Mancata proroga permesso di costruire - TAR Lazio, sez. II-quater, sent. n.6899 del 12.05.2015
Pubblico
Martedì, 12 Maggio, 2015 - 02:00
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda Quater), sentenza n.6899 del 12 maggio 2015 sulla mancata proroga permesso di costruire
N. 06899/2015 REG.PROV.COLL.
N. 05560/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5560 del 2014, proposto da:
Società Ncc Costruzioni Camilluccia S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Mario Lupi, Dario La Torre, Giuseppe Lavitola, Claudio Manzia, con domicilio eletto presso Mario Lupi in Roma, Lungotevere dei Mellini, 10; Maria Rosa D'Incecco, Teresa Maria Luisa Pia D'Aprile, rappresentati e difesi dagli avv. Dario La Torre, Giuseppe Lavitola, Mario Lupi, Claudio Manzia, con domicilio eletto presso Mario Lupi in Roma, Lungotevere dei Mellini, 10;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa per legge dall'avv. Andrea Camarda, elettivamente domiciliata in Roma, Via Tempio di Giove, 21;
nei confronti di
Amelia Dulbecco, rappresentata e difesa dagli avv. Giampaolo Maria Cogo, Giovanni Cogo, con domicilio eletto presso l’avv. Giampaolo Maria Cogo in Roma, Via Antonio Bertoloni, 1/E;
Paola Mazzola, Claudia Foglietti, Simona Foglietti, rappresentati e difesi dall'avv. Pasquale Frisina, con domicilio eletto presso l’avv. Pasquale Frisina in Roma, Via Gaetano Donizetti, 7;
per l'annullamento
della determinazione dirigenziale n. 218 del 17.02.2014, con la quale non è stata accolta la proroga dei termini di validità del permesso di costruire n. 759 del 5.09.2007.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e di Amelia Dulbecco e di Paola Mazzola e di Claudia Foglietti e di Simona Foglietti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 novembre 2014 la dott.ssa Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, la società ricorrente impugna il provvedimento con cui il Dipartimento della programmazione e attuazione urbanistica di Roma Capitale – Direzione edilizia, ha disposto, in data 17.2.2014, il diniego di proroga dell’efficacia del permesso di costruire n. 759 rilasciato in data 5.9.2007 per la realizzazione di un edificio a destinazione mista, sito nell’immobile in via della Camilluccia, n. 535 originariamente in favore dei signori Vincenzo D’Incecco e Teresa D’Aprile Maria Luisa Pia, danti causa dell’odierna ricorrente.
Si legge nel provvedimento impugnato che:
- la data di inizio lavori era fissata al 6.9.2008;
- in data 28.3.2011, i signori D’Incesso e D’Aprile presentavano istanza di proroga del permesso di costruire segnalando che era stata ordinata la sospensione dei lavori da parte del Tribunale di Roma nell’ambito di un procedimento cautelare ex artt. 688 e 689 bis c.p.c., promosso dai proprietari limitrofi per ragioni di ordine statico degli immobili confinanti, e che era stata disposta anche la sospensione da parte degli uffici del comune di Roma;
- in data 5.4.2011, l’amministrazione comunicava agli istanti la presa d’atto dei fatti esposti, con riserva di ulteriore istruttoria;
- con ordinanza del 15.2.2012, il Tribunale di Roma definiva il procedimento cautelare condannando i signori D’Incecco e D’Aprile ad eseguire la definitiva messa in sicurezza del pendio confinante con la proprietà dei ricorrenti. Secondo il Tribunale, infatti, le ragioni di dissesto del terreno erano da ricondurre al comportamento tenuto dai resistenti nel progettare ed eseguire lavori assolutamente inidonei a garantire i fondi vicini;
- pertanto, non sono stati riconosciuti i presupposti di cui all’art. 15 D.P.R. n. 380/2001 per la concessione della proroga del permesso di costruire in quanto, alla luce della decisione del Tribunale di Roma, la sospensione dei lavori sarebbe da ricondursi alla responsabilità dei titolari del permesso di costruire, non riconoscendosi – come richiesto dai proprietari nelle memoria ex art. 10 bis – la sussistenza di una causa di forza maggiore in quanto l’inidoneità dei lavori non sarebbe dipesa da una asserita “sorpresa geologica”.
Avverso detto provvedimento la società ricorrente, nonché gli originari proprietari, hanno proposto ricorso, allegando le seguenti ulteriori circostanze:
- che in data 19.9.2008 veniva disposta la sospensione del permesso di costruire in questione da parte del Presidente della sez. II bis, con provvedimento monocratico cautelare, poi confermato con ordinanza collegiale del 9.10.2008;
- che detta sospensione è durata fino al 17.6.2009, data di pubblicazione della sentenza della sez. II bis, n. 5747/2009 di rigetto dei ricorsi contro il permesso di costruire.
- che la ripresa dei lavori veniva nuovamente interrotta in data 18.3.2010 a causa del fonogramma dei Vigili del fuoco, con cui era stata disposta la sospensione dei lavori di cantiere per ragioni di ordine statico nonché dell’ordinanza del Tribunale di Roma del 22.3.2010;
- che dopo l’adozione della ordinanza del 15.2.2012 con cui il Tribunale di Roma ordinava l’esecuzione di opere di messa in sicurezza dell’area oggetto dell’intervento, la società NCC, resasi acquirente dell’area, dava corso alla complessa progettazione per l’esecuzione dei lavori di messa in sicurezza, confidando nel rilascio della proroga da parte del comune;
- che nel frattempo era stato avviato, in data 4.4.2011, dalla Soprintendenza un procedimento per la dichiarazione di area di notevole interesse pubblico, procedimento conclusosi solo il 10.9.2013 in senso negativo, ovvero senza l’imposizione di alcun vincolo;
- che dopo aver ricevuto il preavviso di diniego di proroga, le interessate presentavano, in data 21.11.2013, osservazioni e controdeduzioni, segnalando che:
1) il preavviso trascurava le altre ragioni di sospensione per le quali era stata richiesta la proroga;
2) l’impossibilità di addossare alla parte istante la durata del procedimento cautelare;
3) che la sospensione disposta in sede civile era da ricondurre a fatti estranei alle ricorrenti, costituiti dalla sorpresa geologica consistente nelle caratteristiche del terreno a monte dei confinanti;
- che le interessate presentavano inoltre, in data 9.1.2014, delle osservazioni integrative; seguiva quindi un incontro, tenutosi il giorno 6.2.2014, nel corso del quale le ricorrenti preannunciavano la produzione di ulteriore documentazione; tale deposito è stato effettuato il 20.2.2014 ma nel frattempo Roma Capitale comunicava il diniego di proroga impugnato nel presente giudizio.
Tanto premesso, le ricorrenti deducono:
1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis l. 241 del 1990, eccesso di potere per vizio del procedimento e sviamento, violazione dei principi di imparzialità e buon andamento, in quanto le ultime osservazioni preannunciate all’incontro del 6.2.2014, relative alla proposizione dinanzi al Tribunale di Roma del giudizio di merito, a seguito della fase cautelare conclusasi con ordinanza del 15.2.2012, e depositate il 20 febbraio 2014, non venivano prese in considerazione dall’amministrazione che adottava invece il provvedimento in data 17.2.2014; pertanto, alle ricorrenti veniva impedito di poter rappresentare e documentare in modo completo le loro ragioni, ai sensi dell’art. 10 bis l. 241/90;
2) eccesso di potere per errore e travisamento dei fatti e dei presupposti e violazione dell’art. 15 del DPR n. 380 del 2001 perché l’ordinanza del Tribunale di Roma del 15.2.2012 è ancora sub iudice nella fase di merito e dunque essa non poteva essere assunta a presupposto di un comportamento ascrivibile al titolare del permesso;
3) eccesso di potere per errore e travisamento dei fatti e dei presupposti e violazione dell’art. 15 del DPR n. 380 del 2001, violazione del giusto processo e della ragionevole durata garantiti dall’art. 111 Cost. in quanto la durata del procedimento cautelare non può essere ricondotta alla volontà del titolare del permesso che non può minimamente influirvi; in ogni caso, poi, alla data del 15.2.2012, il triennio effettivamente disponibile per il completamento dei lavori non era in concreto ancora spirato, essendo trascorsi solo: 5 mesi e 19 giorni (170 giorni) dall’inizio dei lavori alla adozione della sospensiva TAR e 9 mesi e 1 giorno dalla pubblicazione della sentenza Tar alla sospensione dei lavori disposta dai vigili del fuoco.
4) violazione degli artt. 3 e 10 bis della l. 241/90 e dell’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, eccesso di potere per difetto di istruttoria perché l’amministrazione ha omesso di valutare i precedenti eventi, estranei alla volontà delle ricorrenti e puntualmente indicati nell’istanza di proroga, e concernenti sia i provvedimenti comunali del 8.8.2009 e 1.10.2008 che avevano inibito di procedere alle trasformazioni previste dalla DIA, sia dalle sospensione disposta dal TAR Lazio, prima con decreto presidenziale del 19.9.2008 e poi con ordinanza del 9.10.2008;
5) eccesso di potere per errore e travisamento dei fatti e dei presupposti e violazione dell’art. 15 del DPR n. 380 del 2001 perché l’amministrazione ha omesso di considerare che l’avvio del procedimento di imposizione del vincolo paesaggistico, in data 4.4.2011, ha comportato l’applicazione del regime di salvaguardia determinando un nuovo ostacolo alla conclusione dei lavori, fino al settembre 2013.
L’amministrazione si è costituita chiedendo il rigetto del ricorso perché infondato.
Anche i controinteressati si sono costituiti e hanno depositato memorie insistendo per il rigetto del ricorso perché infondato.
All’odierna udienza, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e pertanto deve essere respinto.
Occorre premettere che oggetto della presente controversia è la questione della applicazione da parte dell’amministrazione dell’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, recante il testo unico dell’edilizia, il quale disciplina, con norma di rango regolamentare, l’efficacia temporale e la decadenza del permesso di costruire nonché le modalità di proroga, in caso di superamento di detti termini.
Detto articolo, come è noto, prevede che nel permesso di costruire debbano essere indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
Al comma 2, l’articolo prevedeva, all’epoca dei fatti di causa: “Il termine per l'inizio dei lavori non puo' essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata non puo' superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volonta' del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga puo' essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.”
La norma ha subito di recente alcune modifiche (v. D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla Legge 11 novembre 2014 n. 164) non applicabili ratione temporis al caso in esame, a seguito delle quali la norma prevede ora che: “La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
2-bis. La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori e' comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate”.
Sul tema, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato che : “In linea di principio, l'istanza di proroga per l'avvio dei lavori oggetto di un permesso a costruire è ispirata alla necessità di assicurare tempi certi alle operazioni di trasformazione del territorio, sia in punto d'inizio che di termine dei lavori, volti ad un'ordinata realizzazione delle previsioni dello strumento urbanistico, nonché di prevenire i noti fenomeni di degrado costituiti da edifici non completati, che sono fonte di grave disordine ambientale e causa di pericolo per la pubblica e privata incolumità; è quindi previsto dalla legge che detti termini possano essere motivatamente prorogati, e ciò è possibile ogni qual volta tale necessità scaturisca da fattori indipendenti dalla volontà e dalla responsabilità del richiedente, al tempo stesso il presupposto per accordare la proroga è demandato dal legislatore ad una prudente valutazione del Comune, il quale è chiamato ad operare una comparazione tra gli interessi contrapposti che sono dati — sotto il profilo pubblicistico — dall'esigenza di assicurare che la trasformazione urbanistica che si intende realizzare avvenga in maniera ordinata e conforme allo strumento urbanistico, e — sotto quello soggettivo del titolare del permesso a costruire — che la proroga non sia motivata da mancanza di mezzi o dal mero capriccio del richiedente o da altre ragioni riconducibili a fatto di quest'ultimo. “(Consiglio di Stato sez. IV , 12/06/2014, n. 2997. v. inoltre sul tema: Consiglio di Stato, sez. III , 04/04/2013, n. 1870; Consiglio di Stato sez. IV, 18/05/2012, n. 2915) e Consiglio di Stato sez. IV, 23/02/2012. n. 974)
Nel caso in esame, si controverte appunto di un diniego di proroga del permesso di costruire n. 759, rilasciato in data 5.9.2007, motivato con riferimento alla circostanza che il superamento dei termini di ultimazione dell’opera sarebbe dipeso da causa imputabile agli odierni ricorrenti.
Infatti, il diniego di proroga è motivato con riferimento al tenore dell’ordinanza del Tribunale ordinario di Roma, pronunciata il 15.2.2012, resa nell’ambito di un procedimento cautelare promosso dai proprietari limitrofi per ragioni di ordine statico degli immobili confinanti, nella quale si afferma che: “le ragioni di dissesto del terreno sono da ricondurre al comportamento tenuto dai resistenti (n.d.r. odierni ricorrenti) nel progettare ed eseguire lavori assolutamente inidonei a garantire i fondi vicini, tenuto conto che nell’operare il progetto non poteva non tenersi in considerazione la situazione concreta esistente al momento della costruzione (…)” e ha pertanto condannato gli stessi ad eseguire la definitiva messa in sicurezza del pendio nonché al pagamento delle spese.
In sostanza, dunque, il comune di Roma – seguendo sul punto la suddetta ordinanza - non ha ritenuto di riconoscere, come richiesto dagli istanti, la sussistenza di una causa di forza maggiore non imputabile ai titolari del permesso di costruire, consistente in una asserita “sorpresa geologica” ma ha ritenuto che il decorso dei termini di ultimazione dei lavori, dovuto tra l’altro anche alla sospensione interinale disposta dal Tribunale di Roma in via di urgenza, fosse comunque da ricondurre alla responsabilità degli odierni ricorrenti per errore nella progettazione e nella esecuzione dei lavori.
Per ragioni di ordine espositivo, il collegio ritiene di dover esaminare in ultimo il primo motivo di ricorso e di procedere dunque con l’esame del secondo motivo di ricorso, con cui la società ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere per errore e travisamento dei fatti e dei presupposti e violazione dell’art. 15 del DPR n. 380 del 2001 perché l’ordinanza del Tribunale di Roma del 15.2.2012 è ancora sub iudice nella fase di merito e dunque essa non poteva essere assunta a presupposti di un comportamento ascrivibile al titolare del permesso.
Riferiscono infatti i ricorrenti che le sig. re D’Aprile e D’Incecco hanno convenuto davanti al Tribunale di Roma i proprietari confinanti contestando la suindicata ordinanza. Il procedimento recante il n. di RG 27265/12 sarebbe ancora pendente.
Il motivo non può trovare accoglimento.
I processi per denuncia di nuova opera e di danno temuto sono soggetti, ai sensi dell’art. 669 quaterdecies c.p.c. , alle regole del rito cautelare uniforme ed appartengono, quindi, alla categoria dei procedimenti cautelari. La legge n. 353 del 1990, infatti, ha abrogato gli artt. 689 e 690 c.p.c., specificamente ad essi dedicati, mantenendo in vita solo l’art. 688 c.p.c., relativo alla forma dell’istanza, e l’art. 691, integrante la disciplina dell’attuazione delle misure cautelari per nuova opera e per danno temuto.
Il procedimento cautelare uniforme è disciplinato, come è noto, dagli artt. 669 bis e ss. del codice di procedura civile. Esso prevede, in linea generale, il principio di strumentalità della misura cautelare e riconduce pertanto alla mancata instaurazione del giudizio di merito, l’inefficacia della misura cautelare già concessa (cfr. art. 669 octies). L’art. 669 octies, comma 6, c.p.c. tuttavia, con riguardo ad alcuni procedimenti cautelari, tra cui appunto le denunce di nuova opera e danno temuto, prevede invece che l’instaurazione del giudizio di merito non è necessaria a pena di inefficacia del provvedimento cautelare, ma che essa rientra semplicemente tra le facoltà delle parti.
Recita infatti il citato art. 669 octies: “Le disposizioni di cui al presente articolo e al primo comma dell'articolo 669-novies non si applicano (…) ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell'articolo 688, ma ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito”.
Tale previsione è assolutamente coerente con la natura nunciatoria delle azioni in esame, le quali, analogamente al giudizio possessorio, sono autonome rispetto ad un eventuale giudizio di merito, il quale potrà avere ad oggetto, ad esempio, l’accertamento della proprietà o del possesso (del denunciante). E’ evidente, dunque, che in caso di denunce di nuova opera e danno temuto, il rapporto tra fase cautelare e il giudizio di merito debba essere riguardato in un’ottica diversa da quella propria degli ordinari procedimenti cautelari: mentre in questi ultimi casi, infatti, la misura cautelare e il giudizio successivo procedono su un unico binario, rappresentato dall’accertamento, in sede di merito, appunto, della stessa situazione giuridica, di cui si è domandata già la cautela, e suscettibile di rimanere pregiudicata nel tempo occorrente per lo svolgimento di un processo di cognizione ordinaria, nel caso delle denunce, invece, si giunge, in fase cautelare, alla protezione della cosa nei confronti di un pericolo incombente, per poi accertare , successivamente e in via meramente eventuale, la sussistenza del diritto sulla cosa stessa o di un legittimo possesso o ulteriori profili.
E’ chiaro dunque che l’oggetto dei due giudizi non è esattamente lo stesso e che, soprattutto, visto che l’insaturazione del giudizio di merito non è necessaria ma rimessa alla facoltà delle parti, non è possibile ritenere che via sia una relazione di pregiudizialità necessaria con l’esito di tale giudizio.
In conclusione, l’ordinanza che conclude il procedimento di denuncia di nuova opera e danno temuto deve considerarsi autonoma dal successivo eventuale giudizio di merito, al quale non è legata da nesso di strumentalità, e suscettibile di stabilizzazione.
Pertanto non è condivisibile la tesi dei ricorrenti secondo la quale l’amministrazione avrebbe dovuto aspettare l’esito del giudizio di merito, introdotto dalle sig.re D’Aprile e D’Incecco, peraltro ancora pendente, per poter decidere della questione della proroga del termine di ultimazione dei lavori. Senza contare che una tale conclusione si porrebbe addirittura in contrasto con le esigenze degli stessi ricorrenti ad ottenere una celere definizione del procedimento di proroga.
Per tutto quanto detto, dunque, la censura va disattesa.
Con il terzo motivo, i ricorrenti sostiene che l’atto impugnato sarebbe viziato per eccesso di potere per errore e travisamento dei fatti e dei presupposti e violazione dell’art. 15 del DPR n. 380 del 2001, violazione del giusto processo e della ragionevole durata garantiti dall’art. 111 Cost. in quanto la durata del procedimento cautelare dinanzi al giudice civile (un anno, dieci mesi e 24 giorni) non può essere ricondotta alla volontà del titolare del permesso che non può minimamente influirvi.
Anche questo motivo non può trovare accoglimento.
Come si è in precedenza rilevato, l’art. 15 del TU edilizia, infatti, non prende in considerazione il profilo della durata dei procedimenti giudiziari che possano interferire con il decorso del termine di ultimazione dei lavori, ma si occupa solo della riconducibilità alla responsabilità del titolare del permesso dei “fatti sopravvenuti” che giustificano la concessione della proroga, richiedendo che essi siano del tutto estranei alla volontà del titolare del permesso di costruire. Dunque, oggetto di valutazione, ai fini rilascio o meno della proroga, è unicamente il profilo causale, ovvero a chi sia imputabile il fatto sopravvenuto, consistente nel caso di specie nell’aver dato causa all’avvio dell’azione giudiziaria, mentre va ritenuto del tutto irrilevante il profilo della sua durata.
Tale principio è stato poi ulteriormente confermato, con la novella del 2014, di cui si può in questa sede tener conto solo a fini interpretativi, non essendo – come si è detto – norma applicabile ratione temporis.
Il comma 2 bis, dell’art. 15 del Tu edilizia, infatti, prevede: “2-bis. La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori e' comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate”.
E’ chiaro che la norma ha inteso identificare un parametro oggettivo di valutazione nel caso in cui la sospensione sia riconducibile ad iniziative dell’autorità giudiziaria. Essa tuttavia ha espresso il principio – peraltro già affermato in giurisprudenza – che la pendenza di un’azione giudiziaria non possa considerarsi di per sé come factum principis, e dunque come causa di forza maggiore, ma che debba sempre guardarsi all’esito del giudizio ai fini di valutare a chi sia imputabile l’azione giudiziaria intrapresa e dunque se possa o meno esservi la concessione della proroga .
Non è dunque possibile ritenere, come vorrebbero i ricorrenti, che le sospensioni dei lavori ordinate dall’autorità giudiziaria costituiscono di per sé factum principis non imputabile alla volontà dei titolari del permesso di soggiorno (v. ad esempio (T.A.R. Lecce (Puglia) sez. I , 22/05/2012, n. 874 in un caso concernente un sequestro penale). Va invece riaffermato il principio, fatto proprio dal provvedimento impugnato, che in caso di azioni giudiziarie debba essere valutata in concreto l’esito del giudizio al fine di stabilire la responsabilità del fatto causativo della interruzione dei lavori.
Il motivo, pertanto, va disatteso.
Ancora con il terzo motivo, i ricorrenti affermano che in ogni caso, alla data del 15.2.2012 (data di deposito della ordinanza del Tribunale civile di Roma), il triennio effettivamente disponibile per il completamento dei lavori non era in concreto ancora spirato, essendo trascorsi solo: 5 mesi e 19 giorni (170 giorni) dall’inizio dei lavori alla adozione della sospensiva TAR e 9 mesi e 1 giorno dalla pubblicazione della sentenza Tar alla sospensione dei lavori disposta dai vigili del fuoco, non potendosi computare il periodo di un anno, dieci mesi e 24 giorni di durata del procedimento cautelare.
Il motivo va disatteso per quanto sopra si è detto.
Quest’ultima tesi difensiva è ripresa anche nel quarto motivo, con cui il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 3 e 10 bis della l. 241/90 e dell’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, eccesso di potere per difetto di istruttoria perché l’amministrazione ha omesso di valutare i precedenti eventi, estranei alla volontà delle ricorrenti e puntualmente indicati nell’istanza di proroga, e concernenti sia i provvedimenti comunali del 8.8.2009 e 1.10.2008, che avevano inibito di procedere alle trasformazioni previste dalla DIA, sia dalle sospensione disposta dal TAR Lazio, prima con decreto presidenziale del 19.9.2008 e poi con ordinanza del 9.10.2008.
La doglianza è inammissibile.
Il permesso di costruire n. 759 del 5.9.2007 prevedeva come data di inizio lavori il 6.9.2008.
L’inizio lavori è stato comunicato in data 1.4.2008, pertanto fino al periodo della prima sospensione (19.9.2008) erano decorsi 5 mesi e 18 giorni.
Inoltre, dalla pubblicazione della sentenza Tar alla sospensione dei lavori disposta dai vigili del fuoco (18.3.2010) erano trascorsi ulteriori 9 mesi e 1 giorno.
Dal 18.3.2010, data del fonogramma dei Vigili del Fuoco che ha disposto la sospensione dei lavori, cui ha fatto seguito l’ordinanza del Tribunale di Roma (22.3.2010) è iniziato il periodo di sospensione dei lavori che – in base a quanto detto in precedenza - deve considerarsi imputabile alla condotta dei ricorrenti.
Si tratta dunque di un ulteriore lasso di tempo di un anno, 10 mesi e 27 giorni, da considerare come imputabili ai titolari del permesso di costruire.
Il totale dei periodi in cui i lavori sono stati svolti e di sospensione imputabile ai ricorrenti è dunque superiore a 36 mesi (e pari esattamente a 3 anni, 1 mese e 16 giorni).
A ciò si aggiunga poi che tale ultimo periodo di sospensione non può considerarsi concluso, come vorrebbero i ricorrenti, alla data del 15.2.2012, data di adozione della ordinanza del Tribunale di Roma che ha concluso il giudizio di nuovo opera e danno temuto, giacché nel dispositivo di detta ordinanza si legge che il Tribunale: “Autorizza la prosecuzione dei lavori a decorrere dal collaudo delle opere predette ( opere di messa in sicurezza del pendio confinante n.d.r.) con specifica attestazione del rispetto delle prescrizioni tecniche e dei criteri e parametri individuati nel presente provvedimento”.
Pertanto, solo dopo l’esecuzione di tali opere di messa in sicurezza, sarebbe venuto meno il periodo di sospensione dei lavori disposto dall’autorità giudiziaria per causa imputabile al titolare del permesso di costruire e dunque computabile ai fini del decorso del triennio.
Dunque, se è vero che non deve essere considerato il periodo dal 19.9.2008 al 17.6.2009 di sospensione dell’efficacia del permesso di costruire ad opera di pronunce cautelari del TAR Lazio (periodo di circa 10 mesi, coincidente con il periodo di operatività dei provvedimenti comunali di inibizione della DIA), in quanto detta sospensione non può ritenersi imputabile ai ricorrenti, essendosi concluso il relativo giudizio dinanzi al TAR Lazio con un rigetto, tuttavia tale circostanza si rivela ininfluente ai fini del decidere.
Infatti, come si è detto, sommando i primi 5 mesi e 18 giorni e i 9 mesi e 1 giorno, in cui i lavori hanno avuto corso, al successivo periodo di sospensione dei lavori imputabile al titolare del permesso di costruire, il triennio per l’ultimazione dei lavori, dunque, doveva ritenersi comunque decorso già alla data del 15.2.2012, senza contare il fatto che le opere di consolidamento, considerate dal giudice pregiudiziali per la prosecuzione dei lavori, non risultano comunque ancora eseguite.
Sul punto, i ricorrenti, nella memoria del 9 giugno 2014, nell’illustrare i profili inerenti al periculum, hanno ammesso che i lavori di consolidamento non erano stati ancora effettuati, ritenendo anzi che per eseguirsi occorresse proprio la concessione della richiesta proroga.
Inoltre, la censura è inammissibile anche sotto altro profilo. Avendo i ricorrenti chiesto la proroga, essi hanno dato per assodato il decorso del triennio per l’ultimazione dei lavori. Essi pertanto non possono ora sostenere che tale termine non fosse all’epoca ancora decorso, anche perché comunque, in questo caso, essi non avrebbero avuto interesse ad ottenere un provvedimento di proroga e dolersi del suo mancato rilascio.
Per analoghe ragioni è ugualmente inammissibile il quinto motivo, con cui i ricorrenti lamentano eccesso di potere per errore e travisamento dei fatti e dei presupposti e violazione dell’art. 15 del DPR n. 380 del 2001, perché l’amministrazione ha omesso di considerare che l’avvio del procedimento di imposizione del vincolo paesaggistico, in data 4.4.2011, ha comportato l’applicazione del regime di salvaguardia determinando un nuovo ostacolo alla conclusione dei lavori, fino al settembre 2013.
Infatti, ancorché in via di principio il periodo di inibizione dei lavori, asseritamente derivante dall’avvio del procedimento di imposizione del vincolo, poi conclusosi favorevolmente ai ricorrenti, non possa essere considerato come a loro imputabile, resta tuttavia il fatto che nel corso dello stesso arco di tempo vi fosse altra causa di sospensione dei lavori a loro imputabile, per le ragioni sopra dette; circostanza questa che non poteva non essere valutata dalla amministrazione ai fini del diniego di concessione della proroga.
Resta poi ancora il fatto che la sospensione dei lavori imputabile alla condotta dei ricorrenti giungeva fino alla data di completa messa in sicurezza dei luoghi, in ottemperanza alla ordinanza del 15.2.2012, data che allo stato non è nota.
Va infine esaminato il motivo, con cui i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis l. 241 del 1990, eccesso di potere per vizio del procedimento e sviamento, violazione dei principi di imparzialità e buon andamento, in quanto le ultime osservazioni preannunciate all’incontro del 6.2.2014, relative alla proposizione dinanzi al Tribunale di Roma del giudizio di merito, a seguito della fase cautelare conclusosi con ordinanza del 15.2.2012, e depositate il 20 febbraio 2014, non venivano prese in considerazione dall’amministrazione che adottava invece il provvedimento in data 17.2.2014; pertanto, ai ricorrenti veniva impedito di poter rappresentare e documentare in modo completo le loro ragioni, ai sensi dell’art. 10 bis l. 241/90.
Il motivo non può trovare accoglimento giacché risulta un ampio contraddittorio procedimentale tra le parti, le quali, oltre a partecipare a vari incontri con l’amministrazione, hanno presentato osservazioni ex art. 10 bis sia in data 21.11.2013 che in data 9.1.2014. Pertanto, legittimamente l’amministrazione ha provveduto senza attendere il deposito delle terze osservazioni preannunciate per il 20.4.2014, in quanto il principio della partecipazione procedimentale non può essere portato al punto di paralizzare l’azione amministrativa, la quale deve comunque perseguire obiettivi di efficienza e di celerità.
Il ricorso in conclusione va respinto.
Le spese possono essere compensate, sussistendo giusti motivi considerata la complessità della vicenda e il complessivo contenzioso tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 27 novembre e 16 dicembre 2014 e del 12 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:
Eduardo Pugliese,Presidente
Stefano Toschei,Consigliere
Maria Laura Maddalena,Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/05/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)