EDILIZIA SCOLASTICA - DUBBI SULLA TIPOLOGIA DI VINCOLO
Pubblico
Giovedì, 25 Maggio, 2017 - 09:17
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda), sentenza n.5873 del 17 maggio 2017, su diverse questioni procedurali espropri. Sul vincolo ad edilizia scolastica.
La massima
La mera pendenza, o, come nel caso in esame, la definizione di un giudizio per la determinazione della giusta indennità di esproprio non è incompatibile con un giudizio di tipo impugnatorio per lesione di interessi legittimi, da cui potrebbe scaturire la sostituzione e/o l’integrazione di una posta indennitaria con una risarcitoria (cfr., ad esempio, Cass. civ., sez. I, sentenza n. 7078 del 28 dicembre 1988).
L’eventuale vizio relativo alla notifica degli atti espropriativi non incide sulla legittimità di tali provvedimenti - non costituendo la notificazione atto perfezionativo del procedimento di esproprio - quanto piuttosto sull’opponibilità degli stessi al destinatario e, in particolare, sull’effettiva decorrenza dei termini posti a disposizione dell’inciso per esercitare le sue facoltà in sede processuale (Cons. St., sez. IV, sentenza n. 2286 del 18 aprile 2012).
Secondo una parte della giurisprudenza (cfr., ad esempio, TAR Lecce, 14 marzo 2012, n. 504), è da escludersi che la destinazione di un’area ad edilizia scolastica possa configurare un vincolo preordinato all’esproprio poiché, non sussistendo alcun impedimento a che alle necessità scolastiche si provveda mediante soluzioni locative, anziché proprietarie, il vincolo può ricomprendersi tra quelli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico - privata; in altri termini, la destinazione scolastica comporterebbe l'attribuzione al terreno di una vocazione edificatoria, sia pure specifica, in quanto realizzabile anche da privati.
N. 05873/2017 REG.PROV.COLL.
N. 14784/2001 REG.RIC.
N. 20800/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 20800 del 2000, OMISSIS e difesa dagli avvocati Francesco Brucoli e Valerio Vicenzi, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori, in Roma, via Montello, 30;
contro
Roma Capitale, già Comune di Roma, rappresentata e difesa dall’avv. Domenico Rossi, con domicilio in Roma, via Tempio di Giove, 21;
sul ricorso numero di registro generale14784 del 2001, già proposto da:
OMISSIS, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Brucoli e Valerio Vicenzi, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori, in Roma, via Montello, 30;
contro
Roma Capitale (già Comune di Roma), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Riccardo Marzolo e Domenico Rossi, con domicilio in Roma, via Tempio di Giove, 21, presso l’Avvocatura capitolina;
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 20800 del 2000:
dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Roma, n. 232 del 17.10.2000, comunicata con atto notificato il 7.11.2000, in corso di pubblicazione sul B.U.R.L., con cui vengono stabilite le indennità provvisorie di esproprio, della delibera G.M. n. 4755 del 22.12.1998, con cui è stato promosso il procedimento di esproprio, della delibera G.M. n. 949 del 22.3.1996, di approvazione del progetto di opera pubblica, della delibera di G.M. n. 1937 del 2.6.1998, di riapprovazione del progetto per scadenza dei termini, nonché di tutti gli altri atti presupposti, conseguenti e, comunque, connessi;.
quanto al ricorso n. 14784 del 2001:
dell’ ordinanza del Sindaco del Comune di Roma, n. 265 del 23.8.2001, con cui è stato emanato il decreto definitivo di esproprio a favore del Comune di Roma degli immobili di proprietà delle ricorrente siti in Roma, Via Cornelia, località Montespaccato, distinto in catasto, foglio 348, part. lle 368 r, 1054r, 1049r, 1050, 1051, 1052, 1053, per complessivi mq. 4600 circa, nonché di ogni atto o provvedimento preordinato, presupposto e comunque connesso.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti delle cause;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 26 aprile 2017 il Cons. Silvia Martino;
Uditi gli avvocati, di cui al verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso introduttivo le signore OMISSIS (queste ultime rappresentate dalla prima nella qualità di procuratore generale), esponevano di essere proprietarie di un terreno sito in Roma, via Cornelia, località Montespaccato, di circa mq. 5.000, distinto in catasto al foglio 348, particelle 368r, 1054r, 1049r, 1050r, 1051, 1052 e 1053.
Con delibera di G.M. n. 949 del 22.3.1996, non preceduta da alcuna comunicazione alla proprietà, veniva approvato ex art. 1, l. n. 1/78, il progetto relativo alla costruzione di una scuola materna e veniva dichiarata la pubblica utilità dell’opera nonché la indifferibilità ed urgenza dei lavori relativi.
In data 31.7.1997 la proprietà consentiva l’immediata immissione in possesso del terreno al Comune, il quale poteva così dare immediato avvio ai lavori nelle more della formalizzazione degli atti espropriativi e di occupazione di urgenza.
Con delibera G.M. n. 1937 del 2.6.1998, vista l’avvenuta scadenza del termine di inizio della procedura espropriativa, veniva riapprovato il relativo progetto ai soli fini della proroga dei termini.
Con delibera di G.M. n. 4755 del 22.12.1998, il Comune, senza nulla disporre in ordine all’occupazione di fatto già avvenuta da un anno e mezzo, promuoveva la procedura espropriativa ai sensi degli artt. 10 e ss. della l. n. 865 del 1971.
Con l’ordinanza sindacale n. 232/00, notificata irregolarmente il 7.11.2000, veniva stabilita la sola indennità di esproprio, pur essa impugnata.
Il ricorso n. 20800 del 2000, è affidato ai seguenti motivi:
- premessa la nullità delle notificazioni effettuate alle signore OMISSIS degli ultimi provvedimenti citati, parte ricorrente evidenzia anzitutto che solo nel marzo 1999 è stato effettuato il deposito degli atti della procedura espropriativa ex art. 10 l. n. 865 del 1971, laddove la dichiarazione di pubblica utilità risale al 22.3.1996 e la riapprovazione del progetto al 2.6.1998;
- è mancato un formale decreto di occupazione, e, comunque, non è stata determinata la relativa indennità;
- sarebbe stato violato l’art. 13 della l. n. 2359 del 1865; in particolare, la delibera n. 1937 del 2.6.1998, nel riapprovare il progetto, non prevede alcuna fissazione dei termini di inizio e ultimazione dei lavori;
- la proroga dei termini della dichiarazione di pubblica utilità sarebbe immotivata;
- la destinazione a zona M3 sarebbe decaduta e comunque la variante non sarebbe stata successivamente approvata dalla Regione.
Con successivo ricorso, le ricorrenti hanno poi impugnato il decreto definitivo di esproprio n. 265 del 23.8.2001 deducendo, essenzialmente, motivi di illegittimità derivata, nonché l’irrisorietà della valutazione dell’area.
Si è costituita, in resistenza, Roma Capitale, significando che, con sentenza n. 17766/09 del 27.4.2009, la Corte d’appello di Roma ha determinato in euro 551.076,00 l’indennità di espropriazione ed in euro 79.055,00 l’indennità di occupazione.
Tale circostanza, determinerebbe, a dire della difesa capitolina, l’improcedibilità del presente gravame in quanto la parte odierna ricorrente, attraverso l’opposizione alla stima innanzi alla competente autorità giurisdizionale, avrebbe prestato acquiescenza ai provvedimenti ablatori impugnati con i presenti ricorsi.
Nel merito, l’amministrazione sottolinea che il consenso all’immissione in possesso espresso dalla signora OMISSIS sarebbe prova del fatto che l’originaria ricorrente era consapevole dell’avvio del procedimento espropriativo.
Comunque, nel caso di specie, troverebbe applicazione l’art. 8, comma 3, della l. n. 241/90 e sarebbe sufficiente, pertanto, l’avvenuta pubblicazione delle delibere all’Albo pretorio.
Per quanto riguarda la destinazione di zona (che l’amministrazione ritiene comunque non soggetta a decadenza), sottolinea che gli atti progettuali sono stati trasmessi alla Regione ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 5 e 6 della l.rg. n. 36/87.
Nessuna osservazione è pervenuta nel termine di cui all’art. 60, comma 2, della l. n. 62 del 1953 e all’art. 26 della l.r. n. 74 del 1978.
La mancanza del decreto di occupazione si giustifica col fatto che la signora OMISSIS, con nota prot. n. 43420 del 15 luglio 1997, in qualità di procuratrice dei proprietari dell’area, ha dichiarato la propria disponibilità all’anticipata immissione in possesso, subordinatamente alla variazione delle aree da espropriare; poi effettivamente approvata con deliberazione della Giunta n. 3030 del 25 luglio 1997, a seguito della quale, con verbale redatto in data 31 luglio 1997, l’amministrazione ha preso possesso, in via bonaria, delle aree.
Inoltre, in tale occasione, la signora OMISSIS ha manifestato la propria volontà all’anticipata immissione in possesso ma non alla cessione volontaria del bene.
Quanto ai termini, la difesa capitolina richiama la delibera n. 1937 del 2 giugno 1998 che ha rinnovato quelli relativi agli atti espropriativi.
Con le sentenze n. 1278/2013 e 1276/2013 del 23.1.2013 è stata dichiarata l’interruzione del giudizio a causa della morte della signora OMISSIS.
In data 9.5.2013 la signora OMISSIS, in qualità di sorella e unica erede della signora OMISSIS, ha riassunto entrambi i ricorsi.
In vista della pubblica udienza del 26 aprile 2017 l’amministrazione capitolina ha prodotto la sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 13093/2015, con la quale è stata annullata la sopra citata sentenza della Corte d’appello di Roma, rinviando nuovamente al giudice del merito per la corretta determinazione dell’indennità di esproprio.
Poiché il giudizio non è stato tempestivamente riassunto, si è estinto, con la conseguenza che la diversa e maggiore quantificazione dell’indennità contenuta nella sentenza cassata non esiste più, riprendendo vigore l’originaria determinazione dell’indennità effettuata dalla Commissione provinciale espropri.
Secondo la difesa capitolina, la definizione del giudizio civile sulla quantificazione dell’indennità di esproprio delineerebbe una sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il presente gravame.
Alla pubblica udienza del 26 aprile 2017, l’avv. Vincenzi ha replicato oralmente a tale eccezione.
I ricorsi sono stati quindi assunti in decisione.
2. In via preliminare, occorre procedere alla riunione dei ricorsi in epigrafe in quanto connessi sul piano oggettivo e soggettivo.
Va poi dato atto che, così come sostanzialmente evidenziato anche dalla difesa capitolina, risultano inammissibili tutti i motivi relativi all’offerta e quantificazione dell’indennità di esproprio e di quella di occupazione, in quanto, in materia, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, a suo tempo, peraltro, già adito da parte ricorrente (cfr., oggi, l’art. 133, comma 1, lett. f) del codice del processo amministrativo).
2.1. Non può, invece, condividersi l’eccezione di intervenuta acquiescenza e/o di sopravvenuta carenza di interesse sollevata dalla difesa capitolina.
La mera pendenza, o, come nel caso in esame, la definizione di un giudizio per la determinazione della giusta indennità di esproprio non è infatti incompatibile con un giudizio di tipo impugnatorio per lesione di interessi legittimi, da cui potrebbe scaturire la sostituzione e/o l’integrazione di una posta indennitaria con una risarcitoria (cfr., ad esempio, Cass. civ., sez. I, sentenza n. 7078 del 28 dicembre 1988).
2.2. Nel merito, giova sintetizzare la sequenza espropriativa avviata con la delibera di Giunta n. 949 del 22.3.1996.
La delibera approvava il progetto, con valore di dichiarazione di pubblica utilità ai sensi della l. n. 1 del 1978, relativo alla costruzione di una scuola materna in via Cornelia, località Montespaccato.
Nella delibera veniva precisato che “gli atti di esproprio avranno inizio entro 18 mesi dalla data di esecutività del presente provvedimento ed avranno termine entro i 60 mesi successivi. L’inizio dei lavori è previsto entro 18 mesi dalla data di esecutività del presente provvedimento e avranno termine nei successivi 700 giorni”.
Successivamente, in data 15 luglio 1997, con nota prot. n. 43420 del 15 luglio 1997 “i proprietari dell’area nella persona della procuratrice sig. OMISSIS, al fine di rendere operativo immediatamente l’appalto, dichiaravano la propria disponibilità all’anticipata immissione in possesso delle aree suddette subordinatamente alla variazione delle aree da espropriare”.
Quindi, “con deliberazione della Giunta Comunale n. 3020 del 25 luglio 1997 si approvava detta variazione e nel contempo si autorizzava il Dipartimento XII – VI U.O. a prendere immediatamente possesso delle aree medesime”.
Le frasi testé riportate sono tratte dalla delibera n. 1937 del 2 giugno 1998 con cui, dopo l’immissione in possesso e la consegna dei lavori si procedeva “stante l’intervenuta scadenza del termine di inizio delle procedure espropriative […] alla riapprovazione del progetto ai soli fini delle proroga dei termini relativi agli atti di esproprio” disponendo che “gli atti di esproprio avranno inizio entro 18 mesi dalla data di esecutività del presente provvedimento ed avranno termine entro i 60 mesi successivi”.
Infine, con delibera n. 4755 del 22.12.1998, veniva promosso il procedimento di esproprio “ai sensi dell’art. 10 e seguenti della l. 22 ottobre 1971, n. 865”, fissando i termini per il compimento della procedura espropriativa al 2 giugno 2003.
Il decreto definitivo di esproprio interveniva in data 23.8.2001 (decreto n. 265).
2.3. L’esame della procedura espropriativa consente di rilevare agevolmente quanto segue.
In primo luogo, il decreto del 1996 che approvava il progetto della scuola di via Cornelia, ai sensi della l. n. 1/78, recava regolarmente tutti i c.d. quattro termini di cui all’art. 13 della l. n. 2359 del 1865.
Risulta poi dalla delibera n. 1937 del 1998 che la “variante” approvata in data 25 luglio 1997, venne determinata da una richiesta della signora OMISSIS e comportò la traslazione di alcune delle aree originariamente destinate all’esproprio.
Nel 1998, a seguito dell’approvazione di tale variante e comunque permanendo la necessità di realizzare la scuola, veniva pertanto prorogato il termine di inizio delle espropriazioni, facendo contestualmente slittare la scadenza della dichiarazione di pubblica utilità.
Pertanto, non solo risultano chiare, a parere del Collegio, le ragioni della proroga e della permanente esigenza di espropriare le aree, ma la delibera stessa non risulta affatto carente dei termini di inizio e compimento dei lavori poiché viene a saldarsi con la dichiarazione di pubblica utilità del 1996.
E’ ancore bene precisare che, al momento in cui è intervenuta la proroga, la dichiarazione di pubblica utilità non era ancora scaduta, anche a voler considerare l’approvazione del progetto nel 1996 come il primo atto della procedura espropriativa.
Infatti, in tale delibera, era stato stabilito un termine finale per il compimento delle procedure espropriative di 60 mesi dall’inizio delle operazioni medesime.
L’esame delle delibere susseguitesi fino al 1999 comprova poi che non vi è stata la paventata violazione delle garanzie partecipative.
E’ infatti incontestata la circostanza (e comunque attestata sia dalla delibera di approvazione della variante, sia dal verbale di immissione in possesso del 31 luglio 1997) che la signora OMISSIS ebbe ad assentire in via bonaria l’immissione nelle aree di proprietà, “subordinatamente alla variazione delle aree da espropriare”.
Pertanto – sebbene manchi la prova della comunicazione formale del progetto preliminare, ante la dichiarazione di pubblica utilità del 1996 – tra il 1996 e 1998 la signora OMISSIS (che, anche all’epoca, rappresentava le sorelle), fu in grado di influire sulla definitiva localizzazione dell’opera pubblica.
Il fine della comunicazione di avvio del procedimento espropriativo è stato, quindi, sostanzialmente raggiunto, a nulla rilevando, pertanto, che il deposito degli atti espropriativi sia stato effettuato solo nel 1999.
Non è poi chiaro come la mancanza di un formale decreto di occupazione d’urgenza possa riflettersi, quale vizio di legittimità, sul decreto di esproprio.
L’occupazione d’urgenza è, infatti, una fase del tutto eventuale della procedura espropriativa.
Inoltre, nel caso in esame, non si è resa necessaria alcuna attività autoritativa grazie al consenso espresso dalla proprietà all’immissione in possesso.
Va ricordato, ancora, che anche l’eventuale vizio relativo alla notifica degli atti espropriativi non incide sulla legittimità di tali provvedimenti - non costituendo la notificazione atto perfezionativo del procedimento di esproprio - quanto piuttosto sull’opponibilità degli stessi al destinatario e, in particolare, sull’effettiva decorrenza dei termini posti a disposizione dell’inciso per esercitare le sue facoltà in sede processuale (Cons. St., sez. IV, sentenza n. 2286 del 18 aprile 2012).
Venendo poi alla destinazione dell’area, va effettivamente ricordato che, secondo una parte della giurisprudenza (cfr., ad esempio, TAR Lecce, 14 marzo 2012, n. 504), è da escludersi che la destinazione di un’area ad edilizia scolastica possa configurare un vincolo preordinato all’esproprio poiché, non sussistendo alcun impedimento a che alle necessità scolastiche si provveda mediante soluzioni locative, anziché proprietarie, il vincolo può ricomprendersi tra quelli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico - privata; in altri termini, la destinazione scolastica comporterebbe l'attribuzione al terreno di una vocazione edificatoria, sia pure specifica, in quanto realizzabile anche da privati.
Si tratta però di un indirizzo non pacifico, atteso che, ad esempio, è stato - del pari ragionevolmente - evidenziato che la destinazione di un’area ad edilizia scolastica ne connota il carattere di non edificabilità, o comunque la non realizzabilità anche ad iniziativa privata, trattandosi di un servizio strettamente pubblicistico (Cass., civ. sez. I, sentenza 5 marzo 2012, n. 3383).
A parere del Collegio, la questione non può essere risolta in astratto bensì avendo riguardo alla concreta disciplina di zona.
Nel caso di specie, le norme tecniche di attuazione del PRG di Roma all’epoca vigente (variante generale del 1974), denotano, per l’area in questione, una destinazione a servizi di tipo promiscuo.
In particolare, secondo il testo delle suddette NTA «Appartengono, di norma, alla categoria M3 i servizi che debbono essere contigui alle residenze e direttamente proporzionali alla popolazione dei singoli quartieri, quali:
– le scuole materne, elementari e medie inferiori;
– le parrocchie e i relativi annessi;
– i campi di giuoco e i campi sportivi;
– i mercati rionali e i supermercati;
– i centri locali destinati alle seguenti attività: commerciali, sociali, sanitarie, assistenziali, culturali, ricreative e amministrative (delegazioni, commissariati, uffici postali, ecc.).
Le attrezzature della categoria M3 possono anche essere localizzate nelle sottozone H1 e
H2, purché rispettino l’altezza massima prevista per tali sottozone […]».
La classificazione M3 caratterizzava pertanto una destinazione promiscua a servizi, realizzabili anche da privati, la quale, secondo l’orientamento da tempo avallato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 179 del 1999), non configura un vincolo preordinato all’esproprio e non è soggetta a decadenza.
3. In definitiva, per tutto quanto appena argomentato, i ricorsi debbono essere respinti.
Le spese seguono come di regola la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. II^, definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, di cui in premessa, li respinge.
Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio che si liquidano, complessivamente, in euro 2.000,00 (duemila/00) oltre gli accessori, se dovuti, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 aprile 2017 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Savo Amodio, Presidente
Silvia Martino, Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Silvia Martino Antonino Savo Amodio
IL SEGRETARIO