Sgombero marciapiede
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda Bis), sentenza n. 218 del 7 gennaio 2021, sullo sgombero di un marciapiede
MASSIMA
Dal combinato disposto degli art. 2 commi 1 e 3, n. 33, c. strad. - i quali definiscono rispettivamente come strada l'area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali, e come marciapiede la parte della strada, esterna alla carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta, destinata ai pedoni - si desume che… (per l’individuazione del marciapiedi su cui i pedoni hanno il diritto di poter transitare ) è decisiva soltanto la rilevazione della utilizzazione del suolo, … quale componente del sistema viario destinata alla circolazione dei pedoni, senza che assuma rilievo la proprietà dell'area (e, in particolare, la circostanza che essa eventualmente appartenga allo stesso autore della contestata infrazione), non essendo essenziale il suo assoggettamento a diritto di passaggio a favore della collettività o la sua appartenenza al demanio.
SENTENZA
N. 00218/2021 REG.PROV.COLL.
N. 07867/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7867 del 2009, proposto da
OMISSIS, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabrizio Castellano, Salvatore Vitale, Giorgia Clementi ed Alessandro Marescotti, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via dei Pastini 127;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Ciavarella, domiciliata presso l’Avvocatura Comunale in Roma, via Tempio di Giove, 21;
per l'annullamento
della determinazione dirigenziale n. 1346 del 4.8.2009, a firma del Dirigente dell'U.O.T. del Municipio Delle Torri del Comune di Roma, con la quale veniva disposta la rimozione di opere abusivamente realizzate nonché di ogni altro atto comunque connesso;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma, ora Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2020 - svolta ai sensi degli artt. 25 d.l. n. 137/2020 e 4 d.l. n. 28/2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo della piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13/03/2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa - la dott.ssa Ofelia Fratamico;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente ha chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, la determinazione dirigenziale n. 1346 del 4.08.2009 con cui il Comune di Roma le aveva ingiunto “la rimozione delle opere abusivamente realizzate, relative alla recinzione con pali e catene del tratto di marciapiede antistante i civici 20/22 (di via dei Gabbiani) ed il ripristino della continuità del marciapiede stesso in coerenza con i marciapiedi adiacenti” e di ogni atto connesso .
A sostegno della sua domanda, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi: 1) eccesso di potere per travisamento in fatto, in quanto il Comune non avrebbe considerato la proprietà privata e non pubblica dell’area in cui sorgeva il marciapiede e l’esistenza, sul lato opposto della strada, di un marciapiede pubblico sul quale i pedoni avrebbero potuto passare, invece di invadere la sede viaria, riservata al transito veicolare; 2) violazione dell’art. 42 della Costituzione, incompetenza, poiché essendo il bene in questione di proprietà privata, l’Amministrazione non avrebbe potuto legittimamente ledere tale diritto, senza le garanzie procedimentali previste per l’espropriazione; 3) eccesso di potere, violazione dell’art. 42 Cost. e dell’art. 841 c.c., essendosi ella limitata a esercitare un suo diritto, quello di recintare l’immobile di sua proprietà, con opere che non necessitavano di permesso di costruire e non potevano, quindi, essere sanzionate con l’ordine di rimozione; 4) eccesso di potere per insussistenza dei motivi di urgenza, in quanto l’ordine di rimozione non era stato preceduto da alcuna comunicazione dell’avvio del procedimento o invito ad adempiere ed era stato adottato nel periodo estivo, quando il traffico nel quartiere era comunque ridotto.
Si è costituito in giudizio il Comune di Roma, ora Roma Capitale, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.
Con ordinanza n. 5689/2009 del 4.12.2009 il Tribunale ha rigettato l’istanza cautelare.
All’udienza pubblica del 20.11.2020 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.
DIRITTO
Le censure svolte dalla ricorrente, concernenti essenzialmente l’appartenenza del terreno su cui sorge il marciapiede alla sua proprietà privata e la possibilità di ricondurre la chiusura di tale area con catene e paletti infissi nel cemento ai suoi diritti di proprietaria, e, dunque, all’attività edilizia libera, non necessitante di alcun permesso di costruire e non sanzionabile con l’ordine di rimozione, sono infondate e devono essere rigettate.
Il provvedimento in questione risulta essere stato adottato dal Comune di Roma non solo per ragioni edilizie e per la realizzazione delle opere, che hanno sicuramente alterato lo stato dei luoghi, senza alcun permesso, quanto, soprattutto, per eliminare lo stato di pericolosità per la circolazione determinato dall’interdizione al transito pedonale del marciapiedi in via dei Gabbiani, in corrispondenza dei numeri civici nn. 20/22, posta in essere dalla ricorrente tramite l’apposizione di paletti e catene.
Tale chiusura del marciapiedi, non permettendo l’uso dello stesso da parte dei pedoni, li costringeva a transitare sulla sede viaria, riservata al transito veicolare, con conseguente compromissione della sicurezza della circolazione, rischio per l’incolumità delle persone e potere-dovere dell’Amministrazione di intervenire tempestivamente (a prescindere dall’intensità più o meno elevata del traffico pedonale nel periodo contingente).
Da qui la correttezza dell’intervento dell’Amministrazione che, rilevando il suddetto pericolo e la mancanza di qualsiasi titolo abilitativo al riguardo, ha ingiunto alla ricorrente la rimozione delle opere de quibus, senza dare alcun rilievo alla proprietà privata dell’area su cui sorge il marciapiede, circostanza, in verità, ininfluente sulla legittimità del provvedimento.
Come evidenziato dalla Suprema Corte di Cassazione che ha esaminato a fondo la questione, “dal combinato disposto degli art. 2 commi 1 e 3, n. 33, c. strad. - i quali definiscono rispettivamente come strada l'area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali, e come marciapiede la parte della strada, esterna alla carreggiata, rialzata o altrimenti delimitata e protetta, destinata ai pedoni - si desume che… (per l’individuazione del marciapiedi su cui i pedoni hanno il diritto di poter transitare ) è decisiva soltanto la rilevazione della utilizzazione del suolo, … quale componente del sistema viario destinata alla circolazione dei pedoni, senza che assuma rilievo la proprietà dell'area (e, in particolare, la circostanza che essa eventualmente appartenga allo stesso autore della contestata infrazione), non essendo essenziale il suo assoggettamento a diritto di passaggio a favore della collettività o la sua appartenenza al demanio” (Cassazione Civile, Sez. I, 2.02.2006, n. 2340).
Alla luce dei principi enunciati dalla Corte di Cassazione, non pertinenti si rivelano, quindi, anche tutte le doglianze svolte dalla ricorrente in rapporto alla pretesa violazione dell’art. 42 della Costituzione o all’asserita necessità per l’Amministrazione di agire, nel caso in questione, con le garanzie tipiche del procedimento di espropriazione.
In conclusione, tutte le doglianze formulate dalla ricorrente risultano infondate, con conseguente integrale rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis),
definitivamente pronunciando,
- rigetta il ricorso;
- condanna la ricorrente alla rifusione, in favore di Roma Capitale delle spese di lite, liquidate in complessivi € 2.500,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2020 tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza secondo quanto disposto dall’art. 25 comma 2 d. l. n. 137/2020 con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Brunella Bruno, Consigliere
Ofelia Fratamico, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Ofelia Fratamico
Elena Stanizzi