Contributo costruzione su interventi in zone agricole: attività agrituristiche
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), sentenza n. 235 del 13 gennaio 2022, sull’esonero contributo costruzione su interventi in zone agricole relativi ad attività agrituristiche
MASSIMA
L’esonero dal contributo di costruzione per gli interventi da realizzare nelle zone agricole si applica anche a quelli effettuati in funzione dell’attività agrituristica, purché essa sia connessa alla conduzione del fondo.
SENTENZA
N. 00235/2022REG.PROV.COLL.
N. 09773/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9773 del 2014, proposto dal Comune di San Giacomo delle Segnate, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Arrigo Gianolio e Orlando Sivieri, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Cosseria, n. 5,
contro
i signori Gianni Ferramola e Manfredini Leda, quest’ultima anche nella sua qualità di titolare dell’omonima azienda agricola, rappresentati e difesi dall’avvocato Cesare Traldi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Vincenzo Sinopoli in Roma, viale Angelico, n. 38,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, Sezione Prima, n. 801/2014, resa tra le parti, concernente il diniego di restituzione delle somme corrisposte a titolo di oneri di urbanizzazione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Gianni Ferramola e Leda Manfredini, quest’ultima anche nella sua qualità di titolare dell’omonima azienda agricola;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 novembre 2021, il Cons. Antonella Manzione e udito per il Comune appellante l’avvocato Orlando Sivieri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. I signori Gianni Ferramola e Leda Manfredini, quest’ultima titolare di omonima impresa agricola, proprietari per una quota pari, rispettivamente, ad un quarto e tre quarti, dell’immobile sito nel Comune di San Giacomo delle Segnate (Mantova), via Arrigona n. 21, distinto in catasto al Foglio 5, mappale 49, presentavano in data 3 ottobre 2005 un progetto di ristrutturazione, con cambio di destinazione da residenza rurale a ristorazione, assentito con permesso edilizio del 2 marzo 2006, n. 2005/019, oggetto di successiva variante in corso d’opera, approvata con permesso n.2007/005 del 20 marzo 2008.
1.1. In data 30 aprile 2008, con atto prot. 1950, avanzavano formale richiesta di restituzione degli oneri concessori già versati al Comune, reiterata con vera e propria diffida in data 29 novembre 2011, rivendicando il proprio diritto all’esenzione giusta la previsione in tal senso di cui all’art. 17, comma 3, lettera a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. L’istanza veniva formalmente respinta dal Comune di San Giacomo delle Segnate con atto in data 4 ottobre 2011, notificato il 6 ottobre 2011, previo preavviso di diniego, sulla rilevata persistenza della destinazione d’uso commerciale assentita con il permesso di costruire del 2006, sicché anche l’accatastamento risulterebbe erroneo, in quanto classifica l’intero complesso immobiliare in categoria D/10 (fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), anziché stralciare la porzione dello stesso a destinazione ristorante/cucina.
2. Con ricorso dinanzi al T.A.R. per la Lombardia, sede di Brescia, i signori Ferramola e Manfredini impugnavano il provvedimento di diniego per violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 17 del d.P.R. 380/2001 e degli artt. 151, 152 e 155 delle l.r. n. 31 del 2008, nonché 53 e 55 delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del vigente Piano regolatore generale (P.R.G.), lamentando altresì difetto di motivazione e di istruttoria e chiedendo l’accertamento del diritto alla restituzione della somma versata a titolo di oneri di urbanizzazione con riferimento al permesso di costruire del 2 marzo 2006, per un importo pari ad euro 8.395,40, oltre interessi legali.
3. Il T.A.R. per la Lombardia, con sentenza n. 801, pubblicata in data 15 luglio 2014, accoglieva le domande proposte dai deducenti, dichiarando la illegittimità del provvedimento con conseguente condanna del Comune di San Giacomo delle Segnate alla restituzione del contributo di costruzione, oltre agli interessi legali dalla data di notifica del ricorso al saldo. Compensava le spese di giudizio tra le parti.
4. Con ricorso in appello il Comune di San Giacomo delle Segnate ha impugnato detta sentenza, chiedendone l’annullamento in quanto erronea in fatto, laddove non valuta la mancata richiesta di un nuovo cambio di destinazione d’uso, da commerciale (ristorazione), ad attività agrituristica, della porzione immobiliare oggetto del permesso di costruire del 2 marzo 2006 (motivo sub II, essendo quello sub I la mera narrativa dei fatti di causa). La sproporzione tra la astratta capienza del ristorante, pari a 130 potenziali posti a sedere e il limite dei 50 pasti al giorno sancito nelle certificazioni rilasciate dalla Provincia di Mantova sarebbe un chiaro indice della mancata connessione tra l’attività di ristorazione e quella agricola, tenuto altresì conto della disciplina regionale in materia, che, ove si superino i 40 pasti al giorno, non consente l’esercizio dell’impresa in forma familiare, utilizzando anche l’abitazione e la cucina dell’imprenditore (motivo sub III). Le certificazioni provinciali, inoltre, in quanto molto successive ai titoli edilizi (rispettivamente, 25 gennaio 2010 e 13 maggio 2010), non consentirebbero di ritenere accertata al momento della richiesta o, al più, a quello di rilascio degli stessi (2 marzo 2006 e 20 marzo 2008), la necessaria connessione dell’intervento con l’attività agricola (motivo sub IV).
4.1. Si sono costituiti in giudizio i signori Gianni Ferramola e Leda Manfredini, per chiedere la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza di prime cure. Con successiva memoria ex art. 73 c.p.a., nel ribadire la prospettazione posta a base del ricorso di primo grado, hanno in particolare richiamato la disciplina nazionale e regionale sulla destinazione d’uso dei locali utilizzati per agriturismo (art. 3, comma 3, della l. n. 96 del 2006, in forza del quale «I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali» e art. 155, comma 3, della l.r. Lombardia n. 31 del 2008 per cui «il permesso di costruire finalizzato alla sistemazione di tali immobili non è subordinato alla stipulazione di alcun vincolo di destinazione d’uso»).
4.2. Sono seguite memoria dell’appellante e memorie di replica di entrambe le parti.
5. All’udienza del 23 novembre 2021, previa richiesta scritta degli appellati, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
6. Il ricorso è infondato.
7. La vicenda di cui è causa, seppure semplice in punto di fatto, interseca in punto di diritto la natura dell’attività agrituristica; il che impone la ricerca di nozioni giuridiche sicure, poichè , a fronte di categorie concettuali omogenee benchè attinte da definizioni diverse, presso le amministrazioni persistono talune incertezze applicative a seconda che si faccia riferimento alla disciplina dell’uso dei suoli oppure al concreto utilizzo dei fabbricati piegati all’attività seddetta.
Ritiene tuttavia il Collegio che lo sforzo imposto all’interprete debba mirare ad una lettura evolutiva delle norme originarie, seppure rimaste immutate, evitando di vanificare gli obiettivi, anche di politica economica e di sviluppo socio-culturale, che il legislatore ha inteso perseguire con le successive modifiche delle richiamate discipline di settore.
8. L’art. 17, comma 3, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato « Riduzione o esonero dal contributo di costruzione», riproponendo dunque i contenuti dell’art. 3 della previgente legge n. 10/1977, prevede che in caso di rilascio di titolo edilizio il contributo di costruzione di cui all’art. 16 non è dovuto, tra l’altro, « a) per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153». Trattasi di una scelta evidentemente di favore ancorata alla sussistenza di due condizioni, una oggettiva, costituita dal rapporto con la conduzione del fondo, l’altra soggettiva, ovvero la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale del richiedente (sul punto, v. Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 2015, n. 5363). In quanto norma derogatoria di una regola rispondente comunque a finalità di ordine generale, ne è evidente la necessaria lettura di rigore che le Amministrazioni chiamate ad applicarla devono darne. Senza tuttavia, nella logica di sistema poc’anzi evidenziata, pretermetterne l’armonizzazione con gli sviluppi -recte, le spinte allo sviluppo- della portata multifattoriale dell’imprenditoria agricola.
9. La finalità del contributo per il rilascio del permesso di costruire, dunque, con particolare riguardo alla parte correlata agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, è di natura pubblicistica, in quanto mirante a “socializzare” le spese che la collettività è chiamata a sostenere per la realizzazione delle opere a servizio della zona ove le stesse vanno a localizzarsi. In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e vuole in qualche modo “compensare” la c.d. compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare in ragione della trasformazione del territorio consentita al privato istante, quella commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione di compensare invece la collettività «per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti» (v. Cons. Stato, sez.VI, 7 maggio 2015, n. 2294; id., 7 maggio 2018, n. 2694 e 29 agosto 2019, n. 5964 ).
10. In tale ottica, la finalità di imprenditorialità aggiuntiva rispetto a quella agricola tradizionale dell’attività agrituristica appare prima facie difficilmente conciliabile con la scelta di sottrarre la edificazione o ristrutturazione dei locali da utilizzare allo scopo alla partecipazione agli oneri concessori, tanto più che la capacità attrattiva di utenza che essa genera, produce inevitabilmente un maggior carico urbanistico.
10.1. Il Collegio non ignora a tale riguardo l’indirizzo espresso da questo Consiglio di Stato circa la sostanziale inapplicabilità dell’art. 17, comma 3, lettera a), del d.P.R. n. 380/2001 agli interventi funzionali all’esercizio dell’agriturismo, seppure (anche) in ragione delle indicazioni restrittive fornite al riguardo dalla legislazione regionale in materia urbanistico-edilizia (v. Cons. Stato, sez. IV, 30 agosto 2018, n. 5096, che fa ancora riferimento alla definizione di agriturismo contenuta nella l. n. 730 del 1985, non applicabile ratione temporis al caso di specie).
E tuttavia ritiene che nel mutato assetto ordinamentale conseguito alla riforma del 2006 il concetto di “conduzione del fondo” non possa che essere esso stesso mutato, sì da comprendere, tra le attività connesse, l’esercizio dell’agriturismo, come del resto fatto palese dal legislatore, ancor prima che con la relativa disciplina di settore, ridisegnando la figura dell’imprenditore agricolo.
11. La legge 5 dicembre 1985, n. 730, recante «Disciplina dell’agriturismo», è stata dunque abrogata dalla legge quadro 20 febbraio 2006, n. 96, che ne ha ripreso l’originaria definizione comprensiva di tutte le attività «di ricezione ed ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 del codice civile, singoli od associati, e da loro familiari di cui all’art. 230-bis del codice civile, attraverso l’utilizzazione della propria azienda, in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvi-coltura e di allevamento di animali» (art. 2).
11.1. L’anello di congiunzione tra la disciplina di settore e quella recante l’esenzione dai contributi di cui al d.P.R. n. 380 del 2001 è contenuto tuttavia in un diverso testo normativo, ovvero il d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, recante «Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57». Il decreto legislativo si preoccupa in primo luogo di riscrivere la definizione dell’imprenditore agricolo contenuta nell’art. 2135 c.c., introducendo la nozione di “attività connesse” a quelle tradizionali di coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento. Sono considerate «comunque connesse» le attività di « commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità», ovvero, tipicamente, quelle poste in essere nell’esercizio di un agriturismo, seppure «come definite dalla legge».
A completamento di ciò, il legislatore all’art. 3, dopo avere integrato la definizione di agriturismo riveniente (ancora) dall’art. 2 della l. n. 730 del 1985, ricomprendendovi «l’organizzazione di attività ricreative, culturali e didattiche, di pratica sportiva, escursionistiche e di ippoturismo finalizzate ad una migliore fruizione e conoscenza del territorio, nonché la degustazione dei prodotti aziendali, ivi inclusa la mescita del vino […]», si è preoccupato di fugare ogni dubbio circa la possibile riconducibilità alla “conduzione del fondo” dell’attività agrituristica in via interpretativa, prevedendo testualmente che: «3. Alle opere ed ai fabbricati destinati ad attività agrituristiche si applicano le disposizioni di cui all’articolo 9, lettera a) ed all’articolo 10 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nonché di cui all’articolo 24, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, relativamente all’utilizzo di opere provvisionali per l’accessibilità ed il superamento delle barriere architettoniche».
In sintesi, dunque, nel passaggio dal T.u.e. del 2001 alla riforma dell’agriturismo del 2006 per il tramite del d.lgs. n. 228 del 2001, si ha che l’agriturismo diviene normativamente uno dei possibili modi di pratica agricola, destinato a fruire dei medesimi benefici riservati alla stessa, purché si mantenga con essa in rapporto di correlazione, senza sopravanzarne l’esercizio nelle sue forme tradizionali.
12. Occorre ora chiarire meglio la portata innovativa della legge n. 96 del 2006, che a livello nazionale costituisce la nuova cornice di riferimento, conseguita anche alla necessità di adeguare la stessa al ridisegnato assetto delle competenze dovuto alla riforma del Titolo V della Costituzione. Essa infatti, in coerenza con il novellato art. 117 della Costituzione, che attribuisce alle Regioni le materie dell’agricoltura e del turismo, contiene solo l’enunciazione di principi generali, al dichiarato scopo di armonizzare l’attuale assetto con i programmi di sviluppo rurale dell’Unione europea, dello Stato e delle Regioni stesse. In tale contesto, assume una valenza che trascende la portata meramente programmatica che necessariamente ne connota il contenuto, l’enunciazione delle finalità generali della riforma. Figurano infatti fra le stesse la valorizzazione delle risorse specifiche di ciascun territorio, favorendo il mantenimento delle attività umane nelle aree rurali, la multifunzionalità in agricoltura, la differenziazione dei redditi agricoli, nonché le iniziative a difesa del suolo, del territorio e dell’ambiente da parte degli imprenditori agricoli attraverso l’incremento dei redditi aziendali e il miglioramento della qualità di vita. La promozione di idonee forme di turismo nelle campagne diviene dunque ancillare rispetto all’agricoltura, assumendo l’inedita veste di nuova modalità di sostegno della stessa. In tale logica, il recupero del patrimonio edilizio rurale nel rispetto delle peculiarità paesaggistiche, diviene a sua volta fattore di crescita del settore, atto a scongiurare fenomeni di abbandono, ma anche di degrado, soprattutto in determinate aree, e nel contempo incoraggiare il rinnovamento, anche generazionale, della classe imprenditoriale agricola, senza disperdere il patrimonio di tradizioni e di cultura che nell’ambito enogastronomico costituisce un’innegabile eccellenza del Paese.
12.1. Significativo a tale riguardo è il mancato riferimento nella legge del 2006, rispetto alla precedente disciplina della legge n. 730/1985, alla stagionalità dell’attività agrituristica, consentendone lo svolgimento per tutto l’anno, oppure secondo periodi stabiliti dallo stesso imprenditore agricolo. Ma soprattutto, per quanto qui di interesse, è significativo il venire meno del riferimento alla “complementarità” tra le attività agrituristiche e quelle di coltivazione del fondo o allevamento, pur rimanendo evidentemente necessaria una connessione, che presuppone comunque la prevalenza dell’attività agricola valutata in relazione al tempo di lavoro necessario per l’una e per l’altra. «Affinché l’organizzazione dell’attività agrituristica non abbia dimensioni tali da perdere i requisiti di connessione rispetto all’attività agricola», vengono dunque individuati precisi indici gestionali, difficilmente astringibili, tuttavia, se non a livello di ipotesi progettuale e indicazione programmatica, alla fase della costruzione o del recupero del fabbricato (art. 4, comma 2, ove si dettano regole, ad esempio, sulla provenienza dal fondo di parte dei prodotti utilizzati per la preparazione degli alimenti che si intendono somministrare). A ben guardare, tuttavia, il connubio tra parte strutturale e parte funzionale dell’edificio sede dell’agriturismo può essere ricercato dalle Regioni attraverso l’imposizione di regole destinate ad incidere sulla fase costruttiva. Tenuto conto, infatti, che per le attività agrituristiche possono essere utilizzati «edifici o parte di essi già esistenti nel fondo», è rimessa alle stesse l’individuazione degli « interventi per il recupero del patrimonio edilizio esistente ad uso dell’imprenditore agricolo ai fini dell’esercizio di attività agrituristiche, nel rispetto delle specifiche caratteristiche tipologiche e architettoniche, nonché delle caratteristiche paesaggistico-ambientali dei luoghi» (art. 3, rispettivamente commi 1 e 2). Laddove, però, ciò non sia in concreto avvenuto, ovvero il Comune non ne abbia fatto applicazione, è evidente che la verifica della richiesta connessione non può che venire demandata, al di là delle originarie indicazioni di massima sulla rispondenza dei locali alla finalizzazione perseguita dal richiedente, alla fase dello svolgimento dell’attività.
13. In effetti, la disciplina regionale invocata da entrambe le parti è proprio quella che attiene all’esercizio dell’agriturismo, ovvero al momento dinamico dello svolgimento dell’impresa, piuttosto che a quello statico del suo insediamento. Trattasi di un certo numero di articoli (da 150 a 164) costituenti il Titolo X della l.r. 5 dicembre 2008, n. 31, recante Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale, pubblicato sul B.U.R.L. del 10 dicembre 2008, la cui rubrica è stata di recente modificata mediante utilizzo della significativa espressione «Multifunzionalità dell’azienda agricola e diversificazione in agricoltura». Ad essa ha fatto seguito il previsto Regolamento attuativo, n. 4 del 6 maggio 2008, a sua volta variamente interpolato, che fornisce importanti indicazioni di dettaglio soprattutto avuto riguardo alla parte procedimentale di acquisizione dei titoli di legittimazione necessari, superando così la previgente disciplina, contenuta nella l.r. 31 gennaio 1992, n. 3, il cui Regolamento attuativo era il n. 8 del 2001.
14. Va peraltro precisato che in realtà la vicenda di cui è causa si è sviluppata pressoché interamente in epoca antecedente l’entrata in vigore della l.r. n. 31 del 2008, stante che la richiesta del primo permesso di costruire è del 3 ottobre 2005, quella della variante del 30 marzo 2007, e i titoli di riferimento a loro volta datano rispettivamente 2 marzo 2006 e 20 marzo 2008. Finanche la prima richiesta di restituzione degli oneri è stata presentata in data 30 aprile 2008, dunque prima dell’entrata in vigore della l.r. n. 31. La ricordata natura di Testo unico della legislazione regionale non assorbe certo nella sua portata compilativa, neutralizzandoli, gli elementi di novità necessariamente imposti dalla sopravvenienza della l. n. 96 del 2006, le cui finalità e definizioni vengono pure formalmente richiamate (v. ad esempio artt. 150 e 151).
15. La nozione di “connessione”, con riferimento alla quale la legge quadro n. 96 del 2006, fissa solo dei “paletti” in termini generali, è stata declinata dunque successivamente alla definizione dei procedimenti di cui è causa nell’art. 152 della l.r. n. 31 del 2008, con riferimento allo svolgimento delle attività agrituristiche, non all’edificazione o all’adeguamento dei locali ad esse destinati («Gli imprenditori agricoli che intendono svolgere attività agrituristiche si dotano di una certificazione comprovante la connessione dell’attività agrituristica rispetto a quella agricola che rimane prevalente […]»). Il concetto di prevalenza, a sua volta, si realizza «quando il tempo impiegato per lo svolgimento dell’attività agrituristica nel corso dell’anno solare è inferiore al tempo impiegato nell’attività agricola nel medesimo periodo». Al regolamento attuativo è demandata la specificazione dei criteri per la valutazione del rapporto di connessione tra le attività agricole e le attività agrituristiche, utilizzando il parametro “tempo di lavoro”, tenuto conto delle peculiarità del territorio e delle diverse produzioni agricole, nonché, con riferimento alla somministrazione di pasti e bevande, tenuto conto dell’offerta enogastronomica e della promozione dei prodotti agroalimentari regionali. Lo stesso vi ha provveduto limitandosi, per la parte strutturale, a prevedere che la richiesta del certificato, redatta utilizzando uno schema approvato con decreto del dirigente della struttura regionale competente, rechi «la specificazione dei fabbricati nella disponibilità dell’azienda che si intendono destinare all’attività agrituristica, compresa l’eventuale abitazione dell’imprenditore, con l’identificazione catastale dei fabbricati, la loro destinazione urbanistica, ed una rappresentazione grafica degli stessi».
Né d’altro canto il sistema era diverso con riferimento alla “complementarità”, incidendo la diversità della dizione sulla sostanza del legame necessario, non sulle modalità di verifica dello stesso, ovvero sui ritenuti indici di sussistenza, programmabili nella fase iniziale, verificabili in concreto solo nella successiva.
15.1. Del resto, delle possibili conseguenze del passaggio dalla “complementarità” alla “connessione” il Comune non sembra darsi cura alcuna, dal momento che da un lato ritiene decisiva la portata limitativa della prima certificazione provinciale, prot. n. 35759 del 29 maggio 2007, di complementarità, appunto, – resa invero a complementarità già scomparsa dal panorama giuridico nazionale – riferita solo all’accoglienza e alla somministrazione della colazione agli ospiti, seppure essa stessa sopravvenuta alla variante; dall’altro disconosce valenza a quelle (di connessione) rilasciate nel 2010, a lavori ultimati, sia in quanto egualmente postume, sia in quanto comprensive dell’immobile nella sua interezza, senza alcun distinguo tra porzioni del fabbricato.
16. E’ di tutta evidenza come il necessario scorporo del procedimento in due fasi, delle quali una -quella edilizia- necessariamente propedeutica alla seconda - quella gestionale - si presti a possibili usi fraudolenti, come paventato dalla difesa civica, e come tipico di qualsivoglia percorso atto a facilitare l’insediamento di attività a condizioni date con agevolazioni che non opererebbero ove le stesse fossero esercitate in maniera per così dire ordinaria (si pensi, a mero titolo di esempio, all’esercizio della somministrazione ai soli soci nei circoli privati, che è consentita nei locali a destinazione residenziale, ovvero ai requisiti meno stringenti richiesti per la vendita di prodotti di gastronomia agli esercizi di vicinato, rispetto ai bar o ristoranti veri e propri). Ma tali deviazioni dalla funzione attengono alla patologia della fattispecie, ben potendo essere perseguite sul piano sanzionatorio, in via diretta, irrogando le sanzioni espressamente previste dal legislatore, e in via per così dire mediata, stante che il travalicamento dei confini del titolo di legittimazione di un’attività, ove non occasionale o sporadico, lo rende tamquam non esset, con quanto ne consegue sul piano della coerenza della destinazione d’uso dei locali all’uopo utilizzati, evidentemente mutata, seppure solo in senso funzionale. Di ciò è conferma nel sistema sanzionatorio declinato dalla legge regionale n. 31 del 2008, che in particolare all’art. 162 prevede espressamente, per chi esercita l’attività agrituristica in mancanza di uno o più requisiti richiesti per il relativo svolgimento, il divieto di prosecuzione «fintanto che non venga ripristinata la sussistenza di tutti i requisiti e comunque per un periodo non inferiore a due mesi ed è revocato il certificato di connessione», che fa venire meno la riconducibilità della stessa all’attività agricola e quindi anche la conformità urbanistica dei locali.
17. Quanto appena detto consente di richiamare l’ultima questione di rilievo attinta dall’odierna controversia, ovvero la disciplina della destinazione d’uso degli immobili da adibire ad agriturismo. L’art. 3, comma 3, della l. n. 96 del 2006, prevede infatti che «I locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilati ad ogni effetto alle abitazioni rurali». A ciò ha fatto eco, nella Regione Lombardia, la previsione di cui all’art. 154 della l.r. n. 31 del 2008, ai sensi del quale «1. Possono essere utilizzati per attività agrituristiche tutti gli edifici in possesso del requisito di ruralità rilevante ai fini fiscali, già esistenti da almeno tre anni, a condizione che la loro destinazione all’attività agrituristica non comprometta l’esercizio dell’attività agricola. 2. Gli edifici rurali di cui al comma 1 sono compatibili con ogni destinazione d’uso prevista dagli strumenti urbanistici comunali e sovracomunali». Pertanto gli interventi effettuati in funzione della conduzione del fondo agricolo, nella sua modalità “connessa” di esercizio di attività agrituristica, non richiedono -recte, non richiedono più -un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, essendo l’insediamento compatibile con l’utilizzo delle abitazioni rurali e ferme restando le indicazioni, necessariamente di dettaglio, rivenienti dalla singola pianificazione urbanistica.
18. Chiarito quanto sopra, il Collegio può ora scendere ad un’analisi di ancora maggior dettaglio della fattispecie in controversia, in comparazione con il paradigma normativo, nel suo variegato atteggiarsi.
Non privo di conseguenze è in primo luogo lo sviluppo del procedimento edilizio “a cavallo” tra i due distinti regimi giuridici, ovvero quello della complementarità, ancora in vigore al momento della presentazione della istanza di rilascio del primo permesso, e quello della connessione, ormai pienamente operante, invece, almeno a livello nazionale, quando è stata presentata la variante. La problematica di diritto intertemporale conseguitane, che avrebbe potuto attrarre ridetta variante, proprio in quanto tale, alla disciplina vigente al momento dell’istruttoria della prima domanda, non è in alcun modo attinta nelle motivazioni dell’atto impugnato, che si limita ad insistere sulla suddivisone del procedimento di ristrutturazione in due segmenti autonomi e contenutisticamente distinti. La difficoltà, tuttavia, di far leva solo ex post su una frammentazione di cui non è traccia in atti, neppure sub specie di interlocuzione istruttoria con la proprietà, risulta finanche dal richiamo, a corroborare la motivazione del diniego, di apposito parere legale richiesto allo scopo, arrivando poi a censurare l’accatastamento dell’intero complesso in categoria D/10, “fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole”, nonché, come già ampiamente chiarito, l’estensione delle certificazioni di “connessione”.
19. Al contrario, ridetta originaria valutazione unitaria è documentata perfino dall’avvenuta accettazione, senza alcuna richiesta aggiuntiva, della richiesta di variante a firma di persona diversa (la signora Leda Manfredini, unica munita della qualifica di imprenditrice agricola, comunque necessaria) da quella che aveva domandato ed ottenuto il primo permesso di costruire (il figlio, signor Gianni Ferramola, di professione farmacista e come tale estraneo all’impresa agricola). Salvo poi invocare anche tale circostanza, necessitante di effettivo approfondimento istruttorio a tempo debito quanto meno sul piano formale, quale motivo ostativo alla gratuità del primo permesso di costruire, in verità solo accennato nell’atto di appello (e come tale da considerare intruso) oltre che estraneo al contenuto dell’atto impugnato, del quale pertanto costituirebbe inammissibile integrazione postuma.
20. D’altro canto, la variante in corso d’opera è tipologicamente l’apposito strumento approntato dal legislatore per “correggere” il contenuto del titolo edilizio originariamente richiesto, adeguando il progetto originario ancora in itinere, prima della chiusura dei lavori, ad esigenze pratiche riscontrate in corso di esecuzione, senza variarne radicalmente il contenuto, innovandolo. La relativa disciplina, di cui all’art. 22, comma 2, ultimo periodo, del d.P.R. n. 380/2001, prevede che essa costituisca «parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale», consentendone l’avallo previa d.i.a. (oggi s.c.i.a.), quanto meno per quelle che «non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire» (il riferimento alla sagoma è stato successivamente eliminato, salvo si tratti di edificio sottoposto a vincolo ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42). Come la Sezione ha già avuto modo di precisare, cioè, (v. Cons. Stato, sez. II, 28 agosto 2020, n. 5288), si tratta di una categoria concettuale elaborata dalla giurisprudenza anche in negativo rispetto alla nozione, attinente il diritto sanzionatorio, di variazione essenziale, che sussiste invece allorquando le modifiche, sia qualitative che quantitative, apportate al progetto originario, mutino radicalmente nei suoi lineamenti di fondo, sulla base di vari indici quali la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali (interne ed esterne) del fabbricato (cfr. ancora Cons. Stato, sez. II, 14 aprile 2020, n. 2381; id., 22 luglio 2019, n. 5130).
21. La finalizzazione unitaria degli interventi richiesti dalla proprietà (ristrutturazione del fabbricato principale e modifiche progettuali di quella del fabbricato accessorio, il tutto connotato come ristrutturazione complessiva dell’immobile) risulta per tabulas dalla lettura comparata delle relazioni tecniche allegate alla prima e alla seconda istanza. La prima infatti parla chiaramente della necessità di reperire «nuovi locali necessari all’attività di ristorazione», nel contempo preannunciando un «progetto della sala di ristorazione da collocarsi all’interno del fabbricato principale»; la seconda, ancor più in dettaglio, reca l’intento di «ottimizzare i processi di somministrazione cibo e i percorsi di collegamento al fabbricato principale», che si vogliono ora ristrutturare proprio «al fine di adattare i locali e i relativi percorsi di collegamento all’attività di ristorazione sopraccitata». Attraverso la variante, cioè, si va a «completare il processo di trasformazione della residenza agricola al fine di mutarne la destinazione d’uso per avviare l’attività agrituristica».
22. L’atto impugnato indica come primo motivo di rigetto della richiesta di restituzione dei contributi concessori la conformità del permesso di costruire n. 2005/019 al vigente P.R.G. approvato con delibera di Consiglio comunale n. 22 del 5 aprile 2005 in ragione delle indicazioni rivenienti dalla scheda di vincolo dell’immobile (che consentirebbe la costruzione anche di pubblici esercizi, quali ristoranti o pizzerie). Tale esplicitazione, non richiesta né necessaria, se non del tutto eterogenea rispetto alla funzione del provvedimento, finisce per adombrare molti più dubbi di quanti non ne risolva, stante che di ridetta scheda non è fatta menzione nel provvedimento, sì da valorizzarne la portata di deroga puntiforme al regime giuridico della zona, che vuole come compatibili solo le destinazioni abitative o a servizio dell’agricoltura (v. artt. 53.11 e 56.6 delle N.T.A. al P.R.G.). Né la difesa civica ha inteso soffermarsi sulla questione, seppure espressamente sollevata dalla controparte, sicché la scelta in variante, vuoi che sia stata frutto di una rettifica terminologica (riconduzione della nozione di ristorazione alla accezione di somministrazione di alimenti e bevande in ambito agrituristico, e non commerciale), vuoi che sia conseguita ad un effettivo ripensamento, presumibilmente indotto dalle ravvisate maggiori possibilità di accedere al sistema dell’agriturismo, finisce per apparire comunque più coerente con il documentato assetto del territorio, di quanto non lo sia l’insistita persistenza nello stesso complesso di un insediamento produttivo a vocazione commerciale “pura”.
22.1. Vero è peraltro che la classificazione “commerciale” del fabbricato secondario, non figura affatto nel permesso di costruire del 2006, che reca una assai più generica dicitura “cambio di destinazione d’uso di edificio”, senza precisarne il punto di approdo, laddove essa era chiaramente esplicitata nella scheda progettuale del professionista di parte, tutt’affatto vincolante sul piano della qualificazione giuridica dell’intervento per l’Amministrazione procedente. In assenza di richiami al regime giuridico di zona, dunque, neppure appare chiaro se nell’istanza e nel titolo si intendesse davvero fare riferimento al classamento urbanisticamente rilevante oggi tipizzato nell’art. 23 ter del d.P.R. n. 380 del 2001, piuttosto che, attingendo ad un gergo di uso comune (“ristorazione”) alle facoltà espansive dell’attività agrituristica. Di certo vi è che con la variante la destinazione finale è quella funzionale alla stessa, senza alcun distinguo, ovvero sia con riferimento al fabbricato principale, per il quale neppure sarebbe più stata necessaria, giusta le sopravvenienze di favore contenute nell’art. 3 della l. n. 96 del 2006, sia per quello secondario, già oggetto di lavori di trasformazione da residenza a cucina/ristorante.
23. Infine, nessun rilievo in senso ostativo può assumere il contrasto tra la astratta capienza del locale di ristorazione (potenziali 130 posti a sedere) con quella concretamente legittimata dalla Provincia al fine di mantenere la necessaria connessione con l’attività agricola (50 pasti al giorno per 5 giorni alla settimana, su 260 giorni all’anno). Il concetto di “capienza”, infatti, intrinseco alla nozione di agibilità dei locali di pubblico spettacolo o trattenimento, ma estraneo a quelli di somministrazione di alimenti e bevande, sottoposti piuttosto a un vaglio qualitativo di rispondenza a requisiti igienico-sanitari e di aerazione, assurge a limite negativo al di sopra del quale, appunto, si spezza il rapporto di connessione nella accezione giuridica richiesta dal legislatore perché l’attività di agriturismo possa essere considerata parte di quella agricola, fruendo anche dei relativi benefici procedimentali. Essa, cioè, finisce per costituire un obiettivo strumento di supporto all’operato dell’organo di controllo, in quanto agevolmente riscontrabile. Pertanto le preoccupazioni legalistiche dell’Amministrazione appellante possono trovare agevole conforto programmando una seria attività di vigilanza volta a verificare il mancato sconfinamento della gestione agrituristica proprio in quella ristorazione di tipo stricto sensu commerciale che il Comune avrebbe voluto mantenere in loco, certamente incompatibile con l’attuale destinazione d’uso dell’immobile.
24. Appare dunque condivisibile l’affermazione del primo giudice (punto (g) della motivazione) laddove afferma che «la circostanza che le certificazioni provinciali siano intervenute dopo la conclusione dei lavori non ha alcun rilievo negativo sul piano urbanistico, in quanto il rispetto delle condizioni relative all’attività agrituristica deve essere necessariamente verificato nel momento in cui l’attività aziendale viene organizzata».
25. In sintesi, dallo sviluppo, senza soluzione di continuità, del complessivo progetto di ristrutturazione dell’immobile con finalità di agriturismo, da ultimo certificata in termini di connessione con quella agricola svolta dalla signora Leda Manfredini dalla Provincia di Mantova, consegue che lo stesso è stato richiesto e realizzato “in funzione” della conduzione del fondo, e conseguentemente fruisce del regime di esenzione dal contributo di costruzione di cui all’art. 17, comma 3, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001.
26. Per tutto quanto sopra detto, l’appello deve essere respinto e per l’effetto deve essere confermata la sentenza del T.A.R. per la Lombardia, sede di Brescia, n. 801 del 2014 di accoglimento del ricorso n.r.g. 1631 del 2011, con conseguente condanna del Comune di San Giacomo delle Segnate a restituire la somma di euro 8.395,40, oltre interessi dalla data della presentazione dello stesso al saldo.
27. La complessità delle questioni giuridiche trattate giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Italo Volpe, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Antonella Manzione
Gianpiero Paolo Cirillo
IL SEGRETARIO