Legittimazione impugnazione provvedimento autorizzativo unico
Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna, (Sezione Prima), sentenza n. 756 del 18 agosto 2021, legittimazione ad impugnazione provvedimento autorizzativo unico
Commento:
Ha ricordato il TAR Emilia Romagna come la lesione dell’interesse all’integrità ambientale il quale è tutelabile soltanto dagli enti esponenziali (ex plurimis Consiglio di Stato sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4928).
Importante il richiamo al passo della sentenza che si riporta: “In riferimento alla materia edilizia sussista un annoso contrasto di giurisprudenza nello stabilire le condizioni di legittimazione ed interesse che abilitano all’impugnazione di un titolo edilizio asseritamente illegittimo, non essendo previste forme di azione popolare (T.A.R. Campania Napoli sez. VII, 5 gennaio 2017, n. 107).
Secondo una prima tesi ai fini della legittimazione è sufficiente il criterio dello stabile collegamento con l’area interessata, di per sé sufficiente ad integrare la condizione dell’azione, senza che occorra dimostrazione della sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale, “senza cioè che occorra procedere in concreto ad alcuna ulteriore indagine al fine di accertare se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione” (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 8 giugno 2021, n. 4387; id. sez. IV, 23 maggio 2019, n. 3386; id. sez IV, 16 marzo 2010, n.1535, id. sez IV, 12 maggio 2009, n.2908, id. sez IV, 15 gennaio 2009, n.177, id. sez. V, 15 settembre 2003, n. 5172, id sez. V, 13 luglio 2000, n. 3904; Cassazione sez. unite ord. 30 giugno 2021, n. 18493).
Secondo invece altro orientamento - pur invalso sia presso la giurisprudenza di prime cure che d’appello - la sola “vicinitas” non può reputarsi sufficiente a supportare il requisito dell’interesse a ricorrere della domanda di annullamento di un titolo edilizio, dal momento che tale condizione deve apprezzarsi non già in senso assoluto bensì relativo, ossia con riferimento alle peculiari caratteristiche dell’opera e quindi anche alla sua natura e dimensioni, destinazione, implicazioni urbanistiche ed agli effetti ragionevolmente dispiegabili in ordine alla qualità della vita di relazione esplicantesi nel contesto spaziale (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 21 aprile 2021, n. 3247; sez IV, 29 dicembre 2010, n.9537; id. sez IV, 31 maggio 2007, n.2849; id. sez V, 28 giugno 2004, n.4790; id. sez. II, 23 dicembre 2020, n. 8289; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 15 ottobre 2020, n. 360; T.A.R. Puglia Bari sez III, 25 febbraio 2008, n.325; id sez. III, 16 dicembre 2010, n.4217; T.A.R. Lombardia Milano sez. II, 9 luglio 2009, n.4345; T.A.R. Calabria Catanzaro sez. II, 10 maggio 2007, n. 404). Secondo tale ricostruzione giurisprudenziale - a cui invero ha recentemente aderito questa Sezione (T.A.R. Emilia Romagna Bologna sez. I, 2 aprile 2021, n. 342) - deve essere tenuta distinta la condizione della legittimazione al ricorso - coincidente con la titolarità della situazione soggettiva sulla quale si innesta l’interesse legittimo che si vuol far valere in giudizio (ex multis Consiglio Stato, sez. IV, 10 aprile 2009, n. 2235) - con quella ben distinta dell’interesse ad agire ex art 100 c.p.c. quale generale condizione dell’azione di annullamento innanzi al g.a., che deve essere personale, attuale e concreto e che onera il ricorrente della relativa prova, quale specifico pregiudizio arrecato dal provvedimento gravato ad un proprio bene della vita.”
SENTENZA
N. 00756/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00140/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 140 del 2021, proposto da
OMISSIS, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Giacomo Graziosi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di San Mauro Pascoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Federico Gualandi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via Altabella n. 3;
Unione Rubicone e Mare, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesca Minotti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via Altabella 3;
Societa' Agricola Circuito Verde S.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Enrico Lubrano, Filippo Lubrano e Lorenzo Maria Cioccolini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Enrico Lubrano in Roma, via Flaminia 79;
Agenzia Regionale per la Prevenzione, l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia-Romagna (Arpae), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Fantini ed Maria Elena Boschi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Maria Elena Boschi in Bologna, via Po 5;
Regione Emilia-Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gaetano Puliatti e Claudia Menini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gaetano Puliatti in Bologna, viale Aldo Moro, n. 52;
Provincia di Forli'-Cesena, Mibac, Ministero della Difesa, AUSL Romagna, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
previa sospensiva
- della delibera della Giunta Regionale n. 1760 del 30.11.2020, pubblicata sul BUR n. 442 del 23.12.2020, che ha adottato il Provvedimento Autorizzativo Unico Regionale relativo al “Progetto di demolizione e ricostruzione di fabbricati destinati all'allevamento avicolo” ubicato in San Mauro Pascoli e presentato dalla società Circuito Verde s.r.l.;
- dei provvedimenti, atti autorizzativi, assensi e nulla osta “compresi” in tale provvedimento unico tra cui il Provvedimento di VIA positiva adottato dalla Giunta Regionale all'esito del verbale conclusivo della conferenza di servizi condotta da ARPAE, l'AIA rilasciata da ARPAE, la Concessione di derivazione idrica rilasciata da ARPAE, il permesso di costruire con relativa convenzione rilasciato dal Comune di San Mauro Pascoli e ogni altro atto, parere e nulla osta con efficacia esterna comunque compreso nel PAUR;
- del Rapporto Ambientale della procedura di VIA, redatto da ARPAE ed approvato dalla Conferenza di servizi, avente valore di verbale conclusivo e decisione motivata della conferenza di servizi ;
- di tutti gli atti assunti nella conferenza di servizi decisoria e della preliminare conferenza di servizi istruttoria, e relativi verbali, tra cui la dichiarazione ARPAE di completezza della pratica del 16.5.2019 e la decisione ARPAE del 27.4.2020 di convocare la c.d.s. decisoria senza previa ripubblicazione del progetto;
- di tutti gli atti, pareri, delibere e nulla osta emessi dentro e fuori dalla conferenza di servizi e funzionali al perfezionamento della procedura avviata dalla società Circuito Verde s.r.l. tra cui, se ritenuto di valore provvedimentale, il parere reso dall'Unione Savignano e Mare in data 20.7.2020 circa l'applicazione dell'art. 5.7 del RUE al progetto della società Circuito Verde da realizzarsi in San Mauro Pascoli;
- della concessione edilizia in sanatoria/condono n. 2257 rilasciata dal Comune di San Mauro Pascoli il 14.2.2014;
- della delibera di Giunta Regionale n. 1795/2016 nella parte in cui, in attuazione degli artt. 14, 15 e 16 L.R. n. 13/2015, ha attribuito ad ARPAE la competenza al rilascio dell'AIA ed alla gestione del relativo procedimento;
- delle delibere di Giunta Regionale n. 1795/2016, n. 1692/2017 e n. 1071/2018 nella parte in cui, in attuazione degli artt. 15-16 L.R. n. 13/2015 e dell'art. 7.2 L.R. n. 4/2018, hanno attribuito ad ARPAE i poteri in materia di conduzione del procedimento di VIA fino alla determinazione conferenziale conclusiva ed alla proposta di deliberazione della Giunta;
- della determina dirigenziale regionale n. 20138 del 13.12.2017 nella parte in cui ha delegato ai dirigenti di ARPAE i compiti di “Responsabile del procedimento unico” di VIA e di “Rappresentante unico ai fini dell'espressione della posizione dell'amministrazione sulle decisioni da assumersi nell'ambito della relativa conferenza di servizi” di VIA, spettanti al VIPSA;
- per quanto occorrer possa, della Scheda “041_459” del RUE vigente nel territorio di San Mauro Pascoli, relativa all'immobile della controinteressata, se interpretata nel senso di attribuire ai manufatti dell'ex allevamento dismesso la qualifica di “allevamento esistente” ai fini dell'art. 5.7 del RUE.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Mauro Pascoli, dell’Unione Rubicone e Mare, della Società Agricola Circuito Verde S.r.l., dell’Agenzia Regionale per la Prevenzione, l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia-Romagna (Arpae) e della Regione Emilia-Romagna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2021 il dott. Paolo Amovilli e uditi da remoto per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.-Con il ricorso collettivo in esame gli odierni istanti hanno impugnato la delibera della Giunta Regionale n. 1760 del 30 novembre 2020 (pubblicata sul BUR n. 442 del 23.12.2020) di adozione del provvedimento autorizzativo unico regionale (comprensivo di VIA, AIA e permesso di costruire) ai sensi dell’art 27-bis d.lgs. 152/2006 relativo al “Progetto di demolizione e ricostruzione di fabbricati destinati all’allevamento avicolo” presentato dalla società Circuito Verde s.r.l. ed ubicato in San Mauro Pascoli.
L’impugnativa ha altresì ad oggetto ulteriori atti, meglio indicati in epigrafe, tra cui il provvedimento di VIA positiva adottato dalla Giunta regionale, tutti gli atti assunti in sede di conferenza di servizi, le delibere regionali che hanno attribuito ad Arpae le competenze al rilascio dell’AIA e alla conduzione del procedimento di VIA.
L’avversato intervento posto in zona a destinazione ad “allevamento zootecnico intensivo” si innesta su di un preesistente allevamento avicolo dismesso da anni, segnatamente dalla prima metà degli anni ottanta, composto da 9 capannoni, allo scopo di realizzare un allevamento da 294.000 polli, soggetto a VIA obbligatoria ai sensi della legge regionale n. 4/2018.
Gli odierni ricorrenti, alcuni in qualità di proprietari di immobili altri di titolari di imprese agricole nelle immediate vicinanze dell’intervento, lamentano “l’alterazione del territorio e dell’ambiente in modo grave e difficilmente reversibile”.
A sostegno del gravame hanno dedotto articolati motivi, così riassumibili:
I)Incompetenza. Illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale degli artt. 15-16 L.R. n. 13/2015 e dell’art. 7 L.R. n. 4/2018 per violazione dell’art. 117 lett. s) cost. e relative norme interposte (D.L. n. 496/1993, conv. in l. n. 61/1994 e D.lgs. n. 132/2016): il procedimento di VIA svolto ai sensi della L.R. 4/2018 sarebbe contraddistinto dall’assunzione da parte di Arpae di compiti di amministrazione attiva, in violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, si che la suindicata legge regionale n. 4/18 unitamente alla L.R. 13/2015 poste a fondamento del procedimento in contestazione sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione della competenza statale esclusiva in materia ambientale, con conseguente istanza di rimessione alla Corte Costituzionale.
II) Violazione dell’art. 27-bis, co. 5° D.Lgs. n 152/2006, dell’art. 18 co. 1° L.R. n. 4/2018, dell’art. 6, co. 4° e 6° e del 16° Considerando della Direttiva 2011/92/UE. Eccesso di potere per difetto assoluto o di motivazione: risulterebbe elusa dall’Amministrazione la partecipazione procedimentale garantita anche dalla suindicata direttiva UE, risultando il progetto pubblicato privo degli elementi sostanziali fondamentali, si da imporsi la pubblicazione di nuovo avviso al fine di consentire l’effettiva partecipazione al processo decisionale.
III) Violazione dell’art. 5.7 comma 2° del RUE. Eccesso di potere per falso supposto di fatto e di diritto e difetto di istruttoria: il progetto autorizzato sarebbe radicalmente in contrasto con l’ art. 5.7 del RUE il quale contiene un divieto generale di nuovi allevamenti intensivi nel territorio rurale, mitigato dalla possibilità di mantenere quelli “esistenti” e di ampliarne “la capacità produttività esistente” fino al 20%, dal momento che l’allevamento in questione non potrebbe definirsi “esistente” come confermato nel 2015 dallo stesso Comune di San Mauro Pascoli in sede di approvazione della variante al PRG laddove ha affermato che l’ immobile non poteva considerarsi allevamento esistente né essere in alcun modo riattivato; a dire di parte ricorrente la nozione di “allevamento esistente” andrebbe riferita unicamente all’attività e non all’edificio, peraltro da tempo allo stato di mero rudere, risultando del tutto illegittima la pretesa di realizzare surrettiziamente allevamenti intensivi vietati dal RUE nel territorio agricolo.
IV) Violazione degli artt. 11 e 79 del P.T.C.P. di Forlì Cesena. Violazione dei principi generali in tema di disciplina degli allevamenti intensivi “incongrui”: secondo il PTCP l’ampliamento sarebbe subordinato al rispetto del parametro del 20% della “capacità produttiva esistente” quale limite massimo per gli ampliamenti, mentre sarebbe di fatto impossibile sapere quale fosse tale capacità peraltro risalente nel tempo, di fatto oggi pari a zero, essendosi al cospetto di un’attività del tutto nuova.
V) Violazione dell’art. 5.7 del RUE e degli artt. 11 e 79 PTCP sotto altro diverso profilo. Eccesso di potere per falso supposto di fatto e di diritto e difetto di istruttoria: anche a voler ritenere l’impianto in contestazione come “esistente” esso sarebbe annoverabile per caratteristiche e dimensioni come nuova opera soggetta alle regole edilizie ed ambientali vigenti al momento della riedificazione e non ristrutturazione, mutando il sedime e la volumetria.
VI) Violazione dell’art. 5.7 co. 1° RUE, in combinato disposto con l’art. 3 T.U. Edilizia, sotto altro diverso profilo: posto che il progetto autorizzato prevede la demolizione e ricostruzione con diversa sagoma, volume e sedime in area vincolata ai sensi del d.lgs. 42/2004, esso sarebbe annoverabile quale intervento di “nuova costruzione” da ritenersi in contrasto con il divieto di nuovi allevamenti intensivi stabilito dall’art. 5.7 del RUE.
VII) Violazione dell’art. 32 L. n. 47/1985 in relazione all’art. 5.1.3 del RUE: in subordine il complesso edilizio in questione sarebbe in parte abusivo, risultando il condono edilizio ottenuto nel 2014 illegittimo in quanto privo dell’autorizzazione paesaggistica, con conseguente illegittimità dell’autorizzazione unica regionale.
VIII) Violazione dell’art. 5.7 del RUE ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e vizio di motivazione sotto altro diverso profilo: la società proponente non avrebbe in alcun modo documentato la consistenza produttiva dell’allevamento avicolo dismesso a metà degli anni 80, non essendo consentita una stima ipotetica di quello che si sarebbe potuto allevare ma non si è mai allevato.
Con i successivi motivi hanno contestato le valutazioni ambientali eseguite in sede di VIA, e precisamente:
IX) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e vizio di motivazione in merito agli impatti ambientali del progetto rispetto alla gestione degli effluenti di allevamento: in sede di VIA vi sarebbe stata una grave sottovalutazione degli effetti del nuovo impianto sulla salute umana, senza considerare tra l’altro gli effetti della fase di stoccaggio e stabulazione della pollina.
X) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e vizio di motivazione in merito agli impatti ambientali del progetto rispetto alle matrici suolo ed acqua: non sarebbero stati adeguatamente considerati in sede di VIA i rischi derivanti dalle operazioni di idrolavaggio dei capannoni e dello smaltimento delle acque di lavaggio nonché dalla gestione delle acque di pioggia compresa l’interazione tra le acque meteoriche e la “Dust chambers”;
XI) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e vizio di motivazione in merito agli impatti ambientali del progetto rispetto alle coltivazioni circostanti: lo studio di impatto atmosferico si baserebbe su fattore di emissione dell’ammoniaca sottostimato e valutato soltanto ai fini della salute umana e non sull’ambiente rurale circostante che sarebbe danneggiato dalle alte concentrazioni di ammoniaca e PM10.
XII) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e vizio di motivazione in merito alla valutazione delle emissioni: le emissioni atmosferiche dell’impianto progettato non rispetterebbero tutte le normative ed i valori soglia attualmente vigenti.
Si è costituito in giudizio il Comune di San Mauro Pascoli eccependo l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione, essendo alcuni ricorrenti addirittura residenti in altro Comune (Savignano sul Rubicone), non essendo sufficiente il solo criterio della “vicinitas.” Nel merito l’art. 5.7 c. 1 del RUE dovrebbe coordinarsi con la specifica previsione contenuta all’art. 5.3.2 la quale consente l’uso negli edifici di tipo N1.3b, quali sono quelli di cui si discute. Gli edifici oggetto dell’intervento di demolizione e ricostruzione in questione sarebbero da ritenersi esistenti ai fini del citato art. 5.7. del RUE e delle schede RD degli edifici in questione, posta unicamente la rilevanza della destinazione prevista dai titoli legittimamente rilasciati.
Si è costituita anche l’Unione Rubicone e Mare sollevando analoga eccezione in rito di inammissibilità del ricorso ed eccependo l’infondatezza di tutti i motivi “ex adverso” proposti.
Con memoria la difesa di parte ricorrente ha depositato ampia documentazione atta a controdedurre alla suindicata eccezione, nonché foto aerea del 2017 (prima del RUE) al fine di comprovare lo stato di mero rudere e quindi non di edificio esistente del complesso edilizio in questione ed infine relazione di un agronomo tesa a dimostrare carenze della VIA. Ha altresì depositato, tra l’altro, dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa dal sig. Luigino del Prete custode dell’allevamento sino al 1982 inerente la capacità produttiva dell’allevamento avicolo, stimata in un massimo di 78.000 polli l’anno.
Si è costituita anche Agricola Circuito Verde s.r.l. sollevando anch’essa eccezione di inammissibilità del gravame per difetto di legittimazione non essendo sufficiente secondo la più recente giurisprudenza il mero rapporto di “vicnitas”. Quanto al merito ha eccepito l’infondatezza di tutti i motivi “ex adverso” dedotti, in sintesi così riassumibili: - le competenze attribuite dalla normativa regionale all’ Arpae, ente strumentale regionale, sarebbero di mero ausilio e non già di amministrazione attiva; - l’inammissibilità per difetto di interesse del secondo motivo, per mancata prova del contributo partecipativo che ricorrenti avrebbero potuto offrire; - quanto ai denunziati vizi urbanistico - edilizi l’impianto in questione non sarebbe un rudere ma un edificio diruto (come si evincerebbe dalle foto allegate) in quanto dotato di mura perimetrali e strutture orizzontali ecc., come tale passibile di ristrutturazione; - la capacità produttiva esistente non poteva che essere desunta, come avvenuto, in base alla superfice utile allevabile del preesistente impianto; - l’inammissibilità dei motivi diretti all’annullamento della VIA in quanto volti ad impingere nel merito delle valutazioni ampiamente discrezionali compiute dall’Amministrazione.
Si è costituita anche l’Arpae sollevando analoga eccezione di inammissibilità del ricorso, nulla affermando i ricorrenti sulle effettive conseguenze in termini di danno e di pericolo che essi subirebbero dalla realizzazione dell’allevamento autorizzato. La legge regionale Emilia Romagna n. 13/2015, a differenza di quella del Molise oggetto della dichiarazione di incostituzionalità, avrebbe tenuto distinte le funzione vincolate da quelle espressione di discrezionalità. In sede di VIA poi sarebbero stati compiutamente esaminati tutti gli impatti negativi sull’ambiente diversamente da quanto argomentato da parte ricorrente.
Si è costituita la Regione Emilia Romagna, eccependo l’inammissibilità del ricorso, lamentando i ricorrenti la lesione dell’interesse all’integrità ambientale quale interesse diffuso tutelabile in sede giurisdizionale dai soli enti esponenziali, non allegandosi specifici pregiudizi alla salute dei singoli soggetti istanti. Quanto poi al merito in particolare sul primo motivo ha evidenziato come la normativa regionale abbia attribuito ad Arpae funzioni del tutto vincolate o al più espressione di discrezionalità di tipo tecnico, non implicando l’AIA la spendita di discrezionalità amministrativa.
2.- Alla camera di consiglio del 10 marzo 2021 con ordinanza n. 127/2021 la domanda incidentale cautelare è stata respinta “attesa la mancata dimostrazione da parte dei numerosi ricorrenti di un pregiudizio “grave e irreparabile” alle rispettive proprietà o aziende e/o al diritto individuale alla salute, idoneo a sospendere l’efficacia dell’autorizzazione unica impugnata, non essendo all’uopo apprezzabile l’asserita capacità dell’intervento autorizzato “di alterazione del territorio e dell’ambiente in modo grave e diversamente reversibile”; Considerata la necessità di un più approfondito esame nella sede di merito delle articolate doglianze dedotte nonché della stessa questione di ammissibilità del gravame per difetto di legittimazione e/o interesse, come ampiamente eccepito dalle amministrazioni resistenti e dalla controinteressata; Considerata comunque “prima facie” la stessa carenza di sufficienti profili di fondatezza del ricorso collettivo in esame in quanto - tra l’altro - l’edificio oggetto dell’intervento di demolizione e ricostruzione appare “esistente” ai sensi delle norme del vigente RUE”.
3.- In prossimità della trattazione nel merito le parti hanno depositato articolate memorie e documentazione.
In particolare sia le Amministrazioni resistenti che la controinteressata hanno insistito con argomentazioni simili nell’eccezione di inammissibilità del gravame. Nel merito la difesa della Società Circuito Verde ha evidenziato tra l’altro la rilevanza ai fini del calcolo della capacità produttiva ai sensi dell’art. 5.7. del RUE della sola superfice del preesistente allevamento e contestato in punto di fatto il momento temporale della stessa dismissione, a suo dire avvenuta soltanto nel 1990 e non nel 1983.
La difesa comunale, in sintesi, ha ribadito come ai fini del calcolo della capacità produttiva l’impianto autorizzato non ricade nelle aree di particolare interesse ambientale di cui all’art. 11 del RUE.
Con ampie memorie la difesa dei ricorrenti ha replicato all’eccezione in rito, evidenziando come nella materia ambientale non si potrebbe pretendere la prova puntuale dei pregiudizi subiti quale prova diabolica che impedirebbe la tutela giurisdizionale, essendo sufficiente la prospettazione “plausibile” dei pregiudizi potenziali. Quanto al merito, in necessaria sintesi, ha insistito per l’accoglimento del ricorso evidenziando in particolare il difetto di istruttoria nel computo, a norma dell’art. 5.7. del RUE, della capacità produttiva preesistente, che sarebbe molto minore rispetto a quella indicata nel progetto autorizzato, con conseguente ipotizzabile realizzazione di impianto sensibilmente ridotto; ha altresì insistito per la fondatezza dei motivi riguardanti le valutazioni effettuate in sede di VIA.
All’udienza pubblica del 13 luglio 2021, uditi da remoto i difensori, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.-E’ materia del contendere la legittimità della deliberazione G.R. n. 1760/2020 con cui è stata disposta l’autorizzazione unica (comprensiva di VIA, AIA e permesso di costruire) ai sensi dell’art 27 bis d.lgs. 152/2006 relativa al “Progetto di demolizione e ricostruzione di fabbricati destinati all’allevamento avicolo” ubicato in San Mauro Pascoli e presentato dalla società Circuito Verde s.r.l.
Lamentano i ricorrenti in qualità di proprietari di immobili o di titolari di imprese agricole posti nelle vicinanze dell’intervento, articolati vizi sostanziali sotto plurimi profili (edilizio, urbanistico ed ambientale) nonché sul piano formale-procedimentale quanto all’omessa riapertura della fase di consultazione pubblica.
Contestano in primis la stessa qualificazione edilizia di ristrutturazione previa demolizione e ricostruzione operata dall’Amministrazione essendosi al cospetto di intervento del tutto nuovo risultando il precedente impianto completamente dismesso dal 1983. Confutano infine i compiti attribuiti ad Arpae dalla legislazione regionale, asseritamente di vera e propria amministrazione attiva, nei cui confronti sollevano questione di costituzionalità per contrasto con l’art. 117 comma 2 lett. s) Cost. e con le norme interposte (D.L. n. 496/1993, conv. in l. n. 61/1994 e D.lgs. n. 132/2016).
2.- Preliminarmente va esaminata la questione di ammissibilità per difetto di legittimazione e/o interesse sollevata in giudizio.
2.1. - Ad avviso delle amministrazioni resistenti e dalla società controinteressata i ricorrenti, alcuni persone fisiche altri persone giuridiche, avrebbero lamentato esclusivamente la lesione dell’interesse all’integrità ambientale il quale è come noto tutelabile soltanto dagli enti esponenziali (ex plurimis Consiglio di Stato sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4928) mentre non sarebbero stati allegati specifici pregiudizi in termini di danno o di pericolo che i ricorrenti subirebbero “uti singuli” dalla realizzazione dell’allevamento autorizzato, non essendo sufficiente il mero criterio della “vicinitas” ovvero dello stabile collegamento con l’area in cui è ubicato l’intervento.
2.2. - Va rilevato in punto di fatto come la difesa dei ricorrenti abbia depositato in giudizio planimetria “google maps” indicativa della localizzazione delle singole proprietà o residenze rispetto all’allevamento con indicazione delle distanze (varianti da soli 9 metri per alcuni ricorrenti sino ad 1 Km. per altri) unitamente a documentazione con cui i clienti di alcune delle imprese agricole esigono l’assenza di allevamenti di animali in prossimità dei terreni orticoli. Va rilevato come la maggior parte degli odierni istanti risieda o eserciti l’attività agricola in un raggio di distanza comunque inferiore ai 500 mt.
2.3. - E’ noto come in riferimento alla materia edilizia sussista un annoso contrasto di giurisprudenza nello stabilire le condizioni di legittimazione ed interesse che abilitano all’impugnazione di un titolo edilizio asseritamente illegittimo, non essendo previste forme di azione popolare (T.A.R. Campania Napoli sez. VII, 5 gennaio 2017, n. 107).
Secondo una prima tesi ai fini della legittimazione è sufficiente il criterio dello stabile collegamento con l’area interessata, di per sé sufficiente ad integrare la condizione dell’azione, senza che occorra dimostrazione della sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale, “senza cioè che occorra procedere in concreto ad alcuna ulteriore indagine al fine di accertare se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione” (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 8 giugno 2021, n. 4387; id. sez. IV, 23 maggio 2019, n. 3386; id. sez IV, 16 marzo 2010, n.1535, id. sez IV, 12 maggio 2009, n.2908, id. sez IV, 15 gennaio 2009, n.177, id. sez. V, 15 settembre 2003, n. 5172, id sez. V, 13 luglio 2000, n. 3904; Cassazione sez. unite ord. 30 giugno 2021, n. 18493).
Secondo invece altro orientamento - pur invalso sia presso la giurisprudenza di prime cure che d’appello - la sola “vicinitas” non può reputarsi sufficiente a supportare il requisito dell’interesse a ricorrere della domanda di annullamento di un titolo edilizio, dal momento che tale condizione deve apprezzarsi non già in senso assoluto bensì relativo, ossia con riferimento alle peculiari caratteristiche dell’opera e quindi anche alla sua natura e dimensioni, destinazione, implicazioni urbanistiche ed agli effetti ragionevolmente dispiegabili in ordine alla qualità della vita di relazione esplicantesi nel contesto spaziale (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 21 aprile 2021, n. 3247; sez IV, 29 dicembre 2010, n.9537; id. sez IV, 31 maggio 2007, n.2849; id. sez V, 28 giugno 2004, n.4790; id. sez. II, 23 dicembre 2020, n. 8289; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia 15 ottobre 2020, n. 360; T.A.R. Puglia Bari sez III, 25 febbraio 2008, n.325; id sez. III, 16 dicembre 2010, n.4217; T.A.R. Lombardia Milano sez. II, 9 luglio 2009, n.4345; T.A.R. Calabria Catanzaro sez. II, 10 maggio 2007, n. 404). Secondo tale ricostruzione giurisprudenziale - a cui invero ha recentemente aderito questa Sezione (T.A.R. Emilia Romagna Bologna sez. I, 2 aprile 2021, n. 342) - deve essere tenuta distinta la condizione della legittimazione al ricorso - coincidente con la titolarità della situazione soggettiva sulla quale si innesta l’interesse legittimo che si vuol far valere in giudizio (ex multis Consiglio Stato, sez. IV, 10 aprile 2009, n. 2235) - con quella ben distinta dell’interesse ad agire ex art 100 c.p.c. quale generale condizione dell’azione di annullamento innanzi al g.a., che deve essere personale, attuale e concreto e che onera il ricorrente della relativa prova, quale specifico pregiudizio arrecato dal provvedimento gravato ad un proprio bene della vita.
2.4.- Tanto premesso, con specifico riferimento alla materia ambientale, viene in rilievo, oltre ai beni fondamentali del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, garantiti dall'art. 9, comma 2, Cost., il bene primario della salute umana, garantito dall'art. 32 Cost. come « fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività », la cui soglia di tutela giurisdizionale, nella relativa declinazione di salvaguardia dei valori ambientali, deve intendersi anticipata al livello di oggettiva presunzione di lesione. Conseguentemente, ai fini della sussistenza della legittimazione e dell'interesse ad agire risulta sufficiente la “vicinitas”, intesa come vicinanza dei soggetti che si ritengono lesi al sito prescelto per l'ubicazione di una struttura avente potenzialità inquinanti e/o degradanti, non potendo loro addossarsi il gravoso onere dell'effettiva prova del danno subito o subendo. Peraltro, la vicinitas in parola non può intendersi a guisa di stretta contiguità geografica col sito assunto come potenzialmente dannoso, giacché la portata delle possibili esternalità negative di una installazione avente impatto sull'ambiente non si limita, di certo, a investire i soli terreni confinanti, che, al più, sono destinati a sopportarne le conseguenze più gravi (così T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 24 febbraio 2020, n. 259). Pretendere la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all'ambiente o alla salute, ai fini della legittimazione e dell'interesse a ricorrere, costituirebbe in effetti - come condivisibilmente evidenziato dai ricorrenti - una “probatio” diabolica, tale da incidere sul diritto costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive, essendo sufficiente la “vicinitas” (Consiglio di Stato sez. II, 10 marzo 2021, n. 2056; id. sez. V, 9 novembre 2020, n. 6862; id. 31 maggio 2012, n. 3254).
Può aggiungersi, quantomeno in riferimento alle doglianze più strettamente ambientali, che la stessa procedura di VIA di cui alla parte II del Codice Ambiente - di cui i ricorrenti contestano l’esito positivo - è diretta ad individuare e misurare gli impatti “potenziali” negativi che una determinata opera potrebbe avere sull’ambiente circostante, nell’ottica di una tutela di norma doverosamente preventiva (ex multis C.G.U.E. sez. I, 26 luglio 2017, C-97).
2.5. - Ne consegue, ad avviso del Collegio, l’infondatezza dell’eccezione, avendo fornito i ricorrenti dimostrazione di vivere abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell'intervento e/o di ivi intraprendere l’attività agricola, non potendosi poi negare quantomeno a livello potenziale effetti dannosi per la salute dei residenti e la stessa salubrità delle coltivazioni, estendendo lo stesso progetto approvato la verifica degli impatti delle emissioni fino a 500 metri dall’impianto e sino a 670 mt. per le case esistenti.
2.6. - Il ricorso è pertanto ammissibile per tutti i ricorrenti, poiché non è possibile escludere pregiudizi di carattere potenziale nemmeno per coloro che si collocano oltre tale fascia distanziale, comunque ricompresa nel raggio di un chilometro.
3.- Venendo al merito il primo motivo non merita positiva considerazione.
3.1. - Giova premettere una breve ricostruzione - per quel che qui interessa - del quadro normativo regionale di riferimento in merito alle competenze attribuite all’Arpae, definito dall’art. 4 L.R. n. 44/1995 ente strumentale della Regione.
Ai sensi dell’art. 14, comma 2, della L.R. n. 13/2015, Arpae costituisce centro di competenza inter-istituzionale, ovvero uno strumento utile a “superare le sovrapposizioni di competenza, assicurare il rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti pluri-livello, nonché ridurre gli oneri a carico dei destinatari dei conseguenti provvedimenti”, cui sono attribuite “funzioni di supporto tecnico e amministrativo nella gestione dei procedimenti che richiedono un coordinamento unitario tra le amministrazioni coinvolte e con il compito di definire interventi di semplificazione nell'ambito dei processi di riordino legislativo previsti dalla presente legge” (art. 11, comma 2, della L.R. n. 13/2015).
L’art. 16, comma 2 della L.R. n. 13/2015, prevede che “Mediante l'Agenzia regionale per la prevenzione, l'ambiente e l'energia, la Regione esercita, in materia ambientale, le funzioni di concessione, autorizzazione, analisi, vigilanza e controllo nelle materie previste all'articolo 14, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e) ... Nelle stesse materie sono esercitate attraverso l'Agenzia regionale per la prevenzione, l'ambiente e l'energia tutte le funzioni già esercitate dalle Province in base alla legge regionale”.
L’art. 15, comma 4, della L.R. n. 13/2015, in materia di VIA prevede che “La Regione, inoltre, esercita le funzioni ... previa istruttoria dell'Agenzia regionale ...”.
A livello provvedimentale poi la D.G.R. n. 1795/2016, ha previsto che “per i procedimenti in materia di VAS, VIA, AIA ed AUA questo rinnovato riparto di competenze si concretizza come segue [..]
a)la Regione, previa istruttoria dell’ARPAE, in materia di VIA, svolge le funzioni finora esercitate dalle Province per i progetti di cui agli allegati A.2 e B.2 di cui all’art. 5, comma 2, della L.R. n. 9 del 1999;
b) la Regione, tramite l’ARPAE, in materia di AIA, svolge le funzioni finora esercitate dalle Province in materia di istruttoria e di emanazione delle autorizzazioni”.
3.2. - Quanto al procedimento di VIA se è vero che ad Arpae è demandata l’attività istruttoria comprensiva della verifica di conformità e della redazione del rapporto ambientale conclusivo della conferenza (par. 3 c. 2 Direttiva regionale n. 1795/2016) nonché la funzione di rappresentante unico della Regione nella conferenza di servizi decisoria, va evidenziato come ai sensi dell’art. 15 c. 4, L.R. 13/2015 la valutazione di impatto ambientale di un progetto quale espressione di discrezionalità al contempo sia tecnica che amministrativa (ex multis Consiglio di Stato sez. II, 7 settembre 2020, n. 5379) pertiene esclusivamente alla Regione, secondo la struttura rigorosamente dicotomica della VIA prevista dalla legge regionale n. 4/2018.
Va altresì evidenziato che in virtù delle norme sopra richiamate è sempre Arpae a rilasciare l’AIA nonché la concessione di derivazione idrica sotterranea.
3.3. - Come rilevato dalle parti, con la sentenza n. 132 del 7 giugno 2017 la Consulta ha censurato l’art. 16 della legge della Regione Molise n. 4 del 2016 per contrasto con l’art. 117 c. 2 lett. s) Cost., affermando la necessità di separazione delle funzioni tecnico-scientifiche di consulenza e controllo, attribuite alle suddette agenzie, dalle funzioni della c.d. “amministrazione attiva”, che vanno esercitate dai distinti livelli “politici” territoriali: statale, regionale o provinciale.
Tuttavia, la Corte, nell’esplicitare che cosa debba intendersi per funzioni di “amministrazione attiva” nella ratio del principio come sopra affermato, ha chiarito doversi trattarsi di “attività che, essendo espressione di discrezionalità amministrativa in senso proprio, comportano una ponderazione degli interessi coinvolti e quindi sono soggette alle direttive degli organi rappresentativi titolari della “politica” ambientale.
3.4. - Sulla base di tal presupposto deve indagarsi, al fine del giudizio incidentale di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità da parte dell’adito Tribunale, se la suesposta normativa regionale assegni o meno ad Arpae funzioni di amministrazione attiva nel senso ristretto sopra precisato.
Ritiene il Collegio che Arpae svolga anzitutto funzioni di supporto tecnico ed istruttorio a favore della Regione, pienamente in linea con le previsioni dell’art. 1, del D.L. n. 496/1993, ripreso testualmente dalla L.R. n. 44/1995, che ricomprende tra le funzioni dell’Agenzia, all’art. 5, comma 1, lett. p, quella di “fornire il supporto tecnico alle attività istruttorie connesse alla approvazione di progetti e al rilascio di autorizzazioni in materia ambientale”.
Se in materia di VIA la competenza decisoria appare saldamente ancorata in capo all’organo politico regionale, non appare decisiva nemmeno la competenza attribuita all’Arpae al rilascio dell’AIA e della concessione di derivazione idrica sotteranea, trattandosi di provvedimenti al più connotati da discrezionalità di tipo tecnico (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 31 maggio 2018, n. 1147) e fermo restando la sottoposizione al potere regionale di indirizzo, pianificazione e programmazione (art. 15 c. 1, L.R. 13/2015).
La suindicata normativa regionale, per quanto effettivamente attributiva di svariate funzioni in senso ampio di amministrazione attiva, appare dunque sensibilmente diversa da quella molisana oggetto della sentenza n. 132/2017 dichiarativa della incostituzionalità, quest’ultima caratterizzata dall’attribuzione all’Arpa di funzioni tipicamente discrezionali amministrative quali la pianificazione ambientale e l’attribuzione tout court delle funzioni regionali in materia di ambiente ed energia.
3.5. - Va dunque dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 15-16 L.R. n. 13/2015 e dell’art. 7 L.R. n. 4/2018 per violazione dell’art. 117 lett. s) Cost. e relative norme interposte (D.L. n. 496/1993, conv. in l. n. 61/1994 e D.lgs. n. 132/2016) in tema di competenze attribuite all’Arpae.
3.6. - Conclusivamente il primo motivo è infondato.
4.- Anche il secondo motivo è privo di pregio.
Come noto in attuazione della direttiva 2011/92/UE la quale impone “tempestive ed effettive opportunità di partecipazione alle procedure decisionali in materia ambientale” l’art. 27 bis d.lgs. 152/2006 prevede l’obbligo di consultazione pubblica dei progetti soggetti a VIA di competenza regionale. Il comma quinto del richiamato art. 27 stabilisce che l’autorità competente ove motivatamente ritenga che le modifiche o le integrazioni siano sostanziali e rilevanti per il pubblico dispone la ripubblicazione del progetto.
E’ evidente, anzitutto, che la decisione di riavviare la consultazione pubblica è prevista solamente in presenza dei suindicati presupposti, avendo solo in tal caso l’Amministrazione un obbligo di puntuale motivazione, non invece richiesta in ipotesi negativa.
Nel caso di specie le pur innegabili integrazioni apportate al progetto sottoposto a VIA in seguito ai rilievi formulati da Arpae in sede di conferenza di servizi non hanno modificato nella sua interezza il progetto di demolizione e ricostruzione del dismesso allevamento, si da aver consentito il raggiungimento dello scopo partecipativo voluto dal citato art. 27, il quale ha espresso valore di comunicazione di avvio del procedimento (art. 27 c. 4, d.lgs. 15272006) dovendosi dunque escludere l’invocato effetto invalidante (ex plurimis Consiglio di Stato sez. IV, 12 luglio 2018, n.4263; T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 13 gennaio 2016, n. 31) nell’ottica sostanzialistica che permea in generale tutti gli istituti partecipativi.
5.- Non meritano positiva considerazione nemmeno i motivi di gravame (dal n. III al n. VIII) di carattere urbanistico - edilizio, con cui i ricorrenti lamentano in particolare la violazione dell’art. 5.7 del RUE che prevedrebbe un generale divieto di nuovi allevamenti intensivi nel territorio rurale e consentirebbe di intervenire solamente sugli allevamenti “esistenti” posto che, a loro dire, il progetto in questione non avrebbe ad oggetto un allevamento esistente bensì un rudere. In ogni caso, a detta dei ricorrenti, non sarebbe comunque consentito un ampliamento del 20 % dell’impianto preesistente a norma del secondo comma del richiamato art. 5.7. RUE per essere l’attuale capacità produttiva pari a zero.
5.1. - L’assunto dei ricorrenti, per quanto diffusamente argomentato, muove da un’erronea lettura delle disposizioni del RUE approvato con delibera del Consiglio dell’Unione n. 15 del 24 maggio 2018.
Per quel che qui rileva giova richiamare le seguenti disposizioni:
a) l’art. 5.1. comma 2, del RUE prevede che “Il RUE disciplina, sulla base della ricognizione effettuata sull’intero territorio rurale intercomunale, le trasformazioni del patrimonio edilizio esistente privo di interesse storico architettonico, culturale e testimoniale”;
b) il secondo periodo della stessa norma specifica poi che il patrimonio esistente è “disciplinato, oltre che dalle presenti Norme, da quanto indicato negli elaborati R.D. che ne definiscono le specifiche condizioni di trasformazione”;
c) l’art. 5.3.2. del RUE, rubricato “Interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente”, permette il recupero del patrimonio edilizio esistente avente, tra le altre, la destinazione d’uso N.1.3b (ovvero, allevamenti zootecnici intensivi), se “con regolare titolo abilitativo per la destinazione d’uso in essere alla data di adozione del RUE”.
5.2. - Da tale normativa emerge, che, in via generale, ai fini del RUE, non è rilevante se i fabbricati appartenenti al patrimonio esistente che deve essere recuperato siano o meno a quel momento “attivi”, ovvero in grado di esplicare la propria funzione, ma è sufficiente che questi esistano, che siano stati oggetto di ricognizione da parte del RUE, anche a mezzo della Scheda R.D., e che questi abbiano regolare titolo abilitativo per la specifica destinazione d’uso alla data di adozione del RUE.
L’art. 5.7., che disciplina la fattispecie specifica degli allevamenti zootecnici intensivi, si limita a muoversi all’interno di tali prescrizioni di carattere generale, precludendo la realizzazione di nuovi impianti, ma al contempo permettendo di “recuperare” gli impianti esistenti (concetto del tutto distinto da “attivi”), attraverso loro ristrutturazione e/o ampliamento fino al 20%.
Come già evidenziato seppur sommariamente in sede cautelare, la suindicata disciplina consente in un’evidente ottica di recupero del patrimonio esistente, il recupero degli impianti appunto “esistenti” da un punto di vista urbanistico-edilizio e non già “attivi” ovvero in funzione, essendo verosimile che l’impianto in questione sia stato dismesso se non nel 1983 comunque dalla prima metà degli anni ottanta, essendosi dunque richiesta la semplice esistenza dei fabbricati in uno con la specifica destinazione urbanistica.
La scheda RD n. 041 - 459 (pur impugnata dai ricorrenti) che ai sensi dell’art. 5.1 del RUE “Ambiti e aree del territorio rurale” disciplina il patrimonio edilizio ritenuto esistente, conferma - diversamente da quanto argomentato dai ricorrenti - che l’Amministrazione comunale ha ritenuto “esistente” il complesso immobiliare di cui si discute (pur definendone mediocre lo stato di conservazione) con classificazione “N1.3b” ed esclusione della delocalizzazione.
5.3. - Giova debitamente evidenziare come lo stesso RUE abbia individuato gli insediamenti da delocalizzare in quanto posti in ambiti caratterizzati da determinate fragilità (ambiti agricoli periurbani; ambiti compresi entro una fascia di 500 mt. dal perimetro di territorio urbanizzato e urbanizzabile; fasce di espansione inondabili), elencandoli appositamente all’art. 5.10, “Interventi di delocalizzazione e riqualificazione del comparto zootecnico”, senza farvi rientrare il complesso immobiliare di cui si discute, a conferma della volontà del pianificatore di consentire il mantenimento della destinazione ad allevamento zootecnico intensivo e la ristrutturazione edilizia.
5.4. - Sul punto non può poi negarsi la circostanza fattuale secondo cui i fabbricati in questione non siano classificabili quali meri ruderi.
Come noto per qualificare l'intervento di ricostruzione di un rudere come ristrutturazione, è necessario e sufficiente che l'originaria consistenza dell'edificio sia accertabile nei suoi elementi essenziali, con adeguato grado di sicurezza, sulla base di riscontri documentali od altri elementi certi e verificabili (ex multis T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 6 luglio 2020, n. 517; Consiglio di Stato, sez. VI, 3 ottobre 2019, n. 6654) cioè di organismo edilizio dotato delle mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura (ex multis T.A.R. Puglia Bari sez. III, 9 aprile 2018, n. 53; Consiglio di Stato, sez. II, 15 dicembre 2020, n. 8035).
Dalla documentazione anche fotografia depositata in giudizio si evince che i fabbricati facenti parte dell’allevamento “esistente” presentano ancora le pareti perimetrali in muratura (o lo scheletro) mentre alcuni presentano la stessa copertura o quantomeno lo scheletro originariamente in eternit, si da poterne ricostruire l’ingombro planivolumetrico e l’originaria consistenza.
5.5. - In definitiva deve dunque affermarsi che i fabbricati facente parte dell’allevamento dismesso nella prima metà degli anni ottanta sono “esistenti” ai sensi del RUE, delle schede RD ai sensi del RUE stesso e della destinazione d’uso impressa sui titoli edilizi.
5.6. - In secondo luogo quanto in particolare al IV motivo di gravame, in linea con quanto previsto dagli artt. 11 e 79 del PTCP, l’art. 5.7. secondo comma del RUE consente quanto agli allevamenti zootecnici “esistenti” l’ampliamento fino al 20 % della “capacità produttiva esistente”, ampliamento utilizzato nel progetto autorizzato.
Parte ricorrente quale prova della capacità produttiva esistente allega denuncia delle variazioni nello stato e nelle rendite dei terreni presentata il 21 settembre 1990 dal titolare pro tempore dell’allevamento avicolo, in cui si dichiara una capacità produttiva di soli 55.000 animali l’anno, nonché dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del custode (sino al 1982) del preesistente allevamento.
Va anzitutto evidenziata l’irrilevanza di tal ultima dichiarazione essendo le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà - per giurisprudenza consolidata - non utilizzabili nel processo amministrativo, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l'attività istruttoria dell'amministrazione (ex plurimis Consiglio di Stato sez. II, 5 febbraio 2021, n. 1109). Non rilevante appare invero la stessa denuncia delle variazioni nello stato e nelle rendite dei terreni presentata il 21 settembre 1990, trattandosi di denuncia esclusivamente a fini fiscali (art. 32 c. 2 lett. b T.U.I.R.).
Appare invece ad avviso del Collegio necessaria sia per le argomentazioni sopra esposte (punti 5.2 - 5.5.) che per l’obiettiva difficoltà del calcolo dell’originaria capacità produttiva, una interpretazione logico funzionale dell’art. 5.7. secondo comma del RUE che colleghi il concetto “capacità produttiva esistente” alla potenzialità di produzione desumibile dalla superficie utile allevabile ovvero dalla superficie destinata specificatamente alla produzione.
Pure in questo caso, ad avviso del Collegio, è comunque dirimente il dato dell’esistenza dell’allevamento intesa come complesso immobiliare e non come attività, con la conseguenza che il computo della capacità produttiva concretamente effettuato, seppur “virtuale” e non analitico, era di fatto l’unico plausibile, essendo peraltro la superfice di allevamento un dato certo ed immodificabile nel tempo, certificato nella stessa SCIA del 15 dicembre 2014 presentata al Comune di San Mauro Pascoli avente ad oggetto i lavori di manutenzione straordinaria di rimozione della copertura dei capannoni in eternit.
5.7. - Inoltre, è altresì infondato l’assunto dei ricorrenti secondo cui il complesso edilizio in questione avrebbe perso nel tempo la propria destinazione d’uso, rilevando unicamente ex art. 10-bis L.R. n. 15/2013 la destinazione prevista dai titoli edilizi conformemente alla disciplina urbanistica, nel caso di specie incontrovertibilmente ad allevamento zootecnico intensivo.
5.8. - Sono dunque infondati il terzo, quarto, quinto ed ottavo motivo del ricorso.
6.- Il sesto motivo è ugualmente privo di pregio.
Non essendosi come detto al cospetto di intervento di nuova costruzione, l’art. 3, lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, nella sua versione modificata dall’art. 10, comma 1, lett. b del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, applicabile “ratione temporis” alla fattispecie, prevede che sia possibile procedere alla ristrutturazione, della specie della demolizione e ricostruzione, di un edificio esistente, anche eventualmente crollato o demolito, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza, con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche.
Sul punto la circostanza dell’insistenza del vincolo paesaggistico sull’area di che trattasi non è ostativa, in considerazione dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata il 14 settembre 2020 dal Comune di San Mauro Pascoli sulla base del presupposto parere favorevole della Soprintendenza.
7.- Inammissibile per tardività è invece il settimo motivo.
Posto che per i titoli edilizi ordinari il “dies a quo” per proporre l’impugnativa va in genere individuato nell’ultimazione dei lavori (Consiglio di Stato., sez. II, 9 aprile 2020, n. 2328; id., sez. IV, 23 maggio 2018, n. 3075; id., 7 dicembre 2017, n. 5754; id., sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4830; id., 18 aprile 2012, n. 2209; id., sez. V, 16 aprile 2013, n. 2107) nel caso di specie il condono edilizio è stato rilasciato nel lontano 14 febbraio 2014 si da essersi definitivamente consolidato, non potendo nemmeno i titoli a sanatoria essere soggetti “sine die” ad impugnativa giurisdizionale (ex multis T.A.R. Calabria Reggio Calabria sez. I, 12 ottobre 2015, n. 1024).
8. - Non meritevoli di positiva considerazione sono infine le doglianze di cui al IX, X, XI e XII motivo di gravame, volte a censurare le valutazioni discrezionali dell’Amministrazione sulla VIA, come detto obbligatoria ai sensi della legge regionale n. 4/2018 per gli impianti di allevamento avicolo con la capacità produttiva di cui al progetto approvato.
8.1. - Come noto l'Amministrazione, nel formulare il giudizio sull'impatto ambientale, esercita un'amplissima discrezionalità che non si esaurisce in una mera valutazione tecnica, come tale suscettibile di una valutazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con la conseguenza che il sindacato del giudice amministrativo in materia è necessariamente limitato alla manifesta illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici difetti di istruttoria ovvero quando l'atto sia privo di idonea motivazione” (ex multis Consiglio di Stato, sez. II, 7 settembre 2020, n. 5379; id. sez. II, 15 settembre 2020, n.5451; id., sez. V, 27 marzo 2013, n. 1783; id., sez. VI, 11 febbraio 2014, n. 458; T.A.R. Lombardia, sez. III, 8 marzo 2013, n. 627; T.A.R. Marche 9 gennaio 2014, n. 31).
8.2. - Non è dunque possibile, contrariamente a quanto auspicato dalla difesa di parte ricorrente (memoria 22 giugno 2021) “uno scrutinio effettivo e pieno delle censure ambientali e tecnico scientifiche dedotte con il ricorso” proprio per il rilievo - che il Collegio ritiene dirimente - dell’essere la valutazione sull’impatto ambientale espressione di discrezionalità non solo tecnica ma anche amministrativa in senso proprio, non potendosi dunque invocare nemmeno i parametri del giusto processo di cui agli artt. 6 par 1 e 13 della Convenzione EDU (nonché all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza) sotto il profilo della effettività e della “full jurisdiction”.
8.3. - Ciò doverosamente premesso, parte ricorrente lamenta la sottovalutazione da parte dell’Amministrazione di vari fattori di rischio ambientale sulla salute umana e sulle limitrofe coltivazioni di ortaggi, segnatamente in merito alla gestione degli effluenti e delle sostanze veicolate dagli stessi, delle acque piovane, delle emissioni in atmosfera, depositando all’uopo perizia redatta da agronomo.
I suindicati motivi di gravame, poiché connessi, possono essere trattati congiuntamente.
8.4. - Quanto all’utilizzo agronomico della pollina (che costituisce un concime naturale) esso deve essere regolamentato in sede di AIA, come effettuato, e non già in sede di VIA, si da non richiedersi la redazione di un piano di utilizzo agronomico all’interno della VIA stessa, come confermato dallo stesso art. 15 del R.R. n. 3/2017. Irrilevante appare la stessa gestione agronomica degli effluenti, in considerazione non solo che lo stoccaggio della pollina avverrebbe in luoghi differenti, come argomentato dalla difesa dell’Arpae, ma della stessa non necessità dello stoccaggio, potendo la pollina essere accumulata sui campi.
Relativamente all’asserita erronea gestione delle acque di lavaggio dei capannoni dell’impianto, le doglianze dedotte lambiscono il merito delle valutazioni effettuate, in carenza di specifiche disposizioni tecniche applicabili, nulla prevedendo in proposito lo stesso Manuale per l’industria europea del pollame. Va poi evidenziato che la normativa di settore, come controdedotto da Arpae, privilegia la pulizia a secco rispetto a quella idrica comportante la creazione di scarichi, dal momento che anche il DM 13 dicembre 2018 citato dal consulente di parte ricorrente non smentisce tale assunto.
Quanto invece alla gestione delle acque piovane appare dirimente il rilievo per cui nelle superfici esterne impermeabili dell’allevamento non vengono svolte attività ricomprese nell’art. 8 comma 2 punti a-b-c del DGR 268/2005 “Direttiva concernente indirizzi per la gestione delle acque di prima pioggia e di lavaggio da aree esterne (art. 39, D.Lgs 11 maggio 1999, n. 152)”. Va poi rilevato come in sede di AIA l’Arpae abbia dettato puntuali prescrizioni volte ad evitare inquinamenti.
A proposito delle emissioni di ammoniaca e PM10, posto che come rilevato da Arpae il contesto rurale circostante risulta già caratterizzato da concimazioni del suolo e produzione di ammoniaca per le coltivazioni, lo studio di impatto in atmosfera ha evidenziato valori di concentrazione molto bassi, si da escludersi non illogicamente un significativo impatto anche sul contesto agricolo colturale circostante. Il fattore di emissione medio per PM10 utilizzato nello studio di impatto ambientale è d’altronde risultato conforme al BAT 2017.
Relativamente alle emissioni atmosferiche provocate dall’allevamento posto che non risultano violati i valori soglia vigenti, le stesse NTA del PAIR non precludono l’apertura di nuove attività produttive ma pongono meri obiettivi programmatici.
Più complessa è la doglianza secondo cui la controinteressata avrebbe utilizzato un fattore di emissione di ammoniaca pari a 0,05 kgN/capo/anno, inferiore rispetto a quello richiesto da ARPAE in sede di istruttoria, pari a 0,08 kgN/capo/anno.
Senza che anche in questo caso possa invocarsi una sostituzione del g.a. alle valutazioni tecniche compiute dall’Arpae, la società proponente ha stimato le emissioni di ammoniaca in base a dati recenti (lo strumento Best Avalilable Techniques BAT tool 2018) tenendo in considerazione vari elementi tra cui la dieta alimentare, si che il fattore di emissione utilizzato non appare manifestamente sottostimato.
Sotto altro profilo lo studio di impatto atmosferico non ha tenuto in considerazione le PM 25 (che costituiscono frazione del PM10) né il metano in quanto il BREF comunitario le reputa non significative.
Analoghe considerazioni possono effettuarsi per la progettazione delle “dust chamber”, dal momento che è del tutto opinabile quanto indimostrato che la soluzione indicata in sede progettuale volta a convogliare le emissioni orizzontali verso l’alto non faciliti la dispersione in atmosfera.
Infine priva di pregio è la doglianza secondo cui la soglia olfattiva minima dell’ammoniaca di 140 μg/m3 dichiarata dalla controinteressata sarebbe sottostimata, essendo in realtà di 26,6 μg/m3 “secondo la letteratura scientifica”. Il valore dichiarato dalla proponente è in realtà quello previsto dalle Linee Guida odorigene della Regione Lombardia, cui fa riferimento Arpae in assenza di Linee Guida della Regione Emilia-Romagna e statali, dunque un dato sicuramente rilevante e utilizzabile in carenza di valori soglia assoluti, mentre il valore indicato dai ricorrenti desunto “dalla letteratura scientifica” è del tutto parziale ed opinabile.
9..- Alla stregua delle suindicate considerazioni il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo di ricorso sono tutti infondati, non rilevandosi manifesti difetti di istruttoria o motivazionali né profili di illogicità nelle valutazioni espresse nel procedimento di VIA.
10.- Per i suesposti motivi il ricorso deve essere dunque respinto.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite, in considerazione della obiettiva complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna Bologna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2021 tenutasi da remoto mediante videoconferenza con l'intervento dei magistrati:
Andrea Migliozzi, Presidente
Umberto Giovannini, Consigliere
Paolo Amovilli, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Paolo Amovilli
Andrea Migliozzi
IL SEGRETARIO