ai LL.PP. della Regione Puglia n. 157 del 17 febbraio 1995 è stata rilasciata all’ENEL s.p.a. autorizzazione provvisoria alla esecuzione e contestuale dichiarazione di pubblica utilità delle opere finalizzate alla costruzione ed all'esercizio dell'impianto della nuova cabina primaria del Comune di Triggiano e dei raccordi aerei in agro di Triggiano e Capurso e sono stati fissati i termini entro cui iniziare e concludere le consequenziali procedure espropriative. Il decreto regionale di autorizzazione provvisoria espressamente prevedeva che "La presente autorizzazione s'intenderà decaduta a tutti gli effetti. Salvo proroga, se entro trentasei mesi dalla data della stessa non potrà essere rilasciata l'autorizzazione definitiva". Lo stesso decreto è stato prorogato con decreti regionali n. 212 del 16 febbraio 1998 e n. 16 del 1° marzo1999, recanti a loro volta specifico rinnovo del termine di trentasei mesi, dalla data di emissione di ciascuna proroga, entro il quale l'autorizzazione provvisoria avrebbe dovuto convertirsi in definitiva, pena la decadenza dei suoi effetti.
Il Presidente della Provincia di Bari ha poi emesso, su istanza dell'Enel s.p.a., il decreto n. 482 del 30 marzo 1998, di occupazione d'urgenza dei suoli interessati alla realizzazione dell’opera.
Con decreto del Dirigente del Settore Lavori Pubblici della Regione Puglia n. 252 del 7 aprile 1999 è stata rilasciata autorizzazione definitiva alla realizzazione delle opere in parola e sono stati fissati i termini entro cui iniziare e completare il consequenziale procedimento espropriativo.
Al fine di dare tempestiva esecuzione a detta autorizzazione regionale l'Enel s.p.a., con nota del 2 maggio 2002 ha chiesto alla Provincia l'emissione del decreto di imposizione permanente di servitù relativamente ai suoli interessati all'attraversamento dell'impianto in parola a causa della riscontrata impossibilità di stipulare con i proprietari degli stessi servitù bonarie.
La Provincia di Bari, con decreto n. 106 del 4 luglio 2002, dopo aver accertato la regolarità della documentazione esibita e la sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla normativa in vigore, ha decretato il definitivo asservimento dei suoli interessati dalle opere di cui trattasi in favore dell'Enel s.p.a.
2.- I signori Carlo Franco Campobasso e Francesco Campobasso, comproprietari del fondo sito in agro di Triggiano in contrada Misosta, di cui al catasto urbano del Comune di Triggiano al f. 15, partita n. 18613, particelle n. 332 e n. 1273, sui quali sarebbe stato realizzato il passaggio dei raccordi aerei relativi a detta cabina primaria, previo procedimento di asservimento dei terreni, hanno impugnato il citato decreto n. 106 del 2002 presso il T.A.R. Puglia, Bari.
3.- La Sezione II di detto Tribunale, con sentenza n. 1672 del 2004, ha respinto l’eccezione di tardività dell’impugnazione di detto decreto formulata dall’Enel Distribuzione s.p.a. (perché notificato ad uno dei ricorrenti il 3 ottobre 2002), ha dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale formulata da detto Ente per difetto di giurisdizione ed ha dichiarato tardivo il ricorso, nell’assunto che la sfera giuridica dei ricorrenti era già irrimediabilmente compromessa dal provvedimento n. 252 del 7 aprile 1999, conosciuto come da sentenza n. 1453/2000 e comunque prodotto in giudizio dall’Enel Distribuzione s.p.a. e rimasto in oppugnato anche nel corso del giudizio presso il T.A.R.. Quindi, ritenuto legittimo il lasso temporale entro il quale era stato emanato il decreto di asservimento definitivo n. 106 del 2002, ha ritenuto infondata la domanda risarcitoria sia per mancata specificazione del danno subito e sia perché nell’immediato era stata offerta l’indennità accordata, rifiutata e depositata presso la Direzione Provinciale del Tesoro.
4.- Con il ricorso in appello in esame i signori Carlo Franco Campobasso e Francesco Campobasso hanno chiesto l’annullamento o la riforma della citata sentenza deducendo i seguenti motivi:
a) Erroneità della dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado (pagine 5 – 10 dell’atto di appello)
b) Fondatezza nel merito del ricorso. Violazione di legge. Violazione e falsa interpretazione della l. n. 2359 del 1985. Eccesso di potere per illogicità manifesta. Difetto di istruttoria (pagine 10 – 12)
c) Erronea reiezione della domanda di risarcimento danni (pagine 12 – 16).
5.- Con memoria depositata il 28 ottobre 2004 si è costituito in giudizio l’Enel Distribuzione s.p.a., che ha chiesto la reiezione dell’istanza di sospensione dell’impugnata sentenza perché inammissibile ed infondata.
6.- Con memoria depositata il 9 marzo 2007 si è costituita in giudizio la Provincia di Bari, che ha eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.
7.- Con decreto 3 ottobre 2012 n. 2582 il ricorso è stato dichiarato perento.
8.- Con successivo decreto 30 luglio 2013, n. 1013 è stato revocato il citato decreto di perenzione ed è stata disposta la reiscrizione del ricorso sul ruolo di merito.
9.- Con memoria depositata il 3 ottobre 2014 la costituita Provincia ha eccepito che gli appellanti sarebbero incorsi nelle decadenze di legge con riguardo all’impugnazione del decreto regionale n. 252 del 1999, atteso che il ricorso è stato proposto 2 anni dopo la sua emanazione (nota ai ricorrenti dalla data del 18 gennaio 2000, di notifica dei decreti di determinazione delle indennità provvisorie), e comunque tale decreto non sarebbe stato impugnato espressamente in prime cure non essendo stato indicato nell’epigrafe e non essendo stato oggetto di specifici motivi. Nel merito ha dedotto che il termine di conclusione del procedimento espropriativo sarebbe stato quinquennale, in ossequio all’art. 20 della l. n. 865 del 1971, applicabile al caso di specie in forza dell’art. 4 dell’allora vigente d.l. “115/19”, come introdotto dalla legge di conversione n. 247 del 1974 (le disposizioni di cui a detta legge si applicano a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere ed interventi dello Stato o di altri Enti pubblici); inoltre ha affermato che l’art. 73 della l. n. 2359 del 1865 non sarebbe stato applicabile alla fattispecie perché attinente alle occupazioni nei casi di forza maggiore e di urgenza di cui al precedente art. 71; ciò in quanto l’occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione sarebbe distinta dalle altre occupazioni d’urgenza dovute forza maggiore (frane ecc.), che postulano la restituzione del bene al privato una volta che sia venuta meno la necessità.
10.- Con memoria depositata il 17 ottobre 2014 l’Enel Distribuzione s.p.a. ha dedotto l’infondatezza dell’appello, concludendo per la reiezione.
11.- Alla pubblica udienza del 4 novembre 2014 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.
12.- L’appello è infondato.
13.- Con il primo motivo di gravame è stato dedotto che il primo giudice avrebbe adottato un metro di giudizio eccessivamente formalistico ed in contrasto non solo con il contenuto del ricorso (che dichiarava la volontà dei ricorrenti di impugnare, assieme al decreto definitivo di asservimento, tutti gli atti in esso richiamati e tutti gli atti del procedimento), ma anche con la giurisprudenza secondo cui l’onere di specifica indicazione degli atti impugnati deve ritenersi non assolto soltanto se dalla lettura del ricorso e dei motivi di impugnazione risulti assolutamente incerto l’oggetto del giudizio.
Nel caso di specie i ricorrenti avevano impugnato il decreto n. 106 del 2002 e tutti gli atti in esso richiamati e presupposti, nonché gli atti di cui al procedimento di asservimento dell’immobile dei ricorrenti.
Poiché la censura proposta aveva ad oggetto la violazione dell’art. 73 della l n. 2359 del 1865 (in base al quale le occupazioni per forza maggiore o d’urgenza non possono essere protratte oltre il termine di due anni) non vi sarebbe dubbio che i ricorrenti abbiano inteso impugnare tutti gli atti richiamati nel decreto n. 106 del 2002 contenenti prescrizioni in contrasto con la norma sancita dal menzionato art. 73, tra cui sarebbe compreso il decreto n. 252 del 1999 (che fissava, in maniera assuntamente illegittima, un termine quinquennale per la conclusione della procedura de qua), ivi espressamente richiamato, contenendo la premessa che con decreto n. 525 del 7 aprile 1999 era stata autorizzata la costruzione e l’esercizio dell’impianto di cui trattasi, dichiarando lo stesso di pubblica utilità, urgente e indifferibile e fissando dal 30 giugno 1999 al 30 giugno 2004 i termini di inizio e ultimazione lavori.
La lettura del ricorso di primo grado non lascerebbe quindi incertezze in ordine alla volontà dei ricorrenti di impugnare tutti gli atti del procedimento.
Infondata sarebbe anche la tesi di cui all’impugnata sentenza che il decreto n. 252 del 1999, pur conosciuto, sarebbe rimasto in oppugnato. Esso sarebbe infatti divenuto lesivo e impugnabile quale atto presupposto solo dal momento di emanazione del decreto n. 106 del 2002 e comunque il ricorso era stato notificato il 2 dicembre 2002 e la sentenza il 2 ottobre 2002, sicché il primo decreto sarebbe stato impugnato tempestivamente.
13.1.- Premette in diritto la Sezione che, ai sensi della norma sancita dall'art. 6, r.d. n. 642 del 1907 (ratione temporis vigente, oggi art. 40 c.p.a.) come interpretato dalla costante giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2417; sez. III 14 gennaio 2014 n. 101; sez. IV, 30 maggio 2013, n. 2960):
a) l'individuazione degli atti impugnati deve essere operata non già con riferimento alla sola epigrafe, bensì in relazione all'effettiva volontà del ricorrente, quale è desumibile dal tenore complessivo del gravame e dal contenuto delle censure dedotte sicché è possibile ritenere che sono oggetto di impugnativa tutti gli atti che, seppure non espressamente indicati tra quelli impugnati ed indipendentemente dalla loro menzione in epigrafe, costituiscono senz'altro oggetto delle doglianze di parte ricorrente in base ai contenuti dell'atto di ricorso;
b) il generico richiamo, nell'epigrafe del ricorso, alla richiesta di annullamento degli atti presupposti, connessi e conseguenti, o la mera citazione di un atto nel corpo del ricorso stesso non sono sufficienti a radicarne l'impugnazione, in quanto i provvedimenti impugnati devono essere puntualmente inseriti nell'oggetto della domanda ed a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure; ciò perché solo l'inequivoca indicazione del petitum dell'azione di annullamento consente alle controparti la piena esplicazione del loro diritto di difesa;
c) la mancata impugnazione di un atto rilevante al fine del decidere non può essere surrogata dalla formula di stile, normalmente utilizzata nell'epigrafe del ricorso, e cioè che il gravame si estende a tutti gli atti connessi e presupposti, in quanto tale formula non può ritenersi sufficiente a far ricomprendere nell'oggetto dell'impugnazione atti non nominati e dei quali non è possibile l'individuazione nel testo del ricorso, nemmeno esaminando le censure proposte .
13.2.- Ciò posto, va osservato che nel caso di specie il ricorso di primo grado contiene nell’epigrafe l’indicazione degli atti impugnati, consistenti nel “decreto della provincia di Bari, servizio espropriazioni, n. 106/2002” ed in “tutti gli atti in esso richiamati in quanto presupposti dello stesso e lesivi delle posizioni dei ricorrenti”, nonché in “tutti gli atti richiamati nel presente ricorso” ed in “tutti gli atti di cui al provvedimento di asservimento dell’immobile di proprietà dei ricorrenti, posti in essere per realizzare l’opera di cui alla delibera del consiglio comunale di Triggiano n. 32/’95 (e successive approvazioni e/o varianti)”.
Il decreto del Dirigente del Settore Lavori Pubblici della Regione Puglia n. 252 del 7 aprile 1999, con cui era stata rilasciata l’autorizzazione definitiva alla realizzazione delle opere in parola ed erano stati fissati i termini entro cui iniziare e completare il consequenziale procedimento espropriativo, non è espressamente indicato nel ricorso suddetto né in punto di fatto, né in diritto.
Inoltre le censure formulate con il gravame consistono nel sostanziale assunto che il procedimento di asservimento si era concluso con il decreto n. 106 del 2002, ma l’Enel s.p.a. aveva omesso di chiedere l’emissione del decreto stesso in tempo utile rispetto ai termini di legge, che, ex art. 73 della l. n. 2359 del 1865 sono stabiliti in due anni dalla data di emissione del decreto di occupazione d’urgenza (e non dalla data di immissione in possesso).
Nessun riferimento né esplicito né implicito è quindi contenuto nel ricorso di primo grado al citato decreto n. 252 del 1999 ed è quindi da ritenere pienamente condivisibile al riguardo la sentenza di primo grado, che ha dichiarato tardivo il gravame per non arrecare l’impugnato decreto n. 106 del 1992 alcuna autonoma lesione alla sfera giuridica dei ricorrenti, in realtà compromessa dal vero atto lesivo ovvero dal decreto del 1999, inserito nel F.A.L. della Provincia di Bari e conosciuto dai ricorrenti, come dimostrato dalla sentenza della Corte d’Appello di Bari nella causa n. 1453/2002 prodotta nel giudizio, e rimasto inoppugnato anche con il ricorso introduttivo del giudizio.
Non vi è infatti alcun dubbio che il decreto n. 106 del 4 luglio 2002, contenga in premessa il richiamo al decreto del Dirigente del Settore ai LL.PP. della Regione Puglia n. “525” (recte: 252) del 7 aprile 1999 con cui era stata autorizzata la costruzione e l’esercizio dell’impianto di cui trattasi, fissando il termine di ultimazione dei lavori nel 30 giugno 1999 e di inizio del procedimento espropriativo nel 30 giugno 1999, da portare a termine entro il 30 giugno 2004.
La censura di emissione del decreto di definitivo asservimento dei terreni de quibus n. 106 del 4 luglio 2002 in tempo non utile rispetto ai termini di legge, che, ex art. 73 della l. n. 2359 del 1865 sono stabiliti in due anni dalla data di emissione del decreto di occupazione d’urgenza n. 482 del 30 marzo 1998, è infatti superata dalla circostanza che il decreto del 2002 è stato emesso nell’osservanza dei termini fissati nel decreto n. 252 del 1999, che, come già evidenziato, non è stato impugnato, con conseguente inammissibilità del ricorso, sostanzialmente volto a far valere vizi dell’atto presupposto; ciò in quanto, come dedotto nell’impugnata sentenza, il decreto impugnato non arrecava alcuna autonoma lesione alla sfera giuridica dei ricorrenti, già irrimediabilmente compromessa dal decreto n. 252 del 1999.
Qualora sussista un rapporto di presupposizione tra atti, l'omessa o tardiva impugnazione dell'atto presupposto rende infatti inammissibile il ricorso giurisdizionale proposto contro l'atto consequenziale, ove non emerga la deduzione di vizi propri che possano connotare un'autonoma illegittimità della singola fase procedimentale di attuazione.
14.- La conferma della declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado comporta l’assorbimento delle censure in tale sede formulate dalla parte appellante, e riproposte in appello al fine di dedurre la fondatezza del ricorso introduttivo del giudizio.
15.- Quanto alla domanda di risarcimento danni va in particolare rilevato che il primo giudice ha affermato l’infondatezza della pretesa, avendo ritenuto legittimo il lasso temporale in cui è stato emanato il decreto di asservimento definitivo n. 106 del 2002, per mancata specificazione del danno subito e perché nell’immediato era stata offerta l’indennità accordata, rifiutata e depositata presso la Direzione Provinciale del Tesoro.
15.1.- Osserva il Collegio che la procedura posta in essere dall’Amministrazione è rimasta confermata, stante l’inammissibilità del ricorso in esame, nella sua legittimità.
A tanto non può che conseguire l'inaccoglibilità della domanda di risarcimento danni dei quali l’appellante chiede il ristoro, perché non è stato dimostrato né il nesso di causalità, tra essi danni e l'attività dell'Amministrazione, né il carattere ingiusto o illecito della condotta tenuta dall’amministrazione in esecuzione di provvedimenti che non sono stati riconosciuti illegittimi (Consiglio Stato, sez. V, 14 febbraio 2011, n. 965).
Aggiungasi che con il ricorso di primo grado era stata chiesta la condanna dell’Enel s.p.a. e della Provincia di Bari a rifondere ai ricorrenti il danno subito dall’occupazione illegittima e dall’illecita realizzazione dell’elettrodotto, con risarcimento dei danni materiali e morali da quantificare alla luce del valore del bene occupato e di quello non occupato “ma ridotto a nulla nel suo valore alla luce anche della normativa sulla tutela della salute e sulle distanze in materia di elettrodotti e cabine primarie, con rivalutazione ed interessi dovuti per legge per un totale di 200.000 (duecentomila) euro o di altra somma, maggiore o minore che sarà quantificata in corso di causa, attesa la vocazione edificatoria del bene” come da perizia da depositare o da disponendo C.T.U..
La richiesta, ribadita in secondo grado, è comunque inaccoglibile stante la sua genericità, atteso che del danno lamentato non è stata fornita adeguata prova nell'an e nel quantum da parte dell'interessato.
16.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione.
17.- Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.
Il Collegio rileva che la pronuncia di infondatezza del ricorso si fonda, come dianzi illustrato, su ragioni manifeste che integrano i presupposti applicativi delle norme sancite dall’art. 26, co. 1, c.p.a., secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210; Sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252; Sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria – ex art. 26, co. 1.
Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul punto in esame sono state, nella sostanza, recepite dalla novella recata dal d.l. n. 90 del 2014 all’art. 26 c.p.a. Invero:
a) l’art. 26, comma 1, che rinviava (e rinvia) all’art. 96 c.p.c., prevedeva la condanna, su istanza di parte, al risarcimento del danno se la parte ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (art. 96, comma 1, c.p.c.), nonché la condanna anche d’ufficio in favore dell’altra parte, di una somma equitativamente determinata;
b) il d.l. n. 90 del 2014 ha inciso sia sull’art. 26, co. 1, c.p.a., in termini generali, valevoli per tutti i riti davanti al giudice amministrativo;
c) sebbene l’art. 26, co. 1, continui a richiamare l’art. 96 c.p.c. in tema di lite temeraria, detta ora una regola più puntuale stabilendosi che in ogni caso, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, comunque non superiore al doppio delle spese liquidate, in presenza di motivi manifestamente infondati;
La condanna delle parti ricorrenti ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, co. 2-quinquies, lett. a) e f), l. n. 89 del 2001.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, respinge l’appello in esame.
Condanna i ricorrenti Carlo Franco Campobasso e Francesco Campobasso, in solido tra di loro, al pagamento delle spese di lite, spese che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00) in favore della Provincia di Bari ed in euro 4.000,00 (quattromila/00) in favore dell’Enel Distribuzione s.p.a., oltre accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15% a titolo di rimborso di spese generali);
Condanna altresì detti ricorrenti, ai sensi dell’art. 26, co. 1, c.p.a., al pagamento della somma di euro 2.000,00 (duemila/00) in favore della Provincia di Bari e della somma di euro 2.000,00 (duemila/00) in favore dell’Enel Distribuzione s.p.a.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente FF
Francesco Caringella, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Doris Durante, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

 

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