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Debiti Roma Capitale per espropri - TAR Lazio, sez. II, sent. n.631 del 15.01.2015

Pubblico
Giovedì, 15 Gennaio, 2015 - 01:00

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda), sentenza n.631 del 15 gennaio 2015, su debiti Roma Capitale su espropri 
 
 
N. 00631/2015 REG.PROV.COLL.
 
N. 08635/2014 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
 
(Sezione Seconda)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 8635 del 2014, proposto da: 
Marcella Chioffi e Vittorio Chioffi, rappresentati e difesi dagli avv. ti Filippo Maria Salvo e Alfonso Torchia, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dei difensori, in Roma, corso Trieste, 85; 
contro
Roma Capitale, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi D’Ottavi, con il quale domicilia in Roma, via Tempio di Giove, 21; 
per l’esecuzione
della sentenza della Corte d’Appello di Roma, sez. I^, del 15.1.2013, n.r.g. 0809/2013, resa inter partes e passata in giudicato, notificata il 27 gennaio 2014, unitamente a diffida ad adempiere.
 
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore alla camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2014 il Cons. Silvia Martino;
Uditi gli avv.ti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 
FATTO e DIRITTO
1.Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte di Appello di Roma ha ingiunto all’amministrazione capitolina di effettuare il deposito di euro 108.000.00, oltre interessi legali dal 27.12.2011, presso la Cassa Depositi e Prestiti, a titolo di indennizzo di esproprio per un fondo urbano di proprietà dei ricorrenti. Questi ultimi, infatti, sono titolari di 2/3 della proprietà del menzionato fondo.
Con la stessa sentenza Roma Capitale è stata condannata a pagare euro 2.000,00 a titolo di spese processuali.
La sentenza è passata in giudicato il 15.7.2013, ed è stata notificata al Comune il 27.1.2014.
A tutt’oggi l’amministrazione non ha ottemperato, per cui i ricorrenti si sono rivolti a questo Tribunale amministrativo affinché adotti ogni misura idonea al fine di dare integrale esecuzione al giudicato.
Si è costituita, per resistere, l’amministrazione capitolina.
In particolare, l’amministrazione ha depositato la documentazione con cui ha chiesto alla Gestione commissariale, ex d.l. 112/2008, di iscrivere il debito di cui si verte alla massa passiva, allo scopo di avviare, nel contempo, l’”iter per il riconoscimento del debito fuori bilancio di natura commissariale”.
Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla camera di consiglio del 22.10.2014.
2.In via preliminare, occorre verificare l’ammissibilità del presente ricorso.
Come noto, a mente dell'art. 78, d.l. n. 112 del 2008 - Disposizioni urgenti per Roma capitale - e per quanto di interesse nella presente controversia:
a) al fine di conseguire gli obiettivi di risanamento della finanza pubblica, il Sindaco di Roma è stato nominato Commissario straordinario del Governo per la ricognizione della situazione finanziaria del comune e la predisposizione di un piano di rientro dall'indebitamento pregresso (co. 1);
b) ad uno speciale d.P.C.M. è stato affidato il compito di individuare gli istituti e gli strumenti disciplinati dal titolo VIII° del t.u. enti locali di cui può avvalersi il Commissario straordinario parificato, sotto questo profilo, all'organo straordinario di liquidazione (co. 2, lett. a);
c) è stato previsto, in ogni caso, che tutte le obbligazioni contratte anteriormente al d.P.C.M. in questione, siano espressamente assoggettate da quest'ultimo al regime giuridico della dichiarazione di dissesto sancito dagli artt. 248, co. 2, 3, e 4, e 255 del menzionato t.u. enti locali (co. 6);
d) infine, tutte le obbligazioni riferibili al comune di Roma, alla data del 28 aprile 2008, sono state assunte, con bilancio separato, dalla gestione commissariale (co. 3).
Il comma 3, dell'art. 78 cit., è stato autenticamente interpretato dall'art. 4, co. 8-bis, d.l. 25 gennaio 2010, n. 2, convertito con modificazioni dalla l. 26 marzo 2010, n. 42 nel senso che “la gestione commissariale del comune assume, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008, anche qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti siano liquidati con sentenze pubblicate successivamente alla medesima data”.
Secondo quanto disposto dall' art. 248, co. 2 e 4, t.u. enti locali: “2. Dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'articolo 256 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell'ente per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione. Le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto [...] sono dichiarate estinte d'ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell'importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese. [...]
4. Dalla data della deliberazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'articolo 256 i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa e già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria. Uguale disciplina si applica ai crediti nei confronti dell'ente che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione a decorrere dal momento della loro liquidità ed esigibilità”.
La disposizione testé esaminata, impedisce dalla data di dichiarazione di dissesto (nel caso di specie dalla data di emanazione del d.P.C.M. divisato dall'art. 78, co. 2 cit., ovvero dal 4 luglio 2008):
a) ai singoli creditori, di intraprendere o proseguire azioni esecutive per i debiti rientranti nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione (nel caso di specie del Commissario), assunti antecedentemente al 28 aprile 2008;
b) ai debiti insoluti, di produrre rivalutazione monetaria ed interessi di qualsivoglia natura.
Tale procedura di liquidazione dei debiti è essenzialmente dominata dal principio della par condicio dei creditori, sicché la tutela della concorsualità comporta, in linea generale, l'inibitoria anche del ricorso di ottemperanza in quanto misura coattiva di soddisfacimento individuale del creditore (cfr. ex plurimis Cons. St., sez. IV, 30 novembre 2010, n. 8363 ed i precedenti ivi richiamati).
Da ultimo, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 154 del 21 giugno 2013, ha respinto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 78, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (sollevata sia dal Consiglio di Stato, che da questa stessa Sezione), in particolare, rilevando che “Per quanto riguarda la posizione dei creditori, si può ritenere valido anche per il presente caso quanto questa Corte ha affermato sulla compatibilità costituzionale delle procedure concorsuali per la definizione del debito degli enti locali dissestati: «Non vi è lesione del diritto di azione perché la pretesa creditoria all'esecuzione forzata non è frustrata, ma è meramente deviata da uno strumento di soddisfacimento individuale verso uno di tipo concorsuale»; il rispetto della par condicio creditorum «costituisce ragione sufficiente di tale meccanismo sostitutorio dello strumento di tutela approntato dall'ordinamento» (sentenza n. 155 del 1994) [...]”.
Con riguardo all’art. 4, comma 8-bis, del d.l. n. 2 del 2010 ha poi sancito che la norma censurata non possiede valore innovativo rispetto alla regola stabilita dall'art. 78 del d.l. n. 112 del 2008, ma “si limita a rendere esplicito un significato che già si poteva ricavare da questa disposizione. La precisazione si è resa necessaria perché di fatto - come emerge dai lavori parlamentari - si era proceduto, talvolta, al pagamento di debiti nascenti da obbligazioni sorte in data anteriore al 28 aprile 2008 con i fondi della gestione ordinaria”, ulteriormente ribadendo che “in una procedura concorsuale - tipica di uno stato di dissesto - una norma che ancori ad una certa data il fatto o l'atto genetico dell'obbligazione è logica e coerente, proprio a tutela dell'eguaglianza tra i creditori, mentre la circostanza che l'accertamento del credito intervenga successivamente è irrilevante ai fini dell'imputazione. Sarebbe irragionevole il contrario, giacché farebbe difetto una regola precisa per individuare i crediti imputabili alla gestione commissariale o a quella ordinaria e tutto sarebbe affidato alla casualità del momento in cui si forma il titolo esecutivo, anche all'esito di una procedura giudiziaria di durata non prevedibile. La fissazione di una data per distinguere le due gestioni avrebbe un valore soltanto relativo, né sarebbe perseguito in modo efficace l'obiettivo di tenere indenne la gestione ordinaria di Roma Capitale dagli effetti del debito pregresso, con la conseguenza paradossale che si alleggerirebbe la situazione della gestione commissariale e si rischierebbe il dissesto della gestione ordinaria, con la inevitabile compromissione dei servizi della capitale della Repubblica, che il legislatore ha voluto invece evitare [...]”.
3.Nel caso di specie, la domanda di ottemperanza riguarda l’esecuzione di una sentenza con cui la Corte d’Appello, in sede di giudizio di opposizione, ha :
- respinto l’opposizione di Roma Capitale avverso la determinazione dell’indennità definitiva di esproprio (in ordine ad un immobile espropriato in data 16.5.2007) da parte della Commissione provinciale espropri (indennità quantificata in euro 108.000,00, pari ad euro 300 al mq.).
- respinto, altresì, anche la domanda riconvenzionale proposta dagli odierni ricorrenti per la rideterminazione dell’indennità di stima;
- accolto il capo di domanda riconvenzionale volto ad ottenere gli interessi legali sull’indennità di esproprio, disponendo, per l’effetto, il deposito di tali importi presso la Cassa Depositi e Prestiti dal 27.12.2011;
- condannato Roma Capitale al pagamento delle spese, liquidate in euro 2.000,00 per onorari.
Reputa il Collegio che, relativamente alle spese di lite, la fonte dell’obbligazione, intesa a mente di quanto prescrive l’art. 1173 del codice civile, sia indubbiamente la sentenza stessa e che il credito da essa derivante, in parte qua, sia un obbligazione autonoma da quella principale che forma oggetto di accertamento da parte del giudice, in quanto inerisce all’attività processuale in sé, che è il fatto generativo del credito (per una soluzione analoga, cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 8 gennaio 2013 n. 34).
Poiché la sentenza è stata pubblicata successivamente alla data fatale del 28 aprile 2008, non vi sono dubbi sulla piena ammissibilità dell’azione di ottemperanza, in parte qua.
Diversa, invece, è la conclusione relativa al credito principale, rappresentato dall’importo dell’indennità di esproprio, relativamente ad un procedimento ablatorio definito nel 2007.
A tale riguardo, occorre ricordare che il diritto di credito sorge con l’adozione del decreto di esproprio (cfr., ad esempio, Cassazione civile sez. I^, sentenza n. 12672 del 29.5.2009).
Ne consegue che, sotto tale profilo, l’azione di ottemperanza non è procedibile, siccome rivolta al soddisfacimento di un credito che ricade nella competenza della gestione commissariale.
3.1. Ciò posto, il ricorso è, come detto, in parte, fondato.
Secondo costante giurisprudenza, il giudizio per l'ottemperanza dell'amministrazione al giudicato del Giudice ordinario è esperibile, in particolare, anche per l'esecuzione di una condanna al pagamento di somme di denaro, alternativamente o congiuntamente rispetto al rimedio del processo civile di esecuzione, con il solo limite dell'impossibilità di conseguire due volte le stesse somme (Cons. Stato, VI, 16 aprile 1994, n. 527; Cass., SS. UU., 13 maggio 1994, n. 4661; Cons. Stato, IV, 25 luglio 2000, n. 4125 e 15 settembre 2003, n. 5167).
Nessun dubbio può, peraltro, esservi oggi, alla luce del codice del processo amministrativo (cfr., in particolare, l'art. 112, comma 2, lett. c), secondo il quale l'azione di ottemperanza può essere proposta per ottenere l'esecuzione “delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato”), ulteriormente precisandosi che, in tal caso, il ricorso si propone, senza necessità di previa diffida, al TAR nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l'ottemperanza.
Tanto premesso, sussistendo il presupposto del passaggio in giudicato della sentenza, come attestato dalla cancelleria della Corte d’Appello di Roma, deve essere ordinato all’amministrazione intimata di provvedere entro trenta giorni al pagamento delle somme recate dal citato titolo esecutivo (per quanto riguarda le spese processuali).
Sulle somme dovute a titolo di spese processuali, sono dovuti, altresì, gli interessi legali, fino al soddisfo.
A questo riguardo è bene precisare che, ai sensi dell’art. 112, comma 3, del c.p.a., “Può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell'ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all'impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione”.
Più in generale, ai sensi dell’art. 1282 del codice civile, le somme di denaro, liquide ed esigibili, producono interessi di pieno diritto, al saggio legale (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. I, sent. n. 3944 del 21.4.1999).
Anche nel caso in esame, pertanto, la somma liquidata a titolo di spese dalla Corte d’Appello di Roma, dovrà essere maggiorata degli interessi legali, dalla data di pubblicazione della sentenza sino all’effettivo soddisfo.
Nell’eventualità dell’inutile decorso del termine assegnato, il Collegio si riserva di nominare un Commissario ad acta, affinché provveda in sostituzione dell’amministrazione.
Le spese di giudizio, infine, seguono come di regola la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. II^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo accoglie in parte e, per l'effetto, ordina all'amministrazione intimata di provvedere all'esecuzione, in favore di parte ricorrente, della sentenza di cui in epigrafe, e al pagamento delle somme alla stessa dovute, nei sensi di cui in motivazione, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione e/o notificazione (se anteriore) della presente sentenza, con l’avvertenza che, in difetto, si procederà alla nomina di un Commissario ad acta.
Condanna l'amministrazione alla rifusione delle spese di giudizio, che si liquidano complessivamente in euro 500,00 (cinquecento/00) oltre agli accessori, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del giorno 22 ottobre 2014 e 3.12.2014, con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo,Presidente
Maria Cristina Quiligotti,Consigliere
Silvia Martino,Consigliere, Estensore
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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