Autonoma azione risarcitoria in caso diniego permesso. MASSIMATA - TAR Lazio, 9 novembre 2018
Pubblico
Mercoledì, 21 Novembre, 2018 - 15:00
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Terza), sentenza n. 10845 del 9 novembre 2018, sull’autonoma azione di risarcimento del danno e sul comportamento del ricorrente che non ha previamente impugnato l’atto lesivo.
MASSIMA
L’art. 30, comma 3, c.p.a. fissa il principio dell’autonoma esperibilità dell’azione risarcitoria, a prescindere dalla previa o contestuale proposizione della domanda diretta all’annullamento del provvedimento illegittimo generatore del danno: quest’ultimo da intendersi, in primo luogo come “eventus damni” e, cioè, quale lesione dell’interesse pretensivo di parte ricorrente alla realizzazione e alla successiva gestione dell’opera programmata. Come noto la regola della c.d. “pregiudiziale amministrativa” – vale a dire la necessità che l’azione risarcitoria sia preceduta con esito positivo dall’azione di annullamento (tesi elaborata dalla giurisprudenza ben prima dell’entrata in vigore dell’attuale codice del processo amministrativo, ma già “illo tempore” avversata dalla giurisprudenza della Suprema Corte: cfr. le ordinanze delle Sezioni Unite nn. 13659 e 13660 del 13 giugno 2006; nonché SS.UU. sentenze 23 dicembre 2008, n. 30254, 6 settembre 2010, n. 19048, 16 dicembre 2010, n. 23595 e 11 gennaio 2011, n. 405) – è stata definitivamente superata con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2010 (approvazione del codice del processo amministrativo) il cui art. 30, comma 3, prevede ora, ai fini che qui rilevano, che l’azione di condanna al risarcimento del danno sia proponibile in via autonoma (comma 1) entro il termine decadenziale di centoventi giorni, decorrenti dal giorno in cui il fatto si è verificato, ovvero dalla conoscenza del provvedimento, se il danno deriva direttamente da questo (comma 3, primo periodo).
Nel caso di esperimento in via autonoma dell’azione risarcitoria ex art. 30, comma 3, c.p.a., il “comportamento processuale diligente” del danneggiato o del creditore, stante l’applicabilità della norma tanto nel campo delle obbligazioni contrattuali quanto nell’ambito dell’illecito aquiliano, ai sensi dell’art. 2056, comma 1, cod. civ., deve essere oggetto di una valutazione per stabilire se la proposizione dell’azione annullatoria avrebbe evitato il danno e se tale comportamento sarebbe stato esigibile
SENTENZA
N. 10845/2018 REG.PROV.COLL.
N. 06076/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6076 del 2014, proposto da:
la OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Simone Colangeli e Federico Cappella, con domicilio eletto presso lo studio Simone Colangeli in Roma, via della Giuliana, 37;
A.S.D. Libertas Roma 2008, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Federico Cappella e Simone Colangeli, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso avv. Simone Colangeli in Roma, via della Giuliana, 37;
contro
Provincia di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giovanna Albanese, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via IV Novembre, 119/A;
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Elisa Caprio, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
Roma Capitale - Municipio XIV, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Angela Raimondo, domiciliata ex lege in Roma, via Tempio di Giove, 21;
ASL RM E, CONI non costituiti in giudizio;
Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Roma, Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ente Regionale Romanatura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per il risarcimento dei danni
conseguenti al diniego di approvazione del progetto relativo alla realizzazione di un impianto sportivo coperto presso l'IIS “Domizia Lucilla”, in Via D. Lucilla n. 76 – Roma;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Roma, della Regione Lazio e di Roma Capitale - Municipio XIV, del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Roma, del Ministero dell'Interno e dell’Ente Regionale Romanatura;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2018 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori: per la parte ricorrente gli Avv.ti F. Cappella e S. Colangeli, per la Provincia di Roma l'Avv. G. Albanese, per la Regione Lazio l'Avv. E. Caprio e per le altre Amministrazioni resistenti l’Avvocato dello Stato Valentina Fico;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso spedito a notifica in data 9.4.2014 e depositato entro il termine di rito le due associazioni sportive in epigrafe hanno proposto dinnanzi a questo TAR domanda di risarcimento del danno (sia per lucro cessante che per danno emergente), cagionato dal diniego di approvazione del progetto a suo tempo presentato dalle medesime alla Provincia di Roma, per la realizzazione di un centro sportivo coperto, presso l’Istituto di Istruzione Superiore (IIS) “Domizia Lucilla” – Sezione Agraria (Istituto sito in Roma, Via D. Lucilla n. 76).
A fondamento della propria azione di risarcimento, avanzata ex art. 30, comma 3, c.p.a., parte ricorrente espone i seguenti fatti, relativi all’articolata vicenda procedimentale cha ha condotto, nel 2014, all’avversato diniego:
- le due associazioni sportive dilettantistiche in epigrafe proponevano alla Provincia di Roma la concessione in uso di una vasta area annessa all’Istituto di Istruzione “Domizia Lucilla” (Sezione Agraria), per la realizzazione a loro spese di un centro sportivo polivalente per complessivi mq. 4.440 (con campi sportivi polivalenti, n. 2 palestre, strutture di servizio in legno lamellare e muratura come da progetto), i cui oneri e costi sarebbero stati scomputati dal canone di concessione;
- con delibera della Giunta n. 1268/48 del 23.12.2009 la Provincia di Roma valutava positivamente la proposta e, subito dopo, approvava e pubblicava il 14.1.2010 l’avviso pubblico per l’acquisizione delle manifestazioni di interesse all’affidamento in concessione d’uso dell’area;
- la procedura si concludeva con il giudizio che dichiarava idoneo il progetto presentato dalla due promotrici e, successivamente, la Commissione incaricata dalla Provincia di Roma accertava l’idoneità del progetto;
- nel corso della Conferenza di Servizi indetta con determinazione della Provincia n. 2052/2010 ai fini dell’autorizzazione dell’intervento, in occasione della (terza) riunione del 23.6.2010 le amministrazioni coinvolte (Roma Capitale, MIUR, Comando Provinciale VV.FF, CONI, ASL Roma C) esprimevano tutte parere favorevole (doc. 6 e doc. 7, da a) a e);
- tuttavia, prima dell’adozione del provvedimento finale da parte dell’Amministrazione procedente, l’Ufficio del Commissario delegato all’emergenza traffico di Roma Capitale, con nota prot. n. 4368 del 19.10.2010 (doc. 9 ric.) comunicava che, a suo avviso, l’area interessata doveva ritenersi soggetta: 1. al Piano di utilizzazione del Parco urbano di Monte Ciocci, con valore di Piano Particolareggiato (Deliberazione CC n. 110 dell’11.6.2007) il quale avrebbe consentito interventi edilizi limitati soltanto alla realizzazione di serre e manufatti al servizio delle attività dell’Istituto scolastico “per una superficie massima del 30% del totale dell’area concessa con un’altezza massima ammissibile non superiore a mt. 4,50…”; 2. al Piano di Assetto della Riserva Naturale di Monte Mario (Delibera Cons. Reg. n. 55 del 12.11.2008), che destinava la stessa alla valorizzazione del patrimonio edilizio esistente “al fine di incentivare le utilizzazioni agricole o con esse compatibili nonché le attrezzature e i servizi per la fruizione dell’area protetta”; ne conseguiva, ad avviso del menzionato Ufficio comunale, che il progetto presentato alla Provincia non appariva compatibile con quanto prescritto dai richiamati strumenti urbanistici;
- affidata la successiva istruttoria all’Ente regionale Roma Natura, quest’ultimo, all’esito degli accertamenti eseguiti, concludeva, con propria nota del 2.1.2012 prot. n. 10 (doc. 13 ric.) che l’area dell’intervento ricadeva nella sottozona D6 del Piano sopra citato sub b), in cui non era consentito lo sviluppo di cubatura previsto dal progetto (mc. 9.583,00);
- in risposta ai rilievi predetti, la odierne ricorrenti presentavano un progetto ridimensionato, che non veniva approvato però in sede di Conferenza di servizi, in quanto le amministrazioni intervenute consideravano in termini negativi la ridotta funzionalità del progetto, sotto il profilo delle fruibilità scolastica; i lavori della Conferenza venivano quindi sospesi in attesa di approfondimenti;
- la Regione Lazio, sollecitata dalla Provincia di Roma ad assumere una definitiva posizione in merito ai vincoli insistenti sull’area, con nota del 20.12.2012, prot. n. 558351 (doc. 19 ric.) confermava che gli “elaborati di piano ….sono coerenti nel confermare l’inclusione dell’area di Monte Ciocci nel perimetro definitivo di Piano” e nel perimetro della Riserva di Monte Mario; tuttavia nella stessa nota si ammetteva una incoerenza tra gli elaborati grafici del Piano della Riserva e la deliberazione del Consiglio regionale, che nel dispositivo richiamava “l’atto licenziato nella seduta congiunta del Comitato Tecnico per il Territorio del voto n. 132/1 del 20.12.2007” e che, dunque, sembrava escludere l’inclusione dell’area medesima nella perimetro della Riserva; nella citata nota, pertanto, l’amministrazione regionale, confermando la discrasia tra testo della delibera consiliare n. 55/2008 e le tavole ad essa allegate (in part. TAV. 2), auspicava l’adozione di una precisa decisione sul punto da parte dei competenti organi politici regionali;
- successivamente, nella seduta del 10.12.2013 (doc. 25 ric.), le amministrazioni intervenute nella Conferenza di Servizi all’uopo convocata, esprimevano parere negativo sull’intervento;
- infine, con determinazione dirigenziale n. 142 del 15.1.2014, preso atto di quanto emerso nell’ultima riunione, la Provincia di Roma dava atto della negativa conclusione della Conferenza, indetta con determinazione dirigenziale n. 2052 del 2010.
Avverso la negativa conclusione del procedimento agiscono – al solo fine di ottenere il risarcimento dei danni che ne sono derivati – le due associazioni sportive in epigrafe, promotrici del progetto per la realizzazione del centro sportivo attrezzato; dette associazioni, sulla base dei fatti sopra rappresentati, ritengono egualmente responsabili dei danni lamentati:
- la Provincia di Roma, per avere sollecitato, con apposito avviso pubblico, la presentazione di istanze tese alla realizzazione dell’impianto, senza però adeguatamente approfondire i profili problematici sulle caratteristiche e sulla destinazione dell’area di localizzazione dell’intervento;
- Roma Capitale, per avere evidenziato la possibilità di vincoli sull’area solo dopo l’emissione di parere favorevole all’intervento, così inducendo le ricorrenti ad investire nel progetto notevoli risorse per indagini, istruttoria, progettazione e altri interventi, tutti poi “vanificati da ripensamenti e contraddizioni dell’Amministrazione” (pag. 9 ric.);
- la Regione Lazio, per avere segnalato soltanto con nota del 20.12.2012 (doc. 19 ric.) il contrasto tra le tavole grafiche allegate al Piano, che includevano l’area “de qua” e il dispositivo di approvazione del Piano stesso, nel quale tale area era espressamente esclusa.
Vi sarebbe poi una responsabilità più ampia, comune a tutte le predette amministrazioni, per essersi espresse, conclusivamente, in termini negativi in merito all’intervento, partendo però da un presupposto giuridico-fattuale errato, giacché la delibera del Consiglio Regionale del 12.11.2008, n. 55, di approvazione del Piano della Riserva Naturale di Monte Mario, sarebbe stata chiara nell’escludere l’area “de qua” (Monte Ciocci) dal perimetro del Parco, con conseguente inesistenza dei vincoli da esso derivanti. Ne consegue che il prolungamento della procedura, protrattasi per anni, le istruttorie supplementari e i ritardi nell’adozione del provvedimento finale si sarebbero fondati su un elemento inesistente e, come tale, agevolmente riconoscibile sin dall’origine; sostiene, infatti, parte ricorrente che il contrasto tra gli elaborati grafici e la parte dispositiva doveva risolversi necessariamente attribuendo prevalenza alla seconda, con conseguente estraneità dell’area di intervento al perimetro del Parco.
Il risarcimento dei danni derivanti dall’illegittimo diniego e, prima ancora, dall’andamento oscillante della procedura, svoltasi nella Conferenza di Servizi, viene domandato dalle ricorrenti, in primo luogo, con riguardo al danno emergente, commisurato ai costi (quantificati in euro 127.000,00 più IVA), sostenuti per la progettazione delle opere: progettazione più volte modificata, in funzione delle sempre diverse richieste, che emergevano nel corso della Conferenza di Servizi. Si aggiungono ulteriori importi, pari ad euro 10.000,00 più IVA, per spese di assistenza professionale nella gestione della complessa pratica e per oltre Euro 200.000,00 a titolo di rimborso delle spese sostenute dalle odierne ricorrenti per prendere in locazione, tra il 2011 e il 2014, campi sportivi, palestre e impianti vari per la prosecuzione dell’attività sportiva nelle diverse discipline di interesse delle medesime.
Quanto al lucro cessante, parte ricorrente chiede un’ingente importo risarcitorio in ragione del fatto che, a suo dire, il “business plan”, in base al quale venne a suo tempo presentata l’offerta dalla due associazioni sportive, prevedeva una durata della concessione di anni trentacinque, nel corso dei quali la gestione del centro sportivo avrebbe potuto fruttare un reddito netto complessivo di euro 995.463,00.
Con riferimento a tutte le voci sopra indicate, trattandosi di obbligazioni risarcitorie, le ricorrenti chiedono che tutte le somme siano incrementate di rivalutazione e interessi, non senza considerare il maggior danno, sopportato per non avere potuto utilizzare in modo redditizio le somme, di cui si chiede il riconoscimento nella presente sede.
Si oppongono alle domande delle ricorrenti le amministrazioni, a suo tempo intervenute nella Conferenza di Servizi promossa dalla Provincia di Roma; si tratta, oltre che della Città Metropolitana di Roma Capitale e della Regione Lazio, dei seguenti enti, tutti difesi congiuntamente dall’Avvocatura dello Stato: Ministero dell’Interno, Comando Provinciale VV.UU. di Roma ed Ente regionale Roma Natura.
Tutte le Amministrazioni citate, con apposite memorie difensive, seppur con differenti accenti, difendono la correttezza del proprio rispettivo operato, ritenendo in ogni caso del tutto legittimo l’esito finale della Conferenza di Servizi, dedicata all’intervento edilizio per cui è causa.
In punto di fatto giova evidenziare come la Regione Lazio abbia esposto che:
- con deliberazione 23 del 11.12.2013 e successiva decisione del 10.12.2013 n. 34, la Giunta regionale, ha approvato le “modifiche alla deliberazione del Consiglio regionale 12 novembre 2008 n. 55” di approvazione del Piano della Riserva naturale di Monte Mario di cui all’art. 26 della Legge regionale 6 ottobre 1997 n.29 (“Norme in materia di aree naturali protette”), e sottoposto all’esame del Consiglio regionale la richiesta di rettifica della DCR 55/2008 proponendo di confermare gli allegati cartografici che prevedono l’inclusione dell’area di “Monte Ciocci” nella Riserva e di cassare dal testo, per non creare fraintendimenti, il richiamo alle modifiche ed integrazioni di cui al voto 132/1 del 20 dicembre 2007;
- la menzionata proposta di deliberazione è stata esaminata dalla Commissione ambiente del Consiglio Regionale, che ha espresso parere favorevole in data 12 giugno 2014 n. 24 e quindi, con deliberazione del Consiglio regionale 31 marzo 2016 n. 6, è stato finalmente approvato il perimetro definitivo della Riserva con l’inclusione dell’area di Monte Ciocci;
- il deliberato è stato pubblicato sul BURL del 24 maggio 2016 n. 14 (doc. 2 prod. doc. 20.2.2018 Regione).
In vista della pubblica udienza hanno depositato memorie conclusionali, oltre parte ricorrente, la Regione Lazio, la Città Metropolitana e il Ministero dell’Interno.
Le ricorrenti hanno anche prodotto brevi note di replica.
DIRITTO
1. E’ sottoposta all’esame del Collegio un’azione di risarcimento per lesione di interessi legittimi, proposta senza previa impugnazione del provvedimento lesivo.
A tale riguardo si impone, in via preliminare, un accertamento di tempestività.
L’azione di cui trattasi infatti, ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a., “va proposta entro il termine di gg. 120 decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo”. Tale scadenza è stata rispettata, in quanto il gravame risulta spedito a notifica il giorno 9.4.2014, quindi ampiamente entro il termine di gg. 120 dalla data di adozione della determinazione dirigenziale n. 142 del 15.1.2014, che ha chiuso (con diniego) la Conferenza di servizi dedicata all’esame dell’intervento di realizzazione dell’impianto sportivo per cui è causa. Peraltro, come pure evidenziato da parte ricorrente nelle proprie note di replica, la domanda è stata proposta nei termini anche rispetto alla data della riunione conclusiva della Conferenza, che si è svolta il giorno 10.12.2013, in quanto – ove anche si volesse assumere tale data come “dies a quo” (in luogo della data del provvedimento finale adottato dalla Provincia, come appare invece corretto) – l’atto è stato in ogni caso inviato il centoventesimo giorno successivo alla data di svolgimento della riunione predetta e, dunque, nell’ultimo giorno utile per la proposizione del gravame.
Il ricorso è pertanto tempestivo.
2. La S.S.D. La Reale Sport 2009 e la A.S.D. Libertas Roma 2008 hanno congiuntamente proposto domanda, ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a., per ottenere il risarcimento dei danni economici patiti in conseguenza dell’illegittimo diniego di concessione di un’area, per la realizzazione di un impianto sportivo progettato e proposto dalle medesime ricorrenti. Le stesse hanno puntualizzato (pag. 12 ric.) come il lungo tempo trascorso dalla presentazione della proposta e dall’avvio della procedura pubblica conseguente, nonché l’opinione pubblica contraria progressivamente emersa (anche con manifestazioni di protesta contro la realizzazione del progetto) abbiano indotto a mutare gli originari programmi di investimento, risultando ormai “impraticabile…lo sviluppo della proposta e l’esercizio della concessione”.
Di qui la scelta di agire ai soli fini risarcitori, senza impugnare il provvedimento conclusivo della procedura (determinazione della Provincia di Roma n. 142 del 15.1.2015, che ha concluso con diniego la Conferenza di Servizi, indetta per l’approvazione del progetto di cui trattasi).
3. A fronte delle eccezioni opposte dalla difesa erariale (nell’interesse del Ministero dell’Interno, del Comando provinciale VV.UU. e di Roma Natura) – secondo cui il risarcimento richiesto dovrebbe essere escluso, per non avere le ricorrenti tempestivamente proposto azione di annullamento avverso il diniego e, prima ancora, avverso la determinazione di Roma Natura, che negava loro il nulla osta riguardo all’originario progetto (vedi doc. 13 ric.) – il Collegio deve preliminarmente verificare se non ricorra nel caso in esame la fattispecie impeditiva dell’effetto risarcitorio, descritta dall’art. 30, comma 3, ult. periodo, c.p.a. laddove si prevede che “nel determinare il risarcimento del danno il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.
Ove la predetta eccezione si rivelasse fondata, infatti, sarebbe inutile l’esame del merito, con riferimento sia all’“an” che al “quantum” delle istanze risarcitorie, avanzate dalla parte ricorrente.
4. Deve quindi essere sottolineato come l’art. 30, comma 3, c.p.a. fissi il principio dell’autonoma esperibilità dell’azione risarcitoria, a prescindere dalla previa o contestuale proposizione della domanda diretta all’annullamento del provvedimento illegittimo generatore del danno: quest’ultimo da intendersi, in primo luogo come “eventus damni” e, cioè, quale lesione dell’interesse pretensivo di parte ricorrente alla realizzazione e alla successiva gestione dell’opera programmata. Come noto la regola della c.d. “pregiudiziale amministrativa” – vale a dire la necessità che l’azione risarcitoria sia preceduta con esito positivo dall’azione di annullamento (tesi elaborata dalla giurisprudenza ben prima dell’entrata in vigore dell’attuale codice del processo amministrativo, ma già “illo tempore” avversata dalla giurisprudenza della Suprema Corte: cfr. le ordinanze delle Sezioni Unite nn. 13659 e 13660 del 13 giugno 2006; nonché SS.UU. sentenze 23 dicembre 2008, n. 30254, 6 settembre 2010, n. 19048, 16 dicembre 2010, n. 23595 e 11 gennaio 2011, n. 405) – è stata definitivamente superata con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2010 (approvazione del codice del processo amministrativo) il cui art. 30, comma 3, prevede ora, ai fini che qui rilevano, che l’azione di condanna al risarcimento del danno sia proponibile in via autonoma (comma 1) entro il termine decadenziale di centoventi giorni, decorrenti dal giorno in cui il fatto si è verificato, ovvero dalla conoscenza del provvedimento, se il danno deriva direttamente da questo (comma 3, primo periodo).
La norma, da leggere in combinazione con il disposto del comma 4 dell'art. 7 c.p.a. - che prevede la possibilità che le domande risarcitorie aventi ad oggetto il danno da lesione di interessi legittimi e di altri diritti patrimoniali consequenziali siano introdotte in via autonoma - sancisce dunque l’autonomia, sul versante processuale, della domanda di risarcimento rispetto al rimedio impugnatorio. Detta autonomia è confermata, per un verso, dall’art. 34, comma 2, secondo periodo, (che considera il giudizio risarcitorio quale eccezione al generale divieto, per il giudice amministrativo, di conoscere della legittimità di atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione di annullamento) e, per altro verso, dal comma 3 dello stesso art. 34, che consente l’accertamento dell’illegittimità a fini meramente risarcitori allorquando la pronuncia costitutiva di annullamento non risulti più utile per il ricorrente.
Con la nota sentenza n. 3 del 23 marzo 2011, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha avuto modo di statuire con chiarezza che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela, specificamente previsti dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo - nel caso in cui si dimostri, in particolare, che il rimedio impugnatorio, se esperito nel termine, avrebbe impedito la consolidazione di effetti dannosi - costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, elemento da valutare alla stregua del canone di buona fede (art. 1175 cod. civ.) e del principio di solidarietà (art. 2 Cost.), ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza .
In altri termini la logica sottesa all’art. 30, comma 3, ult. periodo, c.p.a., al pari di quella che percorre l’ampia motivazione della sentenza sopra citata, vede nell’omessa impugnazione del provvedimento lesivo, non più una preclusione di rito, ma una condotta da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile (in questo senso, cfr. anche Cons. Stato, IV, 13 aprile 2016, n. 1459). Trattasi di logica sostanzialmente coincidente con quella di cui al disposto dell’art. 1227 del codice civile, in base al quale non sono pienamente risarcibili i danni, aggravati da una concorrente colpa del danneggiato, fino all’esclusione da qualsiasi risarcimento per i danni (ulteriori) che lo stesso danneggiato ha prodotto con la propria negligente condotta.
Si è ritenuto che a questa disposizione del codice civile rinvii in modo implicito l’art. 30, comma 3, secondo periodo, cod. proc. amm., in base al quale il Giudice amministrativo, al pari di quello civile, deve valutare “tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti”, escludendo il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, “anche” attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti.
5. Invero, nel tessuto di una disposizione (art. 30, comma 3) che rievoca in termini quasi testuali il secondo comma dell’art. 1227 cod. civ., si inserisce un elemento differenziale, che è dato dalla possibilità (non necessità, ad avviso del Collegio) di annoverare, tra le condotte diligenti da porre in essere da parte del danneggiato, per evitare l’esclusione del risarcimento, anche l’impugnazione dell’atto o degli atti lesivi.
La novità della norma sul punto (rispetto all’art. 1227 c.c.) non consiste solo nel riferimento esplicito (assente nella norma del codice civile) all’onere del danneggiato/creditore di esperire prontamente i mezzi giurisdizionali che l’ordinamento gli garantisce, ma anche e soprattutto nel superamento, nel campo dei rapporti di diritto amministrativo, della tesi tradizionalmente (e ancor oggi) prevalente nella giurisprudenza civile, secondo cui la promozione degli strumenti di tutela previsti non integra comportamento esigibile da parte dal creditore, stante la discrezionalità insindacabile che, in generale e di regola, va riconosciuta al titolare del diritto nella scelta del “se e in che modo” adire le vie di giustizia. Altro argomento in genere speso a sostegno di tale tesi si basa poi sulla considerazione che l’avvio di una causa (con costi certi ed esiti incerti) costituisce quasi sempre (in base all’“id quod plerumque accidit”) condotta che supera il limite del “sacrifico non apprezzabile” e “proporzionato” al di là del quale non può pretendersi la cooperazione del creditore/danneggiato ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. e dell’art. 2 Cost.
Consegue da ciò che l’art. 30, comma 3, c.p.a., nella parte in cui estende il dovere di cooperazione ed il principio dell’auto-responsabilità del danneggiato all’esperimento degli strumenti di tutela previsti (senza, peraltro, esplicito richiamo al possibile concorso di colpa, quale causa di riduzione – e non di esclusione – del risarcimento), assume carattere – almeno apparentemente – derogatorio rispetto all’art. 1227 cod. civ.. Tale deroga farebbe sorgere dubbi di violazione del principio comunitario di equivalenza, in base al quale la tutela, accordata dall’ordinamento interno ad una situazione soggettiva protetta, non può essere inferiore a quella di analoghe fattispecie comunitarie (giurisprudenza costante: cfr., fra le prime, sentenza 19 dicembre 1968, causa 13-68, Salgoil s.p.a., nonché sentenza 17.9.1997, causa 54/1996, Dorsch Consult).
Nella ricordata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2011, tuttavia, sono attentamente valutate linee interpretative adeguatrici, con riferimento sia all’art. 1227 cod. civ. che all’art. 30 cod. proc. amm.. Tale indirizzo – fondato sull’obbligo del debitore di cooperare al contenimento del danno, onde evitare fattispecie di abuso del diritto e dello stesso processo – appare condivisibile e induce il Collegio a ritenere ammissibile, oltre che parzialmente fondata, l’azione risarcitoria in esame.
6. Nel caso di specie, infatti, il “comportamento processuale diligente” del danneggiato (o del creditore, stante l’applicabilità della norma tanto nel campo delle obbligazioni contrattuali quanto nell’ambito dell’illecito aquiliano, ai sensi dell’art. 2056, comma 1, cod. civ.), deve essere oggetto di una valutazione, articolata in due momenti:
- il primo, volto a stabilire se il comportamento processuale che in concreto è mancato (poiché il danneggiato ha agito soltanto per il risarcimento) sarebbe stato causalmente idoneo a diminuire o ad escludere il danno;
- il secondo, diretto a verificare se tale comportamento sia esigibile ovvero ecceda i limiti del più che apprezzabile sacrificio.
Il primo accertamento attiene al nesso di causalità e si connota come “giudizio prognostico di tipo controfattuale”, ovvero come giudizio ipotetico, diretto a verificare se una determinata condotta omissiva (azione di annullamento mai esperita o esperita, ma divenuta inammissibile o improcedibile) avrebbe evitato il danno. L’accertamento ha carattere probabilistico, dovendo valutarsi se – sulla base dei dati disponibili e dei fatti accertati dal Giudicante, nonché di una prognosi fondata sul criterio del “più probabile che non” – una o più delle voci di danno, per il risarcimento delle quali il danneggiato agisce, sarebbe stata evitata ovvero sarebbe stata di entità minore, nel caso in cui la domanda di annullamento fosse stata tempestivamente proposta dal medesimo.
A titolo esemplificativo, si può pensare in primo luogo al caso in cui l’omessa impugnazione del provvedimento si collochi in un momento in cui l’atto impugnabile (ma non impugnato) aveva già prodotto effetti in tutto o in parte irreversibili, con conseguente impossibilità per l’interessato di impedire il verificarsi di danni ormai prodottisi.
Quanto al secondo momento (valutazione della diligenza), il quale introduce un valutazione logicamente posteriore a quella, che afferisce al nesso causale e alla evitabilità del danno tramite l’azione processuale demolitoria, il Collegio osserva che:
- l’uso nella norma dell’indicativo presente (“esclude”), non deve condurre l’interprete a risultati perentori ed obbligati (come se fosse scritto: “deve escludere”), omologando in tutto e per tutto l’omessa impugnazione a comportamento negligente, non conforme ai parametri civilistici, di cui agli articoli 1175 e 1375 cod. civ.. E’ evidente infatti che un automatismo, come quello sopra indicato, introdurrebbe di nuovo la cosiddetta “pregiudiziale amministrativa”, rendendo impossibile qualsiasi risarcimento, senza previa impugnazione del provvedimento lesivo nei prescritti termini decadenziali;
- l’esclusione del risarcimento dei danni non investe automaticamente “tutti i danni evitabili” tramite l’esperimento degli strumenti di tutela previsti (azione di annullamento in primis), ma “solo quei danni evitabili con l’ordinaria diligenza”, della quale possono costituire espressione anche gli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento giuridico;
- date le circostanze del caso concreto e tenuto conto delle condizioni anche soggettive delle parti, la proposizione della domanda di annullamento può essere però valutata, nel caso qui esaminato, come atto non esigibile, in quanto implicante un sacrificio eccessivo;
- la nozione di diligenza rilevante ai fini dell’art. 1227 c.c., si fonda infatti, secondo la giurisprudenza, sulle clausole generali della buona fede (art. 1375 cod. civ.) e delle correttezza (art. 1175 cod. civ. e 2 Cos.t) le quali impongono al Giudice di valutare molteplici e variabili profili, che soltanto la vicenda concreta può far emergere quali, a titolo esemplificativo: il decorso del tempo, la professionalità del debitore e del creditore, l’aleatorietà del risultato, i costi e gli affidamenti creati dal funzionario pubblico;
- la mancata proposizione dell’azione di annullamento, in definitiva, non si traduce in automatica esclusione del diritto al risarcimento del danno in capo all’attore, che agisce soltanto per ottenere l’equivalente monetario del lucro cessante e del danno emergente.
7. Alla luce delle coordinate che precedono il Collegio non ritiene che l’omessa proposizione della domanda risarcitoria, da parte delle attuali ricorrenti, possa condurre all’esclusione totale del risarcimento dei danni, dedotti nel presente giudizio. Riprendendo infatti la cronologia dei fatti, esposta nella superiore narrativa, va in primo luogo osservato che non vi era alcun onere per le ricorrenti di impugnare, nei sensi pretesi dalla difesa erariale, il provvedimento adottato dall’Ente Roma Natura in data 2.1.2012, atteso che in tale data è intervenuto un preavviso di rigetto ex art. 10-bis Legge n. 241 del 1990 (doc. 13 ric.), quale atto preparatorio rispetto al successivo provvedimento negativo, con assegnazione all’istante di un termine di gg. 10 per la presentazione di osservazioni e documenti. Tale preavviso non poteva essere autonomamente impugnato, trattandosi di atto endo-procedimentale, per definizione inidoneo ad integrare l’immediata lesione dell’interesse sostanziale sotteso all’istanza del privato. Escludendosi quindi sia l’onere che la legittimazione di parte ricorrente ad impugnare l’atto in discorso, non può ritenersi che l’azione di annullamento fosse comportamento processuale esigibile e, dunque, valutabile ai sensi dell’art. 30, comma 3, ultimo periodo. c.p.a..
La problematica concerne pertanto il solo provvedimento finale (determinazione n. 142 del 15.1.2014, doc. 26 ric.), certamente lesivo, con cui la Provincia di Roma ha formalizzato il proprio diniego di approvazione del progetto proposto, in conformità a quanto deliberato dalla Conferenza di Servizi nella riunione del 10.12.2013 (doc. 25 ric.).
Sulla base di quanto esposto nei superiori paragrafi – in ordine all’accertamento del nesso (ipotetico) di causalità tra omesso esperimento del gravame e conseguenze pregiudizievoli – il Collegio ritiene che l’esperimento dell’azione demolitoria non sarebbe stata idonea, nel caso di specie, ad evitare le conseguenze pregiudizievoli, in quanto:
i. al momento dell’adozione del diniego (gennaio 2014) parte dei danni lamentati in ricorso si era già verificata, con particolare riguardo ai costi professionali per la progettazione preliminare e definitiva e prima ancora per: ricerca documentazione catastale e comunale; partecipazione alla “gara” con sopralluoghi e spese relative; studio di fattibilità, calcoli strutturali ed impiantistici e altro, il tutto meglio descritto nella parcella professionale dell’Ing. Di Gaetano del 3.4.2014 (doc. 29 ric.), descrittiva di un’attività svoltasi nell’arco di circa tre anni, in epoca certamente anteriore all’esito finale del procedimento;
ii. l’importo richiesto per le voci suddette viene quantificato in Euro 127.000,00 esclusa IVA e Cassa Professionale Ingegneri (doc. 29 cit. e pag. 14 ric.);
iii. trattasi di costi da riconvertire in altrettante voci di “danno emergente” ai sensi dell’art. 1223 cod. civ. (e 2056 cod. civ., che richiama la predetta norma), con riferimento a tutte le attività amministrative e professionali, svolte nell’ambito del procedimento svoltosi in Conferenza di Servizi, prima della relativa conclusione;
iv. ricorre dunque nella specie una delle ipotesi, in cui il comportamento processuale attivo che di norma è preteso dal danneggiato ai sensi dell’art. 30, comma 3, ult. periodo c.p.a., non supera il vaglio della sussistenza del nesso causale di tipo “controfattuale” che questo Giudice è chiamato a svolgere, in quanto è più che probabile (se non certo) che l’impugnazione del provvedimento non avrebbe potuto in alcun modo elidere gli esborsi economici e, in ogni caso, i costi-debiti maturati in capo alle istanti per l’istruttoria procedimentale e la progettazione;
v. l’argomento che precede vale in astratto anche per gli ulteriori costi, ammontanti ad Euro 42.024,00, per la locazione di locali ed impianti dove svolgere le attività sportive di propria pertinenza, costi sostenuti dalla (sola) a.s.d. Libertas Roma 2008 tra l’ottobre 2011 e il giugno 2014, in ragione della indisponibilità delle strutture da realizzare presso l’IIS “Domizia Lucilla”; alla somma predetta la Libertas Roma aggiunge e documenta (doc. 31 ric.) ulteriori euro 22.793,63 per la locazione finanziaria di un pulmino Mercedes per garantire il trasporto dei ragazzi, propri affiliati, dalla sede agli impianti della a.s.d LUISS in Via Martino Longhi;
vi. a prescindere dalla verifica, sia nell”an” che nel “quantum”, della fondatezza di queste ultime pretese economiche (su cui “infra”), deve ritenersi che la domanda di parte ricorrente, anche per queste voci, superi il vaglio della ammissibilità causale, in quanto – in considerazione del momento in cui le spese in parola sono state sostenute – l’impugnativa del diniego nulla avrebbe potuto, rispetto ad obbligazioni di spesa ormai irreversibilmente assunte ed adempiute.
vii. una volta chiarito il mancato “superamento” del primo dei test che il Giudice è tenuto a svolgere ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a., che è quello sul nesso di causalità tra omessa proposizione dell’azione di annullamento (presumibilmente vittoriosa) e danno, il Collegio può ora passare all’esame della fondatezza di quanto domandato dalle ricorrenti per le perdite subite (= danno emergente).
8. Sulla spettanza di parte delle somme richieste a titolo di “danno emergente”.
La pretesa della parte ricorrente è parzialmente fondata, per le ragioni di seguito esposte.
La Provincia di Roma dava avvio alla procedura pubblica, per l’acquisizione di manifestazioni di interesse alla concessione dell’uso dell’area, ai fini della realizzazione del centro sportivo polivalente (doc. 1 ric.) in data 14.1.2010. In una prima fase (fino alla riunione del 23.6.2010) tutte le amministrazioni convocate o davano parere espresso favorevole alla edificazione oppure non si pronunciavano (vedi doc. 6 ric. e relativi allegati). Con riferimento a tale fase, va detto che appariva ormai imminente l’adozione del provvedimento finale favorevole alle ricorrenti, non avendo alcuna delle amministrazioni ed enti coinvolti espresso eccezioni o perplessità, in ordine alla fattibilità del progetto a livello urbanistico. Quanto sopra fino alla nota di Roma Capitale, Ufficio del Commissario delegato all’emergenza traffico, prot. n. 4368 del 19.10.2010 (doc. 9 ric.), che per la prima volta (a circa dieci mesi dall’avvio della procedura e dopo tre riunioni della Conferenza) evidenziava la (presunta) non attuabilità dell’intervento in relazione agli strumenti urbanistici, richiamando, in particolare, le prescrizioni del Piano della Riserva Naturale di Monte Mario (delibera Cons. Reg. n. 55 del 12.11.2008). E’ quindi del tutto normale che, fino alla predetta data, la parte ricorrente abbia confidato in buona fede nella inesistenza di ostacoli urbanistici alla realizzazione del centro sportivo in questione e sia stata indotta, oltre che dall’avviso pubblico iniziale, anche dalla successiva condotta incoraggiante delle amministrazioni ed enti partecipanti alla Conferenza di Servizi, a ritenere probabile la favorevole conclusione del procedimento. Sono state, pertanto, le condotte incerte e contraddittorie delle Amministrazioni procedenti ad indurre le società interessate a confidare nella realizzazione dell’opera e a sostenere gli ingenti costi in precedenza evidenziati. Si individua, pertanto, un chiaro nesso causale tra l’attività procedimentale – articolatasi nell’avvio della procedura e della Conferenza di Servizi (da parte della Provincia di Roma), nella formulazione di parere inizialmente favorevole e comunque nella mancata espressione di un dissenso da parte del Comune di Roma (fino alla nota sopra ricordata), così come della Regione (che per lungo tempo nulla ha obbiettato in ordine ad un possibile vincolo, di sua pertinenza, derivante dal Piano approvato con delibera del Consiglio regionale n. 55 del 2008) – e i danni corrispondenti ai costi professionali per la progettazione preliminare e definitiva e prima ancora per: ricerca documentazione catastale e comunale; partecipazione alla gara con sopralluoghi e spese relative; studio di fattibilità, calcoli strutturali ed impiantistici, come meglio descritti nella parcella professionale dell’Ing. Di Gaetano del 3.4.2014 (doc. 29 ric.), ove si delinea l’attività svolta per conto delle istanti, in epoca certamente anteriore alla chiusura del procedimento.
9. Ai fini del perfezionamento della fattispecie illecita aquiliana ex art. 2043 cod. civ. (condotta antigiuridica, danno-conseguenza, nesso causale tra la prima ed il secondo) - una volta ritenuto esistente il danno sopra specificato ed il nesso causale tra questo e la condotta iniziale degli enti intervenuti che non rappresentavano elementi critici a livello urbanistico (entro un tempo idoneo ad evitare a parte ricorrente le spese in questione) - il Collegio deve ora accertare l’illegittimità del provvedimento finale di diniego e degli atti endo-procedimentali che lo hanno preceduto, con cui, per le stesse ragioni poste a fondamento del provvedimento finale, alcune amministrazioni si erano già espresse in termini negativi sul progetto nel corso del procedimento.
Ci si riferisce: - alla nota di Roma Capitale prot. n. 4368 del 19.10.2010 già rammentata (doc. 9 ric.); - alla successiva nota dell’Ente Regionale Roma Natura prot. 10 del 2.1.2012 e al nulla – osta del medesimo Ente del 15.2.2012 (doc. 15) che limitava il proprio assenso alla realizzazione di un intervento assai più limitato rispetto a quello oggetto del progetto (doc. 13 ric.); alla nota della Regione Lazio, Direzione Regionale Ambiente, prot. n. 558351 del 20.12.2012, nella quale si precisava che tutti gli elaborati di Piano (normativa e cartografia), parte integrante della deliberazione Consigliare Regionale, “sono coerenti nel confermare l’inclusione dell’area di Monte Ciocci nel perimetro definitivo di Piano” (doc. 19 ric.).
Parte ricorrente, invero, ha dimostrato che la delibera del Consiglio regionale del 12 novembre 2008, n.55, di “Approvazione del Piano della Riserva Naturale di Monte Mario di cui all’articolo 26 della legge regionale 6 ottobre 1997 n.29 - Norme in materia di aree naturali protette regionali” non contemplava l’area di intervento (zona di Mone Ciocci) come oggetto di tutela.
Nella delibera in oggetto si leggeva infatti che: - il perimetro istitutivo è stato quasi completamente confermato, salvo alcune rettifiche catastali e alcune inclusioni. Le aree di una certa rilevanza che non sono state accolte come ampliamenti, diversi dal perimetro previsto dalla legge istitutiva e contenuti nella proposta di PdA, sono l’area posta all’estremità meridionale della Riserva interclusa tra i tessuti urbani della Balduina e dell’Aurelio, denominata ‘Monte dei Ciocci’; le aree in cui insistono l’Istituto Pastor Angelicus, ubicato lungo Via Colli della Farnesina e ’Istituto Don Orione, ubicato lungo via della Camilluccia (pag.14); - la Scheda Progetto AS06 ‘Riqualificazione dell’area di Monte Ciocci’ è stata stralciata dal Piano, non essendo stata accolta la proposta di inserimento dell’area nel perimetro della riserva (pag. 17); Parere istruttoria regionale: l’osservazione non da luogo a provvedere poiché tale area non viene accolta nel perimetro della riserva (pag.17).
Per quanto quindi gli elaborati grafici includessero (in contraddizione rispetto al testo della deliberazione) l’area di “Monte dei Ciocci” tra quelle oggetto di tutela, non erano detti elaborati a prevalere sul chiaro testo del deliberato sopra riportato, univoco nell’escludere dalle prescrizioni vincolistiche l’area oggetto di intervento. Secondo la giurisprudenza amministrativa, d’altra parte, in caso di contrasto tra gli allegati grafici e le prescrizioni normative del medesimo Piano, sono queste ultime a dover essere unicamente considerate (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2014, n. 673; id. 18 aprile 2013, n. 2158).
Sembra peraltro confermare l’assunto la condotta successiva della Regione Lazio, la quale ha versato in atti la delibera del Consiglio Regionale del Lazio n. 6 del 31 marzo 2016, recante modifiche alla deliberazione del Consiglio Regionale 12 novembre 2008, n.55. Con tale atto, intervenuto soltanto nell’anno 2016, la Regione Lazio ha risolto il contrasto tra gli elaborati grafici e le prescrizioni regolamentari, includendo per la prima volta l’area del ‘Monte dei Ciocci’ tra quelle oggetto di tutela.
Il provvedimento adottato dalla Regione Lazio, circa due anni dopo la chiusura della Conferenza di Servizi (quando la presente causa era stata da tempo avviata) conferma che, senza la nuova determinazione assunta dal Consiglio Regionale, avente valenza costitutiva e non solo ricognitiva, nel precedente assetto del Piano il vincolo sull’area non poteva ritenersi ancora istituito. Da ciò discende che la ragione unica, posta a fondamento del diniego finale e degli avvisi endo-procedimentali, non era giuridicamente fondata e che gli atti predetti debbono ritenersi illegittimi, ai soli fini del completamento della fattispecie risarcitoria, non avendo parte ricorrente ritenuto di domandarne l’annullamento.
Risulta dunque perfezionata, per il danno emergente, la fattispecie di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a. la cui struttura si conforma al generale paradigma aquiliano di cui all’art. 2043 cod. civ. essendo nella specie ravvisabili: a) un provvedimento che ha illegittimamente statuito sull’interesse pretensivo della parte privata negandone il soddisfacimento; b) un danno economico per perdite subite (corrispondente ai costi progettuali, amministrativi e professionali inutilmente sostenuti dalla a.s.d. La Reale 2009); c) un nesso di causalità tra il primo ed il secondo, sul quale non può ritenersi che possa avere inciso, con effetto escludente dell’ammontare risarcitorio, l’omessa sperimentazione degli strumenti di tutela previsti (comma 3, ult. periodo, art. 30 cit.), sulla base di quanto sopra ampiamente esposto.
La colpa dell’Amministrazione si presume in relazione alla illegittimità degli atti sopra menzionati e alla piena accertabilità dell’assenza del vincolo in questione
10. In ordine al “quantum” risarcitorio relativo al danno emergente, il Collegio ritiene fondata la domanda, nella parte in cui allega le spese sostenute per la partecipazione e l’istruzione del procedimento, per la progettazione preliminare e definitiva e richiama i costi sostenuti per la progettazione delle opere, con diverse versioni degli elaborati molto diversificate, che il progettista incaricato dalle ricorrenti ha dovuto porre in essere per far fronte alle sempre diverse richieste e novità che emergevano nel corso della Conferenza di Servizi.
Per l’individuazione delle voci di danno in questione ci si riferisce alla “parcella professionale” redatta dall’Ing. Di Gaetano (doc. 29 ric.): parcella che, a giudizio del Collegio, è da considerare ricognitiva delle seguenti attività, svolte nell’interesse delle committenti dal professionista da esse incaricato:
- ricerca documentazione catastale ed edilizia; progettazione preliminare;
- sopralluoghi;
- progettazione definitiva comprensiva di: studio di fattibilità, rilievi tacheometrici di quote e confini, indagine e relazione geologica;
- progettazione esecutiva completa di: relazioni e calcoli strutturali ed impiantistici; perizie, autocertificazioni, relazioni per l’ottenimenti dei prescritti pareri/autorizzazioni da parte del CONI, della Asl competente e del Comando VV.FF.;
- rielaborazione del progetto definitivo secondo le indicazioni della Provincia;
- redazione di ulteriore progetto definitivo ed esecutivo “ridotto” in conformità ai rilievi da parte dell’Ente Regionale Roma Natura.
La somma da attribuire alle ricorrenti (quali creditrici in solido) a titolo risarcitorio e da liquidare nei termini che vengono qui di seguito esposti dovrà essere corrisposta dalle tre amministrazioni che hanno assunto un ruolo, a diverso titolo, determinante sull’evolversi del procedimento e sull’esito ingiustamente negativo di esso, ovvero:
a) la Città Metropolitana di Roma Capitale, succeduta ex lege alla Provincia di Roma ex art. 1, commi 16 e 47, L.n. 56/2014, la quale ha assunto il ruolo di promotrice dell’iniziativa proposta, ha espresso inizialmente incondizionato assenso al progetto, stimolandone puntualizzazioni e dettando prescrizioni progettuali alle due istanti, per poi determinarsi illegittimamente (visto l’infondato rilievo di un vincolo urbanistico in verità al momento inesistente, su cui v. “supra”) in senso reiettivo, insieme agli altri enti convocati, nella riunione del 10.12.2013;
b) il Comune di Roma, per avere sostenuto per la prima volta (doc. 9) la tesi (non condivisibile), sempre ribadita fino alla conclusione della Conferenza di Servizi, della evidenza di un vincolo insistente nell’area di intervento, nonostante il testo della delibera consiliare regionale n. 55 del 2008 deponesse in senso contrario (v. “supra”);
c) la Regione Lazio, quale Amministrazione titolare del vincolo paesaggisto in questione e quindi più titolata di ogni altra in merito al suo accertamento, per non avere tempestivamente manifestato il proprio avviso sulla (presunta) non conformità dell’opera agli strumenti urbanistici e manifestando, nella sostanza, una posizione che mirava a dare prevalenza agli allegati grafici (che includevano l’area di Monte Cicci nel Piano della Riserva di M. Mario), nonostante la contrarietà di essi al chiaro testo della delibera.
Visto l’art. 2055 cod. civ. – a mente del quale “Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno.
Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate”, il Collegio ritiene altresì che non sia possibile diversificare in modo puntuale ed esente da critiche le rispettive colpe delle tre amministrazioni citate, né l’entità delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla condotta dell’una o dell’altra; ne consegue la necessità di applicare la presunzione di cui al comma 3 dello stesso art. 2055 cit., in base al quale “Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali”. Le parti resistenti sono, pertanto, tenute in solido nei confronti delle odierne ricorrenti all’integrale risarcimento del danno, mentre nei rapporti interni (e ai fini dell’eventuale azione di regresso) la somma risarcitoria che verrà liquidata è da ripartire in parti uguali.
In ordine al “quantum” risarcitorio questo Giudice, avvalendosi della facoltà conferitagli dall’art. 34, comma 4, c.p.a. secondo cui “il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma di denaro entro un congruo termine…”, stabilisce che sarà onere e cura della ricorrente-committente dell’incarico professionale a suo tempo conferito per l’opera in oggetto, acquisire, per il tramite del professionista di fiducia, la parcella professionale analitica, indicativa degli importi rispettivamente dovuti per ciascuna delle voci considerate fondate dal Collegio e sopra puntualmente riportate; detta parcella, dovrà essere accompagnata dal parere di congruità del competente Consiglio dell’Ordine territorialmente competente e, in questa forma, dovrà essere presentata alla Città metropolitana di Roma Capitale (quale ente succeduto ex lege alla Provincia di Roma, che ha avuto il ruolo di amministrazione procedente nella conferenza di servizi relativa al procedimento in esame), la quale sarà tenuta a corrispondere alle ricorrenti, creditrici in solido, la somma ivi riportata, da aumentare per rivalutazione e interessi dal data di pubblicazione della presente sentenza a quella dell’effettivo soddisfo (ferma restando la facoltà dell’amministrazione provinciale di procedere al previo coordinamento ai fini del pagamento con le altre amministrazione solidalmente obbligate e, ovviamente, il regresso parziale verso le medesime, corresponsabili in parti uguali e quindi tenute, per le rispettive quote, a rimborsare quanto anticipato dalla Città Metroplitana).
11. Con riguardo alle ulteriori voci di danno emergente, il Collegio non ritiene, viceversa, che possa ritenersi fondata la pretesa, relativa alle spese di affitto locali per uso sportivo né del mezzo di trasporto per i propri tesserati (trattasi di voci, peraltro, documentalmente riferibili alla sola a.s.d. Libertas Roma 2008). Le genericità delle allegazioni non consente di stabilire se le spese addotte sarebbero state evitate in conseguenza dell’approvazione del progetto e dell’avvio delle attività del Centro sportivo. Peraltro parte ricorrente non ha fornito un chiaro cronoprogramma dei lavori progettati né la data di presumibile loro termine, in caso di evoluzione “normale” del procedimento e positiva conclusione di esso. E’ però scontato, per presunzione logica, che nel tempo (di certo non breve), necessario, prima, al completamento dell’iter procedimentale per l’approvazione del progetto e, successivamente, al completamento del centro sportivo e alla sua effettiva attivazione previo collaudo della struttura, la a.s.d. avrebbe comunque dovuto sostenere gran parte se non la totalità delle spese in contestazione, essendo evidente che, anche in caso di esito positivo della Conferenza di Servizi, la società sportiva non avrebbe comunque avuto la disponibilità degli impianti per gli allenamenti dei propri affiliati, per l’intero lasso di tempo (2011-2013) nell’arco del quale le spese sono state sostenute.
12. Sul lucro cessante.
Il Collegio non ritiene invece fondata la domanda relativa al lucro cessante.
Per costante giurisprudenza (a partire dalla “storica” sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 500 del 1999), infatti, in presenza di interessi pretensivi al raggiungimento di un obbiettivo economico, la cui realizzazione richieda l’intermediazione del potere amministrativo e di fronte ad un potere amministrativo ampiamente discrezionale, come quello afferente all’inserimento dell’area di intervento all’interno della Riserva Naturale, occorre la dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, che l'aspirazione al bene della vita sia destinata ad esito favorevole, dovendo la parte dimostrare, anche con il ricorso a presunzioni, la spettanza definitiva del bene collegata a tale interesse. Nel caso di specie, per quanto sia stata accertata l’illegittimità del diniego, non sembra però che esistano elementi che consentono di poter affermare che il progetto sarebbe stato in effetti cantierabile e, in definitiva, realizzabile, posto che (come sopra già rilevato) la Direzione Regionale Ambiente, con nota del 20 dicembre 2012 prot. 558351 (doc. 19 ric.), comunicava alla Provincia quanto segue: “Con Deliberazione del Consiglio Regionale 12 novembre 2008, n. 55 è stato approvato il Piano della Riserva Naturale di Monte Mario, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 3, s.o. n. 1 del 21,01,2009. Nella perimetrazione definitiva, approvata in sede di Consiglio, è stata inclusa l'area a sud della Riserva denominata “Monte Ciocci”, così come indicato negli elaborati allegati A, B e D, parte integrante della suddetta deliberazione, che indicano:
- nell'allegato A6 Articolazione in zone della Riserva viene indicata la zonizzazione a cui è sottoposto anche il territorio in parola; detta articolazione in zone è disciplinata nelle specifiche Norme tecniche di attuazione (Allegato A2);
- l'allegato A3 Schede Progetto include la scheda AS/08, denominata Riqualificazione dell'area Monte Ciocci, nella quale sono previsti interventi per la riqualificazione paesaggistica e ambientale del territorio sottoposto a tutela e valorizzazione. Si precisa che tutti gli elaborati del Piano (normativa e cartografia) parte integrante della Deliberazione Consigliare Regionale sono coerenti nel confermare l'inclusione dell'area di Monte Ciocci nel perimetro definitivo di Piano. Merita peraltro segnalare che l'inclusione dell'area di Monte Ciocci nel Piano, modalità applicate dalla data di entrata in vigore del dispositivo (pubblicazione sul Bollettino Ufficiale Regione Lazio n. 3s.o. n. 1 del 21 gennaio 2009) non ha prodotto contenziosi. Si precisa inoltre che dalla data di pubblicazione sul BURL del Piano, l'ente di gestione Roma Natura ha ritenuto l'inclusione di Monte Ciocci all'interno del perimetro della riserva e pertanto ha rilasciato nulla osta (art. 28 della l.r. 29/97), solo per la realizzazione di interventi, impianti ed opere, conformi alla disciplina specifica di Piano. Tuttavia, sembrerebbe configurarsi un'incoerenza tra i suddetti elaborati di Piano e la stessa Deliberazione di Consiglio Regionale, che nel dispositivo approvava il Piano della Riserva così come licenziato nella seduta congiunta del Comitato Tecnico per il Territorio del voto n 132/1 del 20,12,2007.
La stessa Regione osservava come, per una corretta applicazione dello strumento di pianificazione, fosse necessario avviare procedimento di rettifica della Deliberazione Consiliare, al fine di confermare la perimetrazione, così come indicata negli elaborati di Piano, o altresì prevedendo l'esclusione dell'area di Monte Ciocci: soluzione, quest’ultima, che avrebbe implicato la vigenza del voto del Comitato e la modifica degli allegati A, B, e D, in ogni caso non senza coinvolgimento degli organi competenti per le scelte anche politiche da effettuare.
Come sopra rappresentato, l’amministrazione regionale provocava quindi l’arresto del procedimento e rimetteva la questione all’organo politico (Consiglio regionale del Lazio), a cui spettava la scelta di includere l’area di Monte dei Ciocci (ove doveva sorgere il complesso sportivo) nel perimetro della Riserva di Monte Mario.
Questa determinazione amministrativa – che, per quanto sopra visto, conferma che al momento dello svolgersi dell’iter procedimentale per l’approvazione del progetto il vincolo in realtà non sussisteva e, proprio per questo, si rendeva necessario l’intervento a livello politico del Consiglio regionale per poterlo istituire – ha poi condotto (nei tempi lunghi propri di questa tipologia di procedure, protrattisi molto oltre la conclusione del procedimento di approvazione del progetto, conclusosi nel gennaio 2014) alla già menzionata delibera DCRL n.6/2016, depositata in atti, che ha stabilito la definitiva inclusione del Monte Ciocci nel perimetro della Riserva di Monte Mario.
Ad avviso del Collegio è altamente probabile che la pendenza dell’iter per la (futura) decisione del Consiglio Regionale, la quale è poi sopravvenuta nel 2016 a Conferenza di Servizi ormai chiusa, avrebbe comunque impedito la cantierabilità del progetto e che, dunque, la prospettiva del conseguimento di utili e ricavi per la gestione del centro sportivo non si sarebbe mai realizzata nella realtà. Ciò è quanto sarebbe presumibilmente accaduto anche in caso di esito positivo del procedimento di approvazione del progetto, così come nell’alternativa ipotesi di tempestiva proposizione del gravame, avverso l’esito sfavorevole del procedimento stesso.
Deve peraltro rilevarsi che la menzionata delibera del Consiglio Regionale di modifica delle delibera n. 55/2008 (con definitiva inclusione dell’area in contestazione nel perimetro della Riserva di M. Mario) non risulta essere mai stata impugnata dalle odierne ricorrenti, che – sotto tale profilo – sono esposte ad una proporzionale riduzione del danno risarcibile, reso di impossibile verificazione.
13. In conclusione, per le ragioni che precedono, la domanda di risarcimento in esame è fondata limitatamente al danno emergente e alle singole voci ad esso riconducibili, come sopra indicate.
Il ricorso trova in questi limiti (parziale) accoglimento e, pertanto, la Regione Lazio, la Città Metropolitana di Roma Capitale e Roma Capitale, sono condannate in solido al risarcimento dei danni subiti da parte ricorrente, i quali sono quantificati secondo i criteri sopra indicati e con riferimento a tutte le “voci” sopra esposte (par. 10).
Ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a. la Città Metropolitana di Roma Capitale (succeduta alla Provincia di Roma), coordinandosi con le altre amministrazioni obbligate (e cioè Roma Capitale e Regione Lazio) - fermo restando il suo diritto di parziale regresso nei confronti delle altre co-obbligate (essendo tutte e tre gli enti responsabili e tenuti al pagamento in parti uguali) - entro gg. 60 dal giorno in cui le perverrà la parcella professionale redatta nell’interesse delle creditrici e munita di parere di congruità del competente Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri, sarà tenuta a proporre alle ricorrenti il pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno emergente patito, nei limiti di quanto riconosciuto dalla presente pronuncia e nel rispetto dei criteri e parametri sopra fissati.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, limitatamente ai rapporti tra parte ricorrente, da un lato e Roma Capitale, Regione Lazio e Città Metropolitana di Roma Capitale, dall’altro.
Sono respinte le domande risarcitorie nei confronti delle altre parti pubbliche, rispetto alle quali le spese processuali vengono integralmente compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
a) in parziale accoglimento della domanda di risarcimento del danno articolata congiuntamente dalle ricorrenti OMISSIS, accertata la responsabilità per la causazione dei danni nei limiti definiti in motivazione, condanna in solido le resistenti Regione Lazio, Città Metropolitana di Roma Capitale e Roma Capitale al pagamento delle somme che risulteranno dovute sulla base dell’applicazione delle misure e dei criteri esposti in motivazione (par. 10);
b) ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a. onera la Città Metropolitana di Roma Capitale di proporre alle ricorrenti, quali creditrici in solido per l’intero ammontare, il pagamento di una somma congrua, ai sensi dei medesimi criteri, a titolo di risarcimento del danno, entro gg. 60 (sessanta) dal giorno in cui le perverrà la parcella professionale redatta nell’interesse delle creditrici e munita del parere di congruità da parte del competente Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri;
c) respinge le domande svolte nei confronti delle altre parti convenute;
d) condanna la Regione Lazio, la Città Metropolitana di Roma Capitale e Roma Capitale, al pagamento delle spese processuali in favore di parte ricorrente che liquida nella misura di Euro 2.000,00 (duemila/00) a carico di ciascuna delle amministrazioni nominate, oltre Iva, Cassa Avvocati e rimborso del contributo unificato anticipato;
e) dichiara compensate le spese nei confronti delle restanti parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 11 aprile 2018 e, in prosecuzione, 18 luglio 2018 e 26 settembre 2018, con l'intervento dei magistrati:
Gabriella De Michele, Presidente
Vincenzo Blanda, Consigliere
Claudio Vallorani, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Claudio Vallorani Gabriella De Michele
IL SEGRETARIO