Aumento cosap e revisione tariffe
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda Ter), sentenza n. 5617 del 3 maggio 2019, sull’aumento del COSAP e la revisione delle tariffe
N. 05617/2019 REG.PROV.COLL.
N. 04283/2017 REG.RIC.
N. 04284/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4283 del 2017, proposto da:
OMISSIS e difesi dall'avvocato Alessandro Castellana, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza Benedetto Cairoli n. 2;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Rosalda Rocchi, dell’Avvocatura Capitolina, con domicilio eletto presso la sede di quest’ultima in Roma, via del Tempio di Giove 21;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
OMISSIS
per l'annullamento
con entrambi i ricorsi,
della delibera dell’Assemblea capitolina n. 4 del 25/1/2017, assunta nella seduta pubblica del 25/1/2017 e pubblicata sull’Albo Pretorio on line di Roma Capitale dal 3/2/2017 al 17/2/2017, nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali tra cui la nota del Dipartimento Attività Produttive del 29/3/2017 prot. n. QH/19364.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in ciascun giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2019 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti sono operatori concessionari di posteggi ed esercenti all’interno di mercati rionali coperti e su plateatici attrezzati, organizzati in A.G.S. (Associazioni per la Gestione dei Servizi), che operano in regime di convenzione con il Comune, provvedendo all’autogestione dei Mercati, anche mediante una serie di adempimenti di tipo collettivo, come l’assicurazione per responsabilità civile verso terzi, vigilanza e custodia, pulizia parti comuni, manutenzione ordinaria dell’immobili, utenza comune energia elettrica, utenze comuni acqua e simili.
I ricorrenti nel giudizio nr. 201704284 sono, altresì, operatori che hanno realizzato direttamente ed a proprie spese il box di vendita (con successiva devoluzione al Comune alla scadenza del periodo di concessione stabilito in 30 anni a partire dal 1° gennaio 1994) ricadenti nei seguenti Mercati: Mercato Cinecittà Est, Mercato Spinaceto, Mercato Grottaperfetta, Mercato Esquilino, Mercato Tor de Cenci, Mercato Montagnola, Mercato Magliana, Mercato Laurentino, Mercato Casalotti, Mercato Serpentara II, Mercato Sacchetti, Mercato Vigna Murata.
Espongono in entrambi i ricorsi, ed in linea generale, quanto segue.
L’autogestione del mercato tramite A.G.S. veniva prevista, per la prima volta, dalla D.C.C. n. 331 del 29/4/1986; successivamente, la D.C.C. n. 3 del 12/1/1989 stabiliva che era dovuto al Comune da parte di ciascun operatore un canone pari al 10% della tariffa stabilita dalla medesima Delibera.
Con la D.C.C. n. 78 del 15/3/1991, veniva previsto l’obbligo di corresponsione di un canone giornaliero pari al 20% ed al 10% della predetta tariffa (modificata dal provvedimento n. 919/90) per le ipotesi, rispettivamente, di posteggio nei mercati rionali coperti e nei plateatici attrezzati con box di vendita costruiti dal Comune, e di posteggio nei plateatici attrezzati con box di vendita realizzati direttamente dall’operatore.
Con D.G.C. n. 1109 del 31/3/1998 veniva approvato il contratto tipo per la concessione in uso di posteggi all’interno dei mercati su plateatici attrezzati.
Le concessioni rilasciate agli odierni ricorrenti prevedono alcune una durata della concessione per 30 anni a decorrere dal 1° gennaio 1994 con abbattimento del canone del 90% nell’ipotesi di autogestione del mercato con realizzazione del box a cura dell’operatore e devoluzione dello stesso alla fine del triennio; altre concessioni prevedevano una durata di 10 anni e un abbattimento del canone dell’80% nell’ipotesi di autogestione del mercato su plateatico attrezzato con box realizzato dal Comune.
Con la D.D. nr.3958 del 27/12/2010 il Dipartimento Attività Produttive di Roma Capitale approvava il nuovo Schema di Convenzione con le A.G.S. dei mercati su plateatici attrezzati, confermando l’obbligo di corresponsione da parte dei singoli operatori di un canone giornaliero pari al 20% e al 10% della predetta tariffa a seconda dei casi.
Con la D.A.C. n. 4 del 25/1/2017, oggetto di impugnazione, l’Amministrazione modificava il dispositivo della D.C.C. 78/1991, “sostituendo le previsioni dei canoni dovuti nelle misure del 10% e del 20% del canone pieno, con quella unica del canone dovuto nella misura del 50% del canone pieno per i servizi a domanda individuale nei mercati rionali coperti e su plateatico attrezzato”, con efficacia retroattiva dell’aumento percentuale al 1° gennaio 2017.
I ricorrenti, in entrambi i ricorsi, censurano la delibera per violazione di legge e di regolamento e per eccesso di potere.
Sotto il primo profilo (motivo sub I in entrambi i ricorsi), affermano che la Delibera che modifica la D.C.C. 78/1991 nella parte in cui prevede l’abbattimento del canone di OSP, non potrebbe parimenti modificare le Convenzioni stipulate dal Comune con le A.G.S. in corso di validità.
Queste ultime, che prevedono l’abbattimento del canone al 10% o al 20% a seconda della realizzazione del box a carico dell’operatore o del Comune e l’eventuale disdetta con preavviso semestrale, potrebbero essere variate dal Comune solo previa disdetta e proposta di un nuovo accordo in convenzione, al fine di consentire agli operatori costituiti in A.G.S. di valutare la persistenza del proprio interesse.
La modifica apportata con la D.A.C. 4 del 25/1/2017 contrasterebbe con l’art. 12, comma 5, del Regolamento del Commercio su Aree Pubbliche approvato con D.C.C. 36/2006, che prevede che “per i mercati coperti e plateatici attrezzati, le convenzioni stipulate con il Dipartimento VIII daranno luogo, una volta perfezionate, all’abbattimento dei canoni secondo le percentuali già previste nei provvedimenti già esistenti. Nella convenzione dovrà essere indicata la percentuale di abbattimento da applicare”. Essendo stato stabilito nelle convenzioni l’abbattimento dell’80 o del 90%, a seconda dei casi, tale previsione andrebbe rispettata fino a nuova Convenzione.
Sarebbe poi da ravvisarsi un eccesso di potere nella mancata individuazione dei mercati che hanno creato “criticità di ordine tecnico legate in primis, tra le varie cause, alla mancata regolare effettuazione di interventi manutentori ordinari e di adeguate pulizie da parte degli operatori mercatali”, con conseguente difetto di istruttoria, irragionevolezza e disparità di trattamento a danno degli operatori rispettosi delle regole.
Affermano che tra le cause di tali criticità rientrerebbero i mancati interventi di manutenzione straordinaria a carico del Comune, stigmatizzando la mancata istituzione da parte dell’Amministrazione Capitolina della pur prevista Commissione di vigilanza sull’attività dell’associazione di mercato (art. 24 della D.C.C. 31/1986), che avrebbe potuto indirizzare i mercati poco attenti alle spese manutentive e proporre, in presenza di gravi motivi, la disdetta dalla convenzione.
I ricorrenti (motivo sub II del ricorso nr. 201704283 e sub III del ricorso 201704284) censurano la delibera impugnata anche con specifico riguardo alla retroattività dell’aumento della quota del canone di concessione sin dall’inizio dell’anno 2017 e con applicazione anche alle concessioni già in corso, per violazione di legge e eccesso di potere.
Affermano che il COSAP, quale corrispettivo di una concessione dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, trova fondamento giuridico in un rapporto bilaterale e non può essere unilateralmente modificato con effetto retroattivo, se non in base a normativa di rango legislativo di tipo derogatorio, che nella fattispecie non sussiste. Ne conseguirebbe che l’aumento potrebbe essere legittimamente imposto alle nuove concessioni, ma non potrebbe applicarsi in via retroattiva alle concessioni già in essere.
Inoltre, l’art. 52 del d. lgs. 446/97, in tema di potestà regolamentare degli enti locali sulle entrate, specifica che “i regolamenti sono approvati con deliberazione del comune e della provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione e non hanno effetto prima del 1° gennaio dell’anno successivo”.
Dal momento che l’art. 151, comma 1, del TUEL fissa il termine per l’approvazione del bilancio di previsione al 31 dicembre dell’anno precedente rispetto a quello in cui è approvata la deliberazione impugnata, assunta in data 25/1/2017, quest’ultima potrebbe produrre effetti solo a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo.
I ricorrenti nel giudizio nr. 201704284 deducono uno specifico motivo di doglianza (rubricato sub II) relativo alla peculiare condizione nella quale versano, ovvero l’essere titolari di un atto d’obbligo per la devoluzione del box realizzato a proprie spese; nel lamentare l’eccesso di potere per illogicità, travisamento del fatto, contraddittorietà e violazione del principio di affidamento, deducono di essersi impegnati all’ingente realizzazione a loro carico della struttura solo in considerazione dell’abbattimento delle quote di COSAP al 90% cui l’Amministrazione si era obbligata (quindi con un vincolo a natura sinallagmatica), cogente fino alla scadenza della convenzione (prevista al 31.12.2023).
Con memoria del 26/6/2017, in entrambi i giudizi sono intervenute ad adiuvandum le AGS e le Cooperative che gestiscono i servizi all’interno dei mercati rionali coperti e su plateatici attrezzati nel territorio capitolino a seguito di apposita convenzione stipulata con il Comune di Roma, condividendo le censure prospettate dagli originari ricorrenti il cui gravame chiedono sia accolto.
Con ordinanze nr.3381/2017 e 3382/2017 (pronunciate rispettivamente in ciascuno dei due giudizi), è stata respinta la domanda cautelare, ancorchè invitando l’Amministrazione Capitolina al riesame del provvedimento, salvo deposito in giudizio di puntuale documentazione atta a comprovare il costo generale del servizio a fronte del quale è stato motivato l’aumento della percentuale di abbattimento del canone.
In esecuzione delle suddette ordinanze Roma Capitale ha depositato in entrambi i giudizi una Relazione sui costi dei servizi nei mercati rionali in autogestione sostenuti dalle associazioni degli operatori, nella quale si riferisce quanto segue.
Preliminarmente, riferisce l’ufficio che sono state aggiornate all’esercizio 2016 le analisi sui costi sostenuti dalle Associazioni/Cooperative degli operatori per effetto delle convenzioni stipulate che riducono del 90% o dell’80% il versamento dei canoni di posteggio, sulla base dei bilanci, rendiconti e consuntivi presentati. Dopo avere rilevato che un campione dell’85,62% (131 bilanci su 153) non aveva proceduto alla chiara rappresentazione delle spese per i servizi di cui si è assunta la gestione e quelle di carattere straordinario secondo quanto indicato dall’art. 5 dello schema della Convenzione, l’Amministrazione osserva che nel triennio 2014-2016, a fronte del totale dei canoni ordinari che le AGS avrebbero dovuto corrispondere all’Amministrazione (14.911.626,38), quelli percepiti dall’Ente a seguito dell’abbattimento del 10% e del 20% sono stati pari a euro 2.509.315,44.
Le AGS hanno quindi trattenuto un somma di euro 12.402.310,96.
Prendendo in esame 111 casi (pari all’84,73% del totale dei bilanci presentati), si rilevava che i costi sostenuti per la manutenzione ordinaria dei beni affidati alle AGS costituiscono il 9,02% delle spese complessive da loro sostenute (con una incidenza del 5,03% circa sul valore dei corrispondenti canoni al 100%). In valore assoluto, nel triennio 2014-2016 le AGS hanno impegnato, per la manutenzione ordinaria, complessivamente euro 535.913, pari a una media annua di euro 4.828,05 per singolo mercato che sale a euro 5.199,20/anno, in proiezione, per il totale dei mercati in AGS. Le ridotte risorse economiche destinate dalle Associazioni alla manutenzione ordinaria, pur in presenza di notevoli disponibilità derivanti dalla riduzione dei canoni, contribuivano nel corso degli anni al progressivo deterioramento edilizio e funzionale degli immobili, a fronte del quale l’Amministrazione elaborava un programma di riqualificazione e valorizzazione, approvato con D.A.C. n. 7 del 30/1/2017 e inserito nel Piano Investimenti 2017-2019, annualità 2017. Le risorse economiche convogliate per la realizzazione del programma ammontano a circa euro 10.500.000, di cui euro 4.000.000 già impegnati per l’annualità 2017. L’entrata pari a euro 1.001.810, 87 (per l’annualità 2017), derivante dalla maggiorazione della percentuale dei canoni dovuti all’Amministrazione Capitolina dalle Associazioni/Cooperative degli operatori per i servizi a domanda individuale nei mercati rionali coperti e su plateatico attrezzato, risulta incidere nella misura del 25% sugli impegni assunti dall’Assemblea Capitolina con il suddetto piano di riqualificazione.
Con memoria depositata in data 29/11/2017, i ricorrenti contestano la Relazione suesposta, affermando la necessità di fondare l’aumento della percentuale di abbattimento del COSAP non sul presunto “guadagno” delle AGS dalla gestione dei servizi oggetto della convenzione e l’incidenza di tali servizi sui bilanci, ma sull’effettivo costo degli interventi di manutenzione a carico del Comune. Secondo la difesa dei ricorrenti, non sarebbe rilevante se il singolo mercato organizzato in AGS o Cooperativa gestisca bene o male i servizi, né se il mercato guadagni o perda dalla gestione di tali servizi rispetto al pagamento del 100% del COSAP, ma il modo di ripartizione del costo degli interventi manutentivi a carico del Comune tra i vari mercati recuperandoli dal COSAP. L’analisi svolta dall’Amministrazione sarebbe errata sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo della correttezza dei dati: il maggiore introito derivante dall’aumento della percentuale di abbattimento del COSAP indicato in misura pari a circa il 25% del costo dell’intervento, sommato a quello già annualmente pagato (pari a circa euro 850.000) coprirebbe il 50% circa del costo preventivato per gli interventi straordinari e di riqualificazione da svolgersi nel triennio 2017/2019. Peraltro, Roma Capitale non avrebbe considerato i canoni COSAP pagati dagli operatori dei mercati non gestiti in convenzione con AGS, pari a circa 25 mercati. Anche questi proventi andrebbero imputati al costo del servizio manutentivo che Roma Capitale si appresta ad effettuare, dal momento che nei costi stimati dal Comune vi sono interventi da effettuare in numerosi mercati coperti e plateatici attrezzati non organizzati in AGS. Secondo i ricorrenti, dunque, anche a voler seguire la logica di Roma Capitale, le conclusioni della Relazione risulterebbero egualmente errate in quanto viziate nel presupposto e nei calcoli statistici. I dati economici utilizzati sarebbero incompleti e parziali, perché non sono considerati costi facenti parte della manutenzione ordinaria o dei servizi in generale oggetto della convenzione quali i costi per la derattizzazione, per l’acquisto dei macchinari necessari per le pulizie, per i materiali di consumo (prodotti per le pulizie in genere, lampadine, prodotti per il giardinaggio), per le imposte e per i compensi a terzi. Inoltre, per alcuni mercati la difesa dei ricorrenti dichiara che i costi complessivi considerati per i servizi sono non specificati o non comprensibili. In realtà tali costi, malgrado l’assenza di specifiche poste per le diciture dei servizi in convenzione, sarebbero stati in alcuni casi indicati complessivamente nelle spese per servizi del bilancio europeo depositato e comunicato a Roma Capitale. In altri casi, i costi sarebbero stati considerati nella voce “spese diverse” o “altri servizi”. Il mancato utilizzo di un modello di bilancio unico con indicazione delle poste economiche necessarie determinerebbe una differente indicazione delle spese, ma non potrebbe comportare una penalizzazione per determinati mercati. Il Comune avrebbe quindi preso a base di calcolo dei costi sostenuti dalle AGS dei riferimenti errati, minori rispetto al vero esborso effettuato da queste ultime. I ricorrenti, rielaborando la tabella allegata da Roma Capitale, dichiarano che il Comune non avrebbe calcolato fra i costi dei servizi in concessione per l’anno 2016 un importo pari a euro 1.140.722,00 - stimato per 22 mercati su 51 in convenzione. Seguendo il metodo di stima induttiva e statistica utilizzato dal Comune, i costi sottratti al calcolo statistico per l’anno 2016 ammonterebbero a circa euro 2.600. Moltiplicando tale cifra per il triennio preso in considerazione dal Comune, l’ammontare dei costi sottratti al calcolo ammonta a circa euro 7.800. Il riferimento a un minor importo di spese determinerebbe un errore statistico nel calcolo per valutare le differenze di spese delle AGS rispetto al costo del COSAP intero (nell’analisi del Comune, minori sono i costi sostenuti dalle AGS e maggiore dovrebbe essere l’aumento dell’abbattimento del COSAP), con conseguente erronea e incompleta giustificazione dell’aumento al 50% dell’abbattimento del COSAP. Peraltro, nella tabella 3 della relazione, risulta una incidenza dei costi in convenzione rispetto al canone intero che è pari al 60,55% nel 2014, al 67,31% nel 2015 e al 58,04% nel 2016, con una media del 62% annuo. Queste indicazioni sarebbero in contraddizione con le considerazioni poste dal Comune a fondamento della emissione della delibera impugnata, e integrando tali dati con quelli omessi dal Comune si avrebbe una incidenza delle spese sostenute dalle AGS rispetto al canone intero superiore al 100% di tale canone. Infatti, già solo la somma del milione non calcolato per i 22 mercati analizzati con il 1.937.124 calcolato dal Comune, corrisponde a un importo di circa euro 3.000.000, pari al 98, 88% del canone intero, superiore all’80% abbattuto per la maggioranza dei mercati e uguale al 90% abbattuto per gli operatori in convenzione che hanno sostenuto le spese di realizzazione del proprio box. Sommando a queste spese le somme ipotetiche per i mercati non organizzati in AGS, si oltrepasserebbe tale soglia.
Con memoria del 5.12.2017, Roma Capitale ribadisce la correttezza dell’analisi dei costi e la veridicità dei risultati, contestando quanto affermato dai ricorrenti, secondo i quali la misura dell’abbattimento del canone sarebbe dovuta avvenire sull’effettivo costo degli interventi di manutenzione a carico del Comune a nulla rilevando la virtuosità della gestione dei servizi da parte delle AGS. Le disposizioni della Convenzione obbligano infatti gli operatori alla manutenzione ordinaria delle strutture, e la stessa Convenzione non ammette utili di gestione.
In considerazione del fatto che, dopo molti anni, si rende necessario un notevole intervento economico dell’Amministrazione nel settore in ragione dei mancati interventi manutentivi cui erano tenuti gli operatori dei mercati in AGS, la ratio del provvedimento impugnato è fondata sugli effettivi costi sostenuti da parte delle AGS. Precisa ancora Roma Capitale che i mercati non organizzati in AGS sono 12 (non 25).
Con riguardo alla censura relativa all’applicazione retroattiva della tariffa a partire dal 1° gennaio 2017, la difesa dell’Amministrazione ricorda che l’art. 27, comma 8, legge 448/2001, nel sostituire il comma 16 dell’articolo 53 della legge 388/2000, ha previsto che “il termine per … approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione”, aggiungendo che tali regolamenti “anche se approvati successivamente all’inizio dell’esercizio purchè entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno di riferimento”.
Di conseguenza, l’applicazione delle tariffe risulterebbe legittima in quanto approvata con delibera del 25/1/2017, prima della data di approvazione del bilancio di previsione di Roma Capitale.
Precisa la difesa capitolina che solo con riferimento al canone di occupazione istituito dall’art. 63 del d. lgs. 446/1997, il Consiglio di Stato, con sent. 5076/2016, ha affermato l’inapplicabilità dell’art. 27 della legge 448/2001, in forza del principio di specialità si dovrebbe quindi ritenere che la delibera impugnata, avendo ad oggetto l’applicazione dell’art. 172 lett. c) TUEL concernente la determinazione delle tariffe e i tassi di copertura del costo di gestione dei servizi pubblici a domanda individuale, rientra nella previsione di cui all’art. 27, comma 8, legge 448/2001.
Con ordinanze nn. 6853 e 6856 del 19/12/2017, è stata respinta la domanda cautelare presentata dai ricorrenti in ciascuno dei due giudizi, in considerazione del fatto che la Relazione presentata da Roma Capitale “dà congruamente conto delle ragioni in base alle quali si è reso necessario il “divisato aumento” … anche alla luce dell’impegno assunto dall’Amministrazione capitolina che “effettuerà periodici monitoraggi e controlli sulla effettiva osservanza degli adempimenti in carico alle Associazioni/Cooperative degli operatori dei mercati rionali, nonché sulla congruità della nuova percentuale di abbattimento del canone, anche al fine di introdurre, in futuro, le azioni correttive necessarie”.
Appellate le due ordinanze di rigetto della domanda cautelare, il Consiglio di Stato ha accolto il gravame ai fini anticipatori della sollecita fissazione dell’udienza di discussione della causa nel merito.
Roma Capitale ha presentato una propria memoria conclusionale nella quale insiste nel rigetto del ricorso, senza ulteriori repliche da parte dei ricorrenti.
Nella pubblica udienza del 19 febbraio 2019, entrambe le cause sono state trattenute in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente va disposta la riunione dei due ricorsi, essendo evidentemente connessi per l’oggetto del gravame e per le ragioni di doglianza, in parte comuni.
Nell’odierno giudizio, i ricorrenti contestano gli aumenti delle tariffe di occupazione delle aree destinate all’esercizio delle attività mercatali di cui sono assegnatari.
Va subito precisato che, mentre i ricorrenti prospettano che la delibera impugnata abbia ad oggetto l’aumento del COSAP, la revisione delle tariffe, che ha condotto alla loro rimodulazione nei termini contestati dai ricorrenti, è stata disposta dall’Amministrazione nell’ambito dell’applicazione dell’art. 172, lett. “c” del dlgs 267/2000, con delibera “concernente la determinazione delle tariffe ed i tassi di copertura del costo di gestione dei servizi pubblici a domanda individuale anno 2017”, relativamente ai numerosi servizi elencati nella deliberazione impugnata (secondo il Decreto del Ministero dell’Interno del 31.12.1983); tra questi sono inclusi quelli relativi all’autogestione dei mercati e dei plateatici attrezzati di Roma Capitale.
Nella delibera si dà atto che non ricorrono le condizioni di dissesto o strutturalmente deficitari (per i quali è prevista la copertura dei costi dei servizi, in maniera non inferiore al 36%, ai sensi dell’art. 243 TUEL e nella misura massima, in esecuzione dell’obbligo dell’”attivazione delle entrate proprie” ex art. 251 del dlgs 267/2000).
Segue, poi, la previsione – oggetto di gravame – della diminuzione dell’abbattimento tariffario (dall’80% o 90%a seconda dei casi alla misura unica del 50%) per il “canone per servizi a domanda individuale” per i mercati ed i plateatici attrezzati, sulla scorta della ritenuta necessità di dover approntare un piano di interventi straordinari di manutenzione, attesa la circostanza che per “moltissime” strutture si sono riscontrate criticità relative alla manutenzione ed alle condizioni igieniche. La diminuzione degli abbattimenti dei costi (e quindi l’aumento della quota di canone a carico degli operatori) è indicata come necessaria per il finanziamento in parte degli oneri degli interventi.
I) Ciò posto, giova preliminarmente richiamare la ricostruzione della fattispecie contenziosa, così come accuratamente operata dalla difesa capitolina, rilevando, ai fini della migliore comprensione delle ragioni dell’odierno contenzioso, che nel presente giudizio si controverte in ordine ad una misura del costo del servizio a domanda individuale e del canone (a natura concessoria) relativo all’autogestione delle aree mercatali da parte degli operatori.
Tale forma di gestione trae origine dall’istituzione, nella vigenza della legge 398 del 1976 (con del. C.C. n. 331 del 1986), di “plateatici attrezzati per mercati all’aperto” e relativo regolamento che fissava un “canone ricognitivo che tenga conto delle seguenti voci di spesa: 1) costi dei servizi inerenti il mercato; 2) spese per i necessari lavori manutentori; 3) spese di gestione” prevedendosi che “gli operatori ai quali viene dato in concessione il posteggio nel mercato devono costituirsi in associazione, alla quale viene affidata, con apposita convenzione, la custodia e pulizia del mercato, la gestione delle recinzioni….in caso di mancata costituzione o di irregolare funzionamento dell’associazione, l’Amministrazione provvede direttamente alla gestione dei luoghi ed impianti comuni…”. Il canone cui era tenuto ciascun operatore, nel caso di mancata assunzione della gestione dei servizi da parte degli operatori, sarebbe stato “aumentato a tre volte”.
Successivamente, con del. C.C. n. 78 del 1991, il Comune, premesso che nel 1990 erano stati modificati gli importi dei canoni mercatali incrementando del 18,5% quelli precedentemente fissati e ritenendo che “appare ora opportuno estendere” l’istituto dell’autogestione anche “ai mercati rionali coperti ed ai plateatici attrezzati all’aperto finora non assoggettati al citato regolamento”, considerò “l’incidenza” delle spese di autogestione effettuando ”una loro compensazione attraverso una congrua riduzione dei canoni attualmente applicati per i posteggi nei mercati” che il Comune gestiva direttamente; venne quindi introdotta, con la suddetta deliberazione, la previsione secondo cui gli operatori dei mercati rionali coperti e plateatici avrebbero potuto “costituirsi in associazione alla quale viene affidata, con apposita convenzione, la custodia e la pulizia del mercato nonchè la gestione delle recinzioni, degli accessi e dei luoghi e impianti comuni. Per poter chiedere la gestione, l’Associazione deve dimostrare di avere raggiunto un numero di adesioni pari almeno ai 2/3 degli operatori…..ciascun operatore….è tenuto a corrispondere un canone giornaliero” pari al 20% della tariffa stabilita per il posteggio per BOX costruiti dal Comune; ed al 10% per i BOX realizzati direttamente dall’operatore.
L’esperienza maturata dalle PA in materia di gestione dei mercati trovava espressione nelle previsioni del legislatore regionale che (comma 3 art. 37 della legge regione Lazio n. 33/1999) riconosceva la facoltà dei Comuni a ricorrere all’autogestione dei mercati, previa richiesta di una percentuale degli operatori costituenti l’organico mercatale, senza disporre alcunchè in ordine al canone, affidato alla piena discrezionalità delle Amministrazioni, salva la sola necessità di stipulare specifiche convenzioni.
Con del. C.C. n. 35/2006 (regolamento delle attività commerciali sulle aree pubbliche), Roma Capitale recepiva la norma regionale, stabilendo che “è consentito l’affidamento dell’autogestione dei servizi agli operatori del mercato previa stipula di specifica convenzione richiesta dal almeno il 60% degli operatori in organico. L’Associazione che gestisce i servizi potrà provvedere, altresì, in caso di particolari interventi tecnici di manutenzione straordinaria a parziale scomputo degli oneri concessori dovuti dagli stessi secondo le modalità definite con specifici provvedimenti. Per i mercati coperti e plateatici attrezzati le convenzioni stipulate con il Dipartimento VIII daranno luogo, una volta perfezionate, all’abbattimento dei canoni secondo le percentuali già previste nei provvedimenti già esistenti….”.
II) La convenzione tipo con le AGS (che gestiscono in convenzione 51 mercati rionali, a fronte di 12 operatori non in AGS), viene rinnovata di anno in anno salvo disdetta scritta (art. 2, secondo cui la “presente convenzione viene rinnovata di anno in anno salvo disdetta scritta, da notificare con anticipo almeno sei mesi prima che dovranno coincidere per esigenze finanziarie con il primo o secondo semestre dell’anno. In caso di mancato rinnovo i beni affidati in gestione dovranno essere riconsegnati nella medesima consistenza ed in perfetto stato di manutenzione”; per le convenzioni a durata trentennale, relative ai ricorrenti di cui al ricorso nr. 2’1704284, si veda infra sub VII).
Essa consente di determinare le quote di partecipazione da parte degli operatori associati indipendentemente dall’importo del canone versato a Roma Capitale “in ogni caso non potrà essere richiesto a Roma Capitale alcun tipo di intervento manutentivo o di riqualificazione se non verrà dimostrato che gli operatori hanno versato per intero le quote sociali per la rimanente parte pari al 90% o 80% non versato a Roma Capitale medesima. L’Assemblea dell’Associazione/Cooperativa può deliberare, per la riqualificazione del mercato, quote sociali superiori ai canoni che si sarebbero dovuti pagare in caso di gestione ordinaria”. Si prevede, poi, l’obbligo della presentazione del conto consuntivo (al più tardi entro marzo del nuovo esercizio) da redigersi secondo specifiche pure contenute nella convenzione, al fine di rappresentare le entrate derivanti dalle quote sociali “e quelle diverse, nonché le spese per i servizi di cui si è assunta la gestione e quelle di carattere straordinario” (quali ad esempio, la gestione di impianti pubblicitari, degli spazi disponibili per attività promozionali e manifestazioni….) le quali devono essere finalizzate “esclusivamente al reperimento di fondi da reinvestire, al netto dei costi di gestione, nella riqualificazione del mercato”. Tali entrate dovranno risultare in modo chiaro e trasparente dalla documentazione contabile prodotta in sede di rendicontazione e ”qualsiasi somma distratta ad altri fini verrà considerata come indebito utilizzo di somme vincolate ad un uso specifico”.
La disciplina esaminata provvede al finanziamento dell’autogestione mediante un meccanismo di trasferimento sostanziale di fondi dall’amministrazione ai gestori collettivi, che scaturisce dall’effetto congiunto dell’abbattimento del costo del servizio a domanda (che riduce l’importo a carico degli operatori delle percentuali sopra indicate) e del contestuale pagamento delle quote di associazione in favore degli enti collettivi (i quali, avvalendosi della contribuzione diretta degli operatori riuniti, assolvono a servizi comuni che, in gran parte, sarebbero di competenza dell’Amministrazione).
Questa circostanza induce, preliminarmente, a disattendere una delle principali tesi di fondo che sono articolate a sostegno del gravame, ovvero che l’abbattimento del costo del servizio e l’obbligo di gestione dei servizi comuni da parte delle AGS o degli altri enti collettivi, si pongano in un reciproco nesso sinallagmatico o commutativo, fondato dalla convenzione.
Di tale rapporto non sussistono gli indicatori, né avendo riguardo alla commisurazione degli abbattimenti (posto che la natura sinallagmatica di una obbligazione postula e sottende una relazione tale per cui ogni prestazione sia tendenzialmente corrispondente all’utilità economica del prezzo, così che quest’ultimo ne incorpora il valore), che non risultano calcolati sulla base di una stima del costo dei servizi in autogestione (aspetto, questo, sul quale si tornerà oltre); né avendo riguardo al testo delle convenzioni (nelle quali, ai sensi degli artt. 3 e 4 gli obblighi di sicurezza, gestione e manutenzione ordinaria sono assunti a carico dell’associazione/cooperativa, mentre, all’art. 5, l’Amministrazione determina da una parte “il provento derivante dal pagamento…del canone da parte dei singoli operatori”… nella “misura del 10% o del 20% della tariffa” e, dall’altra, al comma 2, si conviene che “le quote richieste...ai titolari di posteggi, quale partecipazione alle spese di gestione conseguenti alla presente convenzione, potranno essere determinate indipendentemente dall’importo del canone versato a Roma Capitale”, con ciò sancendosi autonomia tra le due previsioni). Infine, la natura sinallagmatica dell’abbattimento dei costi dei servizi non può riconoscersi soprattutto avendo riguardo alla ratio sostanziale del rapporto, nel quale – pur non escludendosi, ovviamente, una immanente valutazione di convenienza e di opportunità che presiede, da parte degli operatori, all’assunzione diretta della gestione a fronte di un minor costo delle quote sociali rispetto al canone – si è in presenza di una fattispecie complessa, interamente di diritto pubblico, ove l’Amministrazione trasferisce l’esercizio di proprie responsabilità e prerogative ai soggetti fruitori del servizio affinchè questi ultimi le esercitino direttamente. L’autogestione dei servizi comuni è dunque alimentata da un finanziamento diretto degli operatori, agevolato (ma non condizionato sinallagmaticamente) dalla rinuncia – da parte dell’Amministrazione – a proventi nella sua disponibilità (circostanza possibile in quanto l’Ente non è né in dissesto, né in condizioni di deficit strutturale); rinuncia che equivale ad un vero e proprio provvedimento ampliativo delle facoltà dei destinatari, costituente un beneficio economico indiretto, da sussumersi entro l’ambito applicativo dell’art. 12 della l. 241/90.
III) Rileva in fatto il Collegio che, come già accennato, la deliberazione oggetto di gravame ha disposto l’aumento dei costi dei servizi a domanda sulla scorta della rilevata sussistenza in “moltissime strutture mercatali” di criticità legate alla mancata regolare effettuazione di interventi manutentori ordinari da parte degli operatori mercatali; cui l’Amministrazione intende provvedere – sostituendosi ad essi – con la conseguente necessità di finanziare tali interventi mediante la riduzione o modifica dell’”entità dell’abbattimento del canone per servizi a domanda individuale”.
I ricorrenti sostengono, con articolati argomenti, che la revisione delle tariffe non potrebbe operare in via retroattiva; a modifica unilaterale di convenzioni in essere; e comunque, non sarebbero individuate le strutture affette dalle criticità esposte, rispetto alle quali i mercati e le associazioni in regola con gli obblighi di manutenzione e pulizia sarebbero ingiustamente penalizzati da una indiscriminata revisione in aumento delle tariffe.
A seguito dell’istruttoria, con rinnovati argomenti di censura le parti ricorrenti criticano anche i calcoli e le analisi di fatto che gli Uffici hanno allegato a giustificazione della necessità di finanziare gli interventi straordinari con maggiori canoni.
Nonostante le critiche che le parti ricorrenti hanno rivolto al metodo ed ai dati esposti nella relazione di Roma Capitale, deve ritenersi – a conferma dell’orientamento sinteticamente espresso nella fase cautelare - che l’Amministrazione capitolina abbia fatto buon governo della propria discrezionalità nell’adozione della deliberazione oggetto di gravame, per le ragioni esposte a seguire; sia pure non senza alcune precisazioni che si rendono necessarie per la particolarità della fattispecie.
IV) Il primo argomento di censura, secondo il quale l’Amministrazione avrebbe illegittimamente operato in violazione delle concessioni in essere, non può trovare accoglimento.
Come già indicato, non è possibile predicare un vincolo di tipo sinallagmatico tra l’assunzione della gestione da parte delle AGS o delle altre cooperative e l’abbattimento del canone.
Deve adesso ulteriormente precisarsi che il sistema di autogestione – così come istituito dall’Amministrazione – non comporta l’immodificabilità delle tariffe nella vigenza delle convenzioni.
Invero, le convenzioni – essendo negozi adesivi a schemi tipo unilateralmente predisposti dall’Amministrazione ed approvati dalle associazioni o cooperative aderenti – replicano sul punto le previsioni regolamentari relative all’abbattimento delle tariffe che si sono richiamate prima e che operano in senso generale ed astratto; previsioni che quindi non costituiscono il frutto di una pattuizione autonoma, condotta caso per caso, dipendente dalla convenzione stipulata (come potrebbe essere laddove, innovando il sistema, l’Amministrazione rinviasse la determinazione dell’abbattimento del canone, entro determinati parametri di minimo e massimo, al concreto impegno finanziario assunto dagli operatori mediante l’elaborazione di piani condivisi di intervento e manutenzione degli edifici e delle aree attrezzate).
Ne deriva che la modifica regolamentare delle tariffe, essendo la loro determinazione oggetto di potestà autoritativa della PA (sia pure nei limiti riconosciuti dall’art. 37 della LR Lazio n. 33/1999), esplica effetti immediati e diretti sulle clausole delle convenzioni che, sul punto, sono meramente ricognitive ed applicative delle previsioni regolamentari.
Peraltro, quanto sin qui ritenuto è direttamente rilevante ai fini della legittimazione ad agire in giudizio delle odierne parti ricorrenti perché è proprio in virtù di questa immediatezza di effetti, che le previsioni del regolamento possono essere impugnate senza attendere gli atti applicativi (ovvero i necessari adeguamenti formali delle convenzioni).
Laddove i ricorrenti contestano che l’assunzione dell’autogestione da parte degli enti collettivi degli operatori mercatali è avvenuta a fronte di una valutazione di convenienza di costi e benefici fondata sulla prospettiva dell’abbattimento del canone all’80% o 90%, introducono un argomento di giudizio che, nei limiti sin qui considerati delle censure dedotte, attiene a profili di merito amministrativo, non alla possibilità di indagare la concreta verifica dell’equilibrio contrattuale e negoziale dell’assunzione del servizio a fronte del maggior costo, non essendo dedotto – per ciascun operatore ricorrente – quale sarebbe il corrispondente ammontare di costi specifici che contestualizzino il gravame in punto di interesse.
Non sussiste, poi, il denunciato contrasto con la DAC nr. 36/2006, art. 12, comma 5 (Regolamento del Commercio su Aree pubbliche) in quanto quest’ultima disposizione (nel prevedere che per i mercati coperti e plateatici attrezzati le convenzioni daranno luogo all’abbattimento dei canoni) non sancisce una riserva di determinazione dei canoni per le suddette convenzioni, bensì si propone solo di coordinare le previsioni regolamentari di cui si discute con la disciplina speciale e di settore che riguarda i mercati coperti e che si è dapprima richiamata; inoltre, la censura appare decontestualizzata, in quanto la deliberazione oggetto di gravame incide sui costi dei servizi a domanda individuale, che costituiscono un elemento distinto dal COSAP, con la conseguenza che non risulta venire in rilievo – ai fini del presente giudizio – la deliberazione nr. 36/2006. Sul punto, il ricorso è affidato, conclusivamente, ad una censura generica.
V) Quanto al secondo argomento di doglianza, che attiene al difetto di motivazione ed alla disparità di trattamento che la delibera impugnata avrebbe provocato, le parti ricorrenti prospettano, in sostanza, che il complesso degli organici mercatali ed i soggetti collettivi gestori degli impianti, subirebbero le conseguenze della inefficienza di solo alcuni – non meglio individuati – nonché della stessa Amministrazione che non avrebbe curato, nel tempo, gli interventi straordinari di propria competenza.
Rileva il Collegio che le prospettazioni variamente articolate dai ricorrenti e rientranti nel presente profilo, non consentono di condurre all’accoglimento del gravame; cionondimeno, possiedono alcuni aspetti di rilievo che impongono al Collegio le seguenti precisazioni.
Vbis) I ricorsi che hanno introdotto l’odierno giudizio sono proposti in maniera collettiva dalla pluralità degli operatori mercatali e delle loro associazioni ed enti collettivi di gestione; e introducono censure di ordine generale avverso l’aumento delle tariffe dei servizi a domanda.
La natura collettiva e cumulativa degli odierni ricorsi, non comporta profili di inammissibilità del gravame attesa la natura generale sia delle doglianze che dell’atto impugnato; nonché la già rammentata incidenza immediata e diretta che la modifica del canone esplica sui rapporti in essere.
Date le suddette caratteristiche dell’azione, non è possibile distinguere, entro il novero delle posizioni dei ricorrenti, tra mercati (ed operatori) adempienti (in tesi, incisi incolpevolmente dall’aumento delle tariffe) ed operatori inadempienti (che, sempre in tesi, dovrebbero sopportare specifiche procedure sanzionatorie ed aumenti mirati).
A ciò ostano due ordini di considerazioni: il primo relativo alla mancanza di ogni dimostrazione idonea delle condizioni differenziate (essendosi soffermata, la difesa dei ricorrenti, ad una mera esemplificazione in ricorso di alcune delle condizioni di “ottimalità” di alcuni mercati, rispetto ad altri) ed il secondo, più radicale, che siffatto argomento di censura costituisce un profilo di conflitto di interesse tra i ricorrenti stessi (dal momento che non risulta che abbiano proposto ricorso solamente gli operatori “adempienti”).
In ogni caso, e fermi restando i limiti delle censure sin qui indicati, la revisione tariffaria è il frutto di un apprezzamento generale, che non possiede natura sanzionatoria e dunque non postula l’individuazione puntuale delle strutture “inadempienti”; la delibera, peraltro, trae fondamento da una circostanza di fatto (sussistenza di molteplici criticità) che, in sostanza, neppure le parti ricorrenti negano (anzi, confermano laddove sostengono che sarebbero state le mancanze dell’Amministrazione comunale a determinare l’insorgenza degli inconvenienti e delle criticità denunciate).
Per la natura ed i limiti propri della manovra tariffaria che ogni Ente locale deve porre in essere ad inizio esercizio, le determinazioni afferenti la copertura dei servizi a domanda individuale sono informate ad obiettivi di finanza pubblica che ogni Amministrazione (non in dissesto o in condizioni di deficit strutturale) elabora autonomamente, bilanciando, secondo i propri programmi, obiettivi di efficienza allocativa delle risorse ed obiettivi latamente “perequativi” (di distribuzione dei costi tra gli utenti in maniera non necessariamente proporzionale all’uso dei servizi, al fine di agevolare lo sviluppo della domanda anche in condizioni di non ottimalità).
Si tratta di scopi ed obiettivi propri anche di una dimensione sociale delle finanze pubbliche che, ferma restando la copertura minima, consente all’Amministrazione (non in dissesto, né in deficit strutturale) di decidere quanta parte dei relativi costi far gravare sugli utenti dei servizi e quanta finanziare con la fiscalità generale.
Ciò posto, la determinazione di finanziare parte degli interventi strutturali di cui l’Amministrazione si rende parte attiva (che sono indicati come separatamente esposti, ovvero programmati nel piano delle opere pubbliche pure evidenziato in atti), risponde ad una logica distributiva degli oneri di finanziamento tra tutti gli operatori del settore, giustificata dal fatto che gli operatori in quanto tali costituiscono un sistema di offerta aggregata ed unitariamente apprezzabile (nell’ottica del servizio all’utenza, che rappresenta il termine finale di tutela dell’istituto); come tale non si apprezza nel caso di specie un profilo di eccesso di potere, anche perché la delibera – di per sé – non esclude che, caso per caso, accertate eventuali inadempienze, si adottino i necessari correttivi e tutte le determinazioni doverose conseguenti.
Quest’ultima considerazione introduce l’altro e connesso profilo.
A fronte di una affermazione a carattere generale contenuta nella deliberazione (secondo cui le criticità riscontrate per la mancanza di manutenzione e pulizia riguarderebbe la maggioranza dei mercati), che costituisce il frutto di un accertamento (i cui esiti e presupposti sono stati oggetto di istruttoria nel giudizio),spetta agli operatori interessati (ovvero coloro che si reputano illegittimamente incisi in quanto regolarmente adempienti) dimostrare compiutamente le condizioni di pieno adempimento che rappresentano i presupposti positivi della pretesa (e dunque vanno dimostrati in giudizio, ex art. 2967 c.c.).
Seppure un principio di prova è stato introdotto per alcune delle AGS ricorrenti (tramite i bilanci in allegato alla memoria depositata in vista della pubblica udienza di discussione), tale prova non è comunque sufficiente, non essendo dimostrata la piena e regolare condizione di manutenzione e pulizia dei singoli mercati (ma solo l’adozione dei relativi bilanci, che di per sé non implica la dimostrazione delle condizioni di fatto degli edifici e dei manufatti di servizio).
Ai fini di causa diviene quindi rilevante non già che l’Amministrazione non abbia indicato i mercati “inadempienti”, ma che i ricorrenti non abbiano adeguatamente comprovato le condizioni di quelli “adempienti”.
Vter) Cionondimeno, va rilevato che le condizioni comunque descritte dalle parti ricorrenti (specie nelle memorie depositate da ultimo) non possono essere del tutto considerate prive di rilievo laddove e nei limiti in cui prospettano l’esistenza di una realtà non omogenea, nella quale coesistono sia modelli di efficienza, che gestioni non efficaci.
Solo che considerate sotto questo aspetto, le doglianze variamente articolate dai ricorrenti circa la disparità di trattamento e la mancanza di adeguati riscontri delle condizioni di manutenzione e pulizia (e della conseguente necessità di interventi di tipo sanzionatorio sui gestori inadempienti così che tali inadempienze non si riflettano a danno di tutto il settore) introducono altrettanti argomenti che non attengono alla legittimità della deliberazione impugnata, bensì alla fase esecutiva del rapporto di gestione.
Si tratta invero di condizioni alle quali deve farsi fronte, oltre che mediante la adozione “di un “format che garantisca trasparenza e precisione nei dati che le Associazioni dovranno presentare” già predicato nella Relazione di Roma Capitale, anche mediante la possibile adozione di strumenti condivisi e partecipati di programmazione e controllo (relativi all’effettivo adempimento degli interventi di manutenzione ordinaria e pulizia da parte delle AGS, i cui programmi, sia di opere che di spese, possono essere adeguatamente predeterminati ed approvati tra le parti, così da consentire il presupposto per un agevole e tempestivo controllo; sia degli interventi di straordinaria manutenzione da parte dell’Amministrazione che sono già in programma, così da consentire ai beneficiari, ovvero gli operatori associati, il controllo e la verifica dell’impiego delle risorse da parte dell’Amministrazione, anche mediante il ricorso agli opportuni strumenti di tutela convenzionale e di partecipazione procedimentale tipica dei rapporti in convenzione come quelli in esame). Nessuno di tali profili, può dunque condurre all’annullamento della delibera relativa alla modifica delle tariffe.
VI) Quanto al terzo argomento di censura (motivo sub II del ricorso nr. 2017/04283 e sub III del ricorso 2017/04284), correttamente l’Amministrazione invoca l’art. 27, comma 8, legge 448/2001, che, nel sostituire il comma 16 dell’articolo 53 della legge 388/2000, ha previsto che “il termine per … approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione”, aggiungendo che tali regolamenti “anche se approvati successivamente all’inizio dell’esercizio purchè entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno di riferimento”.
Per l’esercizio 2017, il termine per la deliberazione del bilancio di previsione risultava fissato al 31 marzo 2017 per effetto del DL 30.12.2016 nr. 244, art. 5, comma 11 (in GU nr. 304 del 30.12.2016, conv. in l. 27 febbraio 2017, nr. 19).
Pertanto, l’applicazione delle tariffe risulta legittima in quanto approvata con delibera del 25 gennaio 2017, ovvero prima del bilancio di previsione di Roma Capitale (del quale costituisce allegato): la decorrenza delle variazioni delle tariffe a far data dal 1 gennaio 2017 è dunque direttamente previsto dalla legge e ciò comporta la conferma di quanto già indicato dapprima ovvero che le clausole contenute nelle convenzioni stipulate con le parti ricorrenti sono sostituite dalle nuove previsioni, in quanto, come già anticipato, le convenzioni sono meramente ricognitive delle tariffe deliberate in sede regolamentare.
VII) Quanto al profilo dedotto nel solo ricorso nr. 2017/04284, secondo cui l’aumento delle tariffe altererebbe il valore sinallagmatico dell’importo dovuto a fronte della realizzazione del BOX vendita da parte dei ricorrenti, si osserva quanto segue.
La convenzione tipo che è prodotta dalle parti ricorrenti così disciplina la determinazione del canone: “il canone di concessione è determinato in lire ….. +IVA annue, da corrispondere in 2 rate mensili di uguale importo ed è soggetto a rivalutazione sulla base di appositi atti dell’Amministrazione stessa, ferme restando le riduzioni accordate nella ipotesi di autogestione del Mercato, nella misura del 90%”.
In base alla convenzione, dunque, il canone concessorio è determinato tra le parti nella misura volta per volta indicata, suscettibile di essere rivalutato sulla base di atti dell’Amministrazione; salvo poi l’abbattimento nella misura che, come si è già indicato, è riproduttiva delle previsioni regolamentari (e dunque varia al loro variare).
Ciò posto, nel lamentare quale autonomo e distinto profilo di censura che il variare dell’abbattimento inciderebbe sul valore e sull’ammortamento del BOX realizzato dal concessionario, il ricorso presta il fianco alla considerazione che il rapporto tra il regime di uso concessorio ed il canone mensile è già esso stesso inclusivo dell’ammortamento del valore del bene, essendo l’abbattimento del 90% finalizzato al sostegno della fruizione dei servizi collettivi nei termini che si sono dapprima illustrati. Ne deriva che la censura è generica in quanto non è dimostrata l’incidenza effettiva dell’aumento sull’ammortamento del valore dei box realizzati da ciascun ricorrente, risolvendosi il gravame, sul punto, nel riaffermare – sotto diversi profili - la violazione della convenzione quale profilo formale di illegittimità in sé considerato.
VIII) Quanto all’ulteriore profilo dedotto da ultimo dalle parti, relativo alla correttezza dell’istruttoria posta a fondamento della deliberazione impugnata, si osserva quanto segue.
La tesi critica che le parti ricorrenti hanno svolto nelle memorie da ultimo depositate è che l’aumento della percentuale di abbattimento del canone dovrebbe fondarsi non già sul presunto “guadagno” delle AGS dalla gestione dei servizi oggetto della convenzione, ma sull’effettivo costo degli interventi di manutenzione a carico del Comune. Tale assunto, di per sé corretto, non è rilevante ai fini di causa, perché dalla relazione emerge che l’aumento della tariffa tramite diminuzione della percentuale di abbattimento è effettivamente calcolata sulla base delle stime dei costi di intervento; le analisi relative ai differenziali di incasso delle AGS sono rivolte a far emergere la criticità delle gestioni non efficienti sotto un profilo di sistema, quindi non già ai fini di ipotetiche sanzioni, ciò che avrebbe legittimato quella più puntuale disamina invocata dalle parti ricorrenti, quanto ai fini della necessità di diversamente distribuire i proventi delle risorse derivanti dalle tariffe dei servizi a domanda, devolvendone una aliquota a copertura dei nuovi costi.
Secondo i ricorrenti, anche aderendo all’impostazione dell’Ufficio, i calcoli che sono posti a base dell’analisi sarebbero errati, per difetto, non comprendendo – tra le spese sostenute dalle AGS nell’autogestione – rilevanti somme (elencate analiticamente) per oltre un milione di euro, ciò che condurrebbe a ritenere la sottovalutazione dello sforzo dei gestori e la sopravvalutazione dei loro ricavi. Si tratta di affermazioni (in parte di principio) parimenti non rilevanti.
Richiamato quanto già in precedenza esposto, ovvero che il sistema di autofinanziamento della gestione si fonda su una abbattimento pressochè totale del canone, e su una trasformazione dei relativi proventi in quote associative a favore dei gestori collettivi, deve ora soggiungersi che questi ultimi, per convenzione, assumono a proprio carico solo la manutenzione ordinaria ed altri servizi comuni (prevedendosi una limitata possibilità di intervento straordinario o strutturale dietro proposta, e quindi su iniziativa, delle stesse AGS da approvarsi da parte dell’Amministrazione), con la conseguenza che la manutenzione straordinaria e gli altri interventi strutturali restavano a carico della fiscalità generale. Deve adesso soggiungersi che, nella sua struttura, il finanziamento tariffario dei servizi a domanda individuale incorpora l’equivalente delle utilità proprie delle prestazioni pubbliche a copertura dei costi; non sussistono impedimenti a che questi ultimi includano, ovviamente in quota parte, anche i costi di investimento o di manutenzione straordinaria delle reti e delle strutture.
Nella proporzione tra il 10-20% a carico degli utenti e l’80%-90% “abbattuto” dall’Amministrazione, si riflette una scelta (perequativa) volta a far pesare sugli utenti solo una minima parte degli oneri straordinari, riservati per il resto al finanziamento tramite fiscalità generale (o disavanzo settoriale).
Posto che non sussiste una correlazione sinallagmatica tra l’abbattimento del canone e l’assunzione della gestione da parte degli operatori; nonché tra l’abbattimento del canone e le quote associative dei singoli, diviene irrilevante –ai fini della legittimità della deliberazione - che i costi in convenzione corrispondano – nella media triennale considerata dai ricorrenti – al “62% annuo” del canone o a frazioni maggiori (peraltro resta indimostrato che si raggiunga il 100% dell’importo, considerato che solo in maniera generica i ricorrenti affermano che “tutte le altre considerazioni fatte dal comune circa la media ponderata ed i lavori effettivamente da includere nei costi in convenzione, è evidente che siano un espediente per diminuire la percentuale e l’incidenza dei costi sostenuti dalle AGS rispetto all’abbattimento del canone”). Infatti, la scelta di ridurre l’abbattimento del canone, risponde pertanto non già ad una logica sanzionatoria degli operatori inadempienti, ma ad una esigenza di riequilibrio nella copertura dei costi che incide sulla natura distributiva del canone e della compartecipazione degli utenti ai vantaggi ed ai benefici del servizio erogato dall’Amministrazione, fermo restando che si opera anche un riequilibrio interno alla tariffa, limitando di fatto l’abbattimento al finanziamento ad una quota (presunta o stimata) di spese di natura ordinaria (nei limiti delle competenze delegate alle AGS).
Da tale premessa discendono le seguenti conclusioni.
L’analisi dei costi condotta dagli uffici e le relative coperture che l’Amministrazione si è prefigurata, costituiscono allo stato una proiezione di bilancio, che dovrà trovare corrispondenza all’esito della realizzazione dei programmi e degli interventi, con salvezza di ogni eventuale azione correttiva per il futuro.
Non si tratta dunque di un’analisi svolta ai fini della individuazione della base di calcolo della copertura della tariffa rispetto al costo del servizio (che resta ancorata alle percentuali di copertura dei costi da assumere a carico del bilancio, come in tutti i servizi a domanda), ma di un’analisi di tipo a consuntivo sull’effettiva ricaduta dei bilanci delle AGS in ordine ai presupposti oggettivi della manutenzione degli edifici e delle strutture di servizio.
Le censure di parte ricorrente non sono sufficienti, pertanto, a destituire di rilievo le indicazioni contenute nella Relazione circa le risorse da destinare agli interventi necessari (di tipo conservativo e di valorizzazione fisico-commerciale delle strutture mercatali) stimate in euro 10.500.000,00 di cui euro 4.000.000,00 impegnati nella corrente annualità; nella Relazione dell’ufficio, il “livello n. 2 – Definizione dei costi unitari e media ponderata” riflette una distribuzione di costi che prende le mosse dalla rilevata eterogeneità dei costi annuali totali che “presenta valori estremi non comparabili (valore percentuale incrementale del 1952% del valore massimo rispetto al valore minimo”) così che l’ufficio ha dovuto effettuare una valutazione ponderata dei costi unitari con il metodo ivi esposto (che conduce ad una “media pesata dei costi unitari per singolo anno”); le proiezioni sui costi sostenuti delle singole AGS per voci di spesa, ancora una volta, concorrono a suffragare la ipotesi di fondo dalla quale è partita l’Amministrazione, ovvero che il trasferimento di risorse dagli operatori alle AGS o soggetti collettivi gestori, operato tramite l’effetto congiunto dell’abbattimento del canone e delle quote di associazione, non è stato improntato a risultati di efficienza allocativa (ovvero incremento della qualità del servizio a parità di fondi erogati).
Dalle risultanze istruttorie va quindi tratta la conferma che il presupposto dal quale la deliberazione impugnata trae fondamento e titolo, ovvero la sussistenza di numerose criticità relative alla mancata manutenzione e pulizia delle strutture e delle aree, è effettivamente sussistente.
Per queste ragioni, dunque, i ricorsi in epigrafe non possono trovare accoglimento.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li respinge.
Condanna i ricorrenti, in solido, alle spese di lite nei confronti dell’Amministrazione resistente, che liquida per entrambi i giudizi, in euro 10.000,00 (diecimila), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2019 con l'intervento dei magistrati:
Pietro Morabito, Presidente
Michelangelo Francavilla, Consigliere
Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Salvatore Gatto Costantino
Pietro Morabito
IL SEGRETARIO