Consenso all'uso dei cookie

Tu sei qui

Il catasto non prova - Cons. Stato, sez. VI, sent. n.5 del 05.01.2015

Pubblico
Mercoledì, 7 Gennaio, 2015 - 01:00

 

 
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), sentenza n. 5 del 5 gennaio 2015, sul valore non probatorio delle risultanze catastali
 
 
Ai fini della determinazione dell’effettiva proprietà del bene, alle risultanze catastali non può essere riconosciuto un definitivo valore probatorio, bensì una valenza meramente sussidiaria rispetto a quanto desumibile dagli atti traslativi in quanto contenenti utili indicazioni in ordine all’estensione dei fondi confinanti (sul punto –ex plurimis -: Cass. Civ., II, 23 dicembre 2004, n. 23933).
 
 
N. 00005/2015REG.PROV.COLL.
 
N. 06946/2013 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Consiglio di Stato
 
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 6946 del 2013, proposto dalla signora Maria Pia Versace, rappresentata e difesa dall'avvocato Fernando Scrivano, con domicilio eletto presso Gianluca Savino in Roma, via Monte Santo, n. 14
contro
Comune di Polistena, in persona del sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Rugolo, con domicilio eletto presso Ermanno La Marca in Roma, via Spallanzani, n. 22/A; 
Comune di Polistena - Sportello unico per l’edilizia 
per la riforma della sentenza del T.A.R. della Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 124/2013
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Polistena;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2014 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Scrivano e Rugolo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
 
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria la signora Maria Pia Versace odierna appellante – premesso di essere proprietaria di un immobile sito in Polistena, via Lombardi, 34, impugnava l’ordinanza dell’11 ottobre 2011 con cui il Comune le aveva ingiunto di rimuovere un cancello in ferro, posto sul Vico I Gorizia la cui larghezza (pari a quella dell’intero Vicolo) impediva per intero l’accesso al pubblico transito alla porzione del medesimo Vicolo posto al di là del cancello (porzione che, nella tesi del Comune, era anch’essa di carattere pubblico).
Con successivo ricorso per motivi aggiunti, la signora Versace impugnava il successivo provvedimento del 21 gennaio 2012 con cui il Comune aveva revocato l’autorizzazione ad installare in loco il segnale di ‘passo carrabile’ (autorizzazione già rilasciata in data 1° ottobre 2010).
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito ha respinto il ricorso. ritenendolo infondato.
La sentenza in questione è stata impugnata in sede di appello dalla signora Versace la quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:
1) Error in iudicando – Sulla qualificazione di suolo pubblico, destinato alla strada comunale, del giardino-cortile di proprietà della signora Versace.
I primi Giudici avrebbero erroneamente concluso nel senso della natura pubblica della porzione di suolo posta oltre il cancello realizzato in corrispondenza del ciVico n. 15 del Vico I Gorizia, avendo male interpretato le risultanze di cui alla relazione tecnica versata agli atti del primo grado di giudizio e di cui alla verificazione disposta con ordinanza n. 15/2012.
In particolare, il T.A.R. si sarebbe erroneamente limitato ad enfatizzare soltanto alcuni fra i dati emergenti dalla richiamata relazione (i) i confini indicati nell’atto di compravendita del 24 aprile 1937, il quale indicava l’esistenza in loco di una ‘stradella di tre metri’; ii) il fatto che il Vico I Gorizia sia incluso nell’elenco delle strade comunali; iii) le risultanze dei rogiti notarili successivi a quello del 1939 - nel cui ambito, invece, si dava ancora atto dell’esistenza di un ‘viottolo non in catasto’ -).
In tal modo decidendo, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare una serie di circostanze certamente rilevanti ai fini del decidere, e in particolare:
-il fatto che il cancello per cui è causa insista in loco da tempo immemorabile (e comunque da data non successiva al 1978, per come accertato dalla richiamata relazione di verificazione);
-il fatto che, comunque, il cancello in questione non ‘chiude’ una porzione di territorio qualificabile come ‘pubblica via’ atteso che, nel corso degli anni, il preesistente ‘viottolo’ o ‘stradella’ era stato “inglobato nella proprietà-cortile/giardino – Lombardi prima e Versace dopo” (atto di appello, pag. 10 -);
-il fatto che la parte di territorio interclusa dal cancello: i) non presenta le caratteristiche di una pubblica via; ii) non è servita dalla pubblica illuminazione; iii) si limita ad introdurre verso la proprietà della sola appellante; iv) reca, sul cancello stesso, l’indicazione di un numero civico;
-il fatto che l’area posta all’interno del cancello si presenta con caratteristiche del tutto unitarie rispetto all’area afferente la p.lla 383 (giardino di proprietà esclusiva della signora Versace).
Il complesso delle circostanze appena richiamate avrebbe dovuto indurre i primi Giudici a concludere nel senso dell’insussistenza di una strada pubblica nella porzione di Vicolo I Gorizia al di là del cancello per cui è causa.
Al contrario, i primi Giudici si sarebbero erroneamente limitati a prendere in considerazione solo gli aspetti della relazione di verificazione i quali deponevano nel senso della (insussistente) presenza in loco di una pubblica via abusivamente occupata e annessa dall’odierna appellante.
2) Error in procedendo et in iudicando in ordine alla violazione dell’art. 35 del d.P.R. 380/2001 e degli artt. 3 e 7 della l. 241/1990.
I primi Giudici avrebbero erroneamente omesso di annullare i provvedimenti impugnati in primo grado in relazione ai motivi di ricorso con cui si era lamentata in primo luogo la violazione ed errata applicazione degli articoli 35 e 37 del d.P.R. 380 del 2001 e, in secondo luogo, la violazione della l. 241 del 1990 in relazione agli articoli 3 e 7.
Quanto al primo aspetto, i primi Giudici avrebbero erroneamente disatteso il motivo con cui si era osservato che non vi fosse ragione per applicare al caso in esame le previsione di cui all’articolo 35 del d.P.R. 380, cit. (in tema di ‘Interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di Enti pubblici’) in luogo del successivo articolo 37 (‘Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio di attività e accertamento di conformità’), il quale – al contrario - risultava sicuramente applicabile in considerazione della consistenza dell’intervento per cui è causa.
Laddove fosse stato applicato il (più favorevole) regime di cui al richiamato articolo 37, non sarebbe stato possibile applicare la sanzione demolitoria, bensì – e a tutto concedere – una mera sanzione pecuniaria.
Quanto al secondo aspetto, i primi Giudici avrebbero erroneamente disatteso il motivo di ricorso con cui si era lamentato che il Comune di Polistena avesse violato le previsioni di legge in tema di comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla rimozione del cancello per cui è causa.
In particolare, non sussisterebbe nel caso di specie alcuna esigenza di particolare celerità del procedimento che avrebbero potuto in astratto giustificare l’omessa comunicazione di avvio, anche in considerazione della pluridecennale permanenza in loco del manufatto per cui è causa.
Allo stesso modo, il richiamato stato di diuturnitas avrebbe onerato l’amministrazione comunale ad offrire una motivazione particolarmente approfondita in ordine alla (tardiva) scelta di chiedere la rimozione del manufatto.
3) Error in procedendo et in iudicando in ordine alla violazione degli artt. 3 e 21-quinquies della l. 241/1990 di cui ai motivi aggiunti.
I primi Giudici avrebbero erroneamente omesso di annullare il provvedimento in data 21 gennaio 2011 (rectius: 21 gennaio 2012), impugnato con motivi aggiunti, con cui il Comune di Polistena aveva annullato in autotutela l’autorizzazione per passo carrabile rilasciata nell’ottobre del 2010 per l’ingresso del cancello posto in Vico I° Gorizia.
In particolare, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per la parte in cui si è affermato che, indipendentemente dalle particolarissime circostanze che avevano indotto nel 2010 al rilascio del ‘passo carrabile’, la vicenda non assumerebbe rilievo ai fini del decidere in quanto il segnale in parola non avrebbe più alcuna ragion d’essere.
Contrariamente a quanto ritenuto dai primi Giudici, invece, la vicenda relativa al rilascio e alla successiva (illegittima) revoca del passo carrabile confermerebbe ancora una volta: i) che la situazione per cui è causa era ampiamente consolidata e che il Comune di Polistena ne era ampiamente a conoscenza; ii) che la stessa richiesta di un passo carrabile confermerebbe lo stato di buona fede dell’odierna appellante la quale non avrebbe avuto ragione alcuna di chiedere il rilascio di un passo carrabile se fosse stata davvero consapevole del carattere abusivo della propria condotta.
Si è costituito in giudizio il Comune di Polistena il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Alla pubblica udienza del 28 ottobre 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla proprietaria di un immobile (con retrostante giardino) ubicato in Polistena (RC) avverso la sentenza del T.A.R. della Calabria con cui è stato respinto il ricorso avverso gli atti con cui il Comune ha ordinato la demolizione di un cancello esistente in loco da alcuni anni e che chiude una pubblica via (il vico I Gorizia).
2. Il ricorso fondato.
2.1. Come è evidente dalla narrativa, assume rilievo del tutto centrale ai fini del decidere l’esame dei rilevati profili di difetto di istruttoria e di motivazione nonché di travisamento delle circostanze rilevanti in ordine alle deduzioni del Comune appellato il quale ha ritenuto che l’area posta al di là del cancello in ferro all’altezza del civico n. 15 del vico I Gorizia costituisse in realtà una porzione di pubblica via abusivamente occlusa dall’odierna appellante.
Si tratta, a ben vedere, di un accertamento in ordine all’assetto dominicale dell’area in questione che, pur essendo in via di principio sottratto alla giurisdizione del Giudice amministrativo, può nondimeno essere conosciuto in via incidentale ai sensi del comma 1 dell’articolo 8 del cod. proc. amm., trattandosi di questione evidentemente pregiudiziale al fine di stabilire la legittimità dei provvedimenti con cui il Comune appellato: a) dapprima ha ordinato la demolizione del manufatto e b) in seguito ha disposto la revoca dell’autorizzazione all’installazione di un segnale di ‘passo carrabile’ già rilasciata in data 1°ottobre 2010.
Ora, rinviando al prosieguo le considerazioni relative al contenuto della relazione di verificazione disposta dal T.A.R. con ordinanza n. 15/2012, si osserva che, effettivamente, le determinazioni originariamente poste dal Comune di Polistena a fondamento dei provvedimenti sub a) e b) fossero viziate dei richiamati profili di difetto di istruttoria e di motivazione nonché di travisamento delle circostanze rilevanti.
2.2. Si osserva al riguardo che il primo di tali provvedimenti (i.e.: l’ordinanza di demolizione in data 11 ottobre 2011) fosse giunto ad affermare la natura pubblica dell’area per cui è causa fondandosi in modo pressoché esclusivo sulle scarne risultanze della ‘Relazione di accertamento tecnico’ predisposta dalla Ripartizione Urbanistica del Comune in data 13 gennaio 2012.
Ed infatti, la relazione in questione si era limitata ad attestare che “dal sopralluogo effettuato è emersa una incongruenza fra la cartografia catastale e lo stato di fatto del Vico I° Gorizia. Difatti, l’estensione catastale di detto Vico misura ml. 33,00 circa, mentre lo sviluppo effettivo sul posto misura ml. 18,50 circa in quanto, a tale distanza, è stato posto un cancello in ferro scorrevole dall’altezza di mt. 2,50 circa, privo di qualsiasi titolo abilitativo”.
In questa fase della vicenda il Comune di Polistena neppure si era peritato di introdurre l’argomento (in seguito profuso in corso di causa) relativo all’inclusione del Vico I° Gorizia nell’ambito dello stradario comunale.
In definitiva, il provvedimento demolitorio impugnato in primo grado risultava viziato dei richiamati profili di illegittimità in quanto il Comune appellato si era limitato a risolvere in poche battute la questione del carattere pubblico o meno della porzione di area per cui è causa (questione la cui complessità si è manifestata appieno nel corso del giudizio di primo grado), senza consentire all’appellante di interloquire attraverso propri contributi nel corso del procedimento ed affermando – in ultima analisi – che la sola esistenza di una discrasia fra lo stato di fatto rilevato e le risultanze catastali fosse ex se idonea a deporre nel senso del carattere pubblico dell’area in parola.
Ma un accertamento tanto complesso quale quello all’origine dei fatti di causa (e, lo si ripete, la cui molteplicità di aspetti si è manifestata in modo pieno nel giudizio dinanzi al T.A.R.) non avrebbe potuto essere concluso in sostanziale assenza di qualunque istruttoria e sulla base soltanto di un raffronto con le risultanze catastali.
A tacer d’altro, l’operato del Comune appellato si è in tal modo posto in contrasto con il consolidato orientamento (correttamente richiamato dall’appellante) secondo cui, ai fini della determinazione dell’effettiva proprietà del bene, alle risultanze catastali non può essere riconosciuto un definitivo valore probatorio, bensì una valenza meramente sussidiaria rispetto a quanto desumibile dagli atti traslativi in quanto contenenti utili indicazioni in ordine all’estensione dei fondi confinanti (sul punto –ex plurimis -: Cass. Civ., II, 23 dicembre 2004, n. 23933).
Ma il punto è che (per le ragioni che fra breve si esporranno) erano proprio le descrizioni dei luoghi contenute nei titoli di provenienza a fornire elementi centrali per stabilire l’effettiva proprietà dell’area. Ne consegue che il mancato coinvolgimento nel corso della fase procedimentale dell’odierna appellane (la quale avrebbe potuto fornire al riguardo un apporto sicuramente rilevante) e la mancata, previa acquisizione dei titoli di provenienza costituisce certamente elemento idoneo a viziare i provvedimenti finali adottati dal Comune.
Già per tale ragione la sentenza in epigrafe è meritevole di riforma per non aver rilevato i rilevanti profili di illegittimità che viziavano i provvedimenti impugnati in primo grado.
2.3. Occorre a questo punto esaminare i motivi con i quali si è chiesta la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha stabilito (all’esito della verificazione disposta con ordinanza n. 15/2012 e sulla base dell’elaborato peritale depositato in atti) che prevalenti elementi deponessero nel senso del carattere effettivamente pubblico dell’area per cui è causa.
I primi Giudici, richiamando le risultanze dell’elaborato peritale, hanno ritenuto di affermare l’originaria natura pubblica dell’area per cui è causa basandosi essenzialmente:
a) sul fatto che sia la parte al di qua del cancello, sia quella oltre lo stesso risultano pavimentate in calcestruzzo (circostanza, questa, che dovrebbe deporre nel senso del carattere originariamente unitario del Vicolo e dell’area cortilizia posta all’interno del cancello);
b) sul fatto che “l’area posta all’interno del cancello si presenta pavimentata in calcestruzzo compresa l’area parziale afferente alla p.lla 383 [si tratta del giardino, n.d.E.] da rendere unico cortile l’ambiente prospiciente l’edificio di cui alla p.lla 81. Lo stesso spazio presenta tracce in termini di lesioni sulla pavimentazione) di una muratura del giardino (p.lla 383) che sosteneva probabilmente la stradella di 3 mt. per come citata nell’atto notarile del 1937 che poi viene denominato viottolo non in catasto nel successivo atto di vendita del 1937”;
c) sul fatto che la larghezza dell’originaria ‘stradella’ (o ‘viottolo’) coincide –de facto – con la larghezza della porzione di vicolo pacificamente appartenente al Comune;
d) sul fatto che il Vico I Gorizia risulta incluso nello stradario comunale;
e) sul fatto, infine, che gli atti pubblici di trasferimento del compendio (e delle sue singole porzioni) si limitano a menzionare la p.lla 81 (fabbricato), la p.lla 383 (uliveto) e la p.lla 43 (seminativo), senza mai menzionare la porzione di strada abusivamente annessa dalla signora Versace.
2.3.1. Ebbene, pure a tacere del fatto che, in tal modo decidendo, i primi Giudici hanno svolto nella sostanza un giudizio sugli aspetti dominicali della questione e hanno di fatto operato nel senso dell’integrazione in giudizio della motivazione offerta dal Comune (supportando la tesi del carattere pubblico dell’area con elementi e valutazioni del tutto estranei ed aggiuntivi rispetto a quelli indicati dal Comune medesimo), si ritiene comunque che la sentenza in epigrafe sia sul punto meritevole di riforma.
E infatti, l’appello in epigrafe risulta meritevole di accoglimento per la parte in cui si è osservato che i Giudici di primo grado hanno enfatizzato oltre misura i contenuti della relazione di verificazione acquisita in primo grado i quali deponevano nel senso del carattere pubblico dell’area e hanno di fatto trascurato qualunque valutazione in ordine agli elementi – pure desumibili da tale relazione – i quali deponevano invece nel senso del suo carattere privato.
Al riguardo si osserva:
-che le caratteristiche della pavimentazione dell’area per cui è causa non forniscono elementi univoci nel senso di stabilire che essa costituisse un continuum (non solo in senso fisico, ma anche funzionale) con la pubblica via posta al di là del cancello per cui è causa;
-che la circostanza secondo cui l’area per cui è causa e il giardino di cui alla p.lla 383 costituiscano oggi nei fatti “ [un] unico cortile” non fornisce alcun elemento in favore della tesi del carattere pubblico dell’area in parola. Al contrario, tale elemento sembra aggiungere forza alla tesi dell’appellante secondo cui: a) l’abitazione di cui alla p.lla 81, b) l’area per cui è causa e c) il giardino di cui alla p.lla 383 costituissero ab origine un unicum funzionale sul quale non sussisteva il requisito del pubblico passaggio;
-che la circostanza secondo cui le richiamate particelle 81 (abitazione) e 383 (giardino) fossero separate – secondo quanto risulta dall’atto di compravendita del 24 aprile 1937 - da una “stradella di tre metri” (in seguito indicata come “viottolo” nell’atto di compravendita del 2 agosto 1939) non appare contestata in atti, così come non appare contestato che una porzione di tale stradella coincida con l’area per cui è contestazione. Ma tale circostanza, di per sé sola, non può deporre nel senso del carattere pubblico di tale stradella, non risultando in atti alcun elemento in tal senso. Per le medesime ragioni non sembra che elementi in tal senso possano derivare dalla semplice presenza in loco delle tracce di un muro (il quale altro non era, se non la delimitazione della più volte richiamata stradella). Ancora una volta, non si tratta qui di stabilire se tale stradella vi fosse e se essa coincidesse in parte con l’area per cui è causa, quanto – piuttosto – di stabilire se essa avesse carattere pubblico in quanto aperta al pubblico transito. E gli elementi di cui si dispone non sembrano fornire argomenti dirimenti in questo senso;
-che, diversamente a quanto ritenuto dai primi Giudici, i titoli di provenienza in atti (ai quali deve essere riconosciuta valenza probatoria decisiva, contrariamente a quanto riconoscibile alle piantine catastali) sembrano confermare la tesi dell’appellante secondo cui l’area per cui è causa afferisse pienamente alla sua proprietà. Un elemento in questo senso deriva dall’atto di acquisto del 20 settembre 1971, il quale descrive un “fabbricato urbano con annesso piccolo giardino”, in tal modo descrivendo uno stato di fatto di contiguità fisica e di continuità funzionale fra le p.lle 81 e 383, senza richiamare la presenza in loco di un’ulteriore porzione avente – sia pure solo potenzialmente - le caratteristiche di un vicolo aperto al pubblico transito. Un ulteriore elemento in tal senso è desumibile dall’atto di donazione del 20 settembre 1990, il quale descrive “ [quale] pertinenza esclusiva del descritto appartamento un piccolo giardino (…) retrostante il fabbricato suddescritto”. Anche in questo caso, la descrizione dello stato dei luoghi sembra fare riferimento a due particelle contigue e non separate da un’area potenzialmente adibita al pubblico transito;
-che, infine, l’inclusione dell’area per cui è causa nell’ambito dello stradario comunale non risulta di per sé circostanza idonea a privare di consistenza il complesso degli elementi dinanzi richiamati, sia perché tale circostanza non assume autonoma valenza probatoria (e comunque non può prevalere sugli elementi desumibili dai titoli di provenienza), sia perché il documento in questione proviene dalla parte che ha interesse ad avvalersene e si limita a riportare gli elementi e le tesi qui sostenute dal Comune, senza tuttavia risultare idonea a rafforzare tale tesi con argomenti di carattere dirimente.
Gli argomenti e le circostanze appena richiamate inducono alla riforma della sentenza in epigrafe, dovendosi ritenere (in senso conforme alla tesi dell’appellante) che i primi Giudici abbiano riconosciuto valenza dirimente nel senso della proprietà pubblica dell’area in contestazione a un complesso di elementi i quali, invero, non deponevano in modo univoco in tal senso.
Ciò esime il Collegio dall’esame puntuale degli ulteriori argomenti con cui la signora Versace ha affermato che, al contrario, il contenuto della relazione di verificazione avrebbe fornito elementi dirimenti nel contrario senso del carattere certamente privato dell’area in contestazione (ci si riferisce, in particolare: i) al fatto che sull’area per cui è causa non esiste pubblica illuminazione; ii) al fatto che l’area in questione non conduce ad altre proprietà, se non a quella dell’appellante; iii) al fatto che la numerazione civica sembra fermarsi al cancello della cui legittimità si discute.
2.4. Per le ragioni sin qui esposte la sentenza in epigrafe è meritevole di riforma per aver affermato il carattere pubblico dell’area per cui è causa (e, conseguentemente, la legittimità degli atti impugnati in primo grado) non rilevando i profili di difetto di istruttoria e motivazione, nonché di travisamento delle circostanze rilevanti che viziavano sul punto le conclusioni del Comune.
E’ bensì possibile che, in sede di nuova delibazione istruttoria, il Comune di Polistena sia in grado di dimostrare il carattere pubblico dell’area per cui è causa, ma ciò sarà possibile solo a condizione: a) di rispettare il pertinente quadro normativo e giurisprudenziale; b) di non riconoscere valenza dirimente alle risultanze catastali, in specie se contrastanti con quanto desumibile dai titoli di provenienza.
2.5. Dal riconoscimento dell’illegittimità dell’asserito carattere pubblico dell’area per cui è causa deriva l’annullamento dell’ordine di demolizione in data 11 ottobre 2011. A tacer d’altro si osserva al riguardo che, pur dandosi atto del carattere totalmente abusivo del cancello per cui è causa, il Comune avrebbe dovuto verificare la possibilità di applicare al caso in esame l’articolo 37 del d.P.R. 380 del 2001 (in tema di ‘Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività e accertamento di conformità’), in tal modo applicando la sanzione pecuniaria sostitutiva in luogo di quella demolitoria.
3. Per ragioni in parte connesse a quelle esposte sub 2 e in riforma della sentenza in epigrafe deve, altresì, essere annullato il provvedimento in data 21 gennaio 2012 (erroneamente indicato come 21 gennaio 2011) con cui è stata disposta la revoca dell’autorizzazione all’apposizione del segnale di ‘passo carrabile’.
Al riguardo ci si limita a rilevare il carattere del tutto perplesso e invero difficilmente comprensibile della motivazione posta a fondamento del provvedimento in questione (ove si legge che “per mero errore dell’estensore dell’atto, l’autorizzazione suddetta è stata rilasciata per l’ingresso retrostante dell’abitazione della sig.ra Politanò Grazia, anziché come da richiesta per un cancello già designato come passaggio di servizio della sig.ra Versace Maria Pia”).
Al riguardo ci si limita ad osservare che dalla motivazione dell’atto non è dato comprendere alcuni degli elementi essenziali posti a fondamento della sua adozione, e in particolare:
-in cosa sarebbe consistito il ‘mero errore’ dell’estensore dell’atto e se esso sia giunto sino al punto di riconoscere all’odierna appellante un’autorizzazione erronea sia dal punto di vista soggettivo (permesso rilasciato in favore della signora Versace invece che alla signora Politanò) sia dal punto di vista oggettivo (permesso rilasciato per il passaggio della signora Versace invece che per quello della signora Politanò);
-a cosa si riferisca esattamente la ‘richiesta’ di cui è menzione nella parte finale della motivazione e (nel caso in cui si faccia davvero riferimento a una diversa richiesta avanzata dall’odierna appellante) quale sia l’esito di tale richiesta.
Al riguardo è qui appena il caso di osservare che, trattandosi di provvedimento incidente in modo negativo sulla sfera giuridica del privato, era quanto mai necessario che la sua adozione fosse assistita da un apparato motivazionale quanto meno adeguato a rappresentarne le sottese ragioni in fatto e in diritto.
4. Per le ragioni sin qui esaminate l’appello in epigrafe deve essere accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza impugnata, deve essere disposto l’annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti per il doppio grado di giudizio, anche in considerazione della rilevante peculiarità della vicenda di causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati in primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo,Presidente
Sergio De Felice,Consigliere
Claudio Contessa,Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg,Consigliere
Roberta Vigotti,Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Registrati

Registrati per accedere Gratuitamente ai contenuti riservati del portale (Massime e Commenti) e ricevere, via email, le novità in tema di Diritto delle Pubbliche Amministrazioni.

Contenuto bloccato! Poiché non avete dato il consenso alla cookie policy (nel banner a fondo pagina), questo contenuto è stato bloccato. Potete visualizzare i contenuti bloccati solo dando il consenso all'utilizzo di cookie di terze parti nel suddetto banner.