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Dismissione immobili PA - Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1417 del 19.03.2015

Pubblico
Domenica, 19 Aprile, 2015 - 02:00

 

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), sentenza n. 1417 del 19 marzo 2015, sulla dismissione di immoboli PA
 
N. 01417/2015REG.PROV.COLL.
 
N. 08185/2013 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Consiglio di Stato
 
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 8185 del 2013, proposto da: 
Inps (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale), Scip-Società di Cartolarizzazione degli Immobili Pubblici Srl, rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Fiorentino, con domicilio eletto presso Giuseppe Fiorentino in Roma, Via Cesare Beccaria, 29; 
contro
Carlo Visciola, Giancarlo Felicolo, Rinaldo Sallusti, Lelio Barone, Claudia Lombardi, Marta Picciurro, Francesca De Angelis, Emanuele Barone, Maurizio Ingemi, Nicola Li Donni, rappresentati e difesi dagli avv. Federico Tedeschini, Paola Conticiani, con domicilio eletto presso Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, 7; Patrizia Colli, Enrico Andreozzi, Maria Vittoria Spanò, Pierpaolo Felicolo, Vera Fraschetti, Anna Maria Petti, Lorenzo Di Maggio, Maria Mezza, Milvia Del Ghianda, Antonio Maddi, Teresita Massimiliani, Manlio Crescentini, Emma Teresa Saporito; Monica Erede Di Fraschetti Ver Tabocchini, rappresentato e difeso dall'avv. Paola Conticiani, con domicilio eletto presso Federico Tedeschini in Roma, largo Messico, 7; Maria Teresa Cerilli, rappresentato e difeso dagli avv. Gennaro Maria Amoruso, Francesco Marascio, con domicilio eletto presso Francesco Marascio in Roma, Via Martini, 2; 
nei confronti di
Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Agenzia del Demanio, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12; Fabrica Immobiliare Sgr Spa; 
e con l'intervento di
ad opponendum:
Euroart New, rappresentato e difeso dall'avv. Saverio Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso Saverio Sticchi Damiani in Roma, piazza San Lorenzo il Lucina Nr 26; Cerilli Maria Teresa;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II n. 06848/2013, resa tra le parti, concernente applicazione della nuova procedura di vendita del patrimonio immobiliare dell'ente;
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Carlo Visciola e di Giancarlo Felicolo e di Rinaldo Sallusti e di Lelio Barone e di Claudia Lombardi e di Marta Picciurro e di Francesca De Angelis e di Emanuele Barone e di Maurizio Ingemi e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e di Agenzia del Demanio e di Nicola Li Donni e di Monica Erede Di Fraschetti Ver Tabocchini e di Maria Teresa Cerilli;
Viste le memorie difensive;
Visti gli interventi;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2015 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Fiorentino, Morrone per delega di Conticiani, dello Stato Giulio Bacosi, e Sticchi Damiani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio gli attuali appellati (Visciola e altri, come sopra indicati in epigrafe) nella loro qualità di conduttori o aventi causa dell’immobile sito in Roma, via dei Laterani n. 28, di proprietà dell’INPDAP, ora INPS ai sensi dell’art. 21 comma 1, del d.l. n.201 del 6 dicembre 2011, conv. in l. 22 dicembre 2011, n.214, agivano per l’annullamento del decreto dell’Agenzia del demanio, datato 30 novembre 2001, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.290 del 14 dicembre 2001, con il quale erano stati individuati ed elencati i beni immobili di proprietà dell’INPDAP ai quali applicare la nuova procedura di vendita disciplinata dal decreto legge n.351 del 2001, nella parte in cui aveva inserito nel detto elenco il fabbricato con gli immobili di Via dei Laterani n.28 in Roma.
Secondo i ricorrenti tale ricomprensione dell’immobile tra quelli oggetto della operazione di cartolarizzazione da parte dell’ente secondo la nuova disciplina normativa era illegittima perché frutto di errore.
In fatto era avvenuto che: nel marzo del 1998 l’INPDAP procedeva alla dismissione del proprio patrimonio immobiliare in attuazione delle disposizioni del decreto legislativo del 16 febbraio 1998 n. 104 e in particolare dell’art. 6, che disciplina la procedura di vendita degli appartamenti di proprietà dell’ente ai conduttori degli immobili ad uso abitativo; tra il mese di aprile e il mese di maggio del 1998 i conduttori degli immobili siti nel fabbricato di Via dei Laterani n. 28 esprimevano la loro disponibilità all’acquisto e quindi l’ente proprietario e l’ente proprietario procedeva ad acquisire la perizia di stima di ciascun immobile affidandone il compito al Dipartimento del territorio (ex UTE) che provvedeva in data 12 luglio 1999. L’ente inviava ai conduttori, nei mesi di aprile e maggio del 2001, le proposte di vendita formulate sulla base delle stime operate dal detto Dipartimento, rispetto alle quali veniva applicata, per ciascun immobile, la decurtazione del 30% del valore, in ragione di quanto previsto dalla normativa di settore in vigore, invitando i conduttori ad esprimere entro il termine perentorio di sessanta giorni la definitiva conferma dell’acquisto o la rinuncia, utilizzando i modelli allegati alle lettere di comunicazione. I conduttori procedevano ad accettare la proposta, trasmettendo il relativo modulo all’ente proprietario e rendendosi disponibili anche all’acquisto in forma collettiva. Sopravveniva la novità normativa del decreto-legge 25 settembre 2001, n.351 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.224 del 26 settembre 2009, recante disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare, convertito con modificazioni in legge dall’art. 1 legge 23 novembre 2001, n. 410 (pubblicata in G.U. n.274 del 24 novembre 2001).
La novità normativa disponeva all’art. 3 comma 11 che “I beni immobili degli enti previdenziali pubblici, diversi da quelli di cui al comma 10 e che non sono stati venduti alla data del 31 ottobre 2001, sono alienati con le modalità di cui al presente decreto…” e, al comma 20 dello stesso articolo, che “Le unità immobiliari definitivamente offerte in opzione entro il 26 settembre 2001 sono vendute, anche successivamente al 31 ottobre 2001, al prezzo e alle altre condizioni indicati nell’offerta…”; conseguentemente, la nuova normativa non avrebbe potuto trovare applicazione nei confronti dei conduttori del fabbricato di via dei Laterani n.28.
I ricorrenti originari adivano il giudice ordinario al fine di pretendere l’accertamento giudiziale del diritto di definire l’operazione di compravendita; avviata l’azione giudiziale, intervenivano i decreti impugnati in primo grado, che ricomprendevano, inserendolo nella nuova procedura, anche il fabbricato di via dei Laterani n. 28.
Con il ricorso originario i ricorrenti deducevano i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili: il decreto dell’Agenzia del demanio avrebbe inteso attribuire l’effetto dichiarativo della proprietà in capo all’INPDAP dei beni inseriti nell’allegato elenco e le altre conseguenze giuridiche (ai fini della trascrizione di cui all’art. 2644 cod. civile e ai fini della iscrizione dei beni in catasto) senza tenere conto: a) che l’art. 1 comma 3 del d.l. 351 del 2001 preclude tale effetto nel caso in cui siano intervenute precedenti trascrizioni; nella specie, si è verificata la trascrizione della citazione in giudizio “al fine di accertare l’intervenuto contratto definitivo di compravendita o quantomeno l’esistenza di un preliminare di vendita in ordine all’acquisto da parte dei ricorrenti medesimi delle unità immobiliari di via dei Laterani n. 28” ai sensi dell’art. 2932 c.c. avvenuta in data 17 novembre 2001, precedente rispetto alla adozione del decreto dell’Agenzia del demanio adottato in data 30 novembre 2001; b) che la nuova disciplina sarebbe esclusa (art. 3 commi 11 e 20) per i casi in cui sia stato già raggiunto l’accordo tra le parti con la intervenuta stima del singolo immobile, restando da concludere solo la fase del rogito notarile.
Concludevano altresì per la illegittimità dei consequenziali atti, come l’inserimento tra gli immobili contenuti nella procedura di cartolarizzazione (dalla Agenzia del demanio alla SCIP).
Nel giudizio interveniva ad opponendum la società “Fabrica Immobiliare SGR spa” nella qualità di gestore del “Fondo Pitagora” e proprietaria dell’immobile in questione, pervenuto al Fondo dal “Fondo Beta Immobiliare” gestito dalla “Fimit SGR pa” nel 2008 che, a sua volta, l’aveva ricevuto mediante conferimento dall’INPDAP.
Il primo giudice, dopo ordinanza istruttoria con la quale chiedeva di effettuare una ricognizione con relativa documentazione in ordine alla vendita degli appartamenti nel detto fabbricato, accoglieva il ricorso, respingendo l’eccezione di acquiescenza sollevata dall’INPDAP (poi INPS) e disponendo la estromissione della società Fabrica Immobiliare SGR spa.
Avverso tale sentenza ha proposto appello l’INPS, deducendo i seguenti motivi di appello.
Con un primo motivo di appello si deduce la erroneità della sentenza di primo grado nel punto in cui ha respinto la eccezione di acquiescenza o di improcedibilità (per sopravvenuto difetto di interesse o cessazione della materia del contendere) in quanto i ricorrenti di primo grado, per addivenire al rogito, hanno rinunciato al giudizio civile e proceduto alla cancellazione presso la Conservatoria dei registri immobiliari e hanno dichiarato, in sede di rogito, all’art. 4, di accettare espressamente il prezzo di cessione “senza alcuna riserva delle rispettive parti competenti interessate”; inoltre essi hanno acquistato secondo il nuovo regime i loro appartamenti al prezzo definito dalla stima dell’Agenzia del territorio del 12 luglio 1999 (quindi la stima del regime previgente) ridotto del 30% ai sensi del comma 8 dell’art3 del d.l. 351 del 2001, con l’ulteriore abbattimento del prezzo senza alcun onere di acquisto per il soggetto collettivo di unità immobiliari ultronee, con la possibilità di rivendere gli appartamenti dopo cinque anni anziché dieci anni, sicchè è evidente la vantaggiosità delle condizioni contrattuali ottenute in realtà.
Con il secondo motivo di appello l’ente appellante deduce la erroneità della tesi secondo cui il contratto sarebbe concluso con la risposta del conduttore alla nota di opzione inviata dall’ente; al proposito il motivo di appello, oltre che dubitare della giurisdizione del giudice amministrativo qualora si dovesse vertere sulla sorte del contratto concluso, sostiene che, in realtà, con l’accettazione dell’opzione, al conduttore vengono ricostituiti i diritti di prezzo all’ottobre del 2001, nel regime però del sopravvenuto d.l. 351 del 2001 (con corretta applicazione del comma 20).
Avverso la stessa sentenza ha proposto appello l’Agenzia del demanio che deduce: in primo luogo, violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., carenza di interesse e sopravvenuta cessazione della materia del contendere; in subordine, violazione e falsa applicazione del comma 20 dell’art. 3 del d.l. 351 del 2001, in quanto alla data del 31 ottobre 2001 i beni in questione non erano stati venduti (ciò li avrebbe esclusi dalla applicazione della nuova disciplina) in quanto il rogito di compravendita è del 15 aprile 2012 e i conduttori avevano a quella data iniziato un giudizio di accertamento dinanzi al giudice civile proprio diretto a tale acquisto.
Si sono costituiti gli appellati, che eccepiscono la tardività dell’appello incidentale proposto dall’Agenzia del demanio rispetto alla proposizione dell’appello incidentale, applicandosi i termini dimidiati; sostengono di avere pieno interesse alla decisione e chiedono il rigetto degli appelli.
Nella imminenza della udienza pubblica del 10 marzo 2015 e cioè con atto depositato in data 25 febbraio 2015, debitamente notificato, è intervenuta ad opponendum la società New Euroart srl, che ha acquistato da un avente causa di uno degli acquirenti (dalla signora Visciola Livia rappresentata dal suo procuratore generale Visciola Carlo nell’anno 2014). Al proposito, con memoria difensiva, l’INPS eccepisce l’inammissibilità e sussidiariamente la tardività dell’intervento: l’inammissibilità, in quanto l’interventore non potrebbe mai ritenersi munita della legittimazione all’acquisto dei beni invenduti in blocco, che spetterebbe solo agli inquilini acquirenti, sul quale gli appellati sostengono di radicare il loro interesse; la tardività, in quanto l’intervento a ridosso della udienza (soli diciassette giorni prima della fissata udienza pubblica) non è stata giustificata in alcun modo facendo riferimento alla data di conoscenza del giudizio in questione.
Con atto depositato in data 3 marzo 2015 è intervenuta ad opponendum altresì la signora Cerilli Maria Teresa, acquirente in data 1 aprile 2009 di appartamento nello stabile di via Laterani n. 28, di cui danti causa sono stati i signori Spani Tommaso e Vincenzo.
Alla udienza pubblica del 10 marzo 2015 la causa è stata introitata in decisione.
DIRITTO
1.In via preliminare, si ritiene che debba essere affrontata la questione di giurisdizione, anche se la parte appellante ne deduce la possibile insussistenza soltanto con il secondo motivo di appello, nella parte in cui argomenta nel senso che, qualora si controvertesse su contratti da ritenere già conclusi, la cognizione sarebbe del giudice ordinario.
In realtà, nella fattispecie, si tratta di controversie riguardanti i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o di beni pubblici che appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo, come le controversie riguardanti le procedure di rivendita di beni pubblici previste dall’art. 3 d.l. 25 settembre 2001, n.351, conv. con modificazioni, nella l.23 novembre 2001, n.410, nell’ambito del procedimento di cartolarizzazione degli immobili pubblici (in tal senso, tra varie, Cons. Stato, VI, 11 aprile 2014, n.1781).
2. Per la lettera c) dell’art. 119 cod. proc. amm. tali controversie sono sottoposte al rito speciale e quindi ai termini dimidiati.
Nella specie, la parte appellata (Visciola e altri) ha eccepito che l’appello incidentale, con il quale invero l’Agenzia del demanio appella la sentenza di primo grado per ragioni sostanzialmente coincidenti con quelle addotte dall’appellante Istituto previdenziale, sarebbe tardivo in quanto la sentenza è stata notificata in data 4 ottobre 2013, l’INPS succeduto all’INPDAP ha proposto appello notificandolo in data 31 ottobre 2013, mentre l’Agenzia del demanio e i Ministeri hanno notificato l’appello incidentale in data 9 dicembre 2013.
Si può prescindere dall’esaminare tale eccezione, perché gli appelli, entrambi contenenti i medesimi motivi, motivi che vanno comunque esaminati, sono infondati nel merito.
3.In relazione ai profili di ammissibilità e tardività dell’intervento ad opponendum, si osservi che ai sensi dell’art. 28 secondo comma del codice del processo amministrativo, con espressione che si presta ad una lata interpretazione, il terzo che non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse può intervenire in ogni stato e grado del giudizio, accettando lo stesso nello stato e grado in cui si trova.
Il terzo comma dell’art. 50 prevede che l’intervento debba avvenire con deposito ammesso fino a trenta giorni prima della udienza: ne discende che, pur con l’applicazione dei termini endoprocessuali (119 comma 2 cod- proc. amm.) dimezzati, gli interventi, sia il primo intervento (deposito del 25 febbraio 2015) che il secondo (3 marzo 2015) sono da dichiarare inammissibili per tardività.
Nella specie, peraltro, l’intervento dei due aventi causa è consistito soltanto nell’aderire alle conclusioni degli appellati, danti causa, senza nulla aggiungere dal punto di vista delle mere difese.
4.E’ infondato il primo motivo di appello, con il quale si sostiene che erroneamente il primo giudice non avrebbe preso atto della acquiescenza verificatasi e in ogni caso della improcedibilità sopravvenuta.
Al riguardo, l’appello deduce che: 1) i ricorrenti originari hanno rinunciato al giudizio civile; 2) hanno proceduto alla cancellazione delle trascrizioni pregiudizievoli delle loro citazioni in giudizio; 3) in sede di rogito hanno accettato espressamente il prezzo di cessione “senza alcuna riserva delle rispettive parti competenti interessate”; 4) hanno esercitato l’opzione; 5) hanno conferito mandato collettivo all’acquisto; 6) così facendo hanno ottenuto l’acquisto al prezzo di stima, ma ridotto del 30% ai sensi della normativa, con l’ulteriore sconto dell’acquisto in blocco; 7) l’acquisto sarebbe avvenuto a condizioni ancora migliori, avendo ottenuto sia lo sconto del trenta per cento, sia l’ulteriore sconto del quindici per cento (per l’acquisto in blocco), sia perché per le migliori condizioni gli acquirenti non hanno dovuto accollarsi l’invenduto e perché dopo soli cinque anni, piuttosto che dieci, hanno la possibilità di rivendita degli immobili.
In definitiva, ne deriverebbe un comportamento di acquiescenza inequivoco o quantomeno un sopravvenuto difetto di interesse a ricorrere.
Il motivo è infondato.
Come controdedotto dalla parte appellata, la rinuncia al giudizio ha riguardato soltanto l’azione civile diretta all’accertamento della avvenuta conclusione del contratto (definitivo o almeno preliminare) ai fini dell’azione diretta alla esecuzione coatta in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto ai sensi dell’art. 2932 c.c.; la rinuncia alle azioni e la cancellazioni delle trascrizioni non significano anche rinuncia ad impugnare il decreto impugnato in prime cure, rispetto al quale i ricorrenti originari hanno continuato ad agire, avendone l’interesse, come dimostra il presente giudizio; l’esercizio dell’opzione è stato necessario al fine di definire l’acquisto, ma ciò non significa accettare tutte le condizioni, che in realtà derivano dal regime effettivamente applicabile ratione temporis.
Una cosa è acquistare (essere costretti ad acquistare, al fine di perseguire i propri fini); altra cosa è accettare per intero il contenuto imposto delle condizioni contrattuali.
L’acquiescenza, quale comportamento idoneo a ritenere che una parte ricorrente, una volta proposta l’azione giudiziale, non sia più interessata ad ottenere una decisione in merito alla controversia agitata, non può derivare da semplici presunzioni ma deve essere manifestata espressamente con un atto di rinuncia all’azione ovvero dimostrarsi per facta concludentia; l’acquiescenza tacita nei confronti di un provvedimento è configurabile solo in presenza di un comportamento che appaia inequivocabilmente incompatibile con la volontà del soggetto di impugnare il provvedimento medesimo ovvero di proseguire nel giudizio avviato mirando a conoscerne l’esito consistente nella sentenza; non è sufficiente, quindi, a tal fine, un atteggiamento di mera tolleranza contingente e neppure il compimento di atti resi, come nel caso che occupa, necessari od opportuni, nell’immediato, dalla esistenza del suddetto provvedimento, in una logica soggettiva di riduzione del pregiudizio, che non per questo escludono la eventuale coesistente intenzione dell’interessato di reagire poi per la eliminazione degli effetti dell’atto.
Se gli interessati si sono trovati dinanzi alla possibilità di acquistare soltanto alle date condizioni, ciò non determina necessariamente il superamento della volontà di annullare l’atto che, predeterminando date condizioni contrattuali (in primis il prezzo e anche dati diritti importanti scaturenti dal complessivo regolamento contrattuale), incide sul suo contenuto.
L’appello sostiene che la parte acquirente avrebbe tratto un maggior vantaggio dalle condizioni successive, perché, ad invarianza di prezzo (con il trenta per cento di sconto sul prezzo di stima, come sostiene a pagina 12 dell’appello dell’INPS, con il quindici per cento per il mandato collettivo di acquisto, per la possibilità di rivendita dopo cinque anni piuttosto che dieci, per la insussistenza dell’accollo dell’acquisto dell’invenduto) avrebbe ottenuto addirittura maggiori vantaggi dall’assoggettamento al nuovo regime.
In realtà, parte appellata contesta tale ricostruzione: nella memoria finale depositata in data 6 febbraio 2015 sostiene che in realtà sarebbe stato pagato un prezzo maggiore rispetto a quello che sarebbe stato dovuto nella vigenza della disciplina transitoria di favore ai sensi dei commi 11 e 20 dell’art. 3 del d.l. 351 del 2001, conv. in legge 410 del 2001.
Il Collegio osserva che, in effetti, se in punto di fatto il prezzo praticato fosse stato, per tutti gli appellati, coincidente in modo preciso con quello di maggiore favore di cui alla precedente disciplina, cumulato allo sconto di blocco, la presente controversia risulterebbe priva di interesse, limitatamente a tale profilo, ma ciò varrebbe sia per l’INPS (all’appello) che per i ricorrenti originari (al ricorso).
Deve però, per completezza, osservarsi che – prescindendo dallo sconto effettivamente praticato - in ogni caso, per il resto, anche sulla base di ciò che sostengono e deducono gli appellati, mentre talune condizioni o clausole contrattuali sono certamente ed indiscutibilmente di maggior vantaggio per gli acquirenti (la possibilità di rivendita dopo soli cinque anni in luogo di dieci) configurandosi come un maggior o miglior diritto, altre condizioni contrattuali, come l’obbligo e diritto di acquistare l’invenduto (che l’ente previdenziale ritiene essere condizione peggiorativa, mentre gli appellati sostengono essere allo stesso tempo, com’è in effetti, una situazione soggettiva anche attiva), consentendo acquisti a condizioni estremamente vantaggiose, di locali pertinenziali e altro, inducono a ritenere persistente l’interesse ad agire.
Non può accettarsi il rilievo sollevato dall’INPS nelle memorie finali di una possibile “tardività” nella dimostrazione dell’interesse, essendo evidente che già in primo grado ciò che si pretendeva era il miglior trattamento complessivo derivante dalle condizioni di cui alla precedente disciplina.
Pare inoltre in contraddizione la tesi dell’INPS, laddove sostiene da un lato che effettivamente vi è stato un ulteriore sconto (del quindici per cento) a causa dell’acquisto in blocco, mentre dall’altro lato nega che vi sia stato tale acquisto in blocco, al fine di riconoscerne l’ulteriore effetto dell’acquisto dell’invenduto.
Quanto poi alla osservazione che nei fatti l’acquisto in blocco dell’ “invenduto” potrebbe risultare non eccessivamente conveniente, perché avverrebbe “in blocco” non essendo consentita la scelta di singoli immobili invenduti, si tratta di valutazioni che non impingono sulla persistenza dell’interesse per come rappresentato.
Un diritto nel patrimonio di un soggetto costituisce una situazione soggettiva attiva; altra cosa è che potrebbe essere non eccessivamente conveniente l’esercitarlo o mantenere un bene.
In definitiva, deve ritenersi che non si sia verificata alcuna acquiescenza, né che sia sopravvenuta una carenza di interesse a ricorrere per i ricorrenti originari, che mantengono l’interesse all’annullamento del decreto che ha incluso gli immobili in questione tra quelli assoggettati alla nuova disciplina, in vece che a quella intertemporale.
5.Con riguardo al secondo motivo, già esaminata la questione di giurisdizione, va osservato quanto segue.
Il decreto legge sopra indicato (commi 3 e 20 dell’art. 3) prevede che i beni immobili degli enti previdenziali pubblici, diversi da quelli di cui al comma 10 e che non sono stati venduti alla data del 31 ottobre 2001, sono alienati con le modalità di cui al presente decreto; il comma 20 prevede che le unità immobiliari definitivamente offerte in opzione entro il 26 settembre 2001 sono vendute, anche successivamente al 31 ottobre 2001, al prezzo e alle altre condizioni indicati nell’offerta.
Il primo giudice ha ritenuto configurabile la situazione di cui al comma 20 ritenendo di ravvisare una opzione e non una mera manifestazione di interesse all’acquisto e questo perché l’ente aveva comunicato il prezzo ed era seguita l’accettazione della proposta di opzione entro il mese di maggio 2001, quindi ampiamente prima della pubblicazione del decreto legge n.351 del 2001 al settembre 2001.
Il Collegio osserva che, pertanto, non solo si era dinanzi a “unità immobiliari definitivamente offerte in opzione entro il 26 settembre 2001”, ma la opzione era stata anche accettata, mancando quindi soltanto il rogito notarile.
Non può essere accolta la osservazione di parte appellante secondo cui solo al momento del rogito sarebbe possibile accertare il requisito della regolarità locativa (ai sensi del comma 6 dell’art. 3 del d.l. 351 del 2001), alla stregua di un terzo segmento del contratto oltre la proposta e l’accettazione, in quanto si tratta di verifica che, pur necessaria alla conclusione del rogito, non può essere surrettiziamente aggiunta dall’interprete alla volontà del legislatore nella disposizione intertemporale in cui si discrimina la nuova disciplina rispetto alla vecchia, avendo riguardo alle unità immobiliari definitivamente offerte in opzione entro la suddetta data e non già alla effettiva avvenuta definizione della compravendita e ai suoi successivi o coevi accertamenti.
E’ noto che in diritto civile l’opzione è il contratto che attribuisce ad una parte il diritto di costituire il rapporto contrattuale finale mediante una propria dichiarazione di volontà (art. 1331 c.c.); si è dinanzi ad una proposta irrevocabile o ferma quando il proponente mantiene ferma la sua proposta per un certo tempo (art. 1329 c.c.).
Invero, la fattispecie di legge è assimilabile più alla offerta ferma che alla opzione, difettando il momento convenzionale precedente.
Nella previsione legislativa, al locatario spetta il diritto di opzione rispetto alla volontà (offerta in opzione) dell’ente di alienare.
Quindi, agli attuali appellati, non si era chiesta (entro il maggio o anche settembre 2001) una generica disponibilità ad acquistare (disponibilità chiesta in precedenza, quando poi si era provveduto alla stima), nella ipotesi in cui l’ente si determinasse ad alienare (volontà di preferire ma non ancora di alienare).
Si era invece al cospetto di una manifestazione di volontà di offrire, con piena definizione sia del bene oggetto del contratto che dell’elemento del prezzo, definito sulla base delle stime già in precedenza effettuate dagli organi competenti (prezzo minorato della percentuale di legge).
Conseguentemente, una volta accettata tale offerta, ma in realtà anche prima al momento della offerta definitiva in opzione, si era in presenza della fattispecie considerata dalla legge al fine di decidere l’applicazione della vecchia invece che della nuova disciplina: “unità immobiliari definitivamente offerte in opzione entro il 26 settembre 2001”.
Al fine della applicabilità della normativa intertemporale (secondo Cassazione civile, III, 17 maggio 2010, n.11937) si ritiene sufficiente che i conduttori abbiano manifestato la loro volontà di acquisto nelle forme prescritte dalla disposizione medesima entro una certa data (ciò che invero l’ente previdenziale non contesta ritenendo però necessaria anche la stipula notarile e l’accertamento di regolarità locativa).
Nella fattispecie, le unità immobiliari alla data del 26 settembre 2001 non solo erano state definitivamente offerte in opzione, ma quella opzione era stata anche esercitata, sicchè ciò che difettava era soltanto la riproduzione della compravendita oramai conclusa a mezzo dell’atto notarile.
D’altronde, è nozione comune anche al fine della compravendita di bene immobile, che sia necessaria, ma anche sufficiente la prova scritta ai sensi dell’art. 1350 c.c. e che la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata sia necessaria al fine di utilizzare quella forma perché idonea alla trascrizione, ma non perché sia necessaria al fine di produrre l’effetto traslativo inter partes, ormai verificatosi.
5.Per le considerazioni sopra svolte, gli appelli (principale e incidentale) vanno respinti, con conseguente conferma dell’appellata sentenza.
A causa della complessità della vicenda, sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li respinge, confermando l’appellata sentenza. Dichiara l’inammissibilità degli interventi.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini,Presidente
Sergio De Felice,Consigliere, Estensore
Roberto Giovagnoli,Consigliere
Carlo Mosca,Consigliere
Bernhard Lageder,Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/03/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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