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Annullamento permesso costruire - Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 2130 del 27.04.2015

Pubblico
Mercoledì, 6 Maggio, 2015 - 02:00

 

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n. 2130 del 27 aprile 2015, su annullamento permesso costruire 
 
N. 02130/2015REG.PROV.COLL.
 
N. 07319/2014 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Consiglio di Stato
 
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 7319 del 2014, proposto da: 
...., rappresentato e difeso dall'avv. Ferdinando Scotto, con domicilio eletto presso Ferdinando Scotto in Roma, Via Alessandro III, 6; 
contro
Maria Nappo, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio D'Angelo, con domicilio eletto presso Antonio D'Angelo in Roma, Via Sicilia, 50; Francesca Racca, Monica Racca, Anna Racca; 
nei confronti di
Comune di Quarto, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Erik Furno, Ernesto Furno, con domicilio eletto presso Dorina Furno Guerriero in Roma, viale dei Colli Portuensi 187;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE II n. 03238/2014, resa tra le parti, concernente impugnazione del permesso di costruire.
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Maria Nappo e di Comune di Quarto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 marzo 2015 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Felice Laudadio su delega dell'avvocato Ferdinando Scotto e Federico Liccardo su delega degli avvocati Antonio D'Angelo e Erik Furno;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
La vicenda ha ad oggetto il permesso di costruire rilasciato dal Comune di Quarto all’odierno appellante ai sensi della Legge regionale n. 19/2009 (cd. “Piano casa”).
Detto permesso, seguito da una variante allo stesso realizzata tramite SCIA, aveva un duplice contenuto e, segnatamente, per il corpo di fabbrica denominato “B”, prevedeva un intervento di ampliamento volumetrico nel limite del 20% della volumetria esistente, e per altro corpo di fabbrica denominato”A”, prevedeva un intervento di demolizione e ricostruzione con ampliamento del 35% della volumetria esistente.
Il permesso veniva impugnato dai sigg.ri Maria Nappo, Francesca Racca, Monica Racca e Anna Racca, proprietari di immobile limitrofo, e che si assumevano pregiudicati dall’intervento edilizio de quo.
Il Tar campano, dopo una disamina in diritto di questioni attinenti all’autotutela decisoria della pubblica amministrazione - per vero del tutto inconferenti rispetto alla res controversa - ha accolto il ricorso sulla base delle risultanze della consulenza tecnica disposta.
In particolare, i giudici di prime cure hanno ritenuto che il permesso di costruire fosse illegittimo in quanto, trattandosi di un intervento di demolizione e ricostruzione con aumento di volumetria, non prevedeva il rispetto delle distanze ed altezze preesistenti così come previsto dalla normativa sul punto.
Altresì, il Tar ha rilevato un “difetto di istruttoria che ha inficiato l’operato dell’Amministrazione di Quarto sia con riguardo alla distanza preesistente tra l’immobile dei ricorrenti e quello del controinteressato, sia in ordine al contrasto tra la nuova altezza del corpo “A” ed i vigenti strumenti urbanistici, senza trascurare che per il corpo “A” la volumetria massima realizzabile risultava di mc. 552,15 e quella di progetto per i vari livelli è stata complessivamente di mc. 607,38”.
Il sig. De Fenza ha proposto appello, avverso la detta sentenza, davanti a questo Consiglio di Stato, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia e chiedendone l’integrale riforma.
L’appellante articola quattro motivi di ricorso chiedendo l’annullamento della sentenza gravata previa la sospensione cautelare dell’efficacia della stessa.
Con il primo motivo si censura la sentenza, tra gli altri, per error in procedendo et in judicando e violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. L’appellante lamenta che la sentenza abbia travisato l’oggetto del giudizio, dilungandosi in una disamina del potere di annullamento d’ufficio che nulla aveva a che vedere con il thema decidendum della causa. Inoltre, il giudice di prime cure avrebbe rilevato l’illegittimità del permesso di costruire rilasciato al sig. De Fenza sia con riferimento al corpo di fabbrica “A” che a quello “B”, mentre il ricorso di primo grado aveva ad oggetto il solo corpo “B”.
Con il secondo motivo di appello, il sig. De Fenza si duole della mancata pronuncia di inammissibilità del ricorso di primo grado, per omessa impugnativa della SCIA e dello stesso permesso di costruire nella parte in cui ha concesso l’ampliamento del 35% della volumetria del fabbricato denominato “A”.
Con il terzo motivo, si censura la sentenza gravata laddove ha recepito le conclusioni del verificatore che, a detta dell’appellante, sarebbero inattendibili. In particolare, l’appellante contesta la misurazione, fatta dal verificatore, della volumetria del corpo di fabbrica “A”, oramai demolito al momento della verificazione, sulla base del quale calcolare la percentuale di aumento di cubatura assentibile. Il verificatore, sulla base delle tabelle del Piano di Recupero predisposte dall’Ufficio Tecnico Comunale, è giunto a ritenere tale volumetria minore di quella sostenuta dall’odierno appellante. L’appellante ritiene non attendibili le tabelle del Piano di Recupero utilizzate dal verificatore, atteso che avrebbero solo carattere approssimativo, mentre sarebbero ben più attendibili i conteggi forniti dall’appellante stesso, basati su un rilievo grafico realizzato in sede di progettazione predisposta al fine del conseguimento del permesso di costruire.
Infine, con il quarto motivo, l’appellante si duole del fatto che il Tar abbia ritenuto applicabili alla fattispecie le distanze fissate dal D.M. n. 1444/1968, senza tener conto che il Piano di Recupero vigente prevede per le zone BC1/BC2 e BC3 delle distanze inferiori, in virtù della deroga prevista proprio dall’art. 9 dello stesso Decreto.
Si è costituito in giudizio il Comune di Quarto in adesione all’appello proposto.
Si è costituita in giudizio la sig.ra Maria Nappo, sostenendo l’infondatezza dei motivi e la correttezza della pronuncia gravata.
Alla camera di consiglio del 30 settembre 2014, l’esame dell’istanza cautelare è stato rinviato al merito.
Le parti hanno depositato memorie e alla pubblica udienza del 17 marzo 2015 la causa è stata assunta in decisione.
DIRITTO
L’appello non merita accoglimento.
Con riferimento al primo motivo di ricorso deve rilevarsi anzitutto come, sebbene il giudice di prime cure si sia dilungato nella parte iniziale della motivazione in diritto della sentenza in ricostruzioni circa l’istituto dell’annullamento d’ufficio, che nulla avevano a che fare con il thema decidendum, si è trattato di un lapsus calami. Come evidenziato da parte appellata, tale lapsus è stato frutto della sovrapposizione, in sede redazionale, della sentenza gravata con altra redatta dal medesimo giudice relatore della causa in questione. In ogni caso, tale errore è irrilevante ai fini del decisum, non avendo comportato vizi nel procedimento logico seguito dal Collegio né sul contenuto del dispositivo della sentenza, atteso che, dopo l’esposizione della parte avente ad oggetto l’istituto della autotutela decisoria, la parte in diritto della motivazione prosegue con l’analisi dell’oggetto proprio della controversia. Da una lettura complessiva della sentenza, si evince come il giudice abbia comunque esaminato le censure di parte ricorrente secondo un percorso logico coerente; le considerazioni sull’autotutela decisoria emergono come una digressione a sé stante, per errore inserita nel testo della sentenza, e che non inficiano il complessivo ragionamento seguito dal giudice né il dispositivo della sentenza stessa e non entrano, pertanto, nel contenuto della cosa giudicata.
Del resto, la fattispecie in questione (lapsus calami) appare riconducibile, sul piano effettuale, agli obiter dicta. L’espressione obiter dictum può essere spiegata con una definizione di carattere negativo: obiter dictum è ciò che non rientra nella ratio del caso, è il commento incidentale fatto dal giudice, che non risulta necessario per la definizione della controversia.
Ciò che rileva, invece, ai fini della decisione e su cui si appunta l’esame del giudice nel grado successivo non è l’intera decisione, ma solo la sua ratio decidendi, ossia la regola giuridica legata ai fatti rilevanti de caso.
Respinto il primo motivo di appello, deve, inoltre, ritenersi infondata la censura di parte appellante in base a cui la sentenza sarebbe altresì viziata da ultrapetizione (ne eat iudex ultra petita partium), in quanto il giudice di prime cure avrebbe pronunciato l’illegittimità del permesso di costruire rilasciato al sig. De Fenza sia con riferimento al corpo di fabbrica “A” che a quello “B”, mentre il ricorso di primo grado avrebbe avuto ad oggetto il solo corpo “B”. Da una lettura del ricorso di primo grado, emerge come il Permesso di Costruire sia stato impugnato nella sua interezza, quindi con riferimento all’intero intervento edilizio assentito dall’Amministrazione comunale. I motivi del ricorso attengono sia al corpo di fabbrica indicato come “A” che al corpo di fabbrica “B”; trattandosi di un intervento edilizio unitario è evidente che la sola violazione di una prescrizione urbanistica determina, come in effetti ha determinato, l’illegittimità dell’intero permesso di costruire.
Infondata, inoltre, risulta la censura attinente alla mancata impugnazione della SCIA. Deve rilevarsi come i ricorrenti di primo grado, odierni appellati, abbiano impugnato il permesso di costruire, mentre non è stata oggetto di censure la SCIA (rectius, non è stata promossa azione avverso il silenzio dell’amministrazione serbato a seguito di presentazione della SCIA, ex art. 19, co. 6ter l. n. 241/1990; cfr. sul punto la sentenza di questa Sezione n. 500/2014). Tuttavia, la SCIA in questione variava solo parzialmente l’intervento assentito con il permesso di costruire impugnato, avendo ad oggetto unicamente la trasformazione di un sottotetto termico. Una volta annullato l’originario permesso di costruire, tale illegittimità travolge anche la variante al permesso di costruire stesso, conseguita tramite SCIA, e riguardante interventi minori, irrilevanti ai fini di determinare l’illegittimità del provvedimento posto a monte degli stessi.
Quanto alle contestazioni circa le misurazioni effettuate dal verificatore, contenute nel terzo motivo di ricorso, occorre dire che l’edificio “A” di cui si discute è stato demolito prima dell’inizio delle operazioni del verificatore. Pertanto, gli accertamenti tecnici condotti dal verificatore non potevano che avere carattere documentale, essendo rivolti ad accertare le dimensioni volumetriche che il corpo di fabbrica aveva prima di venire demolito. Il verificatore, nel realizzare tale accertamento, si è basato sulla tabelle del Piano di Recupero predisposte dagli uffici comunali, ed in base alle stesse ha accertato che la consistenza originaria del corpo di fabbrica di cui si discute era inferiore a quella dichiarata dal sig. De Fenza in sede di richiesta del permesso di costruire.
L’appellante ritiene non attendibile l’accertamento condotto dal verificatore, in quanto le tabelle del Piano di Recupero avrebbero solo carattere approssimativo, mancando rilievi meticolosi in scala puntuale. Tali doglianze non possono essere accolte, in quanto non si vede quale altro mezzo il verificatore avesse per accertare con maggiore precisione la consistenza dell’immobile. Deve senz’altro escludersi che la verificazione potesse basarsi, come vorrebbe parte appellante, sul rilievo grafico fornito dall’appellante e posto alla base del permesso di costruire della cui legittimità si discute.
Infine, occorre esaminare il quarto motivo di appello con cui il sig. De Fenza prospetta l’erroneità della sentenza appellata in merito al mancato rispetto delle distanze con riferimento al corpo di fabbrica “A” oggetto di demolizione e ricostruzione. L’appellante si duole del fatto che il Tar abbia ritenuto applicabili alla fattispecie le distanze fissate dal D.M. n. 1444/1968, senza tener conto che il Piano di Recupero vigente prevede per le zone BC1/BC2 e BC3 delle distanze inferiori, in virtù della deroga prevista dal Piano di Recupero, conforme all’art. 9 dello stesso Decreto, in base a cui si prevedono distanze inferiori nel caso di lotti liberi.
Occorre, anzitutto, premettere che secondo l’inequivocabile tenore della disposizione recata dall’art. 4 del D. M. n.1444 del 1968 “è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”; la giurisprudenza anche di questa Sezione ha avuto modo di affermare come le norme sulle distanze di cui al D. M. 1444/68 hanno carattere pubblicistico ed inderogabile e vincolano i comuni in sede di formazione e revisione degli strumenti urbanistici (cfr. Cons. St., Sez. IV 5 dicembre 2005 n. 6909).
In particolare, la giurisprudenza in materia ha statuito che trattandosi di norma volta ad “impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, è pertanto non eludibile”.
A tal proposito il Collegio sottolinea che “le distanze tra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell’applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi” (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 6909 del 2005 cit.).
Ne deriva che il giudice è tenuto ad applicare le disposizioni concernenti la distanza minima tra gli edifici “anche in presenza di norme contrastanti incluse negli strumenti urbanistici locali” dovendosi le prime ritenere automaticamente inserite nel p.r.g. al posto della norma illegittima (cfr. in tal senso Cass. civ., Sez. II, 29 maggio 2006, n. 12741).
In particolare, l’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, rubricato “Limiti di distanza tra i fabbricati”, prescrive i limiti minimi di distanza tra edifici a seconda delle diverse zone territoriali omogenee, e segnatamente, in ipotesi di costruzione di “nuovi edifici ricadenti in altre zone” (comma 1 n.2), prevede che la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti corrisponde a 10 metri, con obbligo di aumento della distanza sino all’altezza del fabbricato finitimo più alto, se questa sia maggiore di 10 metri (comma 2).
In altre parole, qualora uno o entrambi i fabbricati confinanti (l’edificio pregresso e/o quello di nuova costruzione) presentino un’altezza maggiore di 10 metri, la distanza minima tra edifici prescritta dalla legge (10 metri) va maggiorata sino all’altezza del fabbricato più alto.
La misura minima della distanza, tuttavia, è derogabile in due ipotesi tassative, contemplate dal comma 2 dell’art. 9: è consentito edificare a distanze inferiori rispetto a quelle previste dal comma 1 soltanto per i piani particolareggiati e per le lottizzazioni convenzionate, e non anche per gli interventi edilizi diretti, consentiti dallo strumento urbanistico, interventi tra i quali ricomprendere il permesso di costruire, come, appunto, nel caso in questione.
Ora, in applicazione dei summenzionati principi interpretativi della norma in discussione deve conseguentemente rilevarsi che nella specie la lettura della norma che ne dà l’appellante in senso derogatorio non può essere accolta, in quanto la deroga alle distanze minime è ammessa soltanto per la pianificazione attuativa e non anche per i titoli abilitativi diretti tra i quali figura il permesso di costruire (atto nella specie impugnato in primo grado).
Sulla base delle suesposte considerazioni l’appello in esame, pertanto, deve essere respinto in quanto infondato nel merito.
Data la complessità delle questioni coinvolte sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico,Presidente
Nicola Russo,Consigliere, Estensore
Fabio Taormina,Consigliere
Diego Sabatino,Consigliere
Leonardo Spagnoletti,Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/04/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

 

Pubblicato in: Urbanistica » Giurisprudenza

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