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Oneri PIP ed espropriazione

Privato
Giovedì, 21 Settembre, 2023 - 16:45

Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), piani PIPI ed oneri procedure espropriative

N. 01748/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00900/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 900 del 2023, proposto da
OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Adolfo Supino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Mercato San Severino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Sergio Perongini, Brunella Merola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avvocati Alfredo Messina, Giuseppe Vitale, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Nicola Sessa, Elena Freda, C&G International S.r.l., Maria Teresa Pironti, Alfonso Pironti, Guido Calenda, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

della nota del 24 marzo 2023, prot. n. 7743, recante avviso di pagamento per recupero dei maggiori costi sostenuti per la realizzazione del PIP S. Felice – Monticelli – Oscato.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Mercato San Severino e di Vincenzo Campione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2023 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Col ricorso in epigrafe, la OMISSIS (in appresso, M. S. C.) impugnava, chiedendone l’annullamento, previa sospensione: - la nota del 24 marzo 2023, prot. n. 7743, con la quale il Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Mercato San Severino aveva comunicato l’«avviso di pagamento per recupero maggiori costi sostenuti dall’ente per la realizzazione del PIP» (piano per gli insediamenti produttivi) relativo ai comparti S. Felice, Monticelli e Oscato (in appresso, PIP S. Felice – Monticelli – Oscato), per un importo complessivo di € 134.231,10; - la determina n. 429 dell’8 agosto 2018, con la quale il Responsabile del SUAP del Comune di Mercato San Severino aveva approvato il riparto dei maggiori costi sostenuti dall’ente locale per l’acquisizione delle aree necessarie alla realizzazione del PIP; - la delibera del Commissario straordinario del Comune di Mercato San Severino n. 9 del 1° febbraio 2017, con la quale era stato approvato il Piano di riequilibrio finanziario pluriennale ex art. 243 bis del d.lgs. n. 267/2000 e dove era stato previsto, tra l’altro, di avviare le procedure per il recupero delle somme sostenute dall’ente per la realizzazione del PIP S. Felice – Monticelli – Oscato; - la delibera del Consiglio comunale di Mercato San Severino n. 2 dell’11 gennaio 2018, recante l’approvazione del Piano di riequilibrio finanziario dell’ente, nonché la successiva delibera del Consiglio comunale di Mercato San Severino n. 12 del 23 febbraio 2018, di riformulazione del medesimo Piano di riequilibrio finanziario dell’ente; - i verbali di Conferenza di servizi del 25 giugno 2013, del 19 luglio 2013 e del 26 ottobre 2013, nonché la perizia del 16 gennaio 2016, con i quali erano state quantificate le maggiori somme dovute per la realizzazione del PIP S. Felice – Monticelli – Oscato; - l’atto di transazione del 2 gennaio 2014 (rep. n. 1089); - la delibera n. 1 del 30 agosto 2016, con la quale il Commissario ad acta nominato dal TAR Campania, Salerno, sez. II, con sentenza n. 2210 del 22 ottobre 2015 aveva disposto l’acquisizione sanante di suoli ricompresi nell’area del PIP S. Felice – Monticelli – Oscato.

2. Alla stregua della ricognizione già svolta dalla Sezione nelle sentenze n. 1995, n. 1996, n. 1997, n. 1998, n. 1999, n. 2000, n. 2001, n. 2002, n. 2003, n. 2004, n. 2005, n. 2006, n. 2007 e n. 2008 del 13 novembre 2019, confermate in appello da Cons. Stato, sez. IV, 9 dicembre 2020, n. 7784, 11 dicembre 2020, n. 7915, n. 7928, n. 7930, n. 7932, n. 7934, n. 7935, n. 7936, n. 7938, n. 7939, n. 7940, n. 7942, 24 dicembre 2020, n. 8314, 11 gennaio 2021, n. 376, nonché alla luce degli atti di causa, la vicenda fattuale dedotta in giudizio è la seguente.

2.1. Con deliberazioni consiliari n. 1 del 24 gennaio 2001 e n. 5 del 27 giugno 2001, il Comune di Mercato San Severino, rispettivamente, adottava e riadottava il PIP S. Felice – Monticelli – Oscato, unitamente al connesso Regolamento per la cessione in proprietà dei lotti ricadenti in area PIP (in appresso, Regolamento lotti PIP) ed allo schema di convenzione di cessione con i soggetti assegnatari.

Con decreto del Presidente della Giunta regionale della Campania n. 2266 del 18 ottobre 2001, il PIP era, infine, approvato.

2.2. In particolare, l’art. 6 del citato Regolamento lotti PIP stabiliva che ciascuna ditta assegnataria avrebbe dovuto provvedere al pagamento di L 20.000/mq, a titolo di caparra e in acconto, contestualmente alla stipula della convenzione, mentre, «per quanto attiene al residuo versamento, quantificati gli oneri di esproprio e di progettazione dei PIP, nonché di realizzazione delle urbanizzazioni primarie e secondarie», esso avrebbe dovuto corrispondersi «con modalità successivamente definite in convenzione».

Analogamente, l’art. 2 dello schema di convenzione di cessione stabiliva espressamente che ciascuna ditta assegnataria doveva provvedere al pagamento di L 20.000/mq, a titolo di caparra e in acconto, contestualmente alla stipula della convenzione, e di un’ulteriore importo alla data di stipula dell’atto pubblico di trasferimento dell’area, «fino a concorrenza del 100% dell’importo complessivo di espropriazione suolo, della quota relativa alle spese tecniche di progettazione del PIP, di progettazione e direzione dei lavori riguardanti le urbanizzazioni dell’area, nonché delle spese sostenute per indagini geologiche, geotecniche e geognostiche».

2.3. All’emanazione dei suindicati atti programmatori e regolamentari seguiva l’indizione e l’espletamento delle procedure di assegnazione dei lotti ricadenti in area PIP (in appresso, lotti PIP) in favore delle imprese interessate (bando approvato con determina dirigenziale n. 1347 del 31 ottobre 2001)

In particolare, l’art. 2 del pubblicato bando di assegnazione prevedeva che gli oneri per le urbanizzazioni primarie e secondarie fossero a carico delle ditte assegnatarie. Ancora, il successivo art. 4, comma 2, punto 5, precisava che i partecipanti avrebbero dovuto dichiarare l’impegno a pagare il corrispettivo per l’acquisizione in proprietà delle aree.

2.4. Con determine dirigenziali n. 1174 del 5 settembre 2002, n. 1229 del 19 settembre 2002 e n. 1393 del 29 ottobre 2002 veniva, quindi, stilata ed approvata la graduatoria definitiva dei soggetti assegnatari dei lotti PIP.

2.5. Risultata assegnataria dei lotti PIP n. 6 e 7 (ricadenti nel comparto di Oscato e censito in catasto al foglio 18, particelle 1242 e 1243) in base alla graduatoria anzidetta, la Calenda Metalli s.r.l. (in appresso, C. M.), stipulava col Comune di Mercato San Severino apposita convenzione di cessione in proprietà di area PIP (rep. n. 23/2003).

A tenore dell’art. 2 di tale convenzione, oltre che dell’art. 6 del regolamento lotti PIP, la ditta avrebbe dovuto provvedere a rimborsare degli oneri di esproprio, di progettazione dei PIP, di realizzazione delle urbanizzazioni primarie e secondarie, nonché delle spese sostenute per indagini geologiche, geotecniche e geognostiche.

2.6. Ai fini dell’effettiva attuazione del PIP approvato e del celere insediamento delle imprese beneficiarie sui lotti rispettivamente assegnati, il Comune di Mercato San Severino, con decreti n. 5 e n. 11 del 29 novembre 2002, disponeva l’occupazione d’urgenza dei suoli in proprietà, tra l’altro, di Campione Vincenzo (in appresso, C. V.) (aventi superficie pari a mq 13.517 e ubicati in località Oscato) (in appresso, “procedura ablatoria C.”), una porzione dei quali (pari a mq 9.029) era successivamente acquisita al patrimonio comunale, giusta determine del Responsabile dell’Area Tecnica n. 1458 del 22 novembre 2005 (prot. n. 644), n. 255 del 16 febbraio 2006 (prot. n. 104), n. 288 del 7 marzo 2006 (prot. n. 146), n. 359 del 9 marzo 2006 (prot. n. 149), n. 454 del 24 marzo 2006 (prot. n. 187), n. 456 del 24 marzo 2006 (prot. n. 189), n. 567 dell’11 aprile 2006 (prot. n. 221), n. 563 dell’11 aprile 2006 (prot. n. 216), n. 566 dell’11 marzo 2006 (prot. n. 220), n. 663 dell’11 aprile 2006 (prot. n. 266) e n. 624 del 2 maggio 2006 (prot. n. 246).

Tali provvedimenti erano impugnati dal proprietario spossessato dinanzi a questo Tribunale amministrativo regionale.

Questa adita Sezione, nel ritenere tempestiva l’impugnazione delle sole determine n. 454 del 24 marzo 2006 (prot. n. 187), n. 456 del 24 marzo 2006 (prot. n. 189), n. 567 dell’11 aprile 2006 (prot. n. 221), n. 563 dell’11 aprile 2006 (prot. n. 216), n. 566 dell’11 marzo 2006 (prot. n. 220), n. 663 dell’11 aprile 2006 (prot. n. 266) e n. 624 del 2 maggio 2006 (prot. n. 246), accoglieva in parte qua le domande attoree con sentenza n. 1374 del 9 luglio 2012, avendo rilevato l’illegittimità della disposta occupazione dei fondi in proprietà dei ricorrenti. Per l’effetto, accertava l’obbligo dell’amministrazione comunale: a) di restituire a questi ultimi i suoli occupati sine titulo, nonché di corrispondere agli stessi il «risarcimento del danno per la mancata utilizzazione del bene da calcolarsi in misura pari agli interessi moratori sul valore di mercato del bene per ciascun anno di illegittima occupazione» (con l’ulteriore incremento degli interessi e della rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso fino alla data di deposito della sentenza); b) in alternativa, di disporre l’acquisizione sanante ex art. art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001 dei suoli medesimi, con conseguente corresponsione dell’importo pari al relativo valore venale e dell’ulteriore importo dovuto a titolo di ristoro per l’occupazione illegittima.

Successivamente, dopo che questo Tribunale amministrativo regionale, sez. II, adito in sede di ottemperanza alla pronuncia dianzi richiamata, aveva nominato, con sentenza n. 239 del 28 gennaio 2013, il Commissario ad acta, le parti addivenivano alla stipula dell’atto di transazione del 2 gennaio 2014 (rep. n. 1089), ove i suoli in proprietà del C. (in parte illegittimamente) occupati per la realizzazione dell’area PIP erano ceduti al Comune di Mercato San Severino, dietro corrispettivo della somma complessiva di € 2.200.000, in aggiunta al già versato importo di € 410.370,00 (cfr. relazione del CTU nominato con ord. coll. n. 1222 del 29 giugno 2011 nell’ambito del giudizio definito dalla sentenza n. 1374 del 9 luglio 2012).

2.7. Sempre ai fini dell’effettiva attuazione del PIP approvato e del celere insediamento delle imprese beneficiarie sui lotti rispettivamente assegnati, il Comune di Mercato San Severino, con decreto n. 14 del 29 novembre 2002, disponeva l’occupazione d’urgenza dei suoli in proprietà di (in appresso D. S. L.), (in appresso, P. A.) e (in appresso, P. M. T.) (aventi superficie pari a mq 26.868 e ubicati in località Monticelli) (in appresso, “procedura ablatoria D. S. – P.”), i quali erano successivamente acquisiti al patrimonio comunale, giusta determine del Responsabile dell’Area Tecnica n. 1353 del 31 dicembre 2005 (prot. n. 610), n. 564 del 7 aprile 2006 (prot. n. 218), n. 620 del 12 aprile 2006 (prot. n. 227), n. 623 del 20 aprile 2006 (prot. n. 237), n. 622 del 20 aprile 2006 (prot. n. 236), n. 1694 del 19 dicembre 2006 (prot. n. 642), n. 1695 del 19 dicembre 2006 (prot. n. 643), n. 1696 del 19 dicembre 2006 (prot. n. 644).

Tali provvedimenti erano impugnati dai proprietari spossessati dinanzi a questo Tribunale amministrativo regionale.

Questo adito Tribunale amministrativo regionale, sez. II, nel ritenere tempestiva l’impugnazione delle sole determine n. 1353 del 31 dicembre 2005 (prot. n. 610), n. 1694 del 19 dicembre 2006 (prot. n. 642), n. 1695 del 19 dicembre 2006 (prot. n. 643) e n. 1696 del 19 dicembre 2006 (prot. n. 644), accoglieva in parte qua le domande attoree con sentenza n. 220 del 23 gennaio 2014, avendo rilevato l’illegittimità della disposta occupazione dei fondi in proprietà dei ricorrenti. Per l’effetto, accertava l’obbligo dell’amministrazione comunale: a) di restituire a questi ultimi i suoli occupati sine titulo, nonché di corrispondere agli stessi il «risarcimento del danno per la mancata utilizzazione del bene da calcolarsi in misura pari agli interessi moratori sul valore di mercato del bene per ciascun anno di illegittima occupazione» (con l’ulteriore incremento degli interessi e della rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso fino alla data di deposito della sentenza); b) in alternativa, di disporre l’acquisizione sanante ex art. art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001 dei suoli medesimi, con conseguente corresponsione dell’importo pari al relativo valore venale e dell’ulteriore importo dovuto a titolo di ristoro per l’occupazione illegittima.

Successivamente, il Commissario ad acta nominato con sentenza n. 2210 del 22 ottobre 2015 da questo Tribunale amministrativo regionale, sez. II, adito in sede di ottemperanza alla pronuncia dianzi richiamata, con delibera n. 1 del 30 agosto 2016 disponeva l’acquisizione sanante ex art 42 bis del d.p.r. n. 327/2001 dei fondi di proprietà dei ricorrenti, determinando le contestuali indennità di esproprio e di occupazione nella somma complessiva di € 2.296.407,96, così come analiticamente esplicate nella nota del Comune di Mercato San Severino prot. n. 18440 del 5 agosto 2016.

2.8. Frattanto, l’assegnataria C. M., in data 11 aprile 2006, stipulava col Comune di Mercato San Severino apposito atto di trasferimento (rep. n. 437) dei lotti PIP n. 6 e 7 del comparto di Oscato.

Successivamente, la medesima C. M. alienava alla M. S. C. i menzionati lotti PIP n. 6 e 7, in forza di atto di compravendita del 1° agosto 2016 (rep. n. 4781; racc. n. 3335).

2.9. In ragione dei maggiori costi (per un ammontare complessivamente pari a € 2.200.000,00 derivanti dalla controversia C. + € 1.312.233,12 derivanti dalla controversia D. S. – P. = € 3.512.233,12) sostenuti in relazione alle procedure ablatorie illustrate retro sub n. 2.6-7, il Responsabile dell’Area Gestione del Territorio – Lavori Pubblici del Comune di Mercato San Severino, con determina n. 429 dell’8 agosto 2018, ripartiva gli stessi tra i singoli lotti assegnati in area PIP.

2.10. In ulteriore prosieguo, il Responsabile dell’Area Gestione del Territorio – Lavori Pubblici del Comune di Mercato San Severino, con determina n. 95 del 5 marzo 2019 (prot. n. 46 del 4 marzo 2019), precisava che il maggior costo sostenuto per l’acquisizione dei suoli in area PIP (nell’ammontare complessivo di € (2.200.000,00 + 1.312.233,12 =) 3.512.233,12: - «è stato calcolato sulla scorta del valore a mq, definito dal CTU sulla base del più probabile valore di mercato delle aree fabbricabili a destinazione produttiva e del valore di trasformazione delle aree»; - «non è scaturito dai risarcimenti danni per procedure ablative, atteso che, a fronte delle somme calcolate in caso di acquisizione sanante, le parti con atto di transazione hanno definito la vicenda determinando la somma di € 2.200.000,00, necessaria per l’acquisto delle aree del signor C., e determinando la somma di € 1.312.233,12, necessaria per l’acquisto delle aree del signor P., calcolata in base al mero valore venale delle aree».

2.11. Di qui, poi, l’avviso di pagamento pro quota nei confronti dell’impresa ricorrente, in qualità di assegnataria.

3. Nell’insorgere avverso tale atto di addebito, la ricorrente lamentava, in estrema sintesi, che: a) l’interessata non sarebbe stata posta in condizioni di partecipare al procedimento di rideterminazione del corrispettivo di acquisto del lotto PIP; b) i maggiori costi delle procedure espropriative non avrebbero potuto legittimamente addebitarsi alla proponente, non essendo riferibili ai suoli assegnati alla relativa dante causa (C. M.) ed essendo, comunque, ratione temporis, imputabili a carico di quest’ultima, senza che l’obbligazione di rimborso degli stessi potesse transitare in capo ad essa; c) il credito vantato dall’ente locale si sarebbe estinto per intervenuta prescrizione quinquennale ovvero anche decennale; d) la somma richiesta con l’avviso di pagamento impugnato non sarebbe certa, liquida ed esigibile; e) in violazione dell’art. 35, comma 12, della l. n. 865/1971, sarebbero stati riversati a proprio carico i maggiori costi derivanti non già dall’esigenza di copertura delle spese di acquisto delle aree mediante riequilibrio dell’originario sinallagma di cessione onerosa in favore dei privati assegnatari, bensì dall’intempestiva conclusione e dalla giurisdizionalmente acclarata illegittimità delle avviate procedure ablatorie, ossia i maggiori costi corrispondenti alle voci estranee al valore venale attualizzato dei suoli espropriati, quali l’apprezzamento dei suoli per loro mutata destinazione urbanistica, l’indennità per occupazione sine titulo, gli interessi ed la rivalutazione monetaria; f) inoltre, l’amministrazione comunale avrebbe preteso il rimborso di opere di urbanizzazione primaria e secondaria non comprovatamente ultimate e sprovviste di finanziamenti pubblici.

4. Costituitosi l’intimato Comune di Mercato San Severino, eccepiva l’infondatezza dell’azione esperita ex adverso e depositava in giudizio la determina n. 380 del 16 giugno 2023, con la quale il Responsabile dell’Area Tecnica, in via meramente ricognitivo-confermativa, precisava che l’importo di cui alla determina n. 95 del 5 marzo 2019 (€ 3.512.233,11) corrispondeva ai maggiori oneri sostenuti in relazione alle “procedure ablatorie C.” e “D. S. – P.” e in relazione alle opere di urbanizzazione connesse al PIP S. Felice – Monticelli – Oscato.

Si costituiva, altresì, in resistenza C. V., il quale eccepiva il difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo, l’inammissibilità della domanda di annullamento dell’atto di transazione del 2 gennaio 2014 (rep. n. 1089), nonché l’infondatezza dell’impugnazione proposta dalla M. S. C.

5. Successivamente, il ricorso veniva chiamato all’udienza del 20 giugno 2023 per la trattazione dell’incidente cautelare.

Nell’udienza camerale emergeva che la causa era matura per la decisione di merito, essendo integro il contraddittorio, completa l’istruttoria e sussistendo gli altri presupposti di legge.

Le parti venivano sentite, oltre che sulla domanda cautelare, sulla possibilità di definizione del ricorso nel merito e su tutte le questioni di fatto e di diritto che la definizione nel merito pone.

DIRITTO

1. In limine, il Collegio ritiene di poter prescindere dalle eccezioni di difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo e di carenza di interesse a gravare l’atto transattivo del 2 gennaio 2014 (rep. n. 1089), sollevate dal controinteressato, i quali atti rilevano solo indirettamente, a guisa di meri presupposti fattuali-circostanziali dei provvedimenti impugnati, ed esulano, quindi, dal thema decidendum definibile in relazione al petitum sostanziale e processuale formulato dalla proponente.

2. Nel merito, non è, innanzitutto, configurabile, a dispetto di quanto propugnato da parte ricorrente, alcuna violazione infirmante delle garanzie di partecipazione procedimentale nell’ambito del rapporto negoziale instauratosi tra l’amministrazione comunale ed i privati ai fini della cessione in proprietà di lotti PIP dalla prima ai secondi (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.a).

2.1. Tanto, sulla scorta di un duplice premessa.

In primis, la controversia in esame, avendo per oggetto l’adempimento dell’obbligazione derivante dall’atto negoziale traslativo del lotto PIP, riconducibile, come tale, ai ‘moduli convenzionali di urbanistica’, è da reputarsi devoluta alla giurisdizione esclusiva dell'adito giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. a, n. 2, b ed f, cod. proc. amm. (cfr. TAR Puglia, Lecce, sez. III, 12 agosto 2019, n. 1420). Ebbene, in tale ambito di tutela giurisdizionale, la cognizione sul rapporto sostanziale e sull’intreccio di posizioni soggettive in gioco (diritti soggettivi e interessi legittimi) fa premio sui limiti di sindacato sull’atto e sui relativi vizi in punto di mera legittimità (quale, appunto, il deficit partecipativo).

In via, poi, di stretta conseguenza del superiore rilievo, nell’anzidetto perimetro di cognizione, i vizi di legittimità denunciati in tanto possono orientare la decisione dell’adito giudice amministrativo, in quanto riflettano l’antigiuridicità sostanziale dell’operato dell’amministrazione, senza che debbano cristallizzarsi nella singola manifestazione attizia.

2.2. Sulla base di tale duplice premessa, è, dunque, da escludersi che la pretesa creditoria vantata dal Comune di Mercato San Severino nei confronti della ricorrente fosse inficiata da deficit partecipativi.

Deve, infatti, rilevarsi che l’impugnata nota del Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Mercato San Severino prot. n. 7743 del 24 marzo 2003 si colloca nell’ambito di un rapporto obbligatorio scaturente da una fonte convenzionale, dove le prerogative di interlocuzione procedimentale – nella specie, in ogni caso, come visto, debitamente assicurate – debordano dai ristretti margini delle rigide regole procedimentali per trasporsi nella prospettiva sostanzialistica della gestione concreta del rapporto anzidetto, e, quindi, segnatamente, dell’osservanza dei doveri di correttezza incombenti sulle parti sia nella fase genetica sia nella fase dinamica di quest’ultimo, sindacabile pleno iure nell’apposita sede di giurisdizione esclusiva.

Il tutto, per di più, in relazione ad una determinazione che, per essere circoscritta alla ricognizione di una pretesa creditoria alla percezione del (maggiore) corrispettivo della cessione del lotto PIP, riveste, all’evidenza, natura vincolata e non richiede, come tale, il necessario apporto partecipativo del soggetto debitore.

3. Non può, poi, escludersi che i maggiori costi delle procedure espropriative fossero addebitabili alla M. S. C., sulla base dell’assunto attoreo che essi non sarebbero stati riferibili ai suoli assegnati alla relativa dante causa (C. M.) e, comunque, sarebbero stati, ratione temporis, imputabili a carico di quest’ultima, senza che l’obbligazione di rimborso degli stessi potesse transitare in capo ad essa (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.a).

3.1. Sotto il primo profilo, giova rammentare che, come enunciato dal Consiglio di Stato, sez. IV, nelle proprie pronunce confermative in appello (sent. n. 7784/2020; n. 7915/2020, n. 7928/2020; n. 7930/2020; n. 7932/2020; n. 7934/2020; n. 7935/2020; n. 7936/2020; n. 7938/2020; n. 7939/2020; n. 7940/2020; n. 7942/2020; n. 8314/2020; n. 376/2021): «Il PIP assomma e assolve a due funzioni fondamentali, previste dalle leggi statali, che sono: - per un verso quella del governo del territorio, secondo la classica impostazione degli usi, delle classificazioni e delle destinazioni da imprimere alle aree che compongono un determinato territorio, per l’ordinato sviluppo dell’antropizzazione; - per un altro verso, invece, quella della politica economica, ossia quella di essere uno strumento per incentivare le imprese, offrendo loro, ad un prezzo politico, previa espropriazione e urbanizzazione, le aree occorrenti per l’impianto o l’espansione delle produzioni commerciali o industriali, garantendo l’armonico sviluppo del territorio all’interno della più ampia cornice della sostenibilità delle produzioni nell’ambiente naturale nel quale l’uomo vive. Da ciò, derivano due fondamentali corollari. Il primo corollario è che gli oneri sostenuti dal Comune per l’acquisizione delle aree necessarie per attuare il PIP non hanno natura di mero corrispettivo di diritto privato, bensì natura pubblicistica, perché l’amministrazione: a) persegue la superiore funzione, che è di interesse generale, di insediare produzioni che creano o innalzano i livelli occupazionali e di benessere di un determinato territorio; b) espropria i beni di terzi soggetti per beneficiare altri privati, e cioè gli assegnatari dei lotti, i quali eserciteranno la propria libertà di iniziativa economica; c) conforma i beni così destinati all’espropriazione, in modo da renderli per destinazione urbanistica, per dimensioni e per caratteristiche strutturali, ivi compresa l’urbanizzazione, idonei e funzionali allo scopo produttivo; d) non dispone dell’entrata, poiché il capitolo previsionale contenente l’entrata non ha natura di diritto disponibile o rinunciabile; ha invece natura imperativa e si inserisce o si sostituisce a clausole invalide, in caso di carenza nei contratti di cessione; la correlativa obbligazione, a carico del primo assegnatario, configura anche un’obbligazione propter rem, perché grava anche sui successivi acquirenti; e) può discrezionalmente introdurre limitazioni al trasferimento di immobili. (…). Il secondo corollario è che lo spostamento di ricchezza da un privato ad un altro privato ha una causa normativa tipizzata, che è quella di funzionalizzare in senso economico e sociale il sacrificio imposto ad un soggetto determinato per il benessere dell’intera collettività stanziata sul territorio, consentendo all’imprenditore, che assume su di sé il rischio imprenditoriale, di organizzare il capitale e i mezzi della produzione (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5501 del 2004; sez. IV, n. 550 del 2004)».

Ciò posto, e, segnatamente, a fronte della peculiare natura pubblicistica dell’obbligazione di rimborso dei costi sostenuti dall’amministrazione nell’espletamento delle procedure ablatorie e nell’esecuzione delle opere di urbanizzazione in area PIP, in vista dello sviluppo produttivo di un’area all’uopo destinata, nonché, quindi, in assenza di qualsivoglia vincolo sinallagmatico tra la cessione dei singoli lotti PIP in favore dei rispettivi assegnatari e l’anzidetta obbligazione di rimborso a carico degli stessi, preordinata unicamente a garantire l’effettività del principio dell'integrale copertura dei costi sostenuti per l'acquisizione dei suoli ricompresi in area PIP, è evidente che questi ultimi, anche ove incrementati, in aderenza alla funzione di promozione socio-economica assolta da un simile intervento programmatorio-conformativo-redistributivo, non possano non essere ripartiti proporzionalmente tra tutti i soggetti cessionari di suoli, a prescindere dalle specifiche vicende espropriative e dalle specifiche infrastrutturazioni poste in essere in relazione a ciascun insediamento.

3.2. Sotto il secondo profilo, occorre rimarcare che, per effetto del trasferimento perfezionatosi con atto di compravendita del 1° agosto 2016 (rep. n. 4781; racc. n. 3335), nessuna soluzione di continuità può essersi determinata nella vicenda obbligatoria inerente al rimborso dei maggiori costi di espropriazione relativi al PIP S. Felice – Monticelli – Oscato.

Ciò, perché la sussistenza dell’obbligazione di rimborso dei maggiori oneri per espropriazioni e urbanizzazioni da parte dell’assegnatario di un lotto PIP in favore dell’amministrazione cedente, per la sua natura ‘propter rem’, ossia per la sua inerenza al cespite immobiliare ceduto, nonché in linea con l’obiettivo di copertura o pareggio finanziario sotteso alla disposizione dell’art. 35, comma 12, della l. n. 865/1971, è da intendersi affrancata dalle vicende modificative soggettive che abbiano potuto attingere il costituito rapporto debitorio.

4. Nemmeno è predicabile l’invocata prescrizione del credito vantato dal Comune di Mercato San Severino (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.c).

4.1. In primis, è da escludersi che si tratti di prescrizione quinquennale, in quanto le pretese avanzate dall’amministrazione comunale resistente rinvengono la loro fonte nella convenzione di cessione del lotto PIP stipulata con l’impresa assegnataria e soggiacciono, quindi, all’ordinario termine decennale ex art. 1946 cod. civ., operante per le obbligazioni contrattuali o ad esse assimilabili, e, comunque, al di fuori del perimetro applicativo degli artt. 1947 ss. cod. civ. (cfr., in tal senso, TAR Campania, Salerno, sez. II, n. 1995/2019; n. 1996/2019; n. 1997/2019; n. 1998/2019; n. 1999/2019; n. 2000/2019; n. 2001/2019; n. 2002/2019; n. 2003/2019; n. 2004/2019; n. 2005/2019; n. 2006/2019; n. 2007/2019; n. 2008/2019; in senso implicitamente confermativo, Cons. Stato, sez. IV, n. 7784/2020; n. 7915/2020, n. 7928/2020; n. 7930/2020; n. 7932/2020; n. 7934/2020; n. 7935/2020; n. 7936/2020; n. 7938/2020; n. 7939/2020; n. 7940/2020; n. 7942/2020; n. 8314/2020; in senso espressamente confermativo, Cons. Stato, sez. IV, n. 376/2021).

4.2. Ciò posto, fino alla contestuale data di notifica della nota del 24 marzo 2023, prot. n. 7743, il suindicato termine prescrizionale decennale non risultava ancora spirato dal momento in cui la pretesa creditoria vantata era divenuta esigibile in conseguenza della definizione delle controversie con i proprietari destinatari delle procedure ablatorie, identificabile, nel caso in esame, nella stipula dell’atto di transazione del 2 gennaio 2014 (rep. n. 1089) e nell’emanazione della delibera commissariale n. 1 del 30 agosto 2016.

In questo senso, con riferimento all’analoga ipotesi del recupero dei costi di urbanizzazione di un’area PIP, Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 2014, n. 4685, n. 4686 e n. 4687 ha statuito che il dies a quo debba intendersi decorrente non già dalla data di stipulazione della convenzione o da quella di rilascio del titolo concessorio, bensì dal momento in cui detti costi siano stati determinati e siano divenuti, come tali, ripetibili (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1 dicembre 2003, n. 7820; Cons. Stato, sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 577).

4.3. Né varrebbe invocare in contrario il tenore letterale della statuizione sancita al riguardo da Cons. Stato, sez. IV, n. 7784/2020; n. 7915/2020, n. 7928/2020; n. 7930/2020; n. 7932/2020; n. 7934/2020; n. 7935/2020; n. 7936/2020; n. 7938/2020; n. 7939/2020; n. 7940/2020; n. 7942/2020; n. 8314/2020, secondo cui il termine di prescrizione decorre dal «giorno della pubblicazione delle sentenze che hanno condannato l’amministrazione comunale a restituire i fondi o, alternativamente ad acquisirli, pagando in entrambi i casi il quanto dovuto per l’illegittima occupazione secondo l’acclarato valore venale del bene».

Ebbene, una simile enunciazione, laddove – come, appunto, nella prospettazione attorea – restasse disancorata dal principio ad essa sotteso, in base al quale «il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui diviene possibile l’esercizio del diritto», nonché, soprattutto, estrapolata dal relativo contesto argomentativo, indurrebbe a identificare tout court il dies a quo in parola con le date di pubblicazione delle sentenze di questa Sezione n. 1374 del 9 luglio 2012 e n. 220 del 23 gennaio 2014 e, quindi, a ritenere maturata la prescrizione decennale quanto alla pretesa di rimborso dei costi relativi alla “procedura ablatoria C.” e non maturata, invece, la prescrizione decennale quanto alla pretesa di rimborso dei costi relativi alla “procedura ablatoria D. S. – P.”.

Occorre, però, rimarcare che, nelle citate pronunce di Cons. Stato, sez. IV, n. 7784/2020; n. 7915/2020, n. 7928/2020; n. 7930/2020; n. 7932/2020; n. 7934/2020; n. 7935/2020; n. 7936/2020; n. 7938/2020; n. 7939/2020; n. 7940/2020; n. 7942/2020; n. 8314/2020, si richiama, «in tema di espropriazione di terreni per la realizzazione di alloggi di edilizia economica e popolare, Cass. civ., ord., sez. I, 12 aprile 2018, n. 9066, secondo cui il termine di prescrizione del diritto del consorzio intercomunale di ottenere dai singoli assegnatari degli alloggi il rimborso delle somme spettanti al proprietario espropriato comincia a decorrere solo dal momento dell'effettivo pagamento della indennità dovuta a quest'ultimo, come rideterminata a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 1983, non potendo addebitarsi al titolare del diritto alcuna inerzia nelle more della nuova quantificazione del costo di acquisizione delle aree a seguito della sentenza medesima».

Più in dettaglio, l’evocata ordinanza di Cass. civ., sez. I, n. 9066/2018 ha chiarito che: «Questa Corte, in una vicenda soltanto per certi versi analoga, relativa al pagamento di una somma, da parte di un Comune, per effetto della rideterminazione dell'indennità di espropriazione a seguito della nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 223 del 1983, dopo aver rilevato che, ai sensi dell'art. 2935 c.c., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, ha affermato che " non poteva, invero, ritenersi prescritto, per decorso del termine decennale, il diritto del Comune di richiedere alla cooperativa intimata le somme spettanti, a titolo di conguaglio, agli ex proprietari dei terreni ceduti, non potendo, nella specie, il relativo termine prescrizionale cominciare a decorrere se non dal momento dell'effettivo pagamento delle indennità dovute ai proprietari espropriati, così come rideterminate a seguito della richiamata sentenza della Corte costituzionale del 1983" (Cass., 14 luglio 2006, n. 15973). Il principio desumibile da tale decisione è che, come sopra ricordato, gli impedimenti di natura legale non consentono il decorso della prescrizione, mentre non viene smentito l'orientamento, per altro affermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, e che qui si intende ribadire, secondo cui il termine di avvio per il recupero delle maggiori somme dovute ai proprietari espropriati per la realizzazione dei piani di zona di edilizia popolare, viene fatto decorrere dal momento in cui l'amministrazione ha avuto piena contezza della spesa effettiva derivante dal piano di zona nella sua globalità (TAR Toscana, 1 settembre 2014, n. 1405; TAR Liguria, 27 ottobre 2011, n. 1493; TAR Puglia, 19 novembre 2009, n. 2796; TAR Lazio, 2 luglio 2009, n. 6419; TAR Toscana, 11 giugno 2009, n. 1009)».

In altri termini, il termine prescrizionale per il recupero delle maggiori somme dovute ai soggetti espropriati allora e in tanto può intendersi iniziato a decorrere, solo dopo che e in quanto l'amministrazione abbia acquisito piena contezza della spesa effettiva riversabile sui soggetti assegnatari dei suoli ablati. Condizione, questa, non verificatasi, all’evidenza, per effetto della mera emanazione della sentenza n. 1374 del 9 luglio 2012, la quale – al pari, d’altronde, della sentenza n. 220 del 23 gennaio 2014 – non ha liquidato gli importi dovuti, a titolo di ristoro patrimoniale, ai ricorrenti espropriati.

La menzionata decisione si è, infatti, limitata a condannare il Comune di Mercato San Severino alla restituzione dei beni illegittimamente occupati in favore dei relativi proprietari spossessati ovvero, in alternativa, all’adozione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001, senza quantificare gli importi dovuti a titolo di indennizzo, ma solo declinandone i criteri determinativi: «Il Tribunale dispone pertanto – recita la sentenza n. 1374 del 9 luglio 2012 – che l’amministrazione comunale rinnovi la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico all’eventuale acquisizione dei fondi in oggetto adottando, nel termine di 90 (novanta giorni) dalla notifica della presente sentenza a cura di parte ricorrente, un provvedimento con il quale i fondi illegittimamente appresi siano, alternativamente: 1) acquisiti, non retroattivamente, al patrimonio del comune, ai sensi dell’art. 42 bis, d.p.r. 327/2001, i beni illegittimamente detenuti; 2) restituiti al legittimo proprietario, oltre al risarcimento del danno per la mancata utilizzazione del bene da calcolarsi in misura pari agli interessi moratori sul valore di mercato del bene per ciascun anno di illegittima occupazione. Le somme così calcolate andranno incrementate da interessi e rivalutazione monetaria dalla data di proposizione del ricorso fino al loro pagamento. In entrambe le ipotesi andranno detratte le somme già versate medio tempore al ricorrente a titolo di indennità di esproprio, in forza degli atti qui annullati. Per la determinazione dell'importo da corrispondere a titolo di risarcimento/indennizzo nel caso di emanazione dell'atto ex art. 42 bis, l'amministrazione dovrà attenersi ai criteri previsti dalla suddetta disposizione del T.U., corrispondendo, oltre all'importo pari al valore venale dei beni, alla data del decreto medesimo, gli importi relativi all'occupazione illegittima. I danni da risarcire corrispondono agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale ”capitale” di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato, tenendo conto che le somme così calcolate vanno poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso e fino alla data di deposito della sentenza (Così, Tar Lazio II quater n. 3260 - 14 aprile 2011). Per quanto concerne la individuazione del valore di mercato del bene, occorre avere riguardo al valore attuale e non a quello dell’epoca dello spossessamento. In ogni caso le espletate perizie (vedi CTU disposta dalla Corte d’Appello di Salerno e CTU disposta da questo Tribunale) forniscono ineludibili criteri di riferimento per la fissazione del suddetto valore. Qualora l'amministrazione non raggiunga alcun accordo con il ricorrente e non emani alcun atto formale volto all'acquisizione delle aree, né provveda entro il termine fissato alla restituzione delle aree, decorso tale termine, il ricorrente potrà chiedere al TAR l'esecuzione della presente decisione, per la conseguente adozione delle misure necessarie, mediante la nomina di un Commissario ad acta che provveda in luogo dell'amministrazione inadempiente e ineludibile trasmissione degli atti alla Corte dei Conti per le valutazioni di competenza, mediante trasmissione di copia integrale».

E’ evidente, dunque, che soltanto a seguito della determinazione della somma di € 2.200.000, convenuta nell’accordo transattivo del 2 gennaio 2014 (rep. n. 1089), il Comune di Mercato San Severino è addivenuto alla piena contezza della spesa effettiva derivante dalla “procedura ablatoria C.” e riversabile sui soggetti assegnatari.

La superiore linea ermeneutica risulta, d’altronde, espressamente suffragata nei termini seguenti, con riferimento alla medesima vicenda, da Cons. Stato, sez. IV, 11 gennaio 2021, n. 376: «La prescrizione del diritto al pagamento delle somme avanzato da parte del Comune non può essere dichiarata. In primo luogo, si ritiene che non trovi applicazione il termine quinquennale poiché il Comune non chiede agli assegnatari dei lotti il pagamento di somme aventi titolo in una responsabilità da fatto illecito nei loro riguardi. Inoltre, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui diviene possibile l’esercizio del diritto (art. 2935 cod. civ.) e, nel caso in esame, esso corrisponde alla definizione delle controversie con i proprietari destinatari delle procedure ablatorie, identificabile nel caso de quo, con l’atto di transazione del 2 gennaio 2014 e con l’emanazione della deliberazione commissariale del 30 agosto 2016 n. 1.; e ciò in ragione del fatto che, prima di tali atti, non era possibile per il Comune quantificare le maggiori somme occorrenti per addivenire agli espropri dei terreni in questione, per cui il correlativo diritto di credito da far valere nei riguardi degli assegnatari dei lotti non era esercitabile».

5. Ancora, le proposizioni attoree di non certezza, liquidità ed esigibilità delle somme addebitate a titolo di maggiori costi sostenuti per l’acquisizione delle aree PIP (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.d) si infrangono contro il dato oggettivo ed attuale costituito: a) dalla loro avvenuta determinazione, da un lato, nell’atto di transazione del 2 gennaio 2014 (rep. n. 1089) e, d’altro lato, giusta delibera commissariale n. 1 del 30 agosto 2016; b) del loro versamento, disposto, per l’effetto, dall’ente locale in favore dei soggetti privati espropriati; c) del loro incorporamento nell’avviso di pagamento impugnato, emesso a titolo di conguaglio ai sensi dell’art. 2 della convenzione di cessione.

6. Venendo ora all’ordine di doglianze incentrato sull’assunto che i maggiori costi delle espletate procedure ablatorie non avrebbero potuto essere legittimamente riversati a carico del soggetto assegnatario del lotto, in quanto cagionati dalla condotta illecita dell’amministrazione in sede di espletamento della procedura anzidetta e di occupazione sine titulo dei terreni in area PIP, così come giurisdizionalmente accertata (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.e), il Collegio non ritiene di doversi discostare dall’apprezzamento parzialmente favorevole già espresso nelle sentenze n. 1995/2019; n. 1996/2019; n. 1997/2019; n. 1998/2019; n. 1999/2019; n. 2000/2019; n. 2001/2019; n. 2002/2019; n. 2003/2019; n. 2004/2019; n. 2005/2019; n. 2006/2019; n. 2007/2019; n. 2008/2019, in merito.

6.1. In argomento, il Consiglio di Stato, sez. IV, nelle proprie pronunce confermative in appello (sent. n. 7784/2020; n. 7915/2020, n. 7928/2020; n. 7930/2020; n. 7932/2020; n. 7934/2020; n. 7935/2020; n. 7936/2020; n. 7938/2020; n. 7939/2020; n. 7940/2020; n. 7942/2020; n. 8314/2020; n. 376/2021), ha enunciato che:

«Il piano per gli insediamenti produttivi (c.d. PIP) è uno strumento tipico della pianificazione e della programmazione urbanistica, caratterizzato però dal fatto di essere orientato al perseguimento di esigenze ulteriori rispetto a quelle del mero governo del territorio.

Il PIP assomma e assolve a due funzioni fondamentali, previste dalle leggi statali, che sono: - per un verso quella del governo del territorio, secondo la classica impostazione degli usi, delle classificazioni e delle destinazioni da imprimere alle aree che compongono un determinato territorio, per l’ordinato sviluppo dell’antropizzazione; - per un altro verso, invece, quella della politica economica, ossia quella di essere uno strumento per incentivare le imprese, offrendo loro, ad un prezzo politico, previa espropriazione e urbanizzazione, le aree occorrenti per l’impianto o l’espansione delle produzioni commerciali o industriali, garantendo l’armonico sviluppo del territorio all’interno della più ampia cornice della sostenibilità delle produzioni nell’ambiente naturale nel quale l’uomo vive.

Da ciò, derivano due fondamentali corollari.

Il primo corollario è che gli oneri sostenuti dal Comune per l’acquisizione delle aree necessarie per attuare il PIP non hanno natura di mero corrispettivo di diritto privato, bensì natura pubblicistica, perché l’amministrazione: a) persegue la superiore funzione, che è di interesse generale, di insediare produzioni che creano o innalzano i livelli occupazionali e di benessere di un determinato territorio; b) espropria i beni di terzi soggetti per beneficiare altri privati, e cioè gli assegnatari dei lotti, i quali eserciteranno la propria libertà di iniziativa economica; c) conforma i beni così destinati all’espropriazione, in modo da renderli per destinazione urbanistica, per dimensioni e per caratteristiche strutturali, ivi compresa l’urbanizzazione, idonei e funzionali allo scopo produttivo; d) non dispone dell’entrata, poiché il capitolo previsionale contenente l’entrata non ha natura di diritto disponibile o rinunciabile; ha invece natura imperativa e si inserisce o si sostituisce a clausole invalide, in caso di carenza nei contratti di cessione; la correlativa obbligazione, a carico del primo assegnatario, configura anche un’obbligazione propter rem, perché grava anche sui successivi acquirenti; e) può discrezionalmente introdurre limitazioni al trasferimento di immobili.

Sotto tale ultimo profilo, va rilevato che, prima della riforma dell’art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, disposta dall'art. 23 della legge n. 179/1992, vigeva un vero e proprio obbligo legale di pagamento, a favore dell’ente pubblico assegnante, della somma corrispondente alla differenza tra il valore di mercato dell'area al momento dell'alienazione e il prezzo di acquisizione a suo tempo corrisposto, rivalutato sulla base delle variazioni dell'indice dei prezzi all'ingrosso calcolato dall'Istituto centrale di statistica, allo scopo di evitare indebite speculazioni.

In sede giurisprudenziale (cfr. Cass., sez. un., 16 settembre 2015, n. 18135), si sono chiarite la natura e la portata applicativa di tali limitazioni al trasferimento dopo l’entrata in vigore della novella in questione, confermando che sussiste la piena discrezionalità dell’Amministrazione pubblica di inserire ancora oggi, nel testo delle convenzioni, i limiti in questione.

Il secondo corollario è che lo spostamento di ricchezza da un privato ad un altro privato ha una causa normativa tipizzata, che è quella di funzionalizzare in senso economico e sociale il sacrificio imposto ad un soggetto determinato per il benessere dell’intera collettività stanziata sul territorio, consentendo all’imprenditore, che assume su di sé il rischio imprenditoriale, di organizzare il capitale e i mezzi della produzione (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5501 del 2004; sez. IV, n. 550 del 2004).

L’ordinamento realizza un razionale e soddisfacente punto di equilibrio tra la tutela del diritto della proprietà privata e il sostegno alle produzioni economiche che creano posti di lavoro, redditi e ricchezza, non allo scopo di discriminare il proprietario terriero rispetto all’imprenditore, né di impoverire i bilanci degli enti locali, bensì all’unica finalità di conformare in senso sociale e redistributivo le ricchezze, consentendo il fruttuoso utilizzo di fondi altrimenti inutilizzati o utilizzati per scopi non produttivi o, comunque, per scopi non idonei ad assicurare l’incremento di ricchezza del territorio in generale.

Questo determina la nascita, in capo al privato beneficiato da questo grave sacrificio individuale, di una posizione giuridica fonte di responsabilità sociale, rispetto agli oneri e ai costi giuridici, economici e organizzativi sostenuti dall’amministrazione pubblica per consentire la realizzazione del programma, ad un tempo urbanistico e di politica economica.

Tale responsabilità è condensata nei principi cardine sui quali si regge l’ordinamento di settore (segnatamente, si tratta degli artt. 27, ultimo comma e art. 35, comma 12, della l. n. 865 del 1971; inoltre, dell’art. 3, comma 64, della l. n. 662 del 1996, come sostituito dall’art. 11, l. n. 273 del 2002), come interpretati dalla giurisprudenza civile e amministrativa secondo indirizzi consolidati.

Tra questi principi, fondamentale importanza riveste quello del c.d. pareggio di bilancio o della sostenibilità finanziaria, perché esso ha ricadute sulla tenuta economica e finanziaria: - sia del settore economico nel quale rileva il PIP; - sia degli altri settori economico-sociali nei quali il governo del territorio ha la primaria finalità di aumentare i livelli di benessere della collettività (si tratta dei PEEP, ossia dei piani per l’edilizia economica e popolare, o ‘piani di zona’, i quali anch’essi si reggono sul meccanismo dell’esproprio dei terzi in vista dell’assegnazione dei lotti affinché gli assegnatari vi realizzino immobili da adibire a residenze per i non abbienti: si veda, in particolare, la legge 18 aprile 1962, n. 167, recante "disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare", e le successive modificazioni); - sia dell’ordinamento giuridico nel suo complesso, poiché la contabilità degli enti locali, insieme a quella statale in senso stretto, fa parte della più ampia contabilità pubblica, in quanto tale disciplinata dall’art. 81 della Costituzione.

In questo senso, la Sezione condivide le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata, le quali hanno rimarcato la sussistenza del principio ordinamentale di copertura dei costi sostenuti dall’amministrazione per l’ablazione e l’infrastrutturazione delle aree da devolvere in favore di soggetti privati, nella specie a fini di insediamenti produttivi (“I citati artt. 27 e 35, comma 12, della l. n. 865/1971 sono stati, cioè, pacificamente intesi a presidio dell’obiettivo di ‘perfetto pareggio’ dell'operazione ablatorio urbanizzatoria complessivamente sostenuta dall'amministrazione, ossia dell'esatta corrispondenza fra i costi sopportati dal Comune per l'acquisizione e l’infrastrutturazione delle aree e i corrispettivi dovuti dai privati beneficiari (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1751/2011; sez. V, n. 50/2012; sez. IV, n. 2854/2012; n. 2213/2014; sez. V, n. 3809/2014; sez. IV, n. 1117/2015). In altri termini, in base al principio riveniente dalle disposizioni legislative richiamate, il Comune deve recuperare dai privati gli esborsi affrontati per l’esproprio delle aree e per la realizzazione delle opere di urbanizzazione (cfr. Cons. Stato, ad. plen., n. 26/1983; Cons. Stato, sez. V, n. 462/1997; sez. IV, n. 421/2009; n. 4685/2014; n. 4686/2014 e n. 4687/2014).

Tale principio è rinominabile anche come della ‘neutralità finanziaria’, perché dall’operazione non devono derivare sul bilancio dell’ente locale costi o oneri non ripianati (cfr. nella diversa ma assimilabile fattispecie degli alloggi popolari, Cass. civ. ord., sez. I, 10 luglio 2020, n. 14782: l'obbligo del cessionario di rimborsare al Comune tutti i costi di acquisizione delle aree PEEP, posto dall'art. 35, ottavo e dodicesimo comma, della legge n. 865 del 1971, deve ritenersi esteso a tutte le spese della procedura, ivi comprese le spese legali sostenute dall'ente nel giudizio promosso ai sensi dell'art. 54 del testo unico sugli espropri, mirando la normativa in oggetto ad attuare senza eccezioni il principio dell’integrale pareggio economico tra il corrispettivo di concessione ed i costi dell'acquisizione delle aree).

Occorre ora verificare, nel concreto, quando i costi e gli oneri in parola rientrano nell’ambito applicativo del principio del pareggio di bilancio (dal che deriva la loro conseguente reversibilità sui privati assegnatari) e quando, al contrario, vi esulano.

La giurisprudenza civile e quella amministrativa – anche in questa parte richiamate correttamente dal giudice di prime cure – hanno fornito un criterio guida di ordine generale, idoneo a consentire un’esegesi chiara, certa e univoca della previsione in questione.

Il criterio si basa sulla distinzione tra i costi che l’ente ha sostenuto quali conseguenze direttamente ed esclusivamente riferibili ad una propria condotta illecita ed a procedimenti illegittimi che hanno dato luogo a risarcimenti del danno (tali costi non sono riversabili sui privati e sono definitivamente sostenuti dall’ente pubblico) e quelli che l’ente ha sostenuto per portare a compimento le procedure espropriative o per acquisire il diritto di proprietà, poi attribuito ai concessionari o agli assegnatari (tali costi sono, al contrario, integralmente riversabili sul privato)».

«Entro la sopra delineata cornice ordinamentale – ha, infatti, osservato, in prime cure, questa Sezione – si è … consolidato l’indirizzo pretorio in base al quale, tra i costi di acquisizione delle aree assoggettati a copertura ai sensi dell’art. 35, comma 12, della l. n. 865/1971, non sono annoverabili gli esborsi sostenuti a seguito di accessione invertita, i quali rinvengono la propria fonte costitutiva non già in un legittimo provvedimento espropriativo, bensì nel titolo risarcitorio generato da una condotta illecita dell’amministrazione. In tal caso – e cioè “allorquando … si fuoriesca dallo schema legale tipico e l'acquisizione delle aree … avvenga … non già attraverso le procedure espropriative di legge, bensì come effetto di un fatto illecito che, da un lato, determina l'acquisto della proprietà del suolo alla mano pubblica e, dall'altro, fa sorgere nei proprietari delle aree il diritto al risarcimento del danno per la perdita della proprietà ai sensi dell'art. 2043 cod. civ.” (TAR Lombardia, Milano, sez. I, n. 776/2004) –, il principio di copertura o pareggio finanziario sancito dalla norma citata viene, dunque, meno, non potendosi far ricadere sui concessionari delle aree e sui loro aventi causa i maggiori oneri determinatisi in forza dell’acquisizione delle aree realizzate attraverso un fatto illecito, costituito dall'occupazione illegittima e dalla trasformazione irreversibile dei suoli (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. I, n. 9024/2016, n. 9066/2018; Cons. Stato, sez. IV, n. 4815/2010; n. 1018/2016; TAR Sardegna, Cagliari, sez. I, n. 13/2012; TAR Campania, Salerno, sez. I, n. 1933/2012; TAR Toscana, Firenze, sez. I, n. 1405/2014)».

6.2. Ora, riconducendo le regole dianzi enunciate alla controversa fattispecie di imputazione dei maggiori costi determinatisi in relazione alla “procedura ablatoria C.” (cfr. retro, in narrativa, sub n. 2.6), è agevole avvedersi che di esse l’amministrazione comunale resistente non ha fatto del tutto buon governo, alla stregua delle seguenti argomentazioni già articolate dalla Sezione.

«Ed invero, costituisce, in primis, dato oggettivo e incontestato che detta procedura, all’esito del giudizio definito da questo Tribunale amministrativo regionale, Salerno, sez. II, con la sentenza n. 1374 del 9 luglio 2012, si è rivelata illegittima.

Nel contempo, occorre rimarcare che, nell’assetto di interessi recepito nell’accordo del 2 gennaio 2014 (rep. n. 1089), la concordata somma di € 2.200.000,00 non figura espressamente individuata a guisa di mero controvalore venale dei suoli ceduti dal C. al Comune di Mercato San Severino, ma costituisce, piuttosto, la controprestazione di un contratto integrante, a tutti gli effetti, lo schema proprio della transazione (cfr. art. 1965 cod. civ.: “La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti”); cosicché ad essa non possono non considerarsi (almeno parzialmente) immanenti, in quanto transatte, le poste risarcitorie riconosciute al cedente con la citata sentenza n. 1374 del 9 luglio 2012.

In questo senso, milita il tenore del verbale di Conferenza di servizi del 19 luglio 2013 e del prospetto di liquidazione ad esso allegato, ove, ai fini della determinazione della somma da riconoscersi transattivamente al C., figurano annoverate voci estranee al valore venale attualizzato dei suoli espropriati, quali, segnatamente, la quota di aumento corrispondente alla loro mutata destinazione urbanistica, la quota di danni non patrimoniali, l’indennità per occupazione sine titulo, l’ammontare degli interessi e della rivalutazione monetaria.

Non è, pertanto, accreditabile la deduzione dell’amministrazione comunale resistente secondo cui la convenuta somma di € 2.200.000,00 rappresenterebbe non già la corresponsione dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti ad attività procedimentali illegittime poste in essere dallo stesso Comune di Mercato San Severino, bensì il pagamento della somma di denaro necessaria per l’acquisto di un terreno.

A suffragio del superiore approdo militano, d’altronde, le risultanze della relazione del CTU nominato con ord. coll. n. 1222 del 29 giugno 2011 nell’ambito del giudizio definito dalla medesima sentenza n. 1374 del 9 luglio 2012, così come recepite nel verbale di Conferenza di servizi del 19 luglio 2013.

In tale sede, è stato verificato che, sia alla stregua di un metodo sintetico-comparativo sia alla stregua di un metodo analitico, il valore venale unitario medio attualizzato dei suoli in proprietà del C. ricadenti in area PIP si ragguaglierebbe a € 76,00/mq; - la quota di indennità ex art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001 corrispondente al valore venale complessivo attualizzato dei suoli in proprietà del C. ricadenti in area PIP si ragguaglierebbe a € 1.039.604,00.

Ebbene, moltiplicandosi tale valore per l’estensione totale dei fondi acquisiti dal menzionato C. (mq 13.679, a tenore della relazione del CTU nominato con ord. coll. n. 1222 del 29 giugno 2011, a fronte di mq 13.517, a tenore dell’accordo transattivo del 2 gennaio 2014, rep. n. 1089), si ottiene l’importo di € 1.039.604,00; importo, quest’ultimo, che corrisponde al valore venale complessivo attualizzato dei suoli in proprietà C. ricadenti in area PIP, ossia all’entità dell’indennizzo del pregiudizio patrimoniale ex art. 42 bis, commi 1 e 3, del d.p.r. n. 327/2001; e che risulta, da un lato, ben superiore a quello riconosciutogli a titolo di indennità di esproprio, commisurata al prezzo unitario forfettario di € 30,00/mq (cfr. tabella A allegata alla determina n. 377 del 7 giugno 2019, ove tale valore si ottiene dal rapporto tra le quote versate dagli assegnatari dei lotti PIP a titolo di rimborso delle indennità di esproprio e l’estensione dei singoli lotti assegnati; cfr. anche determine del Responsabile dell’Area Tecnica n. 1458 del 22 novembre 2005, prot. n. 644, n. 255 del 16 febbraio 2006, prot. n. 104, n. 288 del 7 marzo 2006, prot. n. 146, n. 359 del 9 marzo 2006, prot. n. 149, n. 454 del 24 marzo 2006, prot. n. 187, n. 456 del 24 marzo 2006, prot. n. 189, n. 567 dell’11 aprile 2006, prot. n. 221, n. 563 dell’11 aprile 2006, prot. n. 216, n. 566 dell’11 marzo 2006, prot. n. 220, n. 663 dell’11 aprile 2006, prot. n. 266 e n. 624 del 2 maggio 2006, prot. n. 246, ove detto valore figura espressamente indicato quale ‘prezzo unitario onnicomprensivo della cessione bonaria’) e complessivamente quantificato nell’importo di € (30,00 x 13.679 =) 410.370,00, nonché, d’altro lato, ben inferiore a quello effettivamente attribuitogli (€ 2.200.000,00 + 410.370,00 = 2.610.370,00).

Ciò comporta che la somma (€ 2.200.000,00) riconosciuta al C. in esubero a quella (€ 410.370,00) ab origine determinata a guisa di indennità di esproprio rimborsabile – unitamente agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria – a carico della ricorrente non possa considerarsi per intero sottratta, ma neppure per intero assoggettata al regime di copertura codificato dall’art. 35, comma 12, della l. n. 865/1971.

Al riguardo, giova rammentare che la citata sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale, Salerno, sez. II, n. 1374 del 9 luglio 2012 individua i criteri dettati dall’art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001 per l’acquisizione sanante quali parametri di riferimento per la quantificazione del risarcimento per equivalente monetario del danno derivante dall’illegittima occupazione appropriativa dei suoli de quibus.

In particolare, il citato art. 42 bis, commi 1-3, del d.p.r. n. 327/2001 stabilisce che: “1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfettariamente liquidato nella misura del 10% del valore venale del bene. 2. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l'annullamento degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l'amministrazione che ha adottato l'atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell'interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo. 3. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del 5% annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma”.

E’ evidente, dunque, che nella somma determinata ai sensi della disciplina sopra riportata debba intendersi computato il valore venale attualizzato del bene acquisito al patrimonio pubblico, costituente la base di calcolo sia dell’indennizzo espropriativo sia delle poste risarcitorie dovute in caso di illegittima occupazione appropriativa sine titulo.

Ed è pure evidente che detto valore venale – costituente voce (“pregiudizio patrimoniale”) del danno risarcibile accertato dalla sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale, sez. II, n. 1374 del 9 luglio 2012 e, quindi, voce del corrispettivo di transazione sulla base di quest’ultima stipulata in sede di accordo del 2 gennaio 2014 (rep. n. 1089) – non possa non rientrare negli importi rimborsabili dai soggetti assegnatari dei lotti PIP ai sensi e per gli effetti dall’art. 35, comma 12, della l. n. 865/1971.

In questo senso, è stato condivisibilmente statuito da TAR Campania, Napoli, sez. V, n. 3628/2015, con riferimento a fattispecie analoga in materia di edilizia economica e popolare, che: “Quanto alla ripetizione delle somme, a titolo di rivalsa, una volta versate le indennità all’ablato, deve ritenersi che la relativa previsione costituisca corretta applicazione dell’art. 7 delle convenzioni che, a titolo di corrispettivo dell’assegnazione del diritto di proprietà sugli alloggi, prevede il pagamento, da parte delle cooperative e dei loro aventi causa, di tutte le somme versate per la procedura ablatoria, nella quale rientra, a pieno titolo, la stessa acquisizione sanante, provvedimento legittimo, pianamente adottabile anche nelle ipotesi di edilizia residenziale economica e popolare e che, come tale, richiede la copertura integrale dei costi. Non è ostativo a tale interpretazione il riferimento espresso, ivi contenuto, ai criteri indennitari di cui all’art. 35 della l. n. 865/1981, contenendo la medesima norma una clausola di rinvio dinamico alle successive modifiche legislative ed espressamente prevedendo l’inclusione tra le voci determinanti il corrispettivo del “costo delle spese che il Comune abbia sostenuto in dipendenza delle procedure di acquisizione di cui sopra”. Se è vero che l’atto di acquisizione sanante sostituisce il regolare procedimento ablativo prefigurato dal T.U. sulle espropriazioni, esso, lungi dal trarre origine da un fatto illecito, al più mero presupposto fattuale, si pone, a sua volta, come una sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell’intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma”.

Il richiamato arresto giurisprudenziale è precipuamente suffragato, ad avviso del Collegio, dalla seguente argomentazione: se, per consolidata giurisprudenza, il principio di copertura o pareggio finanziario ex art. 35, comma 12, della l. n. 865/1971 è ritenuto operante nel caso in cui il maggior costo delle aree ablate discenda da giudizi di opposizione alla stima dell’indennità di esproprio … non si intende come e perché esso non debba ritenersi, del pari, operante nel caso in cui detto maggior costo discenda dalla ricognizione in senso incrementativo del valore venale delle aree ablate ai fini della commisurazione dell’indennizzo ex art. 42 bis, commi 1-3, del d.p.r. n. 327/2001 (ossia dall’apprezzamento di una voce riparatoria strutturalmente omologa rispetto all’indennità di esproprio). E ciò, anche allorquando – come, appunto, nel caso in esame – una simile ricognizione sia effettuata in sede transattiva sulla scorta del dictum giurisdizionale emesso nell’ambito della lite assoggettata a componimento.

Sul punto, il Collegio non ritiene di dover recepire l’indirizzo di recente sancito da Cons. Stato, sez. II, n. 4960/2019, secondo cui, «pur in costanza del principio di pareggio sopra indicato, l'obbligazione propter rem inserita nell'originaria convenzione» (avente per oggetto il rimborso dei maggiori oneri per espropriazioni e urbanizzazioni da parte dei soggetti assegnatari dei lotti PIP in favore dell’amministrazione cedente) “viene meno qualora il titolo di erogazione dell'indennità di esproprio non sia quello oggetto dell'obbligazione propter rem medesima” (ossia “quanto stabilito dalle norme sull'espropriazione per pubblica utilità, ovvero da sentenze che ne costituiscano l'applicazione”), “ma sia riconducibile ad un titolo giuridico diverso, inopponibile alle parti, come quello derivante dal … negozio di transazione”.

Tanto, sulla scorta di un triplice ordine di considerazioni.

a) Innanzitutto, e in via di principio, alla stregua del ‘decalogo’ enunciato da Cons. Stato, ad. plen. n. 2/2016, l’accordo transattivo è atto idoneo a far cessare l’illecito permanente ex art. 2043 cod. civ. incidente sul diritto di proprietà, costituito dall’occupazione sine titulo, nonché a determinare l’acquisizione in proprietà del fondo occupato.

Non si intende, quindi, come i maggiori oneri derivanti da una vicenda ablatoria conclusasi con un simile atto, che non siano eziologicamente riconducibili alla condotta illecita dell’amministrazione, debbano restare esclusi dal perimetro applicativo dell’evocata regola di pareggio economico, così da vanificarne, nella sostanza, la funzione riequilibratrice rispetto al sinallagma di cessione di quei lotti PIP che, siccome manifestamente sottostimati, risultino alienati a prezzi fuori mercato.

b) E’ pur vero, poi, che – come rilevato dal Consiglio di Stato nella citata pronuncia – «la transazione … è il frutto di libere valutazioni di convenienza, che possono trarre la loro origine anche da fatti estranei alla materia di causa e tradursi nella composizione anche di rapporti giuridici estranei alla lite»; e che «il Comune può decidere di definire un contenzioso non soltanto perché ritenga (a ragione oppure a torto) che l'esito della causa possa causare oneri maggiori, ma anche per ragioni differenti, destinate a rimanere estranee alle pattuizioni contenute nella transazione, come per esempio la eliminazione di elementi di incertezza finanziaria e contabile che lo condizionano nella sua attività di programmazione». Ma è altrettanto vero che tali rilievi non si attagliano al caso in esame, dove … la somma transattivamente riconosciuta dal Comune di Mercato San Severino al C. non ha riguardato circostanze estranee alla controversia definita da questo Tribunale amministrativo regionale, Salerno, sez. II, con sentenza n. 1374 del 9 luglio 2012 –, ma è stata ancorata alle poste sia indennitarie (tra cui, segnatamente, il valore venale dei suoli ablati) sia risarcitorie dell’eseguita occupazione illegittima, così come parametrate in quel giudizio mediante apposita CTU, ed ha, perciò, tratto fondamento – mediandosi le categorie adoperate da Cons. Stato, sez. II, n. 4960/2019 – in «quanto stabilito dalle norme sull'espropriazione per pubblica utilità, ovvero da sentenze che ne costituiscano l'applicazione».

c) Infine, l’impresa assegnataria dei lotti PIP risulta, nella specie, obbligata al rimborso dei maggiori costi di espropriazione non già in forza di eterointegrazione della convenzione di cessione con la regola ex art. 35, comma 12, della l. n. 865/1971, bensì in forza dell’espressa clausola negoziale «salvo conguaglio», la quale, da un lato, contrattualizza la citata previsione legislativa e, d’altro lato, per il suo tenore, non incontra limiti quanto alla fonte (anche transattiva) generatrice degli anzidetti maggiori costi».

6.3. Le superiori argomentazioni sono state così corroborate dal Consiglio di Stato:

«Nel caso di specie, è accaduto gli atti di esproprio emessi dal Comune di Mercato San Severino sono stati impugnati dai proprietari e sono stati annullati dal TAR, con sentenze non impugnate in parte qua e passate definitivamente in cosa giudicata.

Queste sentenze … hanno anche condannato l’amministrazione comunale, in via alternativa, a restituire i fondi e a pagare una somma per l’occupazione sine titulo, ovvero, ad acquisirli, anche in questo caso pagando una soma per il periodo dell’illecita occupazione.

Il parametro stabilito nelle sentenze per procedere a tale calcolo è stato individuato nel valore venale del bene, ossia nel valore di mercato come accertato dal consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice nei menzionati giudizi di legittimità.

… dagli atti processuali è risultato dimostrato e provato che, sia per i beni per i quali è intervenuta la stipulazione dell’atto di transazione, sia per quelli per i quali è intervenuto l’atto di acquisizione ex art. 42 bis [del d.p.r. n. 327/2001], il criterio di calcolo si è attestato su quello, giudizialmente accertato con sentenza passata in cosa giudicata nei rapporti tra l’originario proprietario ed il Comune, corrispondente all’esatto valore venale del bene.

Da queste considerazioni possono trarsi i seguenti corollari.

a) La somma quantificata corrisponde all’esatto valore venale del bene, quindi essa costituisce il corrispettivo della cessione del bene all’interno di un giusto scambio di mercato.

b) Non è decisivo e, comunque, non è rilevante ai fini della decisione, che il provvedimento di acquisizione sia stato annullato in sede giurisdizionale, perché l’unica circostanza che oggettivamente rileva, ai fini della nascita della pretesa giuridica, è che il Comune abbia acquistato la proprietà delle aree (e poi emanato il contestato avviso di pagamento) tenendo conto del valore di mercato del bene, il quale rappresenta il titolo effettivo dell’obbligazione.

c) Non è decisivo che tale valore non corrisponda all’importo già versato dall’assegnatario, perché la clausola contenuta nell’art. 2 della convenzione stipulata tra le parti fa inequivoco riferimento all’obbligo di pagamento di una certa somma fino alla concorrenza del 100% dell’importo complessivo; la ratio iuris della clausola – di per sé ricognitiva degli obblighi disposti per le parti dalla legge e dunque anche di per sé superflua - è stata all’evidenza quella di ricomprendere eventuali importi non previsti o non prevedibili, e non già – al contrario – quella di escludere o di limitare oggettivamente la somma necessaria per l’acquisizione delle aree.

d) Non è pertinente l’osservazione secondo la quale tali importi corrisponderebbero soltanto formalmente al valore venale del bene come giudizialmente accertato, mentre sostanzialmente esulerebbero dai ‘costi vivi’ occorsi per l’acquisizione delle aree, per il fatto che il maggior importo corrisponde all’aumento di valore del bene nell’arco temporale che va dalla scadenza dell’ultimo giorno utile per emanare il decreto di esproprio e fino alla definitiva formale regolarizzazione della procedura espropriativa … l’accertamento del valore venale dei beni è conseguito ad un accertamento di tipo tecnico, compiuto da un soggetto terzo e contenuto in sentenze passate in cosa giudicata … l’obbligazione di pagamento ha natura di obligatio propter rem, si trasferisce unitamente al bene immobile a cui accede e risulta opponile sia al primo assegnatario, sia in ogni caso ai successivi eventuali acquirenti.

e) Non è pertinente nemmeno l’osservazione secondo la quale non sarebbe ravvisabile, in capo agli assegnatari, alcuna responsabilità per l’andamento del procedimento espropriativo, la cui acclarata (in sede giurisdizionale) illegittimità, sarebbe dunque unicamente imputabile a titolo di ‘colpa’ all’amministrazione comunale. A parte la considerazione che l’illegittimità degli atti di per sé non evidenzia neppure la ‘colpa’ dell’amministrazione, si deve rimarcare come gli assegnatari siano i diretti beneficiari dell’acquisto del bene, effettuato dall’amministrazione. Le esternalizzazioni positive derivanti, in termini occupazionali e reddituali, sul territorio, hanno un’efficacia soltanto indiretta rispetto alla collettività stanziata su un determinato territorio, mentre l’utilizzazione diretta dei fondi per l’esercizio dell’attività imprenditoriale costituisce un sicuro e diretto vantaggio per gli assegnatari. Ciò consente – anche alla luce dei principi civilistici in materia di obbligazioni e di contratti, applicabili alle convenzioni pubbliche nei limiti della compatibilità, nonché del principio per il quale non ci si può arricchire senza causa con detrimento altrui (nella specie, del Comune) – di affermare in primo luogo l’obbligo dell’assegnatario di ristorare l’amministrazione, per le spese che questa avvia sostenuto per attribuirle il diritto di proprietà (o altro diritto reale) sull’area che altrimenti non avrebbe acquisito. In secondo luogo, i sopra richiamati principi consentono di ravvisare uno specifico onere giuridico degli assegnatari, i quali hanno ab origine un indubbio interesse a verificare che l’amministrazione – alla quale essi hanno proposto l’istanza, volta ad acquisire la titolarità delle aree per il tramite dell’esercizio del potere pubblico ‘nel loro interesse’ – ponga in essere nel corso del tempo gli atti del procedimento espropriativo. Sotto tale profilo, la Sezione evidenzia che, una volta attivato il procedimento volto alla assegnazione delle aree inserite nel PIP (esattamente come una volta sia stato attivato il procedimento volto all’assegnazione delle aree inserite nel PEEP), i beneficiari – ovvero coloro che intendano esserne beneficiari – abbiano l’onere di vigilare sul corretto andamento della procedura espropriativa. Essi hanno specifici rimedi, previsti dall’ordinamento giuridico e possono sollecitare il Comune alla tempestiva emanazione del decreto di esproprio, perché titolari dell’interesse diretto, concreto, personale e immediato a disporre di un titolo giuridico a giustificazione della materiale disponibilità del bene. Gli assegnatari, in altri termini, così come si giovano dell’immissione nel possesso del bene in via d’urgenza, al contempo hanno l’onere di avere la cura che sia concluso – legittimamente - il procedimento espropriativo. Inoltre, qualora non sia stato emanato il decreto d’esproprio, essi hanno un interesse diretto, concreto, personale e immediato all’esercizio del potere previsto dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri. Infatti, quando l’amministrazione abbia attivato il procedimento espropriativo e l’atto conclusivo del procedimento non sia stato emesso o sia stato annullato in sede giurisdizionale, coloro che sono stati immessi nel frattempo nel possesso dell’area – in applicazione della legge n. 865 del 1971 o della legge n. 167 del 1962 – sono anch’essi legittimati a chiedere (dapprima in sede amministrativa e poi in sede giurisdizionale) che l’autorità competente eserciti il potere di acquisizione, previsto dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri: tale potere va esercitato d’ufficio, come chiarito dall’Adunanza Plenaria con le sentenze n. 2, 3 e 4 del 2020, ma può anche essere sollecitato sia dal proprietario, sia dal possessore, affinché vi sia l’adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto e, se del caso, affinché il possessore diventi proprietario. Per converso, da ciò deriva che, nel lasso di tempo che intercorre dal primo giorno utile successivo alla scadenza del termine per l’emanazione del legittimo decreto di esproprio e fino al momento in cui lo stato di fatto è adeguato alla situazione di diritto (tramite l’emanazione del provvedimento ex 42 bis o la stipulazione della cessione volontaria o la transazione della lite), anche gli assegnatari rispondono delle conseguenze negative e dei maggiori costi sostenuti per l’acquisizione delle aree.

f) Del resto, l’ente comunale sostiene tali costi in nome proprio (il diritto di proprietà è trasferito dal patrimonio del privato a quello comunale), ma nel precipuo interesse del privato assegnatario (il diritto di proprietà è successivamente ceduto dal Comune agli assegnatari, secondo l’ordine riportato nel decreto di assegnazione), allo scopo di impedire l’effetto restitutorio, altrimenti inevitabile in base ai giudicati di annullamento dei decreti di esproprio.

Se il Comune non definisse la procedura espropriativa (col decreto d’esproprio o con l’atto di acquisizione previsto dall’art. 42 bis), al proprietario spetterebbe la restituzione delle aree con l’applicazione del principio dell’accessione, con un grave vulnus per gli interessi pubblici coinvolti e con diretto pregiudizio proprio dell’assegnatario, che non conseguirebbe il titolo di proprietà e perderebbe il possesso delle opere da lui realizzate, anche con sacrificio delle risorse pubbliche.

I principi di buona fede e di correttezza nell’adempimento delle obbligazioni (anche quelle di cd. cooperazione nell’adempimento dell’altrui obbligazione) e degli oneri, il principio della compensatio lucri cum damno e il divieto dell’arricchimento senza causa ostano tutti a che il beneficiario di una prestazione pagata con denaro pubblico (l’assegnatario o il concessionario dell’area) si avvantaggi ingiustamente, esimendosi dal sostenere i correlativi oneri o pretendendo di addossarli interamente sull’ente pubblico e sulla collettività in generale.

Sotto tale profilo, è insostenibile la tesi secondo cui – a seguito dell’annullamento del decreto d’esproprio o della sua mancata emanazione – l’assegnatario o il concessionario, di per sé tenuto a rimborsare quanto spettante al proprietario a titolo di indennità d’esproprio, non debba rivalere l’amministrazione di quanto pagato allo stesso proprietario per munirsi del titolo di proprietà, sulla base di una transazione o dell’atto di acquisizione ex art. 42 bis.

g) Non sono pertinenti nemmeno le osservazioni circa la natura risarcitoria dei maggiori esborsi sostenuti dall’ente comunale.

Più in particolare, le somme di cui all’art. 42 bis cit. hanno per espressa previsione normativa (come del resto ha confermato anche la esegesi fornita dalla giurisprudenza civile e amministrativa in tema di riparto sulla giurisdizione) natura indennitaria, e non già risarcitoria, per il controvalore del bene, di cui vi è il trasferimento in assenza della volontà del proprietario.

Discorso più articolato va fatto, invece, per le somme previste nell’atto di transazione.

A tale proposito, la Sezione osserva che, nel caso qui esaminato, è provato in via documentale che le somme non sono state liberamente determinate dalle parti stipulanti, e cioè dal Comune e dall’originario proprietario, nell’esercizio della libertà contrattuale senza oggettivi parametri di riferimento.

Se così fosse stato, certamente si sarebbe posto un problema di interpretazione e di qualificazione delle somme determinate transattivamente, di per sé non automaticamente riversabili sui terzi assegnatari, anche in ossequio il principio generale civilistico della relatività del contratto e della inopponibilità ai terzi delle obbligazioni da questo derivanti.

Nel caso di specie, tali questioni non si pongono, per la semplice evidenza che la transazione è stata, per così dire, ad oggetto pubblico determinato, ossia ha recepito integralmente il valore venale del bene come determinato nei giudizi amministrativi avverso gli atti di esproprio.

Per di più … se l’assegnataria non fosse stata parte di quel giudizio, nondimeno – in assenza di iniziative processuali quali l’opposizione di terzo – la quantificazione circa il valore di mercato del bene le sarebbe stata opponibile, attesa la sua responsabilità, nei termini dianzi ricostruiti, e la natura propter rem dell’obbligazione di pagamento».

6.4 «L’approccio ermeneutico dianzi prospettato, annoverante quale costo rimborsabile a carico dei beneficiari dell’espropriazione il valore venale attualizzato dei cespiti loro devoluti, costituente la posta principale di calcolo dell’indennizzo ex art. 42 bis, commi 1-3, del d.p.r. n. 327/2001, – ha, poi, osservato questa Sezione – non può, tuttavia, sospingersi sino ad inglobare entro il perimetro applicativo dell’art. 35, comma 12, della l. n. 865/1971 voci estranee a detta posta indennitaria, quali, segnatamente, la quota di aumento corrispondente alla (medio tempore) mutata destinazione urbanistica dei suoli, la quota di danni non patrimoniali, l’indennità per occupazione sine titulo, l’ammontare degli interessi e della rivalutazione monetaria, che, nella specie, a tenore del verbale di Conferenza di servizi del 19 luglio 2013 e del prospetto di liquidazione ad esso allegato, figurano espressamente computate ai fini della determinazione della somma da riconoscersi transattivamente al C.

Simili voci rivestono, infatti, connotazione e funzione unicamente risarcitoria del danno arrecato dall’occupazione illegittima, e non possono essere, quindi, attratte all’orbita almeno lato sensu ‘remunerativo-indennitaria’ del valore venale attualizzato dei beni espropriati. Ed opinare per esse diversamente porterebbe a tradire l’evocato indirizzo pretorio secondo cui il principio di copertura o pareggio finanziario sancito dall’art. 35, comma 12, della l. n. 865/1971 non consente di far ricadere i maggiori oneri direttamente ed esclusivamente derivanti dall’illecito costituito dall'occupazione illegittima e dalla trasformazione irreversibile dei suoli.

Sotto tale profilo, l’ordine di doglianze in esame si rivela, dunque, fondato.

Nel senso, cioè, che la somma complessivamente riconosciuta al C. per i suoli in sua proprietà ricadenti in area PIP (€ 2.200.000,00 + 410.370,00 = 2.610.370,00) non è da reputarsi proporzionalmente riversabile sui soggetti assegnatari dei lotti, se non limitatamente alla porzione di essa identificabile come valore venale attualizzato complessivo dei suoli anzidetti, pari a € 1.039.604,00, alla stregua delle indicazioni rivenienti dalla relazione del CTU nominato con ord. coll. n. 1222 del 29 giugno 2011 nell’ambito del giudizio definito dalla citata sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale, Salerno, sez. II, n. 1374 del 9 luglio 2012».

6.5. Le statuizioni dianzi riportate sono state così confermate e precisate in appello:

«… il Comune non ha titolo a pretendere il pagamento di voci diverse dalle somme occorse per acquisire i bene al valore venale di mercato.

In particolare, circa la quota di aumento corrispondente alla medio tempore mutata destinazione urbanistica dei suoli, tale profilo si può considerare irrilevante (sicché la censura non risulta supportata da un concreto interesse), in quanto tale mutamento è stato già preso in considerazione dapprima dal consulente tecnico d’ufficio (il quale ha stimato il valore venale del bene in circa 76,00 euro e il maggior valore per la mutata destinazione urbanistica in circa 11,40 euro) e poi, conseguentemente, in sede di determinazione del corrispettivo della transazione (le parti hanno individuato la somma unitaria di 80,00 euro, la quale sostanzialmente corrisponde all’arrotondamento della somma stimata dal CTU, pari a 76.00 euro), sicché il Comune ha titolo a chiedere il rimborso dell’intera somma indicata nella transazione stessa, a titolo di controvalore corrisposto al proprietario, ma non anche ulteriori importi non considerati nemmeno in sede transattiva.

Per quanto riguarda invece l’importo corrisposto al proprietario a titolo di danni non patrimoniali, il relativo importo risulta la conseguenza immediata e diretta della commissione dell’illecito imputabile al Comune, venuto meno con l’atto di acquisto della proprietà, sicché per tal parte va confermata la sentenza impugnata.

Si deve ora esaminare la domanda del Comune, volta ad ottenere dalla parte privata il rimborso di quanto corrisposto all’originario proprietario a seguito del verificarsi della occupazione sine titulo, con i conseguenti accessori degli interessi e della rivalutazione monetaria.

Al riguardo, va premesso che, come risulta dagli atti: - a seguito della relativa dichiarazione di pubblica utilità, l’occupazione delle aree dell’originario proprietario fu disposta con alcune ordinanze di occupazione d’urgenza di cui è risultata beneficiaria proprio l’appellata; - la patologia dell’azione amministrativa si è a suo tempo verificata perché, entro il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, non sono stati emanati i decreti d’esproprio; - la originaria sentenza del TAR n. 1374 del 2012, sopra citata, ha dapprima rilevato … che nel corso del procedimento erano stati emanati ‘una valida dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d'urgenza senza tuttavia emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei termini previsti dalla legge’ ed ha poi disposto l’annullamento di quegli atti di acquisizione (tempestivamente impugnati) emessi dal Comune nel 2006, unicamente in considerazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 293 del 2010, che ha annullato per eccesso di delega l’art. 43 del testo unico sugli espropri.

La sentenza del TAR ora impugnata – per affermare che il Comune non si può rivalere nei confronti della società per gli importi corrisposti all’originario proprietario con riferimento al periodo di occupazione senza titolo … ha osservato che, in considerazione di quanto deciso con la sentenza n. 1374 del 2012, ‘la procedura … si è rilevata illegittima’.

Ad avviso della Sezione, tale considerazione della sentenza del TAR – successivamente richiamata in successivi suoi passaggi motivazionali – di per sé non è errata, ma ne va precisato il significato.

In relazione agli atti di acquisizione emessi nel 2006 ai sensi dell’art. 43 del testo unico sugli espropri e poi annullati dal TAR con la sentenza n. 1374 del 2012, non si può ravvisare una illegittimità imputabile al Comune, il quale aveva dato applicazione ad una disposizione di rango primario attributiva del relativo potere ed in vigore al momento della loro emanazione, che poi, però, è stata dichiarata incostituzionale per il ravvisato eccesso di delega.

Ad avviso della Sezione, l’illecito a suo tempo venutosi a verificare (poi venuto meno con l’atto d’acquisto della proprietà) è invece imputabile al Comune poiché l’Amministrazione a suo tempo non ha concluso tempestivamente il procedimento espropriativo, con la conseguenza che l’occupazione – originariamente disposta con le ordinanze d’occupazione d’urgenza divenute inoppugnabili, come rilevato dalla sentenza del TAR n. 1374 del 2012 … – non è stata successivamente supportata da un titolo, proprio per la perdita di efficacia delle medesime ordinanze.

Ciò comporta che per gli importi corrisposti all’originario proprietario a titolo di indennità per il periodo di efficacia delle ordinanze d’occupazione d’urgenza il Comune ha senz’altro titolo a rivalersi nei confronti della parte privata.

Sotto tale aspetto, la Sezione rileva che dalla lettura degli analitici conteggi effettuati dalla sentenza impugnata non è dato agevolmente comprendere se i relativi importi abbiano tenuto conto di un tale principio (basato sulla semplice considerazione che il titolo del rimborso per il periodo della occupazione d’urgenza a suo tempo vi era e non è certo venuto meno a seguito della mancata conclusione del procedimento espropriativo).

Tuttavia, di tale principio si deve tenere conto in sede di redazione dei calcoli, da effettuare in esecuzione del dispositivo della sentenza impugnata.

Pertanto, non dovendosi effettuare in questa sede calcoli eventualmente rettificativi sui conteggi effettuati dal TAR, ma risultando condivisibile il ‘criterio’ da esso enunciato, in sede di quantificazione di quanto va rimborsato dalla parte privata il Comune deve comunque computare quanto complessivamente corrisposto all’originario proprietario con riferimento al periodo di occupazione supportata dal titolo.

Per quanto riguarda invece il periodo durante il quale vi è poi stata l’occupazione senza titolo delle aree dell’originario proprietario, le articolate deduzioni dell’Amministrazione – che si sono incentrate sull’assenza di suoi profili di responsabilità dell’accaduto – non possono che essere respinte, poiché – come si è sopra rilevato – effettivamente l’Amministrazione ha commesso un illecito, non avendo concluso a suo tempo il procedimento espropriativo».

6.6. Le considerazioni svolte retro, sub n. 6.2-3, lasciano, altresì, emergere l’infondatezza delle contestazioni attoree avverso l’imputazione dei maggiori costi determinatisi in relazione alla procedura ablatoria espletata nei confronti dei proprietari D. S. – P. (cfr. retro, in narrativa, sub n. 2.b e n. 2.f).

Nella nota del Comune di Mercato San Severino prot. n. 18440 del 5 agosto 2016 la somma complessiva di € 2.296.407,96, riconosciuta ai sensi dell’art. 42 bis del d.p.r. n. 380/2001, figura, infatti, analiticamente esplicata in modo che l’importo di € 1.312.233,12, proporzionalmente addebitato ai singoli assegnatari dei lotti, corrisponda unicamente al maggior valore venale accertato per i suoli acquisiti al patrimonio comunale, in aggiunta all’importo già corrisposto ai predetti proprietari (€ 837.206,88).

In dettaglio, si ha: € (mq 26.868 x 80 €/mq =) 2.149.440,00, a titolo di valore venale globale – 837.206,88 versati = 1.312.233,11 + (1.312.233,11 x 10% =) 131.223,31, a titolo di danno non patrimoniale = 1.443.456,42 + (1.312.233,11 x 5% = 65.611,66 x 13 anni =) 852.951,53, a titolo di risarcimento per occupazione illegittima = 2.296.407,96.

7. Come già acclarato dalla Sezione nelle sentenze n. 1995/2019; n. 1996/2019; n. 1997/2019; n. 1998/2019; n. 1999/2019; n. 2000/2019; n. 2001/2019; n. 2002/2019; n. 2003/2019; n. 2004/2019; n. 2005/2019; n. 2006/2019; n. 2007/2019; n. 2008/2019 (confermate in appello da Cons. Stato, sez. IV, n. 7784/2020; n. 7915/2020, n. 7928/2020; n. 7930/2020; n. 7932/2020; n. 7934/2020; n. 7935/2020; n. 7936/2020; n. 7938/2020; n. 7939/2020; n. 7940/2020; n. 7942/2020; n. 8314/2020; n. 376/2021), esplorativo, in quanto non supportato da adeguato apparato probatorio ai sensi e per gli effetti dell’art. 64, comma 1, cod. proc. amm., è l’ordine di doglianze volto a contestare, da un lato, la mancata ultimazione delle opere di urbanizzazione ed a far valere, d’altro lato, la non debenza delle somme versate in corrispettivo di opere di urbanizzazione coperti da imprecisati finanziamenti (cfr. retro, in narrativa, sub n. 3.e).

Non senza soggiungere che il mancato completamento degli interventi in parola non esimerebbe, comunque, gli assegnatari fruitori dal pagamento dei corrispondenti oneri in vista della loro futura integrale realizzazione.

D’altronde, come osservato in appello dal Consiglio di Stato, «il compimento effettivo delle opere di urbanizzazione non rappresenta, per la consolidata giurisprudenza amministrativa, un’obbligazione sinallagmatica a carico dell’amministrazione comunale, la quale può sempre pretendere il pagamento delle obbligazioni nascenti dalle convenzioni di diritto pubblico, di cui quelle urbanistiche allegati ai piani rappresentano una species. Inoltre, le opere di urbanizzazione non costituiscono la prestazione di obbligazioni con vincolo di scopo, ben potendo le relative somme essere impiegate per scopi o utilità diverse»

8. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso in epigrafe va accolto limitatamente alla contestata imputazione dei maggiori costi determinatisi in relazione alla “procedura ablatoria C.” (cfr. retro, sub n. 6.4-5), nella misura in cui figurano ivi ricomprese voci risarcitorie oltre al valore venale dei beni acquisiti al patrimonio comunale (dal quale va decurtato l’ammontare – pari a € 410.370,00 – già corrisposto al menzionato proprietario espropriato).

Per l’effetto, gli atti con esso impugnati vanno annullati in parte qua.

Sempre per l’effetto, il Comune di Mercato San Severino, nel rideterminare il riparto dei maggiori costi sostenuti per l’acquisizione delle aree necessarie alla realizzazione del PIP, dovrà aver riguardo: a) all’importo di € [(mq 13.679 x 76 €/mq =) 1.039.604,00 – 410.370,00 versati =) 629.234,00 (corrispondenti ai maggiori costi della “procedura ablatoria C.”) + € [(mq 26.868 x 80 €/mq =) 2.149.440,00 – 837.206,88 versati =] 1.312.233,11 (corrispondenti ai maggiori costi della “procedura ablatoria D. S. – P.”) = 1.941.467,11 (ossia ad un importo ridotto del 44,72% rispetto a quello di € 3.512.233,12, individuato nella gravata determina del Responsabile del SUAP del Comune di Mercato San Severino n. 429 dell’8 agosto 2018 e riveniente dalla differenza tra i valori venali dei suoli espropriati e le somme già versate dagli assegnatari dei lotti PIP a titolo di rimborso delle indennità di esproprio (cfr. tabelle A e B allegate alla determina n. 377 del 7 giugno 2019), il quale – come precisato dal Consiglio di Stato – andrà eventualmente integrato con le somme spettanti agli originari proprietari a titolo di indennità per il periodo di efficacia degli emessi decreti di occupazione d’urgenza, nella misura in cui non risultino in esso computate; b) agli importi già versati dai singoli assegnatari dei lotti PIP a titolo di rimborso delle indennità di esproprio (cfr. tabelle A e B allegate alla determina n. 377 del 7 giugno 2019), che andranno attualizzati in base all’indice di rivalutazione monetaria ed al tasso di interesse legale dal momento del loro originario pagamento sino a quello del relativo conguaglio.

9. La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla in parte qua gli atti con esso impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati:

Nicola Durante, Presidente

Olindo Di Popolo, Consigliere, Estensore

Laura Zoppo, Referendario

 

 

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Olindo Di Popolo

Nicola Durante

IL SEGRETARIO

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