Ordinanza di demolizione: impianto di distribuzione carburante
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), sentenza n. 127 del 7 gennaio 2022, demolizione impianto di distribuzione carburante
N. 00127/2022REG.PROV.COLL.
N. 00215/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 215 del 2014, proposto dalla OMISSIS., in persona del legale rappresentante pro tempore, anche quale successore della OMISSIS, rappresentata e difesa dall’avv. Giorgio Azzalini ed elettivamente domiciliata presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;
contro
Comune di Udine, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avv.ti Giangiacomo Martinuzzi, Claudia Micelli e Nicolò Paoletti ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Barnaba Tortolini n. 34;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione prima) del 10 ottobre 2013, n. 445, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Udine;
Viste le memorie;
Vista l’ordinanza del 12 febbraio 2014, n. 641, di reiezione della istanza di sospensione della esecutività della sentenza di primo grado;
Viste le note d’udienza depositate dalle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Francesco Guarracino nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2021, svoltasi con modalità telematica ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con legge 18 dicembre 2020, n. 176, considerati presenti l’avv. Giorgio Azzalini per l’appellante e l’avv. Nicolò Paoletti per l’appellato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza del 10 ottobre 2013, n. 445, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione prima) riuniva e respingeva tre ricorsi (di cui due per trasposizione da altrettanti ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica), integrati da motivi aggiunti, proposti dalle società Azzalini s.r.l. e Oil Italia s.r.l. per impugnare la dichiarazione d’incompatibilità territoriale del loro impianto stradale di distribuzione carburanti ubicato in Udine al viale Venezia n. 506, S.S. n. 13 “Pontebbiana” (già di proprietà della OMISSIS e poi ceduto, in data 16 maggio 2003, alla Oil Italia), l’ingiunzione di demolizione dell’impianto medesimo e la successiva ordinanza di demolizione in danno, nonché le presupposte deliberazioni della Giunta comunale di Udine n. 770/2000 sulla delimitazione del centro abitato, nella parte in cui classificava il viale Venezia come strada interquartiere, e n. 199/2003 sulla classificazione tecnico-funzionale della rete viaria principale, che aveva stabilito le distanze necessarie per le intersezioni e gli accessi rilevanti.
Avverso la decisione di primo grado la OMISSIS ha interposto appello, al quale ha resistito il Comune di Udine.
L’istanza di sospensione in via cautelare della esecutività della sentenza di primo grado, presentata con l’appello, è stata respinta con ordinanza della Sezione Sesta del 12 febbraio 2014, n. 641.
Entrambe le parti hanno prodotto memorie e repliche e alla pubblica udienza dell’8 giugno 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. – La società appellante è proprietaria di un impianto di distribuzione di carburante, collocato nel comune di Udine lungo il viale Venezia, S.S. n. 13 “Pontebbana”, che non rispetta la distanza prescritta per le strade extraurbane tra l’accesso alla rete di servizio e l’accesso alla intersezione stradale rilevante più vicina.
Per questa ragione l’Amministrazione comunale ha dichiarato l’incompatibilità territoriale dell’impianto e adottato nei suoi confronti una serie di provvedimenti, sulla cui legittimità, contestata in tre separati giudizi, si è pronunciato il T.A.R. Friuli Venezia Giulia con un’unica sentenza, con la quale ha riunito e respinto i ricorsi.
2. – Il T.A.R. ha esaminato in via prioritaria il ricorso avverso la deliberazione della Giunta comunale di Udine n. 770/2000 nella parte relativa alla classificazione del tratto stradale d’insistenza dell’impianto, ritenendo dirimente la questione della legittimità del provvedimento di delimitazione del centro abitato rispetto a quelle riguardanti i provvedimenti di accertamento dell’incompatibilità, l’ordine di demolizione e il rigetto del programma di adeguamento dell’impianto, poiché questi atti sarebbero stati tutti consequenziali e vincolati alla circostanza che l’impianto si fosse trovato in area esterna al centro abitato, essendone possibile la regolarizzazione solo se situato al suo interno e non anche all’esterno.
Ebbene, secondo il primo giudice la delimitazione del centro abitato, nella zona di viale Venezia, sarebbe avvenuta sulla base di elementi di fatto inconfutabili, vale a dire che il centro abitato di Udine terminava alla fine del viale medesimo, prima dei ponti che sovrappassano sia l’autostrada sia il torrente, per tale parte risalendo alla delibera consiliare n. 348 del 15 settembre 1956; situazione di fatto mai più mutata, a causa delle intersezioni con l’autostrada e dei conseguenti limiti all’edificazione.
Il T.A.R. ha escluso sia l’esistenza di un continuum abitativo tra il comune di Udine e il vicino comune di Pasian di Prato, alla luce della documentazione, anche fotografica, agli atti del giudizio, sia la ricorrenza delle caratteristiche necessarie per aversi centro abitato, di cui alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 29 dicembre 1997 (presenza di almeno 25 fabbricati, con accesso veicolare e pedonale diretto sulla strada e comunque con caratteristiche di raggruppamento continuo, nel senso di avere una stretta relazione tra di loro e non costituire episodi edilizi isolati), poiché gli unici edifici esistenti, là dove era ubicata la stazione di servizio, erano costruzioni isolate.
La stessa parte ricorrente, d’altronde, aveva riconosciuto che l’impianto si trovava al di fuori del centro abitato di Udine, quindi soggetto al rispetto delle distanze previste per le strade extraurbane.
Da qui la conclusione che “[u]na volta acclarata la legittimità della deliberazione comunale di delimitazione del centro abitato di Udine, tutte le restanti censure di tutti i ricorsi e dei motivi aggiunti, peraltro ripetitive e in parte sovrapponibili, risultano inconsistenti, sia perché riguardanti il merito, sia in quanto concernenti atti veramente consequenziali e dovuti”, sicché “l’infondatezza del ricorso rivolto avverso la delimitazione del centro abitato travolge tutte le doglianze dei motivi aggiunti e degli altri ricorsi”.
3. – La sentenza di prime cure è stata impugnata con sei motivi di appello.
L’amministrazione appellata, nella memoria di discussione, ha sostenuto che l’appello sarebbe divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse a seguito dell’ordinanza del 18 gennaio 2018, con la quale il Comune ha disposto l’immediata sospensione dell’attività e la chiusura dell’impianto di distribuzione carburanti, e del provvedimento del 15 febbraio 2018 di accertamento dell’inammissibilità della richiesta di collaudo e di esercizio provvisorio dell’impianto medesimo, entrambi non impugnati e ai quali sarebbe seguita l’effettiva cessazione dell’attività dell’impianto.
4. – L’eccezione è infondata.
L’appellante, infatti, conserva l’interesse all’annullamento degli atti impugnati in primo grado almeno nella dichiarata prospettiva della riproposizione della domanda di collaudo, una volta risolte le ulteriori problematiche evidenziate nei provvedimenti sopra menzionati.
5. – Venendo al merito, coi primi tre motivi di gravame l’appellante afferma, alla stregua della disciplina dell’epoca, che:
i) non è vero che l’adeguamento (o regolarizzazione) dell’impianto de quo sarebbe stato possibile solo se allocato all’interno del centro abitato, poiché, ai sensi dell’art. 8, co. 1, lett c), del decreto n. 394/2002 del Presidente della Giunta regionale, due erano i presupposti di incompatibilità territoriale di un impianto di distribuzione, cioè la localizzazione a distanza non regolamentare da intersezioni o accessi di rilevante importanza ai sensi delle norme in materia di sicurezza stradale e il fatto che non ne fosse possibile l’adeguamento ai fini viari a causa di costruzioni esistenti o impedimenti naturali, nessuno dei quali presente nel caso di specie;
ii) escludendo l’esistenza di un continuum abitativo tra i due comuni, il T.A.R. è entrato nel merito della delibera n. 770 del 2000 sulla delimitazione del centro abitato, della quale era stata denunciata, invece, l’illegittimità per contrasto con l’art. 5 del DPR n. 495/1992, di cui il comma 6 impone l’aggiornamento periodico della delimitazione del centro abitato e il comma 4 stabilisce condizioni per la delimitazione di centri abitati contigui (che, in tesi, avrebbero dovuto condurre a una classificazione del tratto stradale come ricadente in centro abitato, per la contiguità del distributore di carburanti al tratto stradale definito interno dal Comune e le diverse attestazioni sulla continuità tra i centri abitati di Pasian di Prato e Udine); vi era tra la classificazione formale del tratto stradale fuori dal centro abitato e il limite di velocità di 50 km/h impostovi, che è proprio dei centri urbani; il procedimento relativo alla perimetrazione del centro abitato di Udine non era stato concluso;
iii) a quest’ultimo proposito, il T.A.R. non ha valutato che la classificazione della S.S. 13 e la stessa perimetrazione del centro abitato di Udine erano ancora in itinere, tanto che il tratto stradale in questione era stato qualificato come esterno al centro abitato solo in via di salvaguardia; pertanto, non essendovi ancora certezze, non era possibile una dichiarazione di incompatibilità territoriale, a ogni buon conto illegittima anche perché carente dell’altro presupposto costituito dalla impossibilità dell’adeguamento dell’impianto a causa di costruzioni esistenti o impedimenti naturali;
6. – I suddetti motivi di appello, che stante la loro connessione possono essere esaminati assieme, sono infondati.
E’ pacifico che l’impianto di distribuzione era situato a ridosso dello svincolo di uscita ed entrata della tangenziale di Udine e che il suo accesso, rispetto a questa importante intersezione stradale, si trovava a distanza inferiore da quella (95 m.) necessaria in caso di strada extraurbana.
E’ altresì pacifico che, da un punto di vista formale, il tratto di strada dove era ubicato l’impianto era esterno al perimetro urbano: lo stesso appellante ammette che le perimetrazioni dei centri abitati dei Comuni di Udine e di Pasian di Prato ponevano l’impianto al di fuori del limite dei rispettivi centri abitati e, in particolare, che la demarcazione della traversa interna, formalmente delimitata nella località di Santa Caterina, terminava al Km 126 + 576, mentre l’impianto era posto in prossimità del km 126 + 685: ragion per cui il tratto stradale in questione risultava essere una strada interquartiere.
A questo imprescindibile dato formale si è attenuto il Comune e di esso ha preso atto il giudice di primo grado, che ha respinto le censure sul mancato aggiornamento della delimitazione del centro abitato di Udine, per quanto concerne il tratto frontistante l’impianto di distribuzione, in base al duplice decisivo rilievo che da quando, nell’anno 1956, il limite urbano era stato fissato alla fine del viale, prima dei ponti sovrastanti l’autostrada e il torrente, la situazione di fatto non era mutata e che gli unici edifici esistenti nel luogo dove era situata la stazione di servizio non bastavano a integrare la nozione di centro abitato sulla base dei parametri di cui alla citata circolare ministeriale del 29 dicembre 1997.
Queste circostanze sono rimaste incontestate in appello, nonostante il primo giudice abbia fondato la propria decisione anzitutto sul fatto che, trovandosi al di fuori del centro abitato di Udine, l’impianto era soggetto al rispetto delle distanze previste per le strade extraurbane.
All’epoca l’art. 8 del decreto del Presidente della Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia del 16 dicembre 2002, n. 0394/Pres., di approvazione del Piano di programmazione e razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti ai sensi dell’art. 4, co. 5, l.r. 6 marzo 2002, n. 8, stabiliva che “È considerato incompatibile l’impianto che rientra in almeno una delle seguenti fattispecie: … e) è localizzato a distanza non regolamentare da intersezioni o accessi di rilevante importanza ai sensi delle norme in materia di sicurezza stradale e tutela del traffico urbano ed extraurbano e non è possibile l’adeguamento ai fini viari a causa di costruzioni esistenti o impedimenti naturali”.
L’adeguamento di un impianto di distribuzione di carburanti localizzato a distanza non regolamentare da intersezioni o accessi di rilevante importanza implicava la rimozione della causa stessa dell’incompatibilità c.d. territoriale mediante il ripristino delle condizioni legali di sicurezza stradale, richiedendo il ristabilimento materiale del rispetto delle distanze, ove possibile, in caso contrario non potendo aversi regolarizzazione, ma al più rilocalizzazione dell’impianto, ai sensi dell’art. 9 dello stesso decreto.
Acclarato che l’impianto de quo era localizzato a distanza non regolamentare dalla infrastruttura stradale, deve, quindi, osservarsi che è lo stesso appellante a rammentare che ancora nel 2004 l’A.N.A.S. aveva espresso parere negativo sul progetto di adeguamento segnalando nuovamente la mancanza della distanza minima di sicurezza (m. 95,00) da punti singolari della strada (innesto corsie di entrata ed uscita dalla Tangenziale Udine Nord e Sud), sicché sarebbe stato onere dell’appellante dimostrare o che l’A.N.A.S. era incorsa in errore o che vi fosse una soluzione alternativa per ripristinare il rispetto delle distanze prescritte, dovendosi avere, altrimenti, per dimostrato che tale soluzione non vi fosse, siccome neppure prospettata in sede amministrativa dalla parte interessata.
7. – Col quarto motivo di impugnazione l’appellante ripropone, perché il primo giudice avrebbe omesso di esaminarle, le censure sulla carenza di motivazione e sul difetto di istruttoria della dichiarazione di incompatibilità territoriale dell’8 maggio 2003 e sulla violazione dell’art. 11 della l.r. n. 8/2002, poiché, nonostante quest’ultimo consentisse di presentare un programma di adeguamento dell’impianto alla disciplina vigente, era stata intimata soltanto la presentazione di un programma di chiusura e smantellamento dell’impianto, dandosi così per scontata l’impossibilità dell’adeguamento.
Il motivo è infondato.
Non ricorre il denunciato difetto di motivazione della dichiarazione d’incompatibilità, motivata per relationem mediante richiamo alla relazione del 2 maggio 2003, che esponeva in maniera perfettamente comprensibile, anche se sintetica, le ragioni dell’incompatibilità territoriale, definitivamente segnata dall’impossibilità, in ragione dello stato dei luoghi, di un adeguamento dell’impianto: ragioni che devono aversi per insuperate, posto che, come si è detto, persino il progetto di adeguamento sottoposto al parere dell’A.N.A.S non rispettava la distanza minima di sicurezza rispetto ad alcuni punti della strada.
La semplice intimazione della chiusura e smantellamento dell’impianto, inoltre, non precludeva affatto l’esercizio della facoltà di presentare, in via alternativa, un programma di adeguamento che era riconosciuta direttamente dalla legge regionale (art. 11, co. 2, l.r. n. 8/2002 cit.: “Il titolare di autorizzazione di impianto risultato incompatibile alla verifica di cui all’articolo 10, commi 1 e 3, presenta entro sessanta giorni dal ricevimento della risultanza di tale verifica un programma di chiusura e smantellamento o di adeguamento alla vigente normativa articolato secondo la previsione di cui al comma 1”) e tanto meno poteva costituire espressione di un giudizio negativo anticipatamente reso su un progetto non ancora presentato.
8. – Infondato è anche il quinto motivo di appello, con cui a essere riproposta è la censura sulla la pretesa illegittimità dell’ingiunzione di demolizione del 25 novembre 2004, estesa alla comunicazione di ingiunzione del 17 ottobre 2013, successiva alla sentenza appellata, perché adottata in difetto della previa dichiarazione di decadenza dell’autorizzazione di impianto.
L’art. 11, co. 6, della l.r. n-. 8/2002 stabiliva che “Il mancato invio del programma nel termine previsto dal comma 2, l’inadeguatezza del programma verificata ai sensi del comma 3 e decorso inutilmente il termine di cui al comma 4, e la mancata esecuzione del programma di cui al comma 1 ovvero 2 secondo le modalità e le scadenze di cui al comma 1, comportano la decadenza di diritto dell’autorizzazione. Il Comune ingiunge la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi da eseguirsi nel termine di sessanta giorni; in caso di inottemperanza il Comune provvede alla demolizione e al ripristino a spese del titolare dell’autorizzazione”.
Pertanto, come correttamente riconosciuto dall’appellante, il presupposto dell’ingiunzione era costituito dall’avvenuta decadenza di diritto dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto, per effetto, tra l’altro, della mancata esecuzione del programma di chiusura e smantellamento dell’impianto dichiarato incompatibile; trattavasi di provvedimento dovuto e vincolato alla ricorrenza di quella circostanza, la quale maturava ex lege, senza necessità di un accertamento costitutivo, ragion per cui, non essendo fondatamente in contestazione l’avvenuta decadenza dell’autorizzazione, la legittimità del conseguente ordine di demolizione non era inficiata dal fatto che il Comune non lo avesse fatto precedere da una autonoma dichiarazione di decadenza, richiesta ad altri fini (l’art. 10, co. 4, della l.r. 8/2002, richiamato dall’appellante, faceva espressamente salve le disposizioni di cui all’articolo 11; le previsioni del D.P.Reg. n. 394/Pres. del 2002 cit. vanno lette di conseguenza).
9. – Col sesto e ultimo motivo, l’appellante lamenta l’omesso esame delle censure riguardanti l’ordinanza di demolizione del 2 maggio 2005 per la mancata indicazione delle modalità di bonifica del suolo ovvero di rimozione di qualsiasi episodio, anche pregresso, di inquinamento del medesimo legato all’attività dell’impianto de quo.
Secondo l’appellante, ciò avrebbe integrato violazione dell’art. 19, comma 2, lett. b, del D.P.Reg. n. 394/Pres. del 2002, a mente del quale il provvedimento avrebbe dovuto prevedere, oltre alla “rimozione di tutte le attrezzature costituenti l’impianto sopra e sotto II suolo, secondo la normativa vigente e II ripristino del relativo piano di campagna” (lett. a), anche “la bonifica del suolo, ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 22/1997, ovvero la rimozione di qualsiasi episodio anche pregresso, di inquinamento del suolo legato all’attività dell’impianto” (lett. b).
Inoltre, in assenza di queste indicazioni e del compimento dei procedimenti ivi prescritti, l’istruttoria relativa all’ordine di demolizione sarebbe stata incompleta e ciò avrebbe reso possibile continuare l’attività nelle more del completamento della stessa.
Il motivo è privo di fondamento.
L’art. 19 del D.P.Reg. n. 394/Pres. del 2002 stabiliva :
“Lo smantellamento e la rimozione dell’impianto sono subordinati al relativo provvedimento edilizio previsto dalla vigente legislazione urbanistica regionale.
Il provvedimento per lo smantellamento e la rimozione deve prevedere:
a) la rimozione di tutte le attrezzature costituenti l’impianto sopra e sotto il suolo, secondo la normativa vigente e il ripristino del relativo piano di campagna;
b) la bonifica del suolo, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 22/1997, ovvero la rimozione di qualsiasi episodio, anche pregresso, di inquinamento del suolo legato all’attività dell’impianto”.
La disposizione, rubricata “Smantellamento e rimozione dell’impianto” e inserita nel Capo IV (“Provvedimenti riguardanti gli impianti stradali”) del Titolo III insieme a quelle, tra le altre, sull’autorizzazione all’installazione e all’esercizio di nuovi impianti (art. 12), sulle modifiche e potenziamenti degli impianti (art. 14), sul trasferimento dell’impianto in àmbito comunale (art. 16), non si riferiva ai provvedimenti con cui il Comune avesse ingiunto la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi, ma ai provvedimenti edilizi di assenso ai progetti di smantellamento e rimozione degli impianti esistenti, quale quello che doveva essere presentato in esecuzione dell’ordine di demolizione di cui trattasi.
Pertanto, come esattamente eccepito dalla difesa comunale, l’appellante è incorso in errore nel ritenere che nello stesso ordine di demolizione occorresse indicare le modalità operative per la rimozione dell’impianto in questione, comprese le necessarie opere di salvaguardia ambientale.
10. – Per queste ragioni, in conclusione, l’appello è infondato e come tale va respinto.
11. – Le spese del grado del giudizio seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio in favore del Comune di Udine, che liquida nella somma complessiva di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre spese generali e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2021, svoltasi in videoconferenza con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere
Francesco Guarracino, Consigliere, Estensore
Carmelina Addesso, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Francesco Guarracino
Gianpiero Paolo Cirillo
IL SEGRETARIO