Incompetenza: non applicabile l'art. 21-octies della legge 241/90
CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA, Sezione giurisdizionale, sulla non applicabilità dell’art. 21 octies della legge 241/90 al vizio di incompetenza
MASSIMA
Non è applicabile l’art. 21 octies l. n. 241 del 7 agosto 1990 e il meccanismo di non annullabilità per vizio formale ivi portato al vizio di incompetenza, relativa o assoluta, in quanto il principio di legalità costituzionalmente sotteso all’ordinamento amministrativo non consente a qualsiasi ente o organo amministrativo di fare tutto ciò che sia giusto e legittimo, ma di competenza altrui: deve, all’opposto, affermarsi che, per quanto “forte” sia l’interesse a essa sotteso, l’attività svolta da un soggetto o da un organo incompetente è concettualmente da parificare – una volta che il vizio di incompetenza sia stato fondatamente dedotto – all’attività amministrativa non ancora esercitata, quella potendo essere svolta solo dall’ente e dall’organo cui l’ordinamento ha attribuito la competenza a provvedere
SENTENZA
N. 00715/2024REG.PROV.COLL.
N. 00959/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 959 del 2024, proposto dalla Regione Siciliana Assessorato Regionale Beni Culturali e Identità Siciliana, Sicilia Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, 6;
contro
Carmelo Fiore, rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Starvaggi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima) n. 978/2024, resa tra le parti, nella causa iscritta al ruolo generale n. 2327/2023, pubblicata in data 12 marzo 2024 e notificata in data 29 maggio 2024.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Carmelo Fiore;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 settembre 2024 la Cons. Paola La Ganga e uditi per le parti gli avvocati come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il signor Carmelo Fiore ha impugnato in prime cure:
- il silenzio-rigetto formatosi in ordine al ricorso gerarchico proposto in data 4 luglio 2023 avverso la nota prot. n. 0009723 del 26 maggio 2023 con la quale il Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana – Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Messina ha rigettato l’istanza prot. 16971 del 2 dicembre 2004 con cui lo stesso aveva chiesto il rilascio del N.O. di competenza in sanatoria riguardante le opere realizzate in località Santa Caterina foglio 3 particella n. 1639 sub. 2 in Tortorici (ME);
- la nota prot. n. 0009723 del 26 maggio 2023, notificata in data 6 giugno 2023, con la quale il medesimo Dipartimento ha rigettato la citata istanza prot. 16971 del 2 dicembre 2004 di rilascio del N.O. di competenza in sanatoria riguardante le dette opere.
2. Il T.A.R ha accolto il ricorso annullando il provvedimento impugnato della Soprintendenza affermando che il Comune sia l'unico ente legittimato a decidere sulla sanatoria edilizia. La sentenza è stata motivata sulla necessità di garantire la coerenza procedurale e il rispetto delle competenze attribuite agli Enti dalla normativa regionale siciliana.
Il TAR con la sentenza appellata ha accolto il ricorso in quanto ha rilevato una contraddittorietà tra il parere negativo, espresso tardivamente dalla Soprintendenza, e la concessione edilizia in sanatoria, già rilasciata dal Comune, ritenendo che solo il Comune abbia il potere di decidere sull’istanza di condono senza che la Soprintendenza possa autonomamente esercitare poteri di autotutela esecutiva, potendo quest’ultima unicamente sollecitare il Comune a esercitare – ove ne ricorrano i presupposti di legge – il potere di autotutela in caso di parere omesso o travisato.
3. Con l’odierno appello, corredato di istanza cautelare, l’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana ha impugnato la sentenza n. 978/2024 per i seguenti motivi:
I) Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.a..
L'appellante sostiene che il TAR erroneamente abbia annullato l'intero provvedimento, incluso l'ordine di demolizione, anche se l'atto era stato impugnato solo per il rigetto del nulla osta paesaggistico.
Il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse ad agire, poiché l'impugnazione riguardava solo il rigetto del nulla osta, non l'ordine di demolizione.
II) Violazione degli artt. 2907 c.c., 99 e 112 c.p.c. – Nullità della pronuncia impugnata.
Si contesta la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., per ultrapetizione, sostenendo che la pronuncia del TAR sia andata oltre i limiti della domanda proposta, avendo annullato l'intero provvedimento quando era stata impugnata solo una parte di esso.
III) Erroneità della sentenza per inosservanza dell’art. 40 c.p.a..
La mancata formulazione di specifici motivi di censura avverso l’ordine di ripristino, in violazione dell’art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a., avrebbe dovuto indurre il T.a.r. a pronunciare l’inammissibilità della domanda di annullamento di detto ordine.
IV) Erroneità della sentenza per mancata pronuncia di annullamento parziale di provvedimento complesso e scindibile.
L’Assessorato censura la sentenza gravata nella parte in cui non ha dichiarato l’annullamento parziale del provvedimento, con esclusivo riferimento alla parte in cui ha disposto l’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
V) Travisamento dei presupposti di diritto – Illogicità della motivazione – Illogicità, incoerenza, irragionevolezza, ingiustizia manifesta della motivazione.
L’Assessorato eccepisce i suddetti vizi della sentenza gravata, nella parte in cui, si è pronunciata su una circostanza non dedotta dichiarando l’illegittimità del provvedimento, in quanto il T.a.r. ha sostenuto che il petitum del giudizio sia la legittimità dell’esercizio dei poteri di autotutela esecutiva da parte della Soprintendenza e facendo derivare l’illegittimità dell’ordine di ripristino dalla contraddittorietà tra quanto in esso stabilito e l’intervenuto rilascio della concessione edilizia.
VI) Erroneità della sentenza per violazione dell’art. 21 octies della legge n. 241/90.
In subordine, ove si ritenga titolare del potere repressivo il solo ente locale, si chiede di riformare la sentenza e di qualificare il vizio, in tesi surrettiziamente dedotto dal Tar e non dal ricorrente, quale vizio di incompetenza relativa della Soprintendenza che lo ha adottato e per l’effetto, essendo incontroverso che l’ordine di rimessione in pristino non è illegittimo per violazione di legge, far rientrare il vizio di incompentenza relativa tra i vizi procedimentali, cui è applicabile l’art. 21-octies, comma 2, della l. 241/90.
4. Nella camera di consiglio del 3 settembre 2024, avvertite le parti sulla possibilità di decidere la controversia con sentenza breve, la causa è stata trattenuta in decisione.
5. Preliminarmente va dichiarata l’infondatezza delle eccezioni procedurali sollevate dalla parte appellante.
5.1. Nessuna violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.a. si ravvisa nella sentenza appellata, in quanto il ricorrente in primo grado ha impugnato l’intera nota prot. n. 0009723 del 26 maggio 2023 con la quale il medesimo Dipartimento ha rigettato la citata istanza di rilascio del N.O. di competenza in sanatoria e ne ha disposto conseguentemente la demolizione (il ricorso di primo grado conteneva anche la domanda cautelare motivata proprio sul timore di esecuzione della parte repressiva del provvedimento, dunque palesemente impugnata).
Non è stata impugnata soltanto la parte del provvedimento in cui la Soprintendenza esprime il parere negativo, come rilevato dall’Avvocatura appellante; anzi si ritiene che proprio il conseguente ordine di demolizione abbia indotto il ricorrente a promuovere prudenzialmente il ricorso di primo grado, di cui diversamente avrebbe potuto predicarsi il difetto di interesse all’annullamento essendo la parte ormai titolare della concessione edilizia in sanatoria n. 29/2011 rilasciatagli dal Comune (cfr. C.G.A.R.S. 17 luglio 2023, n. 443, che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso di prime cure per carenza di interesse in un caso, del tutto analogo, in cui il parere della Soprintendenza era stato emesso «non già ancora in tempo utile nella dinamica endoprocedimentale, ma addirittura a procedimento già definito», perciò ritenendolo «essere ormai del tutto privo di ogni effetto lesivo, non potendo comunque di per sé superare i provvedimenti comunali già emanati»).
5.2. Anche l’eccezione di nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui al secondo motivo di appello, e l’eccepita erroneità della sentenza per inosservanza dell’art. 40 c.p.a., di cui al terzo motivo di appello, sono infondati.
Il Collegio ritiene che il T.a.r., interpretando al meglio il sesto motivo di ricorso, abbia correttamente ritenuto l’illegittimità della nota di diniego del parere in sanatoria della Soprintendenza per assoluto contrasto con la concessione edilizia in sanatoria, rilasciata dal Comune dodici anni prima dell’emissione di detta nota.
L’appellato nel ricorso introduttivo ha chiaramente indicato la concessione edilizia in sanatoria rilasciatagli, eccependo conseguenzialmente l’illegittimità del sopravvenuto provvedimento di rigetto impugnato.
6. Sempre in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità della riproposizione in appello da parte dell’appellato di tutte le censure dallo stesso proposte nel ricorso di primo grado per far dichiarare, in via subordinata, a questo giudice l’illegittimità del provvedimento impugnato.
Tale riproposizione è inammissibile in quanto le relative statuizioni della sentenza sono passate in giudicato, stante che il T.ar. le ha scrutinate respingendole. L’appellato avrebbe dovuto impugnare incidentalmente la sentenza nella parte in cui ha rigettato i detti motivi di ricorso sollevati in primo grado, non potendo trovare applicazione in questo caso l’art. 101, comma 2, c.p.a che consente, per la parte vittoriosa in primo grado, limitatamente ai motivi non censurati o dichiarati assorbiti dal giudice, la semplice riproposizione in appello con memoria non notificata e senza la proposizione di appello incidentale.
7. Nel merito – premesso che nel caso di specie si controverte in ordine alle sorti di un provvedimento di rilascio del c.d. terzo condono (2003) in zona soggetta a vincolo (paesaggistico) relativo – sono infondati i motivi di appello quarto e quinto, che si esaminano congiuntamente.
7.1. La sentenza appellata correttamente sottolinea che, in Sicilia, la Regione gode di potestà legislativa primaria in materia di tutela del paesaggio, a differenza di quanto prevede la normativa nazionale, e che, conseguentemente, l'autorizzazione paesaggistica rientri, ai sensi dell’art. 3 della l.r. n. 80 del 1° agosto 1977, nella competenza esclusiva dell’Assessorato regionale dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, ora denominato Assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana, di cui sono organi periferici le “Soprintendenze per i beni culturali e ambientali”, istituite su base provinciale, alle quali, ai sensi dell’art. 46, comma 1, della l.r. del 28 dicembre 2004, n. 17, è affidato il rilascio o il diniego dell’autorizzazione paesaggistica.
Ne deriva che per la Regione siciliana sia il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, ex art. 146, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004, sia il provvedimento di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica ex art. 167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42/2004 sono procedimenti semplificati, proprio perché di esclusiva competenza della Soprintendenza.
Nel procedimento di sanatoria edilizia ex art. 32 della l. n. 47/1985, il parere della Soprintendenza, preposta alla tutela del vincolo, non costituisce un provvedimento autonomo, ma un mero atto endoprocedimentale, pur se vincolante, che si inserisce nel procedimento, ex art. 35 della l. n. 47/1985, di rilascio del titolo edilizio, che è di competenza esclusiva del Comune. Il parere dell’ente di tutela integra, quindi, un atto endoprocedimentale la cui omissione si riflette esclusivamente sulla legittimità del provvedimento finale di condono.
Pertanto, la Soprintendenza non ha poteri repressivi autonomi rispetto al (già rilasciato, nel caso di specie) condono edilizio, sebbene il suo parere sia un passaggio obbligato e condizionante la validità del titolo edilizio.
Proprio l’evidente contraddittorietà tra il parere negativo della Soprintendenza e la concessione edilizia in sanatoria già rilasciata dal Comune, unitamente a quanto argomentato sull’esclusiva competenza del Comune a decidere sull’istanza di sanatoria (così come, eventualmente, sul suo annullamento in autotutela), ha indotto il T.a.r. – del tutto correttamente, ad avviso di questo Consiglio – ad accogliere il ricorso annullando totalmente il provvedimento gravato.
È in ogni caso precluso, infatti, alla Soprintendenza l’esercizio diretto di poteri di autotutela esecutiva, rispetto a un provvedimento di sanatoria già rilasciato dal (competente) Comune, potendo la Soprintendenza (come il superiore Assessorato, qui parimenti appellanti) solo sollecitare il Comune a esercitare il potere di autotutela – qualora ne ricorrano tutti i presupposti – in caso di parere omesso o travisato.
Il collegio condivide la premessa giuridica esposta dal T.a.r., nonché l’assunto che oggetto del presente giudizio sia la legittimità (correttamente ritenuta insussistente) dell’esercizio dei poteri di autotutela esecutiva da parte dell’ente di tutela, essendo il provvedimento impugnato in totale contrasto con l’intervenuto rilascio della concessione edilizia in sanatoria da parte del Comune.
Il T.a.r., statuendo l’illegittimità della nota impugnata, ha correttamente ravvisato la contraddittorietà della stessa con il titolo edilizio in sanatoria rilasciato dal Comune e ne ha dichiarato l’illegittimità in accoglimento del sesto motivo di ricorso (a mezzo del quale era stato espressamente eccepito, tra l’altro, che «il provvedimento impugnato assume i connotati dell’ingiustizia sostanziale, stante il palese vizio di eccesso di potere che ha caratterizzato l’agire amministrativo della Soprintendenza»: pag. 16 del ricorso introduttivo).
Invero solo i Comuni, così come correttamente affermato dall’appellata sentenza, possono rilasciare – o, alternativamente, denegare – in Sicilia il permesso di costruire, anche quello in sanatoria (pur se relativo al c.d. terzo condono e in zone soggette a vincolo relativo di inedificabilità), e devono vigilare sul corretto uso del territorio comunale; e quindi solo essi, destinatari esclusivi delle istanze di condono, possono istruire i relativi procedimenti, eventualmente sanzionando gli abusi edilizi non sanabili.
Nella fattispecie de qua, infatti, il parere della Soprintendenza si inserisce, in via endoprocedimentale, nel procedimento di condono edilizio di competenza dell’Amministrazione comunale; laddove il Comune aveva (remotamente) accolto la domanda di condono rilasciando la C. E. in sanatoria (nota prot. n. 29/2011).
Nella specie, il parere della Soprintendenza, impugnato in primo grado, è stato emesso con grave ritardo; non già in tempo ancora utile nella dinamica endoprocedimentale, bensì addirittura a procedimento già definito con la suddetta concessione in sanatoria (e ben tredici anni dopo il rilascio della suddetta concessione in sanatoria e dopo quindici anni dall’istanza inoltrata alla Soprintendenza): sicché lo stesso non può di per sé solo superare il provvedimento comunale di concessione in sanatoria già emanato (da così tanto tempo).
Invero, l’Assessorato, appreso del rilascio della concessione in sanatoria nonostante la Soprintendenza non avesse ancora espresso il proprio parere, avrebbe potuto, ove ve ne fossero stati ancora i presupposti (circostanza qui non scrutinabile, ostandovi la preclusione dell’art. 34, comma 2, c.p.a., ma, in sé, quantomeno incerta, dato l’enorme lasso temporale trascorso dall’ottenimento della sanatoria), chiedere al Comune di adottare un provvedimento di annullamento in autotutela della stessa.
7.2. Sempre per le ragioni esposte, appare infondata, oltre che contraddittoria, la richiesta subordinata articolata in appello di annullare parzialmente la nota della Soprintendenza, impugnata in primo grado, limitatamente alla parte in cui ha disposto la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
L’appellante in modo del tutto contraddittorio chiede l’annullamento della citata nota soltanto in quella parte che, in precedenza e nel corso dei motivi di appello, ha ritenuto non gravata, argomentandone persino una declaratoria di inammissibilità dell’intero ricorso proposto in primo grado dall’appellato.
Anche prescindendo da tale sua contraddittorietà, detta domanda non è fondata.
Il T.a.r., con le motivazioni già richiamate e condivise da questo Collegio, ha ritenuto illegittimo e ha annullato l’intero provvedimento gravato in primo grado; né avrebbe avuto senso un annullamento parziale che ne facesse salva una parte, ovvero il parere di rigetto dell’istanza di sanatoria, che è ex se contraddittorio rispetto alla concessione edilizia in sanatoria rilasciata dal Comune di Tortorici a cui – si ripete – è riservata in esclusiva la competenza a definire il procedimento di rilascio del titolo autorizzativo in sanatoria.
8. Infine, anche il VI motivo di appello, articolato in via subordinata, è infondato.
L’appellante, ove si ritenga titolare del potere repressivo il solo ente locale, ritiene l’incompetenza della Soprintendenza di tipo relativo e ne argomenta che la nota impugnata sarebbe affetta da mero vizio di forma, che afferma dequotabile ai sensi dell’art. 21-octies della l. n. 241/1990, deducendo che il T.a.r. avrebbe dovuto riconosce la legittimità della nota impugnata a tutela degli interessi pubblici c.d. forti.
Il Collegio non ritiene possibile la condivisione di tale argomentazione, nemmeno a tutela di interessi pubblici di carattere superiore, essendo la nota della Soprintendenza illegittima perché del tutto in contrasto col sopravvenuto provvedimento di concessione edilizia in sanatoria.
In un ordinamento ispirato al principio di legalità, questo Collegio non ritiene possibile aderire alla tesi dell’irrilevanza strutturale – id est dequotazione, alias sussumibilità nella fattispecie sanante di cui all’art. 21-octies L. 241/1990 – del vizio di incompetenza (relativa o assoluta che sia), giacché il principio di legalità costituzionalmente sotteso all’ordinamento amministrativo non consente a qualsiasi ente o organo amministrativo di fare tutto ciò che sia giusto e legittimo, ma di competenza altrui: deve, all’opposto, affermarsi che, per quanto “forte” sia l’interesse a essa sotteso, l’attività svolta da un soggetto o da un organo incompetente è concettualmente da parificare – una volta che il vizio di incompetenza sia stato fondatamente dedotto – all’attività amministrativa non ancora esercitata, quella potendo essere svolta solo dall’ente e dall’organo cui l’ordinamento ha attribuito la competenza a provvedere.
Siffatta conclusione consegue, quale suo necessario corollario, alla natura intrinsecamente assorbente di ogni altro vizio che è tipica di quello di incompetenza (quand’anche relativa): corretta e preclara risulta, in proposito, l’argomentazione svolta – e il conseguente principio di diritto affermato, nella specie vincolante non solo ratione imperii, ma ancor prima e soprattutto rationis imperio – dalla Adunanza Plenaria del C.d.S. nella sentenza del 27 aprile 2015, n. 5.
La cui decisione ha stentoreamente specificato:
- che “l’accoglimento del ricorso giurisdizionale per la riconosciuta sussistenza del vizio di incompetenza comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi di impugnazione, in quanto la valutazione del merito della controversia si risolverebbe in un giudizio meramente ipotetico sull’ulteriore attività amministrativa dell’organo competente, cui spetta l’effettiva valutazione della vicenda e che potrebbe emanare, o non, l’atto in questione e comunque, provvedere con un contenuto diverso”;
- che, sebbene “[s]econdo una lettura oggettiva, i poteri cui si riferisce l’art. 34, co. 2, c.p.a. sono quelli mai esercitati da alcuna autorità”, nondimeno, “secondo una opposta lettura, d’indole soggettiva, il riferimento è anche ai poteri non esercitati dall’autorità competente, ovvero quella chiamata a esplicare la propria volontà provvedimentale in base al micro ordinamento di settore”; ed è “senza dubbio da preferirsi quest’ultima esegesi, più rispettosa del quadro sistematico e dei valori costituzionali che si correlano a tale norma: diversamente opinando, del resto, verrebbe leso il principio del contraddittorio rispetto all’autorità amministrativa competente nel senso dianzi precisato – sia essa appartenente al medesimo ente ovvero ad ente diverso ma comunque interessato alla materia – dato che la regola di condotta giudiziale si formerebbe senza che questa abbia partecipato, prima al procedimento, e poi al processo, in violazione di precise coordinate costituzionali: l’art. 97, co. 2 e 3 Cost., infatti, riserva alla legge l’ordinamento delle amministrazioni ed il riparto delle sfere di competenza ed attribuzione, impedendo all’autorità amministrativa di derogarvi a suo piacimento (cfr. Cons. Stato, n. 761 del 2013 cit.)”;
- che, “[p]ertanto, in tutte le situazioni di incompetenza, carenza di proposta o parere obbligatorio, si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il giudice non può fare altro che rilevare, se assodato, il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus”.
Indefettibile corollario di quanto sopra risulta essere, ad avviso del Collegio, l’insostenibilità della tesi – che pure ha avuto una certa diffusione nella giurisprudenza recente – secondo cui il vizio di incompetenza (almeno se relativa) sia passibile di c.d. dequotazione ex art. 21-octies cit., e di conseguente sanatoria ex se; e ciò a prescindere dal fatto che si verta in ambito di interessi c.d. “forti”, o meno.
All’opposto – a meno di non voler contraddire le argomentazioni non solo vincolanti, ma soprattutto convincenti, svolte in argomento dalla cit. decisione dell’Adunanza plenaria – il vizio in discorso non risulta passibile di ascrizione a quelli cui si possa riferire la previsione del cit. art. 21-octies, con ogni conseguente corollario.
Invero, e peraltro, un inaccettabile corollario della tesi dell’automatica sanabilità ex art. 21-octies del vizio di incompetenza sarebbe l’assunto che un provvedimento, purché sostanzialmente “giusto”, possa essere adottato da qualsiasi organo e relegandosi ad assoluta irrilevanza il riparto legale delle competenze tra gli organi amministrativi: ma, se così fosse, il cit. articolo 21-octies, nella parte in cui dequotasse pure il vizio d’incompetenza, diverrebbe strumento di palese e assoluta inciviltà giuridica.
Non può che condividersi, perciò, la tesi del primo giudice, secondo cui la Soprintendenza non può legittimamente esercitare (e men che mai, ma non solo, in sede di autotutela) poteri non suoi, bensì attribuiti dalla legge al Comune competente.
9. Stante la novità della problematica trattata, si ritiene di compensare le spese del presente grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del presente grado compensate.
Ordina che la presente pronuncia sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 3 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Ermanno de Francisco, Presidente
Antimo Prosperi, Consigliere
Michele Pizzi, Consigliere
Antonino Caleca, Consigliere
Paola La Ganga, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Paola La Ganga
Ermanno de Francisco
IL SEGRETARIO