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Cessione volontaria ed annullamento per errore essenziale

Privato
Martedì, 17 Maggio, 2022 - 10:15

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Prima Quater), sentenza n. 6184 del 17 maggio 2022, sulle condizioni per l’errore essenziale per annullamento cessione volontaria

MASSIMA

La disciplina civilistica in materia di “errore vizio” richiede, ai fini della rilevanza dell’errore (art. 1428 c.c.), che lo stesso sia essenziale (art. 1429 c.c.) e riconoscibile (art. 1431 c.c.), senza dare rilievo alcuno alla sua scusabilità, ciò tuttavia non esclude che affinché possa trovare applicazione la disciplina in oggetto sia comunque onere del ricorrente provare che al momento della stipula dell’atto di cessione versava in una condizione di falsa conoscenza della realtà (ovvero, nel caso di specie, che lo stesso non era conoscenza dell’effettiva condizione urbanistica del terreno).

SENTENZA

N. 06184/2022 REG.PROV.COLL.

N. 01760/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1760 del 2021, proposto da
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Marco Di Somma, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno e Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
OMISSIS., in proprio e quale incorporante della OMISSIS in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv. Ennio Magri e Alessandro De Vito Piscicelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento e/o la declaratoria di nullità per errore essenziale e riconoscibile

del contratto di cessione volontaria di immobile soggetto ad espropriazione per pubblica utilità rep. 91/2001 del 13 dicembre 2001, redatto innanzi all’Ufficiale di Governo, presso gli Uffici del Commissario di Governo delegato per l’emergenza rifiuti con il quale il ricorrente ha ceduto il terreno di sua proprietà

nonché

per la condanna delle parti convenute alla restituzione del bene nello stato di fatto e di diritto al momento dell’occupazione,

o comunque, in via subordinata,

per la condanna delle amministrazioni resistenti a pagare al ricorrente il valore attuale del terreno e il danno per il mancato utilizzo dello stesso;

nonché infine

per la condanna delle parti resistenti al pagamento del danno morale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visto l'atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale proposto da Fibe S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 marzo 2022 il dott. Agatino Giuseppe Lanzafame e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con atto di cessione volontaria di immobile soggetto ad espropriazione per pubblica utilità del 13 dicembre 2001 i signori OMISSIS hanno ceduto al Presidente della Giunta Regionale della Campania, Commissario di Governo ai sensi dell’ordinanza Presidente Consiglio dei Ministri n. 2425 del 18 marzo 1996 e successive, la piena proprietà di un’area sita nel territorio del Comune di Santa Maria Capua Vetere accettando quale prezzo di cessione un corrispettivo pari a lire 92.355.209 (euro 47.697,48), costituito dalla somma di indennità di espropriazione (maggiorata del 50% ai sensi dell’art. 12, l. n. 865/1971), indennità di occupazione (ex art. 20, l. n. 865/1971) e indennità per manufatti, determinato «tenuto conto che l’area in questione, in virtù degli strumenti urbanistici vigenti nel territorio di S. Maria Capua Vetere all’atto dell’occupazione non risulta attualmente suscettibile di alcuna destinazione diversa da quella agricola».

2. Con atto di citazione dell’1 febbraio 2006 – iscritto innanzi al Tribunale Civile di Napoli al r.g. n. 4502/2006 – il sig. OMISSIS ha convenuto in giudizio la OMISSIS s.p.a., il Commissario di Governo per la Regione Campania e la Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di veder dichiarare nullo o annullabile – per errore essenziale ex art. 1429 c.c. – il contratto di cessione volontaria, nonché – in via subordinata – al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti.

A sostegno delle proprie pretese, il sig. OMISSIS ha osservato che «nell’atto di cessione venne erroneamente specificato che ai fini urbanistici il terreno era classificato agricolo» e che «alla copia per la trascrizione non venne allegato il certificato di destinazione urbanistica, che risulta, invece e stranamente, allegato solo e soltanto a quello conservato presso gli Uffici del Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti e dal quale risulta che il terreno oggetto della cessione volontaria non era agricolo, come erroneamente indicato nell’atto bensì industriale-artigianale».

Lo stesso ha quindi evidenziato che il consenso espresso al momento della cessione si è fondato «sull’erroneo convincimento che effettivamente si trattasse di terreno agricolo», con conseguente «errore essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c. perché cadente su qualità essenziali della cosa, come nel caso della vendita di un suolo edificatorio nella falsa convinzione che si tratti di suolo rustico o comunque inedificabile (cfr. Cass. Civ., SS.UU. 1 luglio 1997, n. 5900; 28 marzo 1990, n. 2518, 17 dicembre 1991, n. 13578)».

3. Con sentenza pubblicata il 27 febbraio 2012, il Tribunale di Napoli ha accolto la domanda del sig. OMISSIS, condannando i convenuti, in solido tra loro, al pagamento in favore di parte attrice della somma di € 402.545,52 oltre rivalutazione monetaria e interessi.

4. Con atto notificato il 4 maggio 2012, e iscritto innanzi alla Corte d’Appello di Napoli al r.g. n. 2132/2012, OMISSIS. ha proposto appello avverso tale decisione, lamentando tra l’altro il difetto di giurisdizione del g.o.

5. Analoghe azioni, volte ad ottenere la riforma della sentenza resa in primo grado, sono state intraprese rispettivamente dall’Unità tecnica amministrativa ex art. 15 opcm n. 3920/2011 della Presidenza del Consiglio dei Ministri nonché dalla stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri, con giudizi iscritti innanzi alla medesima Corte d’Appello r.g. n. 2183 e 2266 del 2012.

6. Con sentenza Corte d’Appello Napoli, 23 marzo 2017, n. 1325, il giudice di secondo grado ha rigettato gli appelli riuniti, affermando tra l’altro che «la cessione volontaria è avvenuta sul presupposto errato che l’area fosse a destinazione agricola e non edificabile [mentre al contrario] il fondo è pacificamente inquadrato nel Piano regolatore generale […] e incluso in zona D PIP “Industriale e artigianale”, con intervento subordinato a preventivo piano di insediamento produttivo» e sostenendo espressamente che «la mancata adozione del piano attuativo nell’area D-PIP non esclude la vocazione edificatoria del fondo [che] pur non essendo approvate le norme attuative del P.I.P. è indubbiamente edificabile».

7. Con atto notificato il 3 maggio 2017, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – UTA e il Ministero dell’Interno hanno proposto ricorso in Cassazione avverso la decisione della Corte d’Appello di Napoli. Analoga impugnazione è stata proposta dalla OMISSIS.

8. Con ordinanza Cassazione Civile, I, 5 marzo 2020, n. 6375, la causa è stata rimessa alle Sezioni Unite – in ragione della sussistenza di un orientamento non univoco delle stesse – in relazione al quesito «se la condanna di annullamento per errore, essenziale e riconoscibile, di un contratto di cessione volontaria di un immobile soggetto a procedura espropriativa per pubblica utilità, stipulato il 13 dicembre 2001 sia devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario o del giudice amministrativo».

9. Con sentenza Cassazione Civile, SS.UU., 10 novembre 2020, n. 25209, le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso proposto dalle amministrazioni statali; hanno cassato la sentenza impugnata e hanno dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo, davanti al quale hanno rimesso le parti.

10. Con ricorso del 29 gennaio 2021, il sig. OMISSIS ha quindi riassunto il giudizio innanzi a questo Tribunale – ritenuto competente ai sensi del combinato disposto degli art. 133, comma 1, lett. p), e 135, comma 1, lett. e) c.p.a. – e ha chiesto a questo Tribunale di dichiarare «nullo e/o annullabile il contratto di cessione volontaria di immobile soggetto ad espropriazione per pubblica utilità rep. 91/2001 del 13 dicembre 2001, redatto innanzi all’Ufficiale di Governo, presso gli Uffici del Commissario di Governo delegato per l’emergenza rifiuti con il quale il sig. OMISSIS cedette il proprio terreno, condannando le parti convenute alla restituzione del bene nello stato di fatto e di diritto al momento dell’occupazione, ordinando alle stesse di abbattere tutte le opere eseguite sul fondo di proprietà OMISSIS, facultando, qualora ciò non accada, il sig. OMISSIS a procedere al predetto abbattimento a sua cura e a spese delle parti convenute», nonché in via subordinata, qualora non fosse possibile la restituzione del bene – di «condannare [sempre previa declaratoria di nullità e/o annullabilità del contratto di cessione volontaria] le parti convenute, in solido e/o singolarmente, al pagamento – tenendo presenti i principi sanciti dagli artt. 1 e 41 del Protocollo Addizionale (n. 1) firmato a Parigi il 20 marzo 1952 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (Convenzione Europea dei diritti dell’uomo) – a pagare agli attori il valore attuale del terreno, il danno per il mancato utilizzo del terreno, da quantificarsi in corso di causa secondo o nuova C.T.U. o prendendo in considerazione il valore attribuito con la precedente C.T.U., oltre rivalutazione monetaria ed interessi fino all’effettivo pagamento; condannare le parti resistenti al pagamento del danno morale da liquidarsi in via equitativa in € 50.000,00, più rivalutazione ed interessi, su tutte le predette somme, calcolati al tasso marginale d’interesse praticato dalla Banca Centrale Europea maggiorato di tre punti percentuali»; nonché in via ancora più gradata di condannare «i convenuti in solido e/o singolarmente, al risarcimento dei danni pari al valore del bene, tenendo conto della sua reale destinazione edificatoria industriale, ai sensi del d.p.r. n. 327/2001, da quantificarsi a mezzo di nuova C.T.U. o, tenendo sempre presenta la C.T.U. già espletata, rivalutando la somma indicata, più interessi dal dì dell’effettiva occupazione al dì dell’effettivo pagamento»; il tutto con «vittoria di compensi e spese» da attribuirsi al difensore antistatario.

11. Con memoria di costituzione con ricorso incidentale del 12 marzo 2021, la OMISSIS si è costituita nel giudizio e ha spiegato le proprie difese, eccezioni e domande.

11.1. In via preliminare, la società ha chiesto la propria estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva «in proprio e quale incorporante la OMISSIS Campania s.p.a.».

A tal proposito, la società ha osservato «di aver provveduto all’espletamento delle attività poste a suo carico, in esecuzione delle obbligazioni contrattuali di cui al contratto di appalto rep. 52/2001» e ha precisato che «alcun trasferimento di potestà è avvenuto in capo alla OMISSIS che, quindi, non può essere chiamata a rispondere di una procedura condotta in nome e per conto della P.A., titolare della stessa e dei beni acquisiti con l’atto di cessione per cui è causa»

A sostegno della propria tesi, la società ha richiamato la sentenza Tar Napoli, V, 17 febbraio 2021, n. 1048 che ha accolto analoga domanda di estromissione avanzata da OMISSIS con riferimento ad altro giudizio notando che questa «non ha mai avuto, né poteva avere, alcun potere autoritativo né amministrativo per condurre in prima persona e portare a termine le procedure espropriative».

11.2. Sempre in via preliminare, OMISSIS ha eccepito l’improcedibilità e l’inammissibilità delle domande avanzate dal ricorrente «in quanto dirette a far valere una dedotta nullità o annullabilità dell’atto di cessione, non censurabile sotto i profili invocati da controparte, stante la peculiare natura di tale atto [che, in tesi] potrebbe essere impugnato soltanto per eventuali profili di illegittimità dell’atto amministrativo, nella fattispecie peraltro insussistenti».

Sotto altro profilo, la società ha osservato che «l’atto di cessione che parte ricorrente chiede dichiararsi nullo e/o annullabile, in definitiva, risulta integralmente fondato su di un provvedimento amministrativo (Ord. Comm. n. 335/2001) [che non è stato impugnato] entro il termine di decadenza».

11.3. Ancora in via preliminare, OMISSIS ha sostenuto che «l’inammissibilità delle domande ex adverso proposte, deriva anche dalla sottoscrizione dell’atto di cessione volontaria [con il quale il ricorrente ha rinunziato] a proporre qualsiasi opposizione alla stima e ad ogni altra azione giudiziaria che avesse attinenza alla occupazione ed espropriazione dell'immobile di sua proprietà».

11.4. Sempre in via preliminare, OMISSIS ha eccepito l’improcedibilità e l’inammissibilità del ricorso, in ragione del fatto che parte ricorrente sarebbe «decaduta dal diritto di agire per qualsivoglia forma di rideterminazione delle indennità percepite, non avendo proposto la relativa domanda entro il termine di legge [atteso che l’art. 54 T.U. Espropri] al comma 2 precisa che “l'opposizione di cui al comma 1 va proposta, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest'ultima sia successiva al decreto di esproprio” e che, di conseguenza, “trascorso il termine per la proposizione dell'opposizione alla stima, l'indennità è fissata definitivamente nella somma risultante dalla perizia” (cfr. comma 5)».

11.5. Nel merito, la società ha evidenziato l’infondatezza della pretesa della ricorrente ricordando che «la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7429 del 21 maggio 2002, ha affermato che “dovendo il conguaglio del prezzo di cessione volontaria essere rapportato all'indennità di esproprio, è necessario fare riferimento, ai fini della determinazione del valore di terreno, alla sua edificabilità legale, desumibile dagli strumenti urbanistici, senza che la natura edificatoria possa presumersi in base all'edificabilità dei suoli limitrofi» e osservando che «nel sistema di disciplina della stima dell'indennizzo espropriativo introdotto dall'art. 5-bis, legge n. 359 del 1992, un’area va ritenuta edificabile quando come tale essa risulti classificata dagli strumenti urbanistici al momento dell'apposizione del vincolo espropriativo” (cfr. Cass. Civ. n. 2871/2005): momento che, nel caso di specie, coincide con la sottoscrizione dell’atto di cessione volontaria».

11.5.1. Sempre nel merito, la società ha sostenuto che «l’errore sulla natura edificatoria del terreno, da intendersi come essenziale ai sensi dell’art 1429 c.c., e tale da determinare un vizio del consenso […] per consolidata giurisprudenza presuppone l’esistenza di elementi obiettivi atti a dimostrare l’edificabilità attuale e concreta del suolo, (Corte Appello Perugia, 19 marzo 1997), circostanza non provata dal ricorrente neanche nell’ambito dei precedenti gradi di giudizio».

11.5.2. Sotto altro profilo, ha notato che il certificato urbanistico prodotto dal sig. OMISSIS ha chiarito «incontestabilmente che non risulta essere stato mai completato l’iter di approvazione definitivo e che, pertanto, non risulta esserci alcuna approvazione del Piano P.I.P. di che trattasi» e ha conseguentemente sottolineato che «le risultanze del Certificato Urbanistico prodotto in atti confermano inequivocabilmente che, al momento della sottoscrizione dell’atto di Cessione, il suolo espropriato non era suscettibile di alcuna destinazione, se non quella agricola».

11.5.3. A sostegno della propria tesi, la OMISSIS ha infine notato che «in fattispecie del tutto analoghe a quella oggetto di causa, aree limitrofe alla proprietà OMISSIS e di identica destinazione, sono state considerate alla stregua di aree agricole e, comunque, non edificabili, sia dalla Corte di Appello di Napoli con la sentenza n. 3805/2015, che dal TAR Lazio con sentenza n. 2700/2017».

11.6. In via gradata, infine, la società ha formulato «espressa domanda di manleva nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri – UTA […] affinché detta Amministrazione venga condannata a manlevare e tenere indenne la OMISSIS S.p.A., in via diretta mediante adempimento nei confronti del ricorrente, o, in subordine, in via indiretta mediante rimborso in favore della OMISSIS S.p.A., di ogni obbligo ed esborso dovesse cedere a carico della OMISSIS all’esito del presente giudizio, a qualunque titolo, per sorta capitale, accessori, spese, anche di giudizio», in ragione di quanto previsto dall’art. 27 del contratto di affidamento rep. 52/2000 e – più in generale – dall’art. 1720 c.c.

12. Con memoria del 24 febbraio 2022, la Fibe s.p.a. ha insistito nelle posizioni già espresse al momento della costituzione in giudizio, sottolineando in particolar modo il proprio difetto di legittimazione passiva per le ragioni ancora di recente affermate da Tar Lazio, I-quater, 19 ottobre 2021, n. 10719.

13. Con memoria del 24 febbraio 2022, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno hanno insistito per il rigetto del ricorso.

13.1 A sostegno dell’infondatezza delle pretese del ricorrente, le p.a. hanno notato in primo luogo che:

- la procedura espropriativa relativa all’immobile oggetto di contenzioso era stata conclusa «con atto di cessione volontaria, stipulato in data 13 dicembre 2001, mediante il quale si acquisiva la proprietà in favore del Commissario di Governo ex OPCM n. 2425/1996 e alla parte cedente veniva elargito un corrispettivo pari a lire 40.135,630 come anticipazione e lire 52.219,520 come saldo»;

- che il predetto importo – accettato dalla parte cedente – era stato «determinato dal soggetto espropriante OMISSIS S.p.A., coerentemente alla normativa prevista per le espropriazioni delle aree non edificabili».

- che in data 29 dicembre 2001 con prot. n. 36070, l’Ufficio Tecnico comunale aveva rilasciato al sig. OMISSIS «un certificato di destinazione urbanistica dal quale si evinceva che il terreno era incluso nella Zona D, ma che per l’area non risultava essere mai stato approvato il Piano attuativo P.I.P.»; e che pertanto «l’edificabilità del suolo al momento del trasferimento era quella di un suolo agricolo».

13.2. Le amministrazioni inoltre hanno evidenziato:

- che i cedenti avevano dichiarato che sulla indennità concordata non dovesse essere operata alcuna ritenuta di imposta ai sensi dell’art. 11, l. n. 431/1991 «trattandosi di aree non aventi una destinazione edificatoria attuale»;

- che con separato atto i cedenti avevano rilasciato «dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà con la quale dichiaravano che il suolo in questione non risultava suscettibile di destinazione diversa da quella agricola e rinunziavano a proporre opposizioni alla stima e ogni altra azione giudiziaria che avesse attinenza all’occupazione ed espropriazione dell’immobile».

13.3. Alla luce di tali considerazioni, le p.a. resistenti hanno quindi rilevato «la piena legittimità dell’atto di cessione volontaria de quo, assolutamente non viziato da errore essenziale ex art. 1429 c.c.».

14. All’udienza del 29 marzo 2022, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate.

2. In via preliminare, il Collegio ritiene necessario disporre l’estromissione di OMISSIS s.p.a. per difetto di legittimazione passiva, sulla base delle ragioni già illustrate nella sentenza Tar Lazio, I-quater, 19 ottobre 2021, n. 10719, dalla quale (in assenza di argomentazioni sul punto da parte del ricorrente) non vi sono ragioni per discostarsi.

Ritiene, infatti, il Collegio che «rispetto alle domande oggetto del giudizio […] alcun addebito di responsabilità potrebbe essere imputato alla ex affidataria OMISSIS S.p.A., in proprio e quale incorporante la OMISSIS S.p.A., in relazione alla procedura espropriativa in oggetto, in considerazione del fatto che la stessa ha svolto la propria attività come soggetto attuatore delle determinazioni del Commissario governativo» (cfr. oltre alla già citata sentenza Tar Lazio, I-quater, n. 10719/2021 anche Consiglio di Stato, IV, 5 ottobre 2016 n. 4095 e 21 settembre 2020, n. 5522).

3. Sempre in via preliminare, il Collegio ritiene di poter prescindere dallo scrutinio delle eccezioni di inammissibilità e di improcedibilità formulate da OMISSIS s.p.a. in ragione dell’infondatezza nel merito della domanda spiegata da parte ricorrente.

4. Non è fondata, infatti, la domanda di annullamento dell’atto di cessione per vizio del consenso derivante da errore essenziale ex artt. 1428 e 1429 c.c.

A tal proposito è opportuno specificare che il ricorrente ha sostenuto che il suo consenso alla cessione si è fondato «sull’erroneo convincimento che effettivamente si trattasse di terreno agricolo» e che tuttavia la certificazione urbanistica acquisita dal sig. OMISSIS solo dopo la cessione del terreno dimostrerebbe che lo stesso «non era agricolo, come erroneamente indicato nell’atto bensì industriale-artigianale». Tale circostanza – secondo la prospettazione del ricorrente – sarebbe sufficiente ex se a giustificare l’annullamento dell’atto di cessione per errore essenziale.

La tesi è priva di fondamento per le seguenti motivazioni.

4.1. Innanzitutto, deve premettersi che non può affermarsi in maniera univoca dagli atti del giudizio – così come prospettato dal sig. OMISSIS che la cessione volontaria è avvenuta sul presupposto errato che l’area fosse a destinazione agricola.

È necessario, infatti, ribadire che l’atto di cessione di cui il ricorrente ha chiesto l’annullamento per errore prevede testualmente che «la determinazione dell’indennità di espropriazione [è stata effettuata] tenuto conto che l’area in questione, in virtù degli strumenti urbanistici vigenti nel territorio di S. Maria Capua Vetere all’atto dell’occupazione non risulta attualmente suscettibile di alcuna destinazione diversa da quella agricola».

In altri termini, il presupposto espresso sulla base del quale il ricorrente ha accettato di cedere il terreno non è stato che «l’area fosse a destinazione agricola» ma piuttosto la circostanza che – in ragione degli strumenti urbanistici vigenti – l’area «non risulta[va] attualmente suscettibile di alcuna destinazione diversa da quella agricola».

Tale circostanza è del tutto vera, atteso che – così come dimostrato dal certificato urbanistico – lo stesso immobile ricade nella “Zona D” PIP industriale-artigianale del Piano Regolatore Generale e che, così come già evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento ad altri terreni siti nella medesima area dello stesso Comune, «ogni intervento nella suddetta area [è] subordinato espressamente alla preventiva approvazione del piano di insediamento produttivo PIP di cui all’art. 27 della l. n. 865/1971», sicché in assenza di approvazione del PIP deve escludersi la possibilità di «interventi edilizi sui suddetti terreni» che non hanno affatto attitudine edificatoria in diritto (cfr. Tar Lazio, I, 22 febbraio 2017, n. 2700).

È evidente, allora, che l’affermazione contenuta nell’atto di cessione secondo cui l’area oggetto di cessione «in virtù degli strumenti urbanistici vigenti nel territorio di S. Maria Capua Vetere all’atto dell’occupazione non risulta attualmente suscettibile di alcuna destinazione diversa da quella agricola», per un verso, non è errata, e, per altro verso, non presuppone necessariamente che il ricorrente, al momento della stipula del contratto, avesse una percezione errata circa la destinazione urbanistica del terreno.

Al contrario, in considerazione del fatto che il cedente avrebbe potuto e dovuto conoscere la condizione urbanistica del terreno di sua proprietà mediante l’esercizio di un atto di ordinaria diligenza (ovvero la semplice richiesta del certificato urbanistico), è del tutto plausibile che, contrariamente a quanto affermato negli atti di causa, lo stesso fosse a conoscenza della condizione urbanistica del terreno (in ragione della quale, lo si ripete, ogni destinazione diversa da quella agricola dello stesso era subordinata alla eventuale approvazione del PIP) – e abbia deciso di accettare la cessione nei termini proposti proprio per la peculiare condizione dell’area, di fatto inedificabile fino all’approvazione (nient’affatto certa o prossima) del piano da parte degli organi competenti.

In altri termini, dagli atti di causa non solo non emerge che l’area avesse un’attuale e concreta attitudine edificatoria (in ragione della mancata approvazione del PIP), ma non risulta neanche che le parti abbiano stipulato l’accordo (e si siano accordate sulla quantificazione dell’indennità) sulla base del fatto che la destinazione dell’area fosse agricola, potendosi desumere dagli atti semplicemente che le stesse si sono accordate sull’indennità di cessione sulla base del fatto – certamente vero – che «in virtù degli strumenti urbanistici vigenti nel territorio di S. Maria Capua Vetere all’atto dell’occupazione non risulta attualmente suscettibile di alcuna destinazione diversa da quella agricola».

4.2. Per quanto esposto, è evidente che la domanda del ricorrente va respinta in primo luogo per insussistenza materiale dell’errore sotto il profilo oggettivo, atteso che – come si è già detto – l’area oggetto del contratto non possedeva un’effettiva attitudine edificatoria, tale da farle assumere la consistenza di un bene «di qualità diversa» da quello che il ricorrente aveva inteso cedere.

A tal proposito, il Collegio ritiene di non poter aderire all’impostazione seguita dalla Corte di Appello di Napoli nella sentenza n. 1325/2017, secondo cui «la mancata adozione del piano attuativo nell’area D-PIP non esclude la vocazione edificatoria del fondo [atteso che] è il piano regolatore che attribuisce tale qualità, dando la relativa vocazione al terreno anche se il difetto delle norme attuative può posticipare l’effettiva realizzazione delle opere edilizie» (cfr. Corte d’Appello Napoli, 23 marzo 2017, n. 1325, pag. 11).

Al contrario, deve ritenersi che l’area di cui alla presente controversia non possieda alcuna attitudine edificatoria in diritto, atteso che ogni intervento nell’area “Zona D” PIP del PRG è subordinato espressamente alla preventiva approvazione del piano di insediamento produttivo e che, quindi, in assenza di approvazione di tale piano nessun intervento edilizio poteva essere realizzato sul terreno ceduto (cfr. Tar Lazio, I, 22 febbraio 2017, n. 2700).

4.3. Sotto altro profilo – e fermo restando quanto sopra – deve osservarsi che non risulta provata neppure l’esistenza del lamentato errore sotto un profilo soggettivo, in quanto il ricorrente non ha dato prova di aver prestato il proprio consenso sulla base di una errata percezione della realtà dei fatti.

Se, infatti, com’è noto, la disciplina civilistica in materia di “errore vizio” richiede, ai fini della rilevanza dell’errore (art. 1428 c.c.), che lo stesso sia essenziale (art. 1429 c.c.) e riconoscibile (art. 1431 c.c.), senza dare rilievo alcuno alla sua scusabilità, ciò tuttavia non esclude che affinché possa trovare applicazione la disciplina in oggetto sia comunque onere del ricorrente provare che al momento della stipula dell’atto di cessione versava in una condizione di falsa conoscenza della realtà (ovvero, nel caso di specie, che lo stesso non era conoscenza dell’effettiva condizione urbanistica del terreno).

Circostanza che, nella vicenda oggetto del presente giudizio:

- non può desumersi ex se dal tenore letterale dell’accordo (che non fa espresso riferimento alla qualificazione urbanistica dell’area da parte del PRG ma piuttosto all’impossibilità di destinare la stessa, allo stato attuale, ad attività diversa da quella agricola: circostanza diversa e vera);

- non risulta provata da altri documenti prodotti in atti;

- non può presumersi avuto riguardo alla fattispecie, giacché risulta, al contrario, inverosimile che prima della stipula dell’atto di cessione il ricorrente non abbia provveduto, come ordinaria diligenza avrebbe imposto, ad acquisire un certificato urbanistico dell’area presso il Comune di Santa Maria Capua Vetere.

5. Per tutti i motivi sopra illustrati il ricorso deve essere respinto.

Sussistono tuttavia giusti motivi – in considerazione del concreto andamento della vicenda processuale – per disporre la compensazione integrale delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 marzo 2022 con l'intervento dei magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Mariangela Caminiti, Consigliere

Agatino Giuseppe Lanzafame, Referendario, Estensore

 

 

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Agatino Giuseppe Lanzafame

Concetta Anastasi

IL SEGRETARIO

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