Istanza di permesso di costruire - TAR Lazio, sez. II bis, sent. n. 8096 del 09.06.2015
Pubblico
Venerdì, 12 Giugno, 2015 - 02:00
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda Bis), sentenza n.8096 del 9 giugno 2015, istanza di permesso di costruire
N. 08096/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01206/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1206 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
...ti, rappresentato e difeso dall'avv. Avilio Presutti, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, p.zza San Salvatore in Lauro, 10;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Luigi D'Ottavi, dell’Avvocatura comunale e presso la stessa domiciliata in Roma, Via Tempio di Giove, 21;
per l'annullamento
con il ricorso introduttivo
della determinazione dirigenziale n. 970 del 21 settembre 2012 di Roma Capitale, con la quale era rigettata la domanda di permesso di costruire relativamente all’istanza presentata dal ricorrente per la realizzazione di tre fabbricati quadrifamiliari nell’immobile sito in Roma, via Giolito de’ Ferrari, loc. Trigoria;
della deliberazione della G.R.Lazio n. 608 del 1997, di approvazione del PP in variante al PRG per il Nucleo 46 Selcetta Trigoria;
di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale;
e per la condanna
dell’Amministrazione al risarcimento dei danni;
e con i motivi aggiunti, notificati il 24 aprile 2014:
della determinazione dirigenziale n. 452/2014 del 20 marzo 2014 di Roma Capitale, con cui era respinta nuovamente l’istanza di permesso di costruire;
nonché per la declaratoria di inapplicabilità
dell’art. 62 comma 8, 22, 83 delle NTA del PRG di Roma Capitale;
di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2015 il Consigliere Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso indicato in epigrafe, l’istante, premesso di essere proprietario dei terreni sopra descritti, catastalmente indicati al foglio 1155 part.lle 505, 506, 508, 65, esponeva che il procedimento per il rilascio del permesso di costruire, avviato con istanza del 16 novembre 2009, si era concluso con il provvedimento di rigetto del 2012, come su specificato, in ragione della destinazione dell’area d’interesse a zona “N” verde pubblico; pertanto, il ricorrente censurava il predetto provvedimento, deducendo che esso era stato assunto ormai decorso il termine previsto dall’art. 20, l. n. 241 del 1990 e, dunque, ormai formatosi il silenzio significativo, senza che fosse stata correttamente svolta l’istruttoria e la comparazione degli interessi coinvolti, proprie del procedimento di autotutela. Deduceva, ancora, il difetto di motivazione e l’eccesso di potere, sotto vari profili.
Si costituiva l’Amministrazione per resistere.
Con ordinanza cautelare n. 2101 del 2013, il TAR – in accoglimento della domanda del ricorrente – rilevata la mancanza della concreta valutazione sulla permanenza dell’interesse pubblico sotteso, disponeva il riesame.
Sicché, con il secondo provvedimento n. 452 del 2014, l’Amministrazione disponeva un nuovo diniego, in quanto in sede di istruttoria tecnica, era rilevato il contrasto con l’art. 62, comma 8, NTA.
Avverso tale atto, l’istante proponeva motivi aggiunti, censurando l’illegittimità della nuova determinazione per i seguenti profili:
1 – violazione ed elusione dell’ordinanza n. 2101 del 2013, nonché dell’art. 21 septies, l. n. 241 del 990; difetto di istruttoria e di motivazione, perché l’Amministrazione avrebbe omesso nuovamente la valutazione dell’attualità del vincolo a verde pubblico;
2 – violazione e falsa applicazione dell’art. 17, l. n. 1150 del 1942, nonché dell’obbligo dell’Amministrazione di provvedere alla nuova pianificazione urbanistica; violazione del principio di buon andamento e di trasparenza dell’attività amministrativa;
3 – violazione della medesima norma, oltre che dell’art. 9, d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 12, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; illogicità, disparità di trattamento, carenza di istruttoria, difetto di motivazione e sviamento, poiché decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano particolareggiato, questo diverrebbe inefficace per la parte inattuata, rimanendo fermo a tempo indeterminato, solo l’obbligo di osservare nella costruzione dei nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso; inoltre sarebbe illogico lasciare il vincolo a verde pubblico per la proprietà del ricorrente in un contesto altamente edificato;
4 – violazione degli artt. 3 e 10 bis, l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per carenza istruttoria e difetto di motivazione;
5 – ancora violazione del principio della compensazione urbanistica; travisamento dei fatti e carenza dei presupposti, illogicità ed irragionevolezza.
Resisteva l’Amministrazione, in primo luogo evidenziando che gli artt. 62 comma 8, 22, 83 delle NTA del PRG di Roma Capitale prevedono che, dopo la decadenza degli strumenti urbanistici approvati per decorrenza del periodo di efficacia e fino all’eventuale ri-pianificazione, ai sensi dell’art. 17, l. n. 1150 del 1942, alle parti non attuate continua ad applicarsi la stessa disciplina salvo che sulle aree destinate all’espropriazione ove potrà applicarsi il meccanismo della cessione compensativa.
Tale principio dovrebbe, peraltro, essere inteso come teso al rispetto del generale dettame di buon andamento dell’azione amministrativa. Contestava, inoltre, la sussistenza del preteso obbligo di ripianificazione.
Ancora, in via preliminare, Roma Capitale contestava la tempestività dell’impugnazione dell’art. 62 sopra cit..
E, nel merito, controdeduceva l’idoneità della motivazione.
A seguito di ulteriori memorie, la causa era, dunque, trattenuta in decisione all’udienza di discussione del 25 febbraio 2015.
DIRITTO
I – Osserva il Collegio, innanzitutto, che il primo ricorso deve essere dichiarato in parte improcedibile, con riferimento alla domanda di annullamento della determinazione n. 970 del 2012.
Infatti, come si è esposto in fatto, il primo provvedimento risulta ormai completamente superato dal secondo atto di rigetto, gravato con i motivi aggiunti.
Emerge chiaramente che il provvedimento del 2014 è stato emanato a seguito di un nuovo esame svolto dall’Amministrazione in esecuzione dell’ordinanza incidentale di sospensione degli effetti del primo provvedimento di rigetto.
Né può intendersi che Roma Capitale abbia voluto eludere il disposto cautelare (come invece dedotto con il primo dei motivi aggiunti), in quanto anzi ha disposto una nuova verifica.
Brevemente, per ragioni di economia processuale, deve evidenziarsi che mancano i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria. Infatti, in disparte ogni valutazione sull’indeterminatezza della pretesa azionata, va posto in luce come il provvedimento emesso in sede cautelare è intervenuto al fine proprio di rimettere al vaglio dell’Amministrazione l’analisi in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico al mantenimento del vincolo di cui si tratta.
II – Svolte siffatte premesse, deve rilevarsi che l’eccezione d’inammissibilità in ordine alle censura dell’art. 62 NTA non può trovare accoglimento, in quanto deve intendersi che la lesività della disposizione sulla posizione del singolo deve ritenersi realizzata nel momento dell’espressione del provvedimento di rigetto.
III – Passando, dunque, all’esame dei successivi motivi, risulta infondata la pretesa di parte ricorrente in ordine alla sussistenza di un obbligo dell’Amministrazione comunale di procedere ad una nuova pianificazione attuativa.
Infatti, la giurisprudenza (decisioni dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 2 aprile 1984, n. 10 del 30 aprile 1984 e il n. 12 dell'11 giugno 1984) ha chiarito che la cessata efficacia di un piano attuativo , in tutto o in parte non eseguito, non rende l’area interessata priva di disciplina urbanistica, alla stregua delle c.d. zone bianche (con la previsione di cui all’art. 4, ultimo comma, della legge 29.1.1977, n. 10, poi art. 9, d.P.R. n. 380 del 2001, che trova giustificazione laddove manchi qualsiasi programmazione d’uso del territorio).
Al contrario, deve farsi riferimento al PRG per individuare i limiti dell’uso del territorio, mentre dovrà essere oggetto di valutazione il persistere della necessità di ulteriore pianificazione attuativa, soprattutto attraverso l’analisi della completa ed idonea realizzazione delle opere di urbanizzazione.
La decisione in ordine all’emanazione di una nuova pianificazione attuativa spetta dunque all’amministrazione, nell’ambito dell’esercizio della propria discrezionalità e della valutazione tecnica dell’adeguatezza dello sviluppo urbanistico ed edificatorio.
Come correttamente affermato dalla difesa comunale, infatti, l’eventuale presenza delle opere di urbanizzazione determina la non necessaria emanazione di un nuovo piano attuativo.
Detto ciò, risulta dal disposto normativo, come l’edificazione non sia di per sé inibita, ove – in condizioni di adeguata urbanizzazione – il progetto edificatorio rispetti le scelte di piano.
La giurisprudenza (CdS, Sez. IV, sentenza 19 febbraio 2007, n. 851) ha chiarito che ai sensi degli artt. 16, 17 e 28 della legge n. 1150 del 1942, l’efficacia dei PP ha un termine entro il quale le opere debbono essere eseguite. Tuttavia, dove il detto piano abbia avuto attuazione, con la realizzazione di strade, piazze ed altre opere di urbanizzazione, l’edificazione residenziale è consentita secondo un criterio di armonico inserimento del nuovo nell’edificato esistente (seconda parte del primo comma, art. 4, l. n. 10 del 1977), e cioè in base alle norme del piano attuativo scaduto che mantengono la loro integrale applicabilità (CdS, Sez. V, sentenza 15 marzo 2006, n. 1375). Sicché il decorso del termine di efficacia del piano non si contrappone ed, anzi, si completa con l’espressa previsione del cit. art. 17 della l. n. 1150 del 1942, secondo il quale continua a rimanere fermo a tempo indeterminato il contenuto inerente alle prescrizioni di zona, nel rispetto sia dell’interesse pubblico per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, sia di quello volto all’edificazione dei lotti.
La norma predetta, in vero, ha l’effetto di far venir meno i vincoli espropriativi, in applicazione del principio generale della loro temporaneità, mentre lascia impregiudicata l’applicabilità delle previsioni che disciplinano l’attività edilizia privata.
Alla luce di tali argomenti ermeneutici della disciplina generale, trovano, dunque, riscontro le disposizione delle NTA censurate.
IV - Lungi dal costituire una violazione dell’art. 17 della l. u., come ora previsto nel t.u. dell’edilizia, l’attività edilizia è consentita nel rispetto delle prescrizioni di zona, sul presupposto dell’attuazione dell’urbanizzazione.
Appare, peraltro, congrua la differenziazione stabilita con riferimento ai vincoli espropriativi, alla luce del principio richiamato di temporaneità degli stessi a salvaguardia dei diritti dominicali.
V - Tuttavia, con riferimento al caso che occupa, va, altresì, precisato che la Corte costituzionale (con la sentenza 20 maggio 1999, n. 179) ha affermato che sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l'alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene.
La sentenza fa specificamente riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato.
In tal senso si è, dunque, consolidato l’orientamento giurisprudenziale (cfr. Cons. St. Sez. IV 29 agosto 2002 n. 4340, id. 30 giugno 2005 n. 3524; id. 12 maggio 2010 n. 2843) nell’affermare che sono vincoli preordinati all'espropriazione o di carattere sostanzialmente espropriativo solo quelli che implicano uno svuotamento incisivo della proprietà, mentre non lo sono i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento.
E, dunque, le destinazioni a parco urbano, a verde urbano, a verde pubblico, a verde pubblico attrezzato, a parco giochi e simili si pongono al di fuori dello schema ablatorio - espropriativo e costituiscono espressione di potestà conformativa (avente validità a tempo indeterminato), quando lo strumento urbanistico consente di realizzare tali previsioni, non già ad esclusiva iniziativa pubblica, ma ad iniziativa privata o promiscua pubblico - privata, senza necessità di ablazione del bene.
V - Per quanto, sin qui specificato, devono ritenersi, dunque, infondate anche le ulteriori censure di cui al terzo punto dei motivi aggiunti.
Risulta, altresì, infondato il richiamo alla vicenda espropriativa.
VI – Per quanto concerne l’idoneità della motivazione, ritiene il Collegio che il provvedimento risulta adeguatamente motivato sia con riferimento alle disposizioni, che con il richiamo alla proposta di reiezione del Responsabile tecnico del procedimento.
VII - Da ultimo, vale notare che, ai fini delle garanzie partecipative, è sufficiente che l’Amministrazione dia conto della valutazione delle deduzioni della parte interessata, sia pur succintamente.
VIII – Il ricorso per motivi aggiunti, per le ragioni sin qui evidenziate, deve essere respinto.
Tuttavia, in considerazione della complessità della fattispecie e del succedersi di provvedimenti, sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:
1 – dichiara, in parte, improcedibile il ricorso ed, in parte, lo respinge, come specificato in motivazione;
2 – respinge il ricorso per motivi aggiunti;
3 – compensa le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Domenico Lundini,Presidente FF
Solveig Cogliani,Consigliere, Estensore
Antonella Mangia,Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/06/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)