Messa in sicurezza raffineria Augusta - TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent.n.4224 del 16.03.2015
Pubblico
Domenica, 12 Aprile, 2015 - 02:00
Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sez. II bis, sent. n. 4224 del 16 marzo 2015, su messa in sicurezza raffineria Augusta
N. 04224/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01680/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1680 del 2003, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
S.r.l. Esso Italiana, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, in via disgiuntiva, giusta procura alle liti depositata in data 13 gennaio 2009, dagli avv.ti Francesca Angeloni, Gaia Gelera, Antonio Di Pasquale, con domicilio eletto presso la seconda, in Roma, piazza Venezia,11;
contro
Ministero Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (già Ministero dell’ambiente e della Tutela del territorio), in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la stessa domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
S.p.a. Polimeri Europa (oggi Versalis) e Syndial, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dall’avv. Stefano Grassi ed elettivamente domiciliate presso il suo Studio in Roma, piazza Barberini n. 12;
con il ricorso introduttivo
per l’annullamento
della nota del 22 novembre 2002 prot. 10933, pervenuta in data 25 novembre 2002, con cui erano imposte alla Società precisazioni inerenti la “messa in sicurezza” dell’area della Raffineria di Augusta, nonché integrazioni del “piano di caratterizzazione ambientale”;
nonché di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale;
con i primi motivi aggiunti del 4 giugno 2004:
per l’annullamento parziale
del verbale di Conferenza di Servizi decisoria tenutasi presso il Ministero della tutela del territorio il 31 marzo 2004 e pervenuto il 6 aprile 2004, con cui si imponevano alla Esso Italiana precisazioni riguardanti la “messa in sicurezza” dell’area della Raffineria di Augusta e era approvato con prescrizioni il Piano della caratterizzazione ambientale 29 maggio 2002;
nonché per l’annullamento di ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale;
con i secondi motivi aggiunti del 23 dicembre 2004:
per l’annullamento parziale
del verbale di Conferenza dei Servizi tenutasi il 19 ottobre 2004, comunicato con nota ministeriale del 25 ottobre 2004;
e di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale;
con i terzi motivi aggiunti del 10 maggio 2005:
del verbale di conferenza dei Servizi del 28 febbraio 2005, comunicato con nota del 3 marzo 2005;
e di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale;
con il quarto atto di motivi aggiunti dell’11 ottobre 2005:
del verbale di Conferenza decisoria del 18 luglio 2005, comunicato con nota del 21 luglio seguente;
e di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale, tra i quali i verbali già menzionati;
con il quinto atto di motivi aggiunti notificato il 28 gennaio 2006:
del verbale di Conferenza dei Servizi decisoria del 16 dicembre 2006 e degli atti preordinati e connessi, tra i quali, in particolare, il verbale della Conferenza istruttoria del 4 agosto 2005;
con il sesto atto di motivi aggiunti notificato il 24 luglio 2006:
della nota ministeriale del 25 maggio 2006, con cui si chiedeva conto degli adempimenti prescritti con la Cds del luglio 2005 e degli atti connessi tra i quali, il verbale della Cds istruttoria 16 maggio 2006;
con il settimo atto di motivi aggiunti del 13 novembre 2006:
del verbale di conferenza decisoria del 21 luglio 2006 e degli atti preordinati, tra i quali il verbale di CdS istruttoria del 16 maggio 2006;
con l’ottavo atto di motivi aggiunti 14 dicembre 2006:
del verbale di Conferenza di Servizi decisoria del 19 ottobre 2006;
del verbale di Conferenza decisoria del 31 ottobre 2006;
del decreto del Direttore generale, Ministero Ambiente e Tutela del Territorio, 31 ottobre 2006 prot. 2979/QdV/Di/B;
del decreto direttoriale, del 31 ottobre 2006, prot. 2980/QdV/Di/B;
con il nono atto di motivi aggiunti del 15 febbraio 2007:
del verbale di Conferenza di Servizi decisoria del 4 dicembre 2006;
del decreto direttoriale 13 dicembre 2006 prot. 25385/QdV/IX;
con il decimo atto per motivi aggiunti dell’11 maggio 2007:
del verbale di Conferenza dei Servizi decisoria del 16 febbraio 2007;
e del decreto direttoriale dell’1 marzo 2007 prot. 3387/QdV/Di/VII VIII;
nonché degli atti preordinati e connessi;
con l’undicesimo atto per motivi aggiunti del 17 aprile 2008:
del verbale di Conferenza dei Servizi del 20 dicembre 2007;
e del decreto direttoriale del 21 febbraio 2008 prot. 4378/QdV/DI/B;
e di ogni altro atto preordinato e connesso;
con il dodicesimo atto per motivi aggiunti del 20 giugno 2008:
del verbale di Conferenza dei Servizi decisoria del 6 marzo 2008;
e del decreto direttoriale prot. 4486/QdV/DI/B del 16 agosto 2008;
e di ogni altro atto preordinato e conseguente;
con il tredicesimo atto per motivi aggiunti del 13 maggio 2011:
del verbale di Conferenza dei Servizi del 22 dicembre 2010;
e del decreto direttoriale prot. 1189/TRI/DI/B del 3 marzo 2011;
nonché di ogni altro atto preordinato e conseguente;
con il quattordicesimo atto per motivi aggiunti del 6 maggio 2014:
del verbale di Conferenza dei Servizi del 5 marzo 2014;
e del decreto direttoriale prot. 4890/TRI/DI/B del 7 marzo 2014;
e degli atti preordinati e connessi, compreso in particolare il verbale della CdS istruttoria del 20 dicembre 2013 e degli allegati e della nota di trasmissione relativi;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (già Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio);
Visti gli interventi ad adiuvandum;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2014 il Consigliere Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I – Con il ricorso depositato in data 19 febbraio 2003, la Società Esso - titolare della raffineria di Augusta, ubicata in provincia di Siracusa in loc. Priolo – esponeva che in data 30 novembre 1999 aveva inviato al Ministero dell’Ambiente il Piano di caratterizzazione degli interventi, insieme alle indicazioni relative alla messa in sicurezza di emergenza, ai sensi dell’art. 9, d.m. n. 471 del 1999, che era poi aggiornato il 23 giugno 2000. Tale Piano era approvato nella Coferenza dei servizi del 13 novembre 2000. In data 29 maggio 2002, la Esso inviava la relazione finale al Piano.
Inaspettatamente, con la nota impugnata il Ministero disponeva:
- in merito alla messa in sicurezza, il riesame dei dati, ulteriore documentazione e la previsione di nuovi pozzi entro 5 giorni;
- in merito al Piano ed ai risultati delle indagini, un’integrazione della caratterizzazione con nuove analisi e nuove caratterizzazioni entro 15 giorni.
Avverso tale atto, la Società proponeva ricorso, deducendo i seguenti motivi di gravame:
1 – violazione e falsa applicazione dell’art. 17, d.lgs. n. 22 del 1997 e degli artt. 9, 10, 15 e degli All.ti 1, 2, 4 al d.m. n. 471 del 1999, nonché eccesso di potere per carenza dei presupposti, travisamento, sviamento, carenza di istruttoria, incompetenza, violazione del principio del giusto procedimento (art. 97 Cost.), difetto di motivazione, violazione dei principi in tema di revoca e di quelli inerenti la Conferenza dei servizi;
2 – violazione delle medesime norme ed eccesso di potere anche per contrarietà ai principi di speditezza dell’azione amministrativa, avendo il Ministero riscontrato con grave ritardo la relazione della Società;
3 – ancora – in via subordinata - le medesime violazioni ed eccesso di potere per illegittimità delle prescrizioni.
La Società, dunque, chiedeva l’annullamento del provvedimento.
Si costituiva il Ministero, eccependo in primo luogo l’inammissibilità del ricorso, in quanto asseritamente i motivi di ricorso atterrebbero al merito amministrativo, e, nel merito, chiedendone il rigetto poichè la scadenza del termine per l’esercizio del potere di controllo e vigilanza in ordine al procedimento di bonifica non potrebbe in ogni caso essere ritenuto idoneo a consumare il potere.
Peraltro, l’Amministrazione contestava la necessità del concerto con riferimento ai piani di messa in sicurezza e di ripristino ambientale (da considerarsi come diversi rispetto ai piano di bonifica).
Controdeduceva, inoltre, in ordine alla legittimità dei valori assunti nella nota impugnata.
II - Con ricorso per motivi aggiunti del 2004, la Società istante, impugnava, inoltre, il verbale della Conferenza dei servizi del 31 marzo 2004, nella parte in cui erano imposte ulteriori prescrizioni:
-esame della situazione di inquinamento del sottosuolo della centrale ENEL di Augusta di cui alla nota ENEL acquisita al protocollo 1144/RIBO/B del 12 gennaio 2004 e alla nota ESSO Italiana prot. 12162/RIBO/B del 9 dicembre 2003;
-piano di caratterizzazione a seguito dell’inquinamento accidentale occorso il 3 novembre 2003 presentato da Esso Italiana (sversamento accidentale da un serbatoio), rispetto al quale era imposto come obiettivo di bonifica per gli idrocarburi ed il MtBE nelle acque il valore di concentrazione sulla base del parere espresso dall’I.S.S.;
-esame degli interventi di caratterizzazione dell’area della raffineria ESSO di Augusta imponendo che i limiti di rilevabilità siano di circa 10 volte inferiori rispetto a quanto prescritto dal d.m. n. 471 del 1999.
Pertanto, rispetto alla predette prescrizioni, la ricorrente deduceva con i primi due motivi, sostanzialmente le medesime censure svolte nel ricorso introduttivo e con il III motivo, contestando la violazione delle norme sul procedimento in Conferenza di cui agli artt. 14, 14 bis, 14 ter, 14 quater, l. n. 241 del 1990, nonché l’eccesso di potere nelle diverse figure sintomatiche, la violazione del principio del giusto procedimento ed il difetto di motivazione, primariamente per non aver messo all’ordine del giorno la situazione della messa in sicurezza del sito, sì da non consentire una corretta partecipazione degli interessati, nonché con riferimento alle conclusioni raggiunte sulla non sicurezza del sito di cui si discute.
Ancora, deduceva l’illegittimità delle prescrizioni con riferimento a quanto disposto nel punto 12 che secondo cui “le analisi dei suoli devono essere effettuate sulla frazione granolumetrica passante al vaglio 2 mm e i risultati analitici, …, devono essere riferiti ad essa soltanto”.
III – Con il secondo atto per motivi aggiunti notificato il 24 dicembre 2004, la parte istante censurava la Conferenza di Servizi decisoria del 19 ottobre 2004 per le seguenti prescrizioni:
-ai fini della caratterizzazione delle acque di falda, ricercare il parametro cumulativo idrocarburi totali ed adottare il parametro indicato dall’I.S.S.;
-adottare per l’MTBE i valori prescritti dall’I.S.S.;
-eseguire le analisi dei campioni del suolo sulla frazione granulometrica passante al vaglio 2 mm ed esprimere con gli stessi criteri i risultati analitici di confronto con i valori ex d.m. n. 471 del 1999;
-caratterizzare i sedimenti del torrente Cantera in entrata ed uscita dell’area di proprietà della Esso, nonché la porzione di territorio adibito a deposito di prodotti petroliferi ad overs dell’area Contrattori;
-integrare le misure di sicurezza di emergenza con “interventi finalizzati ad impedire la diffusione delle acque di falda contaminata.
Per il resto la Società istante confermava di aderire alle prescrizioni della CdS.
Avverso, invece, le elencate prescrizioni, la ricorrente contestava i seguenti profili:
1)violazione e falsa applicazione degli artt. 17 (con particolare riferimento al co. 14), 18, co. 1, lett. n. 9, d.lgs. n. 22 del 1997, 1, co. 1, lett. f), 9 co. 4-5 e 15, d.m. n. 471 del 1999, nonché il vizio di eccesso di potere nelle varie figure sintomatica, con particolare riferimento alla violazione del giusto procedimento, alla carenza istruttoria e di motivazione, all’illogicità ed all’ingiustizia manifesta, nonché la violazione dell’art. 97 Cost. e dei principi del procedimento amministrativo e della Conferenza di Servizi;
2)l’illogicità per i medesimi vizi delle prescrizioni con riferimento alla messa in sicurezza per la diversità dalla bonifica dei suoli;
3)la violazione degli artt. 17-21, d.lgs. n. 22 del 1997, dell’art. 3 e dell’All.to 1, d.m. n. 471 del 1999, l’incompetenza, lo sviamento e la violazione del principio di legalità;
4)l’ulteriore violazione dei principi richiamati con riguardo al contenuto delle prescrizioni;
5)ancora i medesimi vizi con riguardo ai limiti di riferimento degli idrocarburi totali e MTBE;
6)gli stessi vizi con riguardo ai sistemi di sbarramento della falda e alla caratterizzazione del torrente Cantera e dell’area di deposito, nonché alla frazione granulometrica;
7)l’illegittimità del verbale della Conferenza istruttoria del 29 luglio 2004 per vizi propri e della Conferenza decisoria per invalidità derivata.
Deduceva, peraltro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 17 , d.lgs. n. 22 del 1997, con riferimento agli artt. 3, 23 e 76 Cost..
IV – Con il terzo atto per motivi aggiunti notificato l’11 maggio 2005, la Società censurava, anche l’esito della Conferenza dei Servizi decisoria del 28 febbraio 2005 per i seguenti profili:
1 – carenza di potere, violazione degli artt. 17 commi 9, 10, 11, 14, d.lgs. n. 22 del 1997, 8 e 15, d.m. n. 471 del 1999, 5, l. n. 225 del 1992, nonché incompetenza, sviamento, ed eccesso di potere per vari profili con riguardo alla richiesta inviata al Commissario delegato Emergenza Rifiuti e Tutela Acque in Sicilia di esercitare i poteri sostitutivi nel caso di mancata attivazione delle misure di messa in sicurezza entro 10 giorni;
2 – i medesimi vizi con riguardo all’erroneità del presupposto della mancata realizzazione degli interventi di messa in sicurezza, risultando al contrario lo stato avanzato delle opere;
3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 14, d.l. n. 138 del 2002, conv. con modificazioni in l. n. 178 del 2002, nonché eccesso di potere per contraddittorietà, carenza istruttoria e di motivazione, avendo omesso la Conferenza di prendere in esame la Relazione T40020/EM973 Recupero delle acque emunte – Relazione tecnica, chiedendo dunque precisazioni già esistenti in atti;
4 – violazione e falsa applicazione dell’All.to B del d.m. n. 468 del 2001, nonché eccesso di potere sotto innumerevoli profili, poiché la prescrizione relativa alla presentazione dei risultati di caratterizzazione integrativa a maglia 50x50 sarebbero contrari alle stesse prescrizioni di legge, di cui al menzionato Allegato per la bonifica del sito d’interesse (su maglia 100x100);
5 – ancora violazione degli artt. 17 , d.lgs. n. 22 del 1997, 1, l. n. 426 del 1998 e 10 n. 468 del 2001 e dell’art. 174 Trattato UE ed eccesso di potere nelle varie figure sintomatiche con riferimento alla prescrizione di procedere alla caratterizzazione delle aree contermini ai pontili, spettando essa all’ICRAM;
6 – illegittimità della Conferenza istruttoria del 23 febbraio 2005 e conseguente illegittimità derivata della Conferenza decisoria del 28 febbraio successivo ;
Infine, la ricorrente deduceva l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, d.lgs. n. 22 del 1997 con riferimento agli artt. 3, 23 e 76 Cost. .
Con pronunzia resa in sede cautelare, il Tribunale accoglieva – ordinanza n. 3167 del 2005 - la richiesta di sospensione degli effetti del verbale impugnato con riguardo agli aspetti dell’intervento del Commissario straordinario e del limite degli idrocarburi totali.
V – Con il quarto atto per motivi aggiunti notificato in data 12 ottobre 2005, la Società si doleva dei risultati e delle prescrizioni dell’ulteriore Conferenza dei Servizi del luglio 2005 come di seguito precisato, con riferimento alle prescrizioni relativa alla contaminazione da mercurio nella rada di Augusta e sulla rimozione dei sedimenti :
1 – violazione dell’art. 17, d.lgs. n. 22 del 1997, del d.m. n. 471 del 1999, dell’art. 1, l. n. 426 del 1998, dell’art. 10, d.m. n. 468 del 2001, del d.m. 10 gennaio 2000, dell’art. 2, d.m. 28 luglio 1994, dell’art. 1 bis, comma 6, d.l. n. 496 del 1993 conv. In l. n. 61 del 1994, dell’art. 1, comma 50, l. n. 308 del 2004, dell’art. 11, l. n. 979 del 1982, nonché incompetenza assoluta ed eccesso di potere nelle varie figure sintomatiche e violazione dei principi in tema di bonifica, in quanto la prescrizione contenente l’ordine di provvedere alla rimozione di quantità rilevanti di sedimenti inquinati da mercurio secondo i risultati dell’ICRAM, indirizzato alla ricorrente, in quanto titolare di concessione demaniale, sarebbe illegittimo, spettando di contro tale onere alla Stato;
2 – violazione dell’art. 17, d.lgs. n. 22 del 1997 e dell’art. 174 Trattato TUE, nonché carenza di potere ed eccesso di poter per vari profili di ingiustizia, contraddittorietà ed illogicità, carenza istruttoria e di motivazione, essendo asseritamente la Società ricorrente del tutto incolpevole con riferimento al prescritto inquinamento;
3 – violazione dell’art. 17 cit., dell’art. 2 lett. d) e All.to 3, d.m. n. 471 del 1999, nonché ancora eccesso di potere per carenza di accertamento delle responsabilità ;
4 – violazione ancora dell’art. 17 cit, dell’art. 15, d.m. n. 471 del 1999 e violazione dei principi di giusto procedimento e del contraddittorio, eccesso di potere e violazione dell’art. 97 Cost. in quanto la prescrizione della m.i.s.e. precederebbe l’accertamento della responsabilità;
5 – violazione del medesimo art. 97 Cost. e dell’art. 2, co. 1, lett. d) e All.to 3, d.m. n. 471 dle 1999 ed eccesso di potere, nonché violazione dei principi in tema di bonifica e di Conferenza dei servizi, stante la contraddittorietà e vaghezza dei verbali, sì da rendere le prescrizioni inattuabili;
5 – carenza di potere e violazione del richiamato art. 17 d.lgs. n. 22 del 1997, degli artt. 8 e 15, d.m. n. 471 del 1999 e dell’art. 5, l. n. 225 del 1992, incompetenza ed eccesso di potere per che la previsione dell’intervento sostitutivo del Commissario sarebbe vessatoria;
6 – con riguardo alla prescrizione di estendere la caratterizzazione a tutta la Rada ed in profondità, violazione dell’art. 17 cit., dell’art. 174 Trattato UE, dell’art. 1, l. n. 426 del 1998, del d.m. 10 gennaio 2000, dell’art. 15, d.m. n. 471 el 1999, dell’art. 10, d.m. n. 468 del 2001, dell’art. 2, d.m. 28 luglio 1994, degli artt. 7-9, l. n. 241 del 1990, dell’art. 1 bis, comma 6, d.l. n. 496 del 1993 conv. In l n. 61 del 1994, dell’art. 1 comma 50 della l. n. 308 del 2004, nonché carenza di potere ed eccesso di potere, nonché violazione dell’art 97 Cost. e dell’art. 2, comma 1, lett. d) e All.to 3, d.m. n. 471 del 1999 sub “Messa in sicurezza di emergenza” e falsa applicazione dell’art. 5 l. n. 225 del 1992;
7 – sulla esecuzione degli interventi anche in pendenza di indagini di caratterizzazione, in aree ricadenti all’interno della perimetrazione del sito, violazione della’rt. 17, d.lgs. n. 22 del 1997, dell’art. 15, dm n. 471 del 1999, dell’art. 1, l. n. 426 del 1998 e del d.m. n. 468 del 2001 e dei relativi allegati, nonché violazione del principio di legalità, incompetenza, eccesso di potere.
Sui primi quattro motivi aggiunti, l’Amministrazione con memoria del 27 gennaio 2006 controdeduceva:
A – le doglianze di cui ai primi due motivi aggiunti risulterebbero superate attraverso l’individuazione di una più chiara formulazione delle prescrizioni nella “Proposta di integrazione ai verbali di CdS decisoria per il sito di Porto Marghera;
B – relativamente al terzo ricorso per motivi aggiunti, sarebbe diventato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse non essendo intervenuta la sostituzione in danno;
C – con riguardo ai quarti motivi aggiunti , ribadiva la legittimità delle prescrizioni, essenzialmente evidenziando che la messa in sicurezza può essere disposta anche prescindendo dall’accertamento della responsabilità; nella specie, gli interventi si sarebbero resi necessari dall’aggravarsi delle contaminazioni.
Alla camera di consiglio del 24 novembre 2005, erano disposta incombenti nei confronti dell’Amministrazione ed era accolta l’istanza cautelare con riguardo alla prescrizione di rimozione e di m.i.s.e dei sedimenti.
In data 12 gennaio 2016, il Ministero ottemperava all’ordinanza istruttoria, tuttavia la Società istante riceveva un nuovo verbale di CdS decisoria, 16 dicembre 2005;
VI – Con il quinto atto per motivi aggiunti, del 27 gennaio 2006, la Società ricorrente, dunque, gravava l’ulteriore verbale appena menzionato, con una prima censura, diffusamente articolata e tuttavia, diretta a confermare l’illegittimità già dedotta nel precedente ricorso.
Infatti, la Società si doleva dell’ulteriore prescrizione di indagini in ordine alla caratterizzazione della Rada di Augusta, che confermerebbe l’incompletezza dell’istruttoria condotta e comunque preordinata alla decisione assunta con la precedente Cds del luglio 2005.
Con un ulteriori due motivi (XXX e XXXII), la Società istante censurava le prescrizioni relative agli interventi di messa in sicurezza proposti dalla stessa nel settembre 2005.
Con riguardo a tale motivo, giova sin d’ora precisare che con la memoria per l’udienza di discussione di novembre 2014, la Società dichiarava essere venuto meno l’interesse alla decisione, avendo la stessa adempiuto alle prescrizioni predette.
Più dettagliatamente, va rilevato che con il motivo XXXIII la Società censurava per violazione dell’art. 17, ed in particolare del comma 4, d.lgs. n. 22 del 1997 e degli artt. 7, 9, 15, d.m. n. 471 del 1999, nonché per eccesso di potere nelle varie figure sintomatiche la prescrizione relativa all’adozione degli ulteriori immediati interventi – “entro 10 giorni dal ricevimento del verbale” – con riferimento allo sversamento accidentale del 31 novembre 2003 e con il motivo XXXIV, deduceva l’illegittimità della prescrizione n. 6 relativa alla “frazione granulometrica”.
Sul punto, genericamente l’Amministrazione, nelle proprie difese, ribadiva la necessità e l’urgenza della messa in sicurezza.
VII - Con il sesto ricorso per motivi aggiunti, la Società istante censurava per diversi profili di illegittimità, per lo più derivata da quanto dedotto con il quarto ricorso per motivi aggiunti, poi, la nota del Ministero, con cui si chiedeva lo stato degli adempimenti relativi alla CdS 18 luglio 1 4 settembre 2005.
Con memoria per l’udienza camerale del 28 settembre 2006, l’Amministrazione, eccepiva, in via preliminare, a riguardo l’inammissibilità della domanda, stante la natura non provvedimentale della nota gravata.
VIII – Con il settimo ricorso per motivi aggiunti, la Società impugnava il verbale della conferenza di Servizi decisoria del 21 luglio 2006, comunicata con nota ministeriale del 2 agosto seguente, lamentando la mancanza del completo esame dei documenti indicati al punto 21, del quale è rinviata la discussione.
Relativamente al primo punto all’o.d.g., censurava, dunque, le prescrizioni relative alla rada, alle aree a terra ed alla falda, mentre con riguardo ai punti 2 e 3 le determinazioni che presuppongono le conclusioni delle CdS precedenti del 18 luglio e 14 settembre 2005, con una serie di motivi, oltre che per illegittimità derivate dai vizi gravanti sulle determinazioni presupposte:
A)censure di ordine procedimentale, per violazione degli artt. 17, d.lgs. n. 22 del 1997 e 239, 245, 250 e 252, d.lgs. n. 152 del 2006, nonché dell’art. 174 del TUE, eccesso di potere nelle varie figure sintomatiche, violazione della l. n. 241 del 1990 e dell’art. 97 Cost., in quanto le nuove prescrizioni sarebbero intervenute, pur a fronte della presa d’atto dell’incompletezza dell’istruttoria, senza una nuova indagine;
B)con riguardo alla correlazione tra la contaminazione di suoli/falda e della rada, le medesime censure, oltre che la violazione dell’art. 1, l. n. 426 del 1998, dell’art. 10, d.m. n. 468 del 2001, del d.m. 10 gennaio 2000, dell’art. 2, d.m. 28 luglio 1994, dell’art. 1 bis, co. 6, d.l. n. 496 del 1993 conv. In l. n. 61 del 1994, dell’art. 1, co. 50, l. n. 308 del 2004, dell’art. 11, l. n. 979 del 1982, dell’art. 2, comma 1, lett. D), 8, 15 e All.ti 2 e 3, d.m. n. 471 del 1999 in particolare sub “Messa in sicurezza di emergenza”, dell’art. 5, l. n. 225 del 1992, per carenza istruttoria;
C)in relazione al piano di campionamento dei pontili, le medesime censure, in considerazione dell’avvenuto adempimento alla prescrizione;
D)in riferimento agli interventi per rimuovere ed isolare le fonti di contaminazione, le medesime censure, oltre che specificamente la violazione dell’art. 240 co. 1, lett. I-s) e dell’All.to 1, tit. V, parte IV, d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto le azioni sono state poste indiscriminatamente a carico di tutte le Aziende;
E)con riguardo alla rimozione dei sedimenti, le censure sopra riportate, oltre che specificamente la violazione dei principi in tema di bonifica, ed in particolare la violazione degli artt. 23-32 e 35-41 e 22, 9.a e 9.f dell’All.to III, parte II, d.lgs. n. 152 del 2006, nonchè dell’art. 1, All.to A, lett. a)-i)-v), All.to B), lett. h), d.m. 12 aprile 1996, dell’art. 91, l. reg. Sicilia n. 6 del 2001 e del decreto dell’Assessore al territorio e Ambiente 23 marzo 2004, dell’art. 252, commi 7-8, d.lgs. n. 152 cit., dell’art. 15, co.5, d.m. 471 del 1999, dell’art. 109, d.lgs. n. 152 cit., dell’art. 35, d.lgs. n. 152 del 1999 e del d.m. 24 gennaio 1996, dell’art. 5, l. n. 84 del 1994, che reitera la prescrizione di cui alla CdS 18 luglio 2005, cu cui la CdS 16 dicembre 2005 aveva deliberato di soprassedere;
F)in ordine alla caratterizzazione a maglia 50x50 MT, violazione dell’All.to B, d.m. n. 468 del 2001, nonché dell’art. 242 e dell’All.to 2, tit. V, parte IV, d.lgs. n. 152 del 2006, eccesso di potere, violazione dei principi in tema di Conferenza dei Servizi e del principio del giusto procedimento;
G)sul progetto definitivo di bonifica, per le censure già riportate;
H)con riguardo all’adeguamento degli interventi di m.i.s.e della falda;
I)con riferimento, da ultimo al marginamento fisico della falda, violazione del d.lgs. n. 152 del 2006 ed eccesso di potere, per assenza della relativa motivazione;
L) limitazione della navigazione nella rada, per carenza di potere, violazione degli artt. 15-27 Cod. Navigazione, del d.P.R. n. 328 del 1952 e della l. n. 84 del 1994 ed eccesso di potere nelle varie figure sintomatiche.
VIII – Con l’ottavo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente – richiamate le ordinanze cautelari di accoglimento di questo TAR, con riferimento ai precedenti ricorsi, rivolgeva l’impugnativa contro due ulteriori CdS decisorie del 19 ottobre e 31 ottobre 2006 ed i decreti direttoriali con i quali si approvare approvavano come definitive tutte le prescrizioni stabilite nei verbali delle CdS decisorie del 18 luglio, 14 settembre, 13 ottobre e 16 dicembre 2005, nonchè delle CdS 21 luglio, 19 ottobre e 31 ottobre 2006, oltre che per illegittimità derivata, per i seguenti motivi:
A) con riferimento ai decreti, assoluta carenza di potere, incompetenza, oltre che violazione delle normative già richiamate ed eccesso di potere;
B) con riguardo alle limitazioni della navigazione nella rada di Augusta, per quanto già dedotto;
C) con riferimento alla m.i.s.e. ed alla bonifica dei sedimenti, per violazione del giudicato e per le censure già riferite;
D) con riguardo al piano di campionamento dei pontili, per quanto già esposto;
E) con riferimento alle disposizioni relative agli interventi di terra e di falda, per quanto già dedotto;
F) con riguardo al disposto intervento sostitutivo del Commissario delegato, per carenza di potere, incompetenza, eccesso di potere, e violazione delle disposizioni già sopra menzionate.
IX – Con il nono ricorso per motivi aggiunti, l’istante censurava ancora la CdS decisoria del 4 dicembre 2006 ed il decreto direttoriale con cui essa era approvata per i medesimi motivi di cui al ricorso precedente.
Avverso i predetti motivi aggiunti l’Amministrazione ribadiva la legittimità del proprio operato ed, in via preliminare, con riferimento ai noni motivi aggiunti eccepiva l’inammissibilità del ricorso per essere le prescrizioni dirette ad altri soggetti pubblici.
X – Con il decimo atto per motivi aggiunti la ricorrente censurava i risultati della CdS decisoria del 16 febbraio 2007 (ed il relativo decreto di approvazione), intervenuta pochi mesi dalla precedente per riprendere “le fila dell’istruttoria lasciata in sospeso”, deducendo una serie di motivi di ordine procedimentale, nonché di carattere generale, specificamente con riguardo al principio “chi inquina paga”, già svolti nei precedenti atti e riproponendo le censure attinenti alle prescrizioni attinenti la caratterizzazione a maglia 50x50, i limiti di valori ritenuti idonei a far ‘scattare’ le prescrizioni di m.i.s.e., il barrieramento fisico, nonché, con riferimento alle prescrizioni relative allo sversamento accidentale degli idrocarburi dal serbatoio TK 212, al piano di monitoraggio di m.i.s.e. ed in particolare al riutilizzo delle acque emunte, alle prescrizioni relative alla rada di Ragusa.
XI – Con l’undincesimo atto per motivi aggiunti, la Società, oltre a riproporre le medesime censure già elencate – sia di ordine generale che specificamente dirette a prescrizioni - avverso il verbale di Cds del 20 dicembre 2007 ed il relativo decreto di approvazione, indirizzava nuove deduzione avverso la conclusione della Conferenza in ordine alla necessità di disporre la bonifica dei sedimenti della Rada, per numerosi profili di illegittimità, quali l’eccesso di potere nelle varie figure sintomatiche e le violazioni di legge già sopra elencate.
Censurava, ulteriormente, la prescrizione della seconda fase di caratterizzazione, asserendone l’inutilità e l’illegittimità dell’attività progettuale di Sviluppo Italia.
Deduceva l’illegittimità derivata del decreto gravato.
XII – Con il dodicesimo ricorso per motivi aggiunti, la Società gravava la nuova CdS del 6 marzo 2008 ed il relativo decreto di approvazione, per i medesimi profili procedimentali, di carenza istruttoria e motivazionale, sopra descritti ed, in particolare quanto alle conclusioni relative alle prescrizioni ordinate alla stessa a seguito della contaminazione da rottura del collettore IAS.
Introduceva nuove specifiche censure per violazione delle disposizioni di legge sopra già indicate e per eccesso di potere, per quanto concerne le prescrizioni finalizzate al riutilizzo delle aree.
XIII - Con il tredicesimo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente si doleva della CdS decisoria del 22 dicembre 2010 e del relativo decreto, riproponendo le censure avverso la prescrizione di m.i.s.e. in caso di rilevamento dei c.d. ‘hot spot’ e la sollecitazione dell’intervento del Commissario delegato per l’attivazione dei poteri sostitutivi. Confermava le censure già esposte con riguardo alla caratterizzazione a maglia ed al barrieramento fisico e, specificamente, denunziava l’illegittimità della prescrizione della revisione del progetto di MISO in caso di mancata sottoscrizione dell’Accordo di Programma riguardante il sito di Priolo, per violazione delle’intervenuta pronunzia in sede cautelare, nonché degli artt. 23 e 97 Cost., e delle Raccomandazioni della Commissione Europea del 9 dicembre 1996, degli artt. 239 e ss., d.lgs. n. 152 del 2006, della l. n. 241 del 1990, nonché dell’art. 349 del 1986 e per eccesso di potere nelle varie figure sintomatiche.
Censurava, altresì, il decreto di approvazione per illegittimità derivata.
XIV – Con il quattordicesimo atto per motivi aggiunti, l’istante impugnava, da ultimo, la CdS del 5 marzo 2014 ed il relativo decreto di approvazione, riproponendo le censure relative alla carenza istruttoria, all’individuazione dei valori MTBE, all’individuazione della contaminazione del sito ed alla tecnologia indicata.
Censurava il decreto di approvazione per illegittimità derivata.
XV - Va precisato che, nel giudizio, interveniva ad adiuvandum la Società Polimeri Europa (oggi Versalis), con atto depositato in data 26 marzo 2007, in quanto titolare di uno stabilimento industriale all’interno del sito di interesse nazionale di Priolo e, dunque, interessata al corretto svolgimento delle operazioni di messa in sicurezza.
In tale occasione la predetta Società rappresentava che analoghe impugnazioni erano proposte dalla stessa e da altre Società – Syndial S.p.a., E.n.i S.p.a. – Divisione Refining and Marketing, Erg Raffinerie Mediterranee S.p.a., Salsol Italy S.p.a., Dow Poliuretani Italia S.p.a. e Maxcom S.p.a. e Maxcom Petroli S.p.a., a seguito delle quali il TAR Sicilia – Sede di Catania, provvedeva accogliendo le istanze cautelari.
Con atto depositato il 26 marzo 2007, interveniva ad adiuvandum anche la Società Syndial (nuova denominazione della Enichem S.p.a.), anch’essa titolare di uno stabilimento industriale all’interno del sito di interesse nazionale per cui è causa e, dunque, interessata all’esito del giudizio per il medesimo motivo sopra esposto.
Con memoria per l’udienza di discussione depositata in data 30 ottobre 2014, le intervenienti - esposto che le prescrizioni del Ministero dell’Ambiente, con cui era imposto alle medesime la presentazione di un progetto definitivo di bonifica delle acque di falda basato sul marginamento fisico e la rimozione dei sedimenti contaminati dalla Rada di Augusta, in assenza della caratterizzazione ambientale, erano state già sospese con le ordinanza nn. 1567 del 2005, 934 del 2006, 142 del 2007 e 3514 del 2007, nei ricorsi proposti autonomamente dinanzi al TAR Catania, dalle predette Società, e di seguito annullate, con sentenza passata in cosa giudicata n. 2117 del 2012 – chiedevano di dare atto del venir meno dell’interesse alla decisione del ricorso con riferimento alla loro posizione, ormai consolidatasi.
XVI – Peraltro, deve rammentarsi che con decreto n. 7345 del 2014 era disposta, a seguito di atto del 25 marzo 2014 in ordine alla permanenza dell’interesse, la revoca del decreto di perenzione n. 4654 del 2014 ed era disposta reiscrizione sul ruolo del merito della causa.
XVII – A seguito del deposito della documentazione tecnica e di memorie delle parti, anche in ordine agli specifici profili di permanenza dell’interesse alla decisione (in particolare, con memoria per l’udienza di merito del 20 novembre 2014, la Società istante, peraltro, precisava una serie di punti sui quali è sopravvenuto il difetto di interesse o è cessata la materia del contendere in relazione agli ulteriori provvedimenti assunti dall’Amministrazione), la causa era trattenuta in decisione all’udienza dell’11 novembre 2014.
DIRITTO
I – La fattispecie oggetto della presente controversia si appalesa estremamente complessa per la molteplicità degli atti gravati e le implicazioni di ordine ambientale sottese alle prescrizioni delle Amministrazioni, che si sono succedute in ormai più di dieci anni di contenzioso, nonchè delle pronunzie alle sulle posizione delle Società intervenute in giudizio, negli autonomi giudizi instaurati dinanzi al TAR Catania.
Il procedimento che si è articolato per numerosi anni e che ha portato alle determinazioni delle varie Conferenze dei servizi decisorie, risulta gravato sotto molteplici aspetti che attengono essenzialmente al presupposto soggettivo dell’ordine di intervento impartito all’impresa ricorrente, ossia all’ apporto all’inquinamento della falda, alle modalità di intervento - sia ai fini della m.i.s.e. (messa in sicurezza d’emergenza) che del più generale programma di bonifica -, al rispetto delle regole generali sul procedimento amministrativo, specialmente in punto di partecipazione e, conseguentemente, di motivazione (con particolare riguardo alle prescrizioni relative alla Rada, ai limiti dei valori imposti ed al c.d. marginamento fisico delle acque di falda).
In generale, può sin qui rilevarsi che il succedersi delle Conferenze ha fatto in parte venire meno l’interesse in ordine a talune disposizioni e prescrizioni, per un verso poiché adempiute dalla Società istante, per altro, perché superate dalle successive determinazioni.
Non può non osservarsi, tuttavia, la necessità, per lo più, di esaminare dettagliatamente i singoli motivi di ricorso - salvo che per quanto riguarda i dedotti vizi di natura procedimentale - poiché attinenti a specifiche prescrizioni che trovano la loro riedizione nelle fasi successive.
Peraltro, l’interesse generale alla pronuncia, sia pur dopo l’intervenuta serie di decisioni da parte del Tribunale di Catania, permane con riferimento alla posizione della Esso Italia a S.r.l., odierna ricorrente, che ha inteso radicare la competenza del presente giudizio, correttamente, dinanzi a questo Tribunale – come è stato, peraltro, ritenuto con le varie ordinanze cautelari intervenute nel processo stesso – in ragione del coinvolgimento del sito d’interesse nazionale e dell’impugnazione di atti delle Amministrazioni centrali, ai sensi dell’art. 13 c.p.a. (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 12 febbraio 2015, n. 2509 ).
In primo luogo, dunque, deve darsi atto del venir meno dell’interesse – come dichiarato dalle intervenienti – con riferimento alle posizioni delle Società Polimeri Europa e Syndial s.p.a., rispetto alle quali, appaiono sussistere giusti motivi per disporre sin d’ora e la compensazione delle spese di lite.
II – Svolta siffatta precisazione di ordine del tutto preliminare, va rilevato che non può essere condivisa l’eccezione di inammissibilità svolta con la memoria del 7 dicembre 2005 dall’Avvocatura dello Stato.
In vero, da un lato, le censure mosse con l’atto introduttivo del giudizio sono dirette in via prioritaria a contestare la legittimità del procedimento seguito dall’Amministrazione, sì da non potersi ritenere tese a contestare il merito dell’azione amministrativa – sottratto al vaglio di legittimità di questo giudice.
Vieppiù, sulla discrezionalità tecnica si è molto discusso in giurisprudenza, tuttavia, addivenendosi a conclusioni – in via generale e con le precisazioni che di seguito si svolgeranno - che lasciano ampio margine di sindacabilità al giudice chiamato a pronunziarsi sui provvedimenti adottati dall’Amministrazione: “La discrezionalità amministrativa, che non può ridursi a un’attività meramente intellettiva sostanzialmente coincidente con l’attività di interpretazione delle norme, consiste nel margine di scelta che la norma rimette all’amministrazione affinché essa possa individuare, tra quelle consentite, la soluzione migliore per curare nel caso concreto l’interesse pubblico.
Il sindacato sulla discrezionalità tecnica è ammesso non soltanto attraverso un controllo estrinseco, attuato mediante massime di esperienza appartenenti al sapere comune e finalizzato a ripercorrere l’iter logico seguito dall’Amministrazione, ma anche attraverso un controllo intrinseco che, consentendo al giudice di avvalersi di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla stessa scienza specialistica e ai modelli di giudizio applicati dall’Amministrazione, risulta volto a verificare direttamente l’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico e a procedimento applicativo. Non è, però, ammissibile un controllo definito di "tipo forte", con il quale l'autorità giudiziaria sostituisce "sic et simpliciter", avvalendosi eventualmente di un consulente tecnico, la valutazione tecnica svolta dall'Amministrazione con una propria e diversa determinazione. Questa operazione è impedita dal principio di separazione tra funzione amministrativa e funzione giurisdizionale, che non consente al giudice di incidere su un potere di valutazione riservato all'Amministrazione dotata delle necessarie competenze tecniche e specialistiche nel settore di riferimento.
Con specifico riferimento alle norme giuridiche e ai concetti indeterminati, la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non può limitarsi ad un sindacato meramente estrinseco, ma deve consentire al giudice un controllo intrinseco, avvalendosi eventualmente anche di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall'Amministrazione. Il sindacato del giudice amministrativo è, quindi, pieno e particolarmente penetrante e si estende sino al controllo dell'analisi (economica o di altro tipo) compiuta dall'Autorità, potendo sia rivalutare le scelte tecniche compiute da questa, sia applicare la corretta interpretazione dei concetti giuridici indeterminati alla fattispecie concreta in esame.
Il controllo può, invece, essere "pieno" quando l'attività richiesta all'Amministrazione non presuppone la spendita di discrezionalità tecnica ma di meri accertamenti tecnici, che implicano la verifica di dati certi non suscettibili di apprezzamenti opinabili” (C.G.A, 12 dicembre 2013 n. 929).
III – Venendo, dunque, ad esaminare i motivi di ricorso, deve in primo luogo rilevarsi che il primo gruppo di censure muove da una non condivisibile sovrapposizione di due fattispecie completamente differenti, la bonifica e la messa in sicurezza.
Orbene, si tratta di due differenti procedimenti distinti:
- «La messa in sicurezza d'emergenza (cd. m.i.s.e.) può essere disposta solo in presenza di contaminazioni «repentine» al fine di contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e rimuoverle in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente.. » (in terminis, T.A.R. Sardegna, sez. II, 8 ottobre 2007, n. 1809);
- «il procedimento di bonifica è soggetto a procedure e tempi che ne assicurano la ponderazione e quindi la qualità, nel mentre la m.i.s.e. si caratterizza per essere un intervento di contenimento immediato di situazioni improvvise e quindi è regolata da una procedura di urgenza, come tale limitata, puntuale e non estensibile oltre i suoi limiti naturali, (cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. I, n. 1254/2007)» ( sul punto, T.A.R. Toscana, Sez. II - 06/05/2009, n. 762).
Per quanto d’interesse, va rilevato che, nella specie che occupa, la Conferenza dei Servizi era convocata in data 13 novembre 2000, ai sensi dell’art. 14, comma 2, l. n. 241 del 1990, per acquisire le intese ed i concerti previsti dall’art. 17, d.lgs. n. 22 del 1997 e dall’art. 15, d.m. n. 471 del 1999 in materia d’approvazione dei progetti di bonifica concernente l’intervento d’interesse nazionale Gela e Priolo.
In tale sede (All.to n. 2 al ricorso introduttivo) erano approvati i Piani (tra cui quello proposto dalla ricorrente) alle condizioni e con le prescrizioni generali e specifiche riportate nell’Allegato C al verbale.
Tuttavia, nella medesima sede si precisava: “resta comunque fermo l’obbligo di provvedere agli interventi di messa in sicurezza d’emergenza necessari per garantire la tutela della salute e dell’ambiente, e quindi anche l’obbligo di procedere alla caratterizzazione per verificare la congruità di tali interventi rispetto ai beni e soggetti potenzialmente incisi dall’inquinamento”.
Proprio con riferimento, dunque, alla messa in sicurezza d’emergenza, il Ministero disponeva il riesame di quanto predisposto dalla Società ricorrente.
Ne consegue che la nota impugnata, lungi dal porgersi quale atto di riesame (e/o revoca del precedente verbale della Conferenza dei Servizi) con i conseguenti vizi di incompetenza e motivazione – si colloca in un diverso tratto del procedimento – ovvero quello della predisposizione delle misure in emergenza – nelle more della più complessa bonifica approvata dalla Conferenza.
Di poi, va rilevato che neppure la parte istante lamenta l’essersi formato – nel caso in argomento – un silenzio significativo.
Orbene, dunque, vale ricordare che a fronte dell’inerzia mantenuta dalla p.a. sono possibili i differenti meccanismi di tutela:
- quello, secondo cui al privato è consentito di reagire per ovviare ad eliminare gli effetti negativi prodotti dall’inerzia tenuta dall’amministrazione, rivolgendosi all’autorità giudiziaria (silenzio-inadempimento);
- quello, predisposto dal legislatore e teso a prevenire lo stesso prodursi di possibili effetti pregiudizievoli connessi all’inerzia, quando è riconosciuto al silenzio dell’amministrazione un significato legale tipico.
Ne discende, che al di fuori delle ipotesi di silenzio significativo (assenso o diniego, eventualmente impugnabile dinanzi al g.a. come un qualsiasi provvedimento), all’interessato rimane la via dell’azione avverso l’inerzia della p.a. (oltre che eventualmente l’azione risarcitoria per le conseguenze dannose derivanti dal ritardo).
Tuttavia, deve escludersi che il potere dell’Amministrazione si consumi.
Tali precisazioni mantengono la loro rilevanza, pur dopo che, con la memoria del 20 ottobre 2014, la parte dichiarava il sopravvenuto difetto di interesse in ordine alla pronunzia sul primo motivo di ricorso.
IV – Si deve, dunque, procedere all’esame delle censure di cui al II motivo di ricorso con riguardo allo stretto termine per le nuove integrazioni (5 giorni per riesaminare la messa in sicurezza e 15 giorni per procedere alla caratterizzazione di altre porzioni di territori) e al III motivo con riguardo ai valori di riferimento.
In ordine alla prima censura, essa si appalesa inammissibile perché la predetta indicazione di termini molto brevi non può considerarsi lesiva degli interessi della ricorrente. Ciò sulla base del rilievo che gli anzidetti termini, non essendo qualificati come perentori, devono intendersi, in mancanza anche di una specifica comminatoria di sanzione per la loro inosservanza, di natura meramente ordinatoria (cfr. in terminis, peraltro su una controversia analogamente instaurata dalla Società odierna ricorrente per altro sito, T.A.R. Campania – Napoli, Sez. I, n. 7922 del 2006, ed in appello Cons. di Stato, Sez. VI, n. 2526 del 2014).
Sicchè il ricorso deve essere dichiarato per tale parte inammissibile, ancor prima che improcedibile, come richiesto dalla parte con la memoria citata del 20 ottobre 2014.
VII - Venendo, dunque, ad esaminare il III motivo, con esso la Società contesta:
a)che il provvedimento individui il limite di riferimento degli idrocarburi totali espressi come n.esano per le acque sotterranee in 10 ppb, stabilito dalle note I.S.S., con ciò violando il d.m. n. 471 del 1999, che prevedrebbe (All.to 1, punto 90) un valore limite di concentrazione di n-esano pari a 350 ppb;
b)che il provvedimento individui il limite di 10 ppb di MTBE, mentre non essendo indicato il limite relativo negli elenchi Allegati al d.m. n. 471 del 1999, non potrebbero essere automaticamente applicabili l’art. 17, d.lgs. n. 22 del 1997 e del d.m. n. 471 richiamato per la tassatività dell’elencazione;
c)che in ogni caso sarebbe arbitrario il limite di 10 ppb, previsto invece dal d.P.R. n. 236 del 1988 in merito alle acque destinate al consumo umano;
d)che sarebbe illegittima la prescrizione dell’approfondimento dell’indagine concernente il valore di fondo dell’arsenico, in primo luogo essendo stata già effettuata in conformità al piano di caratterizzazione e superflua, non rientrando l’arsenico tra le sostanze di cui al ciclo produttivo della raffineria;
e)che la Nota assuma che l’analisi delle acque site in corrispondenza dei pozzi profondi non sia stata effettuata dalla Esso sulla base dei valori indicati nel d.m. n. 471 del 1999, poiché essa emergerebbe già nel Piano di caratterizzazione, da cui risulterebbe che le acque in esame non sono inquinate;
f)che la Nota prescriva ulteriori caratterizzazioni, poiché la caratterizzazione dei sedimenti del Torrente Cartera è stata effettuata in conformità al Piano approvato dal Ministero, mentre la zona Ovest dell’Area Contrattori sarebbe estranea al perimetro del sito di interesse nazionale, non essendo dunque dovuta e, tuttavia, avendo per collaborazione la Esso fornito un’indagine preliminare sul deposito carburanti in tale area;
g)che immotivatamente la Nota avrebbe richiesto la validazione dei dati di caratterizzazione acquisiti da parte di organi pubblici competenti, essendo stati tali dati assunti in contraddittorio con il Ministero medesimo e l’ARPA nel rispetto del protocollo concordato con le predette Autorità e con la supervisione degli incaricati del DAP e della Provincia di Siracusa.
Ritiene il Collegio che la doglianza della ricorrente in ordine all'illegittimità della prescrizione indicata alla lett. a) debba ritenersi fondata, posto che è l'allegato 1, tabella 2, al d.m. n. 471 che riporta i valori di concentrazione limite accettabili nelle acque sotterranee, di cui qui si discute.
Nello stesso senso si è espresso il giudice amministrativo (Tar Campania-Napoli, Sezione I - Sentenza 3 maggio 2004, n. 7556) in un caso analogo, affermando che, ove i parametri di riferimento espressamente risultino fissati – come nel caso in esame - all'esito del procedimento di approvazione previsto dal legislatore delegato non possono essere modificati dal parere dell'Istituto superiore di sanità.
Nella specie, dunque, l’illegittimità dedotta assume rilevanza, con riferimento al metodo utilizzato e non al merito.
Tuttavia, con riguardo a tale censura la parte ha dichiarato cessata la materia con l’atto del 20 ottobre 2014, a seguito della memoria depositata dal Ministero in data 12 gennaio 2006, con cui si richiamavano le conclusione della CdS decisoria del 5 aprile 2005 relativa al SIN di Porto Marghera.
Al contrario, il motivo indicato alla lettere b) è infondato alla luce delle considerazioni che seguono, come già ha avuto modo di evidenziare in altra controversia il Consiglio di Stato, con la pronunzia già sopra richiamata (n. 2526 del 2014): la prescrizione contestata trova il suo fondamento normativo nell’art. 1, comma 5, dell’Allegato 1 al citato d.m. n. 479 del 1999, il quale prevede che “per le sostanze non indicate in tabella si adottano i valori di concentrazione limite accettabili riferibili alla sostanza più affine tossicologicamente”. La citata previsione normativa (adottata nel rispetto del principio del “concerto” imposto dall’art. 17 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), attribuisce al Ministero dell’ambiente il potere di fissare, per le sostanze non rientranti nell’elenco di quelle contemplate nella tabella, il valore di concentrazione limite accettabile sulla base di un giudizio di equivalenza che richiede l’individuazione della sostanza tossicologicamente più affine. Tale meccanismo di individuazione del limite trova applicazione per tutte le sostanze non presenti in tabella, a prescindere dal fatto che si trovino nel suolo o, come nella specie, nelle acque sotterranee”.
La diversa tesi sostenuta dal ricorrente in ordine all’impossibilità di individuazione in via analogica, non trova supporto.
Infatti, prosegue la sentenza menzionata: “L’individuazione della “sostanza tossicologicamente più affine” compiuta dall’Istituto superiore di Sanità (e poi recepita dal provvedimento impugnato) risulta ampiamente argomentata ed esaustivamente motivata.
Essa risulta il frutto di un’indagine accurata, svolta tenendo conto di tutte le caratteristiche della sostanza in esame, sia di quelle propriamente tossicologiche, sia di quello di comportamento ambientale.
Diversamente da quanto sostiene l’appellante, non sono state affatto ignorate le prove relative alla non cancerogeneità del MTBE che, anzi, sono state specificamente prese in considerazione nel parere reso dell’Istituto superiore di sanità”. Nella pronunzia si fa riferimento ad un parere dell’Istituto superiore di Sanità del 6 febbraio 2001 nel quale “si dà atto, infatti, del fatto che secondo alcuni studi internazionali, come quello svolto dall’International Agency for Research of Cancer (IARC) o dall’International Programme on Chemical Safety (IPCS), il MTBE non può considerarsi cancerogeno per l’uomo (o che la risposta cancerogena è evidente solo ad alti livelli di esposizione). Ciò nonostante, sulla base di una valutazione attenta della caratteristiche ambientali ed ecotossicologiche, l’Istituto superiore di sanità ha ritenuto di assimilare la sostanza in esame ad un idrocarburo a catena lineare a basso numero di atomi di carbonio.
Con riferimento alla lamentata applicazione del criterio riferito alle acque destinate al consumo umano, specificamente la valutazione dell’ISS risulta motivata:
“A livello internazionale non sono stati fissati dei valori di riferimento per il MTBE nei suoli. Mentre l’USEPA nella “Drinking Water Health Advisories” ha definito per il MTBE nelle acque potabili “un valore a lungo termine” pari a 3 mg/l, che equivale alla concentrazione alla quale non ci si aspetta alcun effetto avverso non carcinogeno per un periodo di approssimativamente 7 anni di esposizione, con un margine di sicurezza. Da tutto quanto premesso si potrebbe assimilare il comportamento del MTBE sia dal punto di vista tossicologico che di destino ambientale ad un idrocarburo a catena lineare a basso numero di atomi di carbonio. Pertanto si ritiene di poter definire per il MTBE una concentrazione limite nei suoli pari a quella del parametro 91 “Idrocarburi leggeri C < 12” della Tabella 1 dell’All. 1del D.M. 471/99; cioè una concentrazione limite nei suoli ad uso verde pubblico e residenziale di 10 mg/Kgss e nei suoli ad uso industriale di 250 mg/Kgss. Conseguentemente per quanto concerne le acque si propone di assumere come concentrazione limite, in via cautelativa, il valore definito nel DPR 236/88 relativo alle acque destinate al consumo umano per il parametro “Idrocarburi totali””.
Rispetto ai valori non espressamente indicati dalla disciplina nazionale, dunque, la valutazione sin qui riportata dell’I.S.S. attiene ad un ambito tecnico-discrezionale, rispetto al quale - stante l’ ineliminabile grado di fisiologica opinabilità della valutazione di “affinità” - non può che valere il generale canone ermeneutico in tema di limiti di sindacato giurisdizionale recentemente affermato anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 20 gennaio 2014, n. 1103), secondo il quale “il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti amministrativi comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento; ma quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità” - come nel caso in esame – “detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello Amministrazione ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini”.
Nel caso di specie, la valutazione dell’Amministrazione risulta, per le ragioni già esposte, scientificamente plausibile, e resiste alle censure di irragionevolezza mosse dalla parte ricorrente, la quale, del resto, si limita a contrapporre a tale valutazione una indimostrata affinità del MTBE agli idrocarburi totali (con conseguente applicazione del limite di 350 ug/l), anziché, come ritenuto dall’Amministrazione, agli idrocarburi a catena lineare a basso numero di atomo di carbonio, con conseguente applicazione di un valore soglia pari a quello del parametro 91 “Idrocarburi leggeri C < 12” della Tabella 1 dell’allegati 1 del d.m. n. 471 del 1999 (ovvero, per le acque destinata al consumo 1 0 μg/l.).
Di contro, appaiono fondate le censure di cui alle lettere d)-f), in quanto le prescrizioni ivi contenute sono prive di qualsivoglia motivazione (salvo che per quanto riguarda l’analisi delle acque in relazione ai valori MTBE come già detto), per la quale l’ulteriore attività di messa in sicurezza risulti ragionevole, stante lo svolgimento delle pregresse analisi da parte della Società istante.
Così come appare fondata l’ultima censura di cui si compone l’articolato III motivo, in quanto, i dati assunti sono stati rilevati nel contraddittorio con l’Amministrazione, sicchè l’ulteriore prescrizione, anche alla luce delle esigenze di celerità ed emergenza che caratterizzano la prescrizione medesima, appare del tutto immotivata e si risolve in un ingiustificato aggravio procedimentale.
In materia ambientale, infatti, si è affermato la particolare necessità di trasparenza e di pubblicità, che consenta di verificare l’efficacia delle diverse alternative anche in considerazione dei tempi di esecuzione e sulla loro compatibilità con l'urgenza del provvedere (TAR Toscana, Sez. II - 22 dicembre 2010, n. 6798) e che “Tutte le decisioni adottate dalle competenti autorità in materia ambientale … devono essere assistite - in relazione alla pluralità ed alla rilevanza degli interessi in gioco - da un apparato motivazionale particolarmente rigoroso, che deve tenere conto di un’attività istruttoria parimente ineccepibile” (TAR Friuli, n. 90 del 2008).
Tuttavia, con riguardo alle prescrizioni indicate con le lettere g) ed e), la parte ricorrente chiedeva dichiararsi la sopravvenuta carenza di interesse con la memoria del 20 ottobre 2014.
Per quanto sin qui considerato, il ricorso, con riferimento alla nota del 2002 impugnata, deve essere accolto in parte e, per l’effetto, la predetta nota deve essere annullata con riguardo alle prescrizioni relative al valore di fondo naturale dell’Arsenico, e alle ulteriori caratterizzazioni in siti diversi e la convalidazione dei dati.
VIII – Deve, dunque, ora passarsi alla disamina dei ricorsi per motivi aggiunti.
A riguardo va premesso che, stante il sovrapporsi di prescrizioni ed integrazioni, nonché di provvedimenti giurisdizionali in ordine agli esiti di talune Conferenze dei Servizi, seppur con riferimento a diverse parti, ma con attinenza al medesimo sito di interesse, è necessario esaminare per lo più ciascun ricorso singolarmente, anche ai fini della verifica della permanenza dell’interesse, sia pur procedendo all’eventuale richiamo di motivazione in ordine ad alcune censure che si ripetono via via con riferimento ai vari atti.
Peraltro, come si vedrà, punto per punto, non sempre coincide tra le parti in causa la valutazione della permanenza dell’interesse alla pronuncia.
IX – Si prenderanno in esame, dapprima, i ricorsi per motivi aggiunti dal I al IV, rispetto ai quali l’Amministrazione ha inteso svolgere un’unitaria memoria di controdeduzioni.
Con i primi motivi aggiunti si censuravano in parte le conclusioni della CdS decisoria del 2004, riguardante la m.i.s.e. dell’area della Raffineria di Augusta.
Con riguardo al primo ed al secondo atto di motivi aggiunti l’Avvocatura dello Stato ha chiesto dichiararsi la sopravvenuta carenza di interesse in considerazione delle precisazioni sulle prescrizioni di seguito svolte. Tuttavia, l’improcedibilità non può – ad avviso del Collegio – essere dichiarata con riferimento a tutte le censure per quanto di seguito evidenziato, sulla base anche dei rilievi di parte ricorrente per l’udienza di merito del 20 novembre 2014, non potendosi escludere profili di eventuale aggravio procedimentale (con riflessi patrimoniali) e con effetti sulle successive prescrizioni.
Con il primo motivo di tali atti, la ricorrente si doleva delle seguenti prescrizioni:
a)“i limiti di rilevabilità debbono essere circa 10 volte inferiori rispetto ai limiti del DM 471/99”;
b)“i limiti di riferimento degli idrocarburi totali ….e del MtBE…per le acque sotterranee dovrà essere pari a 10 μg/l, come indicato dall’ISS”.
Rispetto alla prescrizione indicata sub a) la parte ricorrente ha dichiarato con la citata memoria per l’udienza di discussione, di non aver più interesse, atteso che la stessa ha adempiuto alla misura, come modificata dal d.lgs. n. 152 del 2006 per i parametri di maggiore interesse (idrocarburi e BTEX).
Relativamente alla prima parte della prescrizione sub b) la ricorrente ha, altresì, evidenziato che il Ministero, con memoria del 12 gennaio 2006 ha richiamato e fatte proprie le conclusioni della CdS decisoria del 5 aprile 2005.
Per quanto già sopra esposto, dunque, sul punto si è formata la cessazione della materia del contendere.
Al contrario, per quanto concerne la seconda parte della predetta prescrizione, devono ribadirsi le conclusioni sopra riportate in ordine al limite per MTBE. Sicchè la censura va respinta.
X – Con il secondo motivo la Società deduceva l’illegittimità della prescrizione relativa ai valori di riferimento degli idrocarburi totali. Come precisato con la richiamata memoria, tale prescrizione appare superata dal d.lgs. n. 152 del 2006 che ha chiarito che il termine “n-esano” si riferisce agli idrocarburi totali ed ha confermato il limite di 350 μg/l (All. 4 al Ti. V, Tab. 2, voce 90).
Rispetto a tale censura, dunque, deve dichiararsi cessata la materia del contendere, come richiesto dalla parte istante.
XI – Con il terzo motivo, la ricorrente deduceva vizi di natura procedimentale, poiché il tema della sicurezza del sito Esso Augusta era estraneo all’ordine del giorno della CdS convocata esclusivamente per la situazione di inquinamento del sottosuolo della centrale Enel di Augusta (punto 6).
La doglianza non è fondata.
Infatti, al punto 15 dell’ordine del giorno (in atti) era espressamente previsto l’esame degli “Interventi di caratterizzazione ambientale dell’area della raffineria ESSO di Augusta”.
Con riguardo, peraltro, all’ulteriore aspetto della asserita non correttezza delle affermazioni, va rilevato che le prescrizioni sono inerenti alla caratterizzazione e fanno riferimento alle risultanze della Conferenza istruttoria del 10 gennaio 2013.
XII – Con il quarto motivo di ricorso, la Società deduce la violazione di legge e profili di eccesso di potere con riguardo alla prescrizione, secondo cui “le analisi dei suoli devono essere effettuate sulla frazione granolumetrica passante al vaglio 2 mm e i risultati analitici, con cui effettuare il confronto con i valori limite definiti dal DM 471/99, devono essere riferiti ad essa soltanto”.
La ricorrente premette che la concentrazione di inquinante presente nel suolo si determina in base al rapporto tra la quantità di inquinante e la quantità del materiale setacciato (mg/kg). Pertanto, considerando, così come avverrebbe sulla base della prescrizione contestata, in tale materiale solo la parte polverosa del terreno, la quantità di inquinante risulterà in percentuale notevolmente maggiore rispetto all’analisi di tutta la frazione secca (perché nel rapporto mg/kg il denominatore – corrispondente alla quantità del suolo preso a riferimento – aumenterebbe).
Secondo la ricorrente, in base alla normativa vigente (Allegato n. 1 al d.m. n. 471 del 1999 e d.m. 13 settembre 1999), dovrebbe essere considerato tutto il materiale secco del terreno (polvere e ciottoli).
Il motivo non ha pregio.
Come già ha avuto modo di precisare il Consiglio di Stato, su una analoga fattispecie, gia’ sopra richiamata (sent. n. 2526 del 2014) “Il d.m. n. 471 del 1999 nella premessa dell'Allegato 1 recita testualmente “In attesa della pubblicazione de Metodi Ufficiali di analisi chimica del suolo quali aggiornamenti del D.M. 11 maggio 1992, pubblicato come supplemento ordinario alla G.U. n. 121 del 24 maggio 1992, che definiscono le metodiche di campionamento dei suoli per frazioni granulometriche di suolo, sottosuolo e materiale di riporto, i risultati delle analisi effettuate sulla frazione granulometrica passante al vaglio 2 mm sono riferiti alla totalità dei materiali secchi. Qualora si sospetti una contaminazione anche del sopravaglio devono essere effettuate analisi di tale frazione granulometrica sottoponendola ad un test di cessione che utilizzi come eluente acqua deionizzata satura di C02. I parametri da controllare sull'eluato sono quelli della Tabella 2 con i relativi valori di concentrazione limite riportati”” Ne consegue che “tale previsione debba essere intesa nel senso che i valori riscontrati nella frazione granulometrica passante al vaglio di 2 mm debbano essere riferiti unicamente al peso secco della massa di materiale che è passato a tale vaglio. Di contro, ove si facesse riferimento all'intera massa, di fatto si opererebbe un’indebita “diluizione”. Del resto, “Tale interpretazione è, peraltro, supportata anche da un altro elemento: lo stesso d.m. n. 471 del 1999 alle premesse dell'Allegato 1 afferma che ove si sospetti la contaminazione anche del sopravaglio (particelle con Ø > 2 mm) si dovrà sottoporre tale frazione granulometrica ad un test di cessione. Quindi è ovvio che l'espressione dei risultati per le due frazioni granulometriche (particelle con Ø 2 =), essendo state le stesse sottoposte a procedure estremamente diverse, dovranno riferirsi al peso secco di ogni singola frazione esaminata.
Considerando, infatti, le altre frazioni granulometriche si avrebbe una “diluizione” della contaminazione, prevalentemente concentrata sulla parte fine, anche perché il metodo di vagliatura a secco porta in molti casi a sottostimare l’effettiva percentuale al di sotto dei 2 mm a causa della presenza di aggregati.
Tale metodo è, inoltre, quello più coerente con il principio di precauzione che certamente ispira la disciplina della materia in esame. Sotto questo profilo, la scelta di concentrare l’attenzione sulla frazione fine risulta valida in quanto, per il più elevato rapporto superficie/volume, la frazione fine è quella maggiormente suscettibile di essere contaminata”.
Ritiene il Collegio di condividere l’interpretazione sin qui esposta. Ne consegue che – per quanto ancora d’interesse – il primo ricorso per motivi aggiunti deve essere respinto.
XIII – Con il II ricorso per motivi aggiunti, la Società ricorrente formula tre ordini di censure rispetto alle nuove prescrizioni contenute nel verbale di CdS decisoria del 19 ottobre 2004, che possono così riassumersi:
a)illegittimità della prescrizione di adottare immediati interventi di messa in sicurezza di emergenza della matrice ambientale contaminata in caso si superamenti di oltre 10 volte dei valori di concentrazione limite ammissibile indicati dalle tabelle allegate al d.m. n. 471 del 1999, in quanto il parametro di ‘hot spot’ sarebbe imposto tardivamente a procedimento di bonifica ormai avanzato e per la prima volta nella sede della CdS del 19 ottobre 2004, senza che sia stata condotta sul punto un’adeguata istruttoria; peraltro, sarebbe irragionevole richiedere con gli interventi di messa in sicurezza risultati ottenibili unicamente attraverso il procedimento di bonifica (motivi VI-VII);
b)l’illegittimità della prescrizione relativa alla necessità di applicazione dei valori limite definiti dall’ISS per MTBE ed idrocarburi totali e di parametrazione ai valori previsti per le acque potabili, per violazione del d.m. n. 471 del 1999 ed incompetenza, nonché eccesso di potere (motivi VIII-X);
c)illegittimità della prescrizione dei sistemi di sbarramento della falda, stante l’operatività da tempo non solo di pozzi di recupero del prodotto surnatante, ma anche, asseritamente, di validi sistemi di emungimento delle acque sotterranee, che garantirebbero il contenimento della contaminazione disciolta nelle acque sotterranee e la predisposizione di ulteriori sistemi di sbarramento idraulico e di emungimento delle acque sotterranee in prossimità del confine sud con lo stabilimento Enel , tutti in fase avanzata di realizzazione (motivo XI.1);
d)illegittimità della prescrizione in tema di caratterizzazione del torrente Cantera e dell’area Deposito, per essersi già esaurito il potere del Ministero nella CdS del 2000, cosicché le nuove richieste costringerebbero la Società ricorrente a modificare il Piano in esecuzione; peraltro, l’area in questione non rientrerebbe nella perimetrazione del sito, rimanendo, dunque, estranea alla competenza del Ministero e spettandone invece ogni pronunzia relativa al Comune ai sensi dell’art. 10 d.m. n. 471 del 1999 (motivo XI.2);
e)illegittimità della prescrizione inerente l’imposizione di analisi sulla frazione granolumetrica passante al vaglio 2 mm ed il confronto tra valori tabellari e risultati delle analisi condotte su detta frazione (motivo XI.3);
f)illegittimità della CdS istruttoria del 29 luglio 2004, il cui verbale non era mai comunicato alla ricorrente, conseguentemente determinante l’illegittimità della Cds decisoria gravata;
g)illegittimità del provvedimento per applicazione dell’art. 17, d.lgs. n. 27 del 1997, emanato in assenza di corretti principi e criteri direttivi, in quanto la legge delega n. 146 del 1994 era diretta all’attuazione delle direttive CE 91/156 e 91/689, in materia di rifiuti, estranea dunque alla materia della bonifica dei siti contaminati; sicché l’estensione della delega sarebbe stata effettuata in violazione dell’art. 76 Cost., al pari della previsione di retroattività degli obblighi di bonifica per inquinanti precedenti al d.lgs. n. 22 dle 1997; ancora l’art. 17, d.lgs. n. 22 del 1997 violerebbe gli artt. 3 e 23 Cost. con riferimento alla concezione del danno ambientale oggettivo, con conseguente illegittimità derivata del d.m. n. 479 del 1999.
Deduceva l’Avvocatura erariale il sopravvenuto difetto di interesse con riferimento all’intero ricorso, per essere state precisate le prescrizioni nei successivi atti, tuttavia, non replicando in ordine alle questioni generali, che, dunque - come di seguito specificato – mantengono il loro interesse, anche perché attengono a eventi e valutazioni che si sono ripetuti nel tempo.
A riguardo, peraltro, la parte ricorrente chiedeva con la memoria menzionata, di dichiararsi il sopravvenuto difetto di interesse unicamente al motivo XI.I (sistemi di sbarramento di falda), che dunque va dichiarato, in parte, improcedibile.
Chiedeva che fosse dichiarata la cessazione della materia del contendere con riferimento ai motivi VIII-X per la nuova disciplina intervenuta, come anzidetto.
Per queste ragioni va dato atto dell’intervenuta carenza di interesse a riguardo.
XIV – Prima di valutare i diversi punti su cui permane l’interesse alla pronunzia, devono trovare esame le censure di tipo ordinamentale e procedurale, che ne costituiscono il presupposto.
Orbene, è necessario, dunque, sia pur brevemente procedere ad una ricostruzione della disciplina.
Infatti, il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) – Codice dell'ambiente – ha abrogato l'art. 17 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), basato sul meccanismo in forza del quale al superamento dei limiti massimi di concentrazione, scattava l'obbligo di bonifica, introducendo, nell'art. 240, le nozioni di «concentrazioni soglia di contaminazione» (CSC), il cui superamento impone la caratterizzazione e la procedura di analisi di rischio sito specifica, e la nozione di «concentrazioni soglia di rischio» (CSR), che, se oltrepassata, determina il sorgere dell'obbligo di bonifica e di messa in sicurezza.
La Corte costituzionale ha avuto modo di soffermarsi sulla rilevanza delle novità apportate dal d.lgs. n. 152 del 2006, evidenziando che: “La previgente disciplina definiva «inquinato» il sito nel quale i livelli di contaminazione o alterazione erano «tali da determinare un pericolo per la salute pubblica o per l'ambiente naturale», ciò che avveniva quando la concentrazione degli inquinanti risultava «superiore ai valori di concentrazione limite accettabili», fissati dall'apposita normativa tabellare. «Potenzialmente inquinato» era il sito in cui, a causa di attività pregresse o in atto, sussisteva la «possibilità» che fossero presenti sostanze inquinanti in concentrazioni tali da determinare «pericolo per la salute pubblica o per l'ambiente» (art. 2, comma 1, lettera c), del decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, contenente il «Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni»). Nel nuovo regime di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, i «valori limite» di concentrazione diventano «valori di attenzione» (cosiddette «concentrazioni soglia di contaminazione»), il cui superamento non determina, di per sé, l'automatica qualificazione giuridica di contaminazione del sito, ma obbliga unicamente alla caratterizzazione e all'analisi di rischio «sito specifica» (art. 240 del d.lgs. n. 152 del 2006). Nel d.m. n. 471 del 1999 il ruolo dell'«analisi di rischio» era definito eminentemente sussidiario. Nel nuovo regime, al contrario, l'analisi di rischio diviene strumento centrale e decisivo ai fini della qualificazione giuridica di contaminazione del sito e della conseguente insorgenza dell'obbligo di messa in sicurezza e di bonifica.
La portata delle modifiche introdotte in tema di bonifica dei siti inquinati ha indotto il legislatore statale ad agevolare la transizione dal vecchio al nuovo regime, mediante la previsione contenuta nell'art. 265, comma 4, secondo la quale, «fatti salvi gli interventi realizzati alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, entro centottanta giorni da tale data, può essere presentata all'autorità competente adeguata relazione tecnica al fine di rimodulare gli obiettivi di bonifica già autorizzati sulla base dei criteri definiti dalla parte quarta del presente decreto. L'autorità competente esamina la documentazione e dispone le varianti al progetto necessarie».
Tale previsione esprime chiaramente il favor del legislatore statale per l'applicazione della disciplina sopravvenuta in riferimento non solo ai procedimenti in corso, ma anche ai procedimenti già conclusi, riconoscendo in relazione a questi ultimi – con una formula di non dubbia interpretazione – la facoltà di proporre istanza di rimodulazione degli interventi già autorizzati, ma non realizzati, sia pure nelle forme ed entro i limiti sopra richiamati” (Corte Cost. sent. n. 214 del 2008).
Da quanto sin qui evidenziato, deve dedursi logicamente che l’esame della previgente disciplina vale in questa sede solo al fine di verificare la legittimità dell’operato della p.a., e tuttavia, per quanto ancora non concluso, l’interpretazione data dal giudice delle leggi comporta l’immediata operatività delle nuove norme.
XV – Preliminarmente, va precisato che la Corte costituzionale si è più volte pronunziata circa la rilevanza della questione di legittimità costituzionale di norma abrogata in epoca antecedente alla rimessione della questione stessa. La Corte ha costantemente affermato la persistenza della rilevanza, anche nel caso in cui la norma sottoposta a scrutinio sia stata dichiarata incostituzionale o sostituita da una successiva, perché, ove un determinato atto amministrativo sia stato adottato sulla base di una norma poi abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima, «la legittimità dell’atto deve essere esaminata, in virtù del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione» (da ultimo, sentenze nn. 78 del 2013 e 177 del 2012; nonché, tra le altre, sentenze n. 321 del 2011, n. 209 del 2010, n. 391 del 2008, n. 509 del 2000).
XVI – Tuttavia, i dubbi di legittimità costituzionale sollevati da parte ricorrente appaiono non manifestamente fondati.
Valgano a riguardo due ordini di considerazioni.
In primo luogo, con riferimento alle censure di legittimità, in relazione alla connessione con la disciplina dei rifiuti, si rileva che la normativa sull’inquinamento, che detta i principi di prevenzione e di tutela ambientale appare necessariamente connessa con quella dei rifiuti, stante l’esigenza di disciplinare gli strumenti - nella normativa nazionale, in adempimento degli obblighi comunitari – per far fronte alle dispersioni di sostanze inquinanti. Tale connessione permane nel Codice dell’ambiente, emanato, come indicato in premessa “Viste le direttive 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, e 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, come modificata dalle direttive 97/11/CE del Consiglio, del 3 marzo 1997, e 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, concernente la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, nonché riordino e coordinamento delle procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per la prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento (IPPC);
Vista la direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento;
Vista la direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque;
Vista la direttiva 91/156/CEE del Consiglio, del 18 marzo 1991, che modifica la direttiva 75/442/CEE relativa ai rifiuti;
Vista la direttiva 91/689/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, relativa ai rifiuti pericolosi;
Vista la direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994, sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio;
Vista la direttiva 84/360/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1984, concernente la lotta contro l'inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali;
Vista la direttiva 94/63/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994, sul controllo delle emissioni di composti organici volatili (COV) derivanti dal deposito della benzina e dalla sua distribuzione dai terminali alle stazioni di servizio;
Vista la direttiva 1999/13/CE del Consiglio, dell'11 marzo 1999, concernente la limitazione delle emissioni di composti organici volatili dovute all'uso di solventi organici in talune attività e in taluni impianti;
Vista la direttiva 1999/32/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alla riduzione del tenore di zolfo di alcuni combustibili liquidi e recante modifica della direttiva 93/12/CEE;
Vista la direttiva 2001/80/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, concernente la limitazione delle emissioni nell'atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione;
Vista la direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, che, in vista di questa finalità, «istituisce un quadro per la responsabilità ambientale» basato sul principio «chi inquina paga»”.
In ordine alla responsabilità ‘oggettiva’, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare che: “La responsabilità dell'autore dell'inquinamento, ai sensi dell'art. 17, comma 2, del D.Lgs. 22/1997, costituisce una forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree. La natura oggettiva della responsabilità in questione è desumibile dalla circostanza che l'obbligo di effettuare gli interventi di legge sorge, in base all'art. 17 citato, in connessione con una condotta "anche accidentale", ossia a prescindere dall'esistenza di qualsiasi elemento soggettivo doloso o colposo in capo all'autore dell'inquinamento. Ai fini della responsabilità in questione è comunque pur sempre necessario il rapporto di causalità tra l'azione (o l'omissione) dell'autore dell'inquinamento ed il superamento - o pericolo concreto ed attuale di superamento - dei limiti di contaminazione, in coerenza col principio comunitario "chi inquina paga". Sensibilmente diversa si presenta invece la posizione del proprietario del sito, per la responsabilità del quale occorre fare riferimento ai commi 10 e 11 dell'art. 17: chi subentra nella proprietà o possesso del bene subentra anche negli obblighi connessi all'onere reale ivi previsto, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza. Quella posta in capo al proprietario è pertanto una responsabilità "da posizione", non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l'apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione. È quindi evidente che il proprietario del suolo - che non abbia apportato alcun contributo causale, neppure incolpevole, all'inquinamento - non si trova in alcun modo in una posizione analoga od assimilabile a quella dell'inquinatore, essendo tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica esclusivamente in ragione dell'esistenza dell'onere reale sul sito” (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 4561 del 15 luglio 2010).
Orbene, la giurisprudenza penale ha evidenziato, peraltro, che con l’Atto Unico Europeo del 1986, artt. 130R, 130T, recepito in Italia, con l. n. 909 del 1986, hanno fatto ingresso nel nostro ordinamento tre principi: quello di precauzione, quello di “chi inquina paga” e quello della necessità di porre in essere misure di portata eguale a quelle comunitarie e mai minori.
In ordine alla responsabilità, si è detto che il principio ‘chi inquina paga’ “deve essere sicuramente utilizzato per l’interpretazione dell’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 22/1997 che impone a chi cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione stabiliti dalla disciplina regolamentare di procedere, a proprie spese, agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento.
Tanto precisato, deve rilevarsi come il principio comunitario del “chi inquina paga” non individua una fattispecie di illecito integrata dall’elemento soggettivo e dall’elemento materiale, ma imputa il (costo del) danno a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi, cioè al soggetto che ha la possibilità della cost-benefit analysis, per cui si trova nella situazione più adeguata per evitare nel modo più conveniente il danno prima del suo verificarsi (cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 12 aprile 2007, n. 621).
In applicazione di tale principio, l’individuazione del responsabile dell’inquinamento, naturale destinatario dei provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, non si sviluppa in una dimensione sanzionatoria-ripristinatoria che richiede il previo accertamento degli elementi tutti, soggettivi e oggettivi, dell’illecito, ma opera nell’ambito di un criterio finalizzato a far sì che i costi derivanti dai danni all’ambiente siano internalizzati dai soggetti che assumono il rischio di impresa connesso ad una attività pericolosa sotto il profilo ambientale (cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 21 novembre 2005, n. 1493).
Si tratta, in altri termini, di una previsione che mira sostanzialmente a responsabilizzare il soggetto che intraprende l’attività pericolosa” (TAR Piemonte, Sez. II, 23 aprile 2008, n. 767).
Ai fini, poi, della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, basti evidenziare che la stessa parte ricorrente non solleva i medesimi dubbi in ordine alla disciplina sopravvenuta, che anzi richiama a proprio favore e che ripropone l’accennato collegamento con la normativa sui rifiuti.
Non può, dunque, questo giudice, condividere i dubbi di costituzionalità sollevati dalla parte ricorrente.
XVII – In ordine ai dedotti vizi procedimentali, il motivo XII è infondato, sia con riferimento all’illegittimità della CdS istruttoria, sia con riferimento alla derivata illegittimità di quella decisoria. Basti rilevare che la l. n. 241 del 1990 ha distinto la conferenza istruttoria, da quella decisoria. La prima ha lo scopo di esaminare gli interessi pubblici coinvolti nella procedura, acquisendo elementi di natura istruttoria direttamente dalle amministrazioni coinvolte. La conferenza istruttoria non conduce ad alcuna decisione o provvedimento, non avendo rilevanza ai fini della fase costitutiva del procedimento. Pertanto, la conferenza istruttoria non fa scaturire effetti giuridici costitutivi, modificativi o estintivi, ma consiste in una misura di coordinamento, strumentale alle fasi successive del procedimento.
Si tratta, quindi, di uno strumento mirante ad indurre le amministrazioni ad utilizzare il metodo della conferenza, ovvero della programmazione delle attività da svolgere nell'ambito di un unico procedimento amministrativo.
Ne deriva che le illegittimità dedotte vanno di seguito esaminate con riferimento ai risultati della CdS decisoria.
XVIII – Passando, dunque, all’esame dei singoli motivi di ricorso, in primo luogo deve essere dichiarato il sopravvenuto difetto di interesse con riguardo al motivo XI.1 – intervento dichiaratamente eseguito dalla ricorrente; mentre va dichiarata – come richiesto dalla Società medesima – la cessazione della materia del contendere in ordine ai motivi VIII-X relativamente alle prescrizioni sui valori di idrocarburi totali.
Per quanto riguarda il valore limite per MTBE, deve richiamarsi quanto sin qui pronunziato, sicché i medesimi motivi non sono fondati in parte qua (peraltro, sul punto, si deve fa riferimento al medesimo orientamento assunto, sulla stessa fattispecie dal TAR Sicilia, n. 2117 del 2012).
Altresì, infondato è – per le considerazioni già sopra svolte – il motivo XI.3.
XIX - In ordine alla prescrizione contenuta all’inizio del verbale e di portata generale, diretta a tutte le Aziende del sito, osserva il Collegio che non si rinvengono ordini impartiti, ma si tratta di una rilevazione di pericolo ambientale e, dunque, di una prescrizione tipicamente precauzionale, nel caso di evidente e grave superamento dei valori di riferimento.
Deve, a riguardo, precisarsi che non vi è dubbio che la definizione di messa in sicurezza d’emergenza (c.d. m.i.s.e.), oggi contenuta nell’art. 240, comma 1, lett. m), d.lgs. n. 152 del 2006 e, all’epoca degli atti qui impugnati, all’art. 2, comma 1, lett. d), d.m. n. 471 del 1999, seppur necessariamente distinta dalla bonifica – come all’inizio precisato - è comunque di ampiezza tale da includere anche la possibilità di ricorrere a diversificate misure al fine precipuo di fronteggiare una situazione di dominante urgenza.
In base alla detta disposizione del d.m. n. 471 del 1999 (vigente all’epoca degli atti impugnati), per messa in sicurezza d’emergenza si intendeva “ogni intervento necessario ed urgente per rimuovere le fonti inquinanti, contenere la diffusione degli inquinanti e impedire il contatto con le fonti inquinanti presenti nel sito, in attesa degli interventi di bonifica e ripristino ambientale o degli interventi di messa in sicurezza permanente”.
Oggi in base alla detta disposizione del d.lgs. n. 162 del 2006, per messa in sicurezza d’emergenza si intende “ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente”.
Le definizioni normative appena trascritte consentono entrambe di fare rientrare nel concetto di messa in sicurezza d’emergenza, per quello che più interessa in questa sede, ogni intervento immediato atto a contenere la diffusione della contaminazione e impedirne il contatto con altre matrici presenti.
Per quanto qui possa occorrere, va rilevato che l’attuale riferimento nella disposizione del citato art. 240 comma 1, lett. m), d.lgs. n. 152 del 2006 – non presente nel citato art. 2 comma 1, lett. d), d.m. n. 471 del 1999, vigente all’epoca degli atti impugnati - al “caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura”, va inteso con riguardo a un manifestarsi subitaneo degli effetti (“eventi”), non della causa, della contaminazione.
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che “Questa “repentinità” non significa istantaneità, perché l’effetto, una volta manifestatosi inaspettatamente, può ben restare permanente. Del resto, se così non fosse, sarebbe ultronea la stessa previsione di misure di contenimento dal carattere comunque permanente. Ma questo contrasterebbe i principi dell’azione ambientale, di cui oggi all’art. 191, paragrafo 2, TFUE e all’art. 3-ter del d.lgs. n. 152 del 2006” (Cons. Stato, sent. n. 2526 del 2014 cit.).
Da tali valutazioni deriva che, a fronte di siffatte situazioni di emergenza, ben possono essere imposte misure anche di carattere permanente, purché secondo criteri di proporzione e ragionevolezza rispetto al concreto pericolo, come nella specie il superamento di “oltre 10 volte” dei valori limite.
Le stesse considerazioni – anche alla luce delle previsioni in ordine alla ‘caraterizzazione’, che assume valore eminentemente preliminare rispetto ad ogni altro intervento secondo le nuove disposizioni contenute nel Codice dell’ambiente – devono ritenersi valide con riferimento alle prescrizioni di caratterizzazione del torrente Cantera e dell’area Deposito, in virtù dell’emergere di una situazione di pericolosità per gli elevati valori di contaminazione, al fine di fronteggiare con immediatezza i rischi di contenimento dell’inquinamento del sito originario.
Del resto, non possono condividersi neppure le perplessità sulla competenza.
Da un lato valga il dato che tali misure sono chiaramente finalizzate alla protezione del sito d’interesse nazionale; dall’altro lato, la circostanza che esse risultano adottate in sede di CdS con la compartecipazione, dunque, di tutti gli enti interessati.
Ne deriva che – per quanto ancora di interesse – il secondo ricorso per motivi aggiunti deve essere respinto.
XX – Sul III ricorso per motivi aggiunti, l’Amministrazione controdeduceva l’intervenuto difetto di interesse per non essere avvenuta la sostituzione in danno da parte del Commissario delegato all’Emergenza Rifiuti e alla Tutela delle Acque in Sicilia.
Tuttavia, l’intervento sostitutivo è censurato con il solo motivo XIV del III ricorso per motivi aggiunti, che va, dunque, dichiarato improcedibile.
Così anche, sulla base della dichiarazione della parte istante, devono essere dichiarati improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse, i motivi XV e XVII del III ricorso per motivi aggiunti. E per quanto sin qui evidenziato, deve dichiararsi cessata la materia del contendere con riferimento al XX motivo del medesimo ricorso con riguardo agli idrocarburi totali.
Mentre, per ragioni di economia processuale si fa riferimento a quanto sin qui già evidenziato per le censure svolte ai motivi XIX, che deve essere respinto, e XX, di cui per la prima parte deve evidenziarsi la manifesta infondatezza e l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale proposta e per la seconda deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
XXI – Passando ad esaminare il XVI motivo di ricorso, osserva il Collegio che, a fronte della doglianza della parte in ordine alla mancata considerazione del progetto di riutilizzazione delle acque emunte nell’ambito del più completo intervento di bonifica, deve farsi riferimento ai fini della valutazione circa la legittimità della decisione assunta, all’orientamento espresso dal Consiglio di Stato a riguardo, dal quale non vi è motivo di discostarsi, in ragione della disciplina vigente al tempo.
Con sentenza n. 5857/2013, la sez. VI del Consiglio di Stato è, infatti, specificamente, intervenuta sulla qualifica da attribuire alle acque di falda emunte durante la fase della messa in sicurezza d’emergenza e della bonifica di un sito contaminato, indicando che la questione deve essere risolta alla luce di quanto previsto dall’art. 243 del d.lgs. 152 del 2006, ai sensi del quale “le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto”.
Vale notare, come indicato dal Consiglio di Stato, che tale norma è collocata nella parte IV del Testo Unico Ambientale relativa ai rifiuti (e non nella parte III sulle acque). Il Consiglio di Stato ha, quindi, affermato che “la qualità delle acque che possono essere reimmesse nei corpi recettori, se sconta l’applicazione della normativa dedicata alle acque reflue industriali, non è sottratta al rispetto delle altre normative comunitarie e nazionali, tra le quali la stessa normativa relativa ai rifiuti contenuta nel d.lgs. n. 152, il cui art. 185, nel testo vigente all’epoca dei fatti, nell’escludere dal campo di applicazione della parte quarta gli scarichi idrici, espressamente fa eccezione per i rifiuti liquidi costituiti da acque reflue”, concludendo che non è possibile escludere a priori, ai sensi dell’art. 243 d.lgs. 152/2006, la riconduzione delle acque emunte dal regime proprio dei rifiuti liquidi, dovendosi invece tener conto della particolare natura dell’oggetto dell’attività posta in essere. Con riferimento alla disciplina del 2006 vale notare che le acque oggetto della controversia sono ricomprese nel Catalogo Europeo dei Rifiuti di cui all’Allegato D del d.lgs. 152/2006 (CER 19.13.2007 e 19.13.2008 “rifiuti liquidi acquosi e concentrati acquosi prodotti dalle operazioni di risanamento delle acque di falda”), le stesse devono, “alla luce di una interpretazione sistematica del quadro normativo nazionale e comunitario”, essere considerate rifiuti, “restando affidato al solo regime degli scarichi lo sversamento derivante dagli ordinari cicli produttivi: e tali non sono, certamente, le acque di falda emunte nell’ambito dell’attività di disinquinamento, che non derivano certamente ed in via diretta dagli ordinari cicli produttivi”.
Le considerazioni sopra svolte, valgono anche per quanto riguarda il periodo antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 cit., poiché la decisione della Commissione europea 3 maggio 2000, n. 532/00/532/CE, adottata conformemente alle direttive 75/442/CEE e 91/689/CEE, contenenti l’elenco dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi, ricomprendeva i rifiuti liquidi derivanti da operazioni di risanamento.
Nello stesso senso, con riferimento alla disciplina vigente all’epoca dei fatti, seppur con una diversa motivazione, si è pronunziato il TAR Sicilia, con la sent. n. 2117 citata.
Tuttavia, si deve precisare che l’articolo in menzione è stato sostituito dall’art. 41, comma 1, l. n. 98 del 2013 che ha previsto, mutando radicalmente impostazione che “In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 104, ai soli fini della bonifica, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte. A tal fine il progetto di cui all’articolo 242 deve indicare la tipologia di trattamento, le caratteristiche qualitative e quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di controllo e monitoraggio della porzione di acquifero interessata; le acque emunte possono es-sere reimmesse anche mediante reiterati cicli di emungimento, trattamento e reimmissione, e non devono contenere altre acque di scarico né altre sostanze ad eccezione di sostanze necessarie per la bonifica espressamente autorizzate, con particolare riferimento alle quantità utilizzabili e alle modalità d’impiego” (comma 5) e “6. Il trattamento delle acque emunte deve garantire un’effettiva riduzione della massa delle sostanze inquinanti scaricate in corpo ricettore, al fine di evitare il mero trasferimento della contaminazione presente nelle acque sotterranee ai corpi idrici superficiali” (comma 6).
Dunque, per quanto riguarda il periodo successivo al 2013, la censura è divenuta improcedibile in ragione della modifica operata.
XXII – Va, da ultimo respinto, il XVIII motivo di ricorso.
Infatti, vale in primo luogo svolgere una considerazione di ordine generale.
Sul punto, va rilevato che la prescrizione della caratterizzazione, che si configura come indagine del tutto prodromica ai successivi interventi risponde, come già sopra precisato, ad esigenze di precauzione.
In tale ottica, rileva quanto già osservato dal TAR siciliano (sulla Rada oggetto di esame), con riferimento all’applicazione concreta del principio "chi inquina paga", recependo l’orientamento espresso dal Consiglio di giustizia – nella medesima vicenda che occupa – già in sede cautelare con l’ ordinanza n. 321/06, ovvero che in forza di esso la responsabilità degli operatori economici insediati nell’area rispetto a misure di ripristino ambientale nasce in virtù della loro presenza all'interno del sito perimetrato, quali soggetti proprietari o utilizzatori delle aree industriali ivi ricadenti, e si configura come "oggettiva responsabilità imprenditoriale", in base alla quale "gli operatori economici che producono e ritraggono profitti attraverso l'esercizio di attività pericolose, in quanto ex se inquinanti, o in quanto utilizzatori di strutture produttive contaminate e fonte di perdurante contaminazione, sono per ciò stesso tenuti a sostenere integralmente gli oneri necessari a garantire la tutela dell'ambiente e della salute della popolazione, in correlazione causale con tutti indistintamente i fenomeni di compromissione collegatisi alla destinazione industriale del sito, gravato come tale da un vero e proprio onere reale a rilevanza pubblica, in quanto finalizzato alla tutela di prevalenti ed indeclinabili interessi dell'intera collettività" (cfr. ord. n. 321/06 C.G.A. Sicilia).
Ha osservato il TAR Sicilia, che “ tale opzione interpretativa sia perfettamente compatibile con l'applicazione del principio "chi inquina paga", conformemente agli orientamenti della giurisprudenza più recente in materia (Tar Lazio, Roma, Sez. II bis, 10 luglio 2012, n.6251; Idem, Sez. I, 14 marzo 2011, n. 2263; Idem, sez. II bis, 16 maggio 2011, n. 4215), che ha evidenziato come il Codice dell'Ambiente di cui al Dlgs 152/2006 disciplini un sistema sanzionatorio ambientale nel quale l'attuazione del principio non prevede che – in assenza di individuazione del responsabile ovvero di impossibilità di questi a far fronte alle proprie obbligazioni – il costo degli interventi gravi sulla collettività (per il tramite di uno degli enti esponenziali di questa), ma pone tali costi a carico della proprietà, salvo il diritto di rivalsa del proprietario nei confronti del responsabile.
Del resto, la ratio del principio comunitario "chi inquina paga" è quella di escludere che i costi derivanti dal ripristino di siti inquinati venga sopportato dalla collettività.
Tale soluzione, diversamente da quanto prospettato dalle società ricorrenti, non è incompatibile con quanto deciso dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 9 marzo 2010 causa C — 378/08, che in ipotesi di inquinamento ambientale come quello in esame, a carattere diffuso, ha affermato che la normativa di uno Stato membro può prevedere che l'autorità competente abbia facoltà di imporre misure di riparazione del danno ambientale presumendo l'esistenza di un nesso di causalità tra l'inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi operatori, e ciò in base alla vicinanza degli impianti di questi ultimi con il menzionato inquinamento (sentenza C 378/08, Erg e a., cit., punto 56).
Tuttavia, dato che, conformemente al principio "chi inquina paga", l'obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell'inquinamento o al rischio di inquinamento (v., per analogia, sentenza 24 giugno 2008, causa C 188/07, Commune de Mesquer, Racc. pag. I 4501, punto 77), per poter presumere secondo tali modalità l'esistenza di un siffatto nesso di causalità l'autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività (sentenza C 378/08, Erg e a., cit., punto 57).
Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso rilevato (punto n. 58).
Pertanto, in presenza di una situazione di contaminazione estesa come nel caso di specie, in relazione alla quale non è facile distinguere l'apporto individuale di ciascun operatore nella causazione del danno ambientale, anche in considerazione dell'ampio periodo di utilizzo produttivo del sito industriale durante il quale all'interno del sito stesso si sono avvicendati numerosi operatori, risultano soddisfatti, ad avviso del Collegio i presupposti indicati dalla Corte per l'accertamento presuntivo del nesso causale, vale a dire la vicinanza degli impianti e l'identità tra le sostanze rinvenute nelle matrici ambientali contaminate e quelle trattate, prodotte o stoccate, o comunque utilizzate dalle aziende”.
Le suesposte considerazioni devono valere anche con riferimento all’aree in utilizzo alla Società odierna ricorrente.
Né vale a confutare quanto sin qui esposto, il dato che il Ministero dell’Ambiente, ai sensi dell’art. 6, d.m. n. 308 del 2006, di integrazione del Regolamento adottato con d.m. n. 468 del 2001, possa avvalersi per gli interventi di propria competenza, si soggetti pubblici particolarmente qualificati, come l’ICRAM, attraverso la stipula di convenzioni.
XXIII – Con il quarto ricorso per motivi aggiunti, la Società istante censurava, poi, le ulteriori prescrizioni espresse nella CdS del 18 luglio e del 15 settembre 2005.
Orbene, vale sin d’ora precisare, che il permanere dell’interesse alla decisione in ordine alle censure svolte con il quarto ricorso per motivi aggiunti, nonostante le successive determinazioni di cui alla CdS decisoria del 16 dicembre 2005, gravata con il quinto ricorso per motivi aggiunti, è rinvenibile nella nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio datata 25 maggio 2006, impugnata con il sesto ricorso per motivi aggiunti, con cui l’Amministrazione richiedeva alla ricorrente di inviare entro dieci giorni un elaborato descrittivo degli interventi in corso di adozione e/o che si intendevano adottare, con il relativo crono programma, per adempiere alle prescrizioni delle predette CdS, nonostante l’intervenuta sospensione in sede cautelare degli effetti dei verbali impugnati.
Per ragioni di ordine logico e di economia processuale, si precisa, dunque, a riguardo che, seppur si condivide l’eccezione preliminare dell’Avvocatura circa la natura meramente endoprocedimentale e ricognitiva della nota gravata, essa assume rilievo, per quanto detto, ai fini dell’esame del quarto ricorso per motivi aggiunti.
Tuttavia, sin d’ora il sesto ricorso per motivi aggiunti può essere dichiarato inammissibile.
XXIV - Sia pur con le precisazioni sopra volte in ordine al principio di derivazione comunitaria “chi inquina paga”, devono essere condivise le censure contenute nei motivi XXII e XXIII del predetto atto, che possono essere esaminate congiuntamente.
Infatti, nei confronti delle stesse non può valere quanto si è qui detto in ordine alla necessaria presunzione della responsabilità degli operatori economici, in situazioni di inquinamento diffuso.
Infatti, le ulteriori prescrizioni traggono origine nell’accertamento della cospicua presenza di mercurio e della pericolosità per l’ambiente e la salute umana, si da dover estendere a tutta la rada le misure.
Non si discute, qui, della valenza degli accertamenti effettuati e delle valutazioni in ordine alla pericolosità degli agenti inquinanti riscontrati - come diffusamente precisati nella memoria dell’Avvocatura per l’udienza camerale del 9 febbraio 2006 – ma della riconducibilità all’azione della Società ricorrente.
Infatti, nulla l’Amministrazione dice nella richiamata difesa (né emerge dal verbale della Conferenza in atti) in ordine alla riconducibilità della presenza di mercurio al ciclo produttivo della Società. Ed anzi, essa appare smentita dalla Consulenza tecnica di BBL, depositata in atti in riferimento al IV e V motivi aggiunti. Precisa espressamente il CTP che “il mercurio nella baia non proviene certo dalla raffineria Esso, ma da altre industrie situate nelle vicinanze (si veda Relazione Andreottola)”.
In vero, dunque, a riguardo deve richiamarsi altro assunto della giurisprudenza, secondo il quale l’obbligo di bonifica, così come quello di messa in sicurezza, grava – tra gli operatori economici – sul “responsabile” dell’inquinamento (T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 665; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254; T.A.R. Veneto, Sez. II, 2 febbraio 2002, n. 320) e non può, dunque, essere addossato, a prescindere da una qualsivoglia indagine, sul concessionario incolpevole, come nella specie.
Nel caso che occupa, tale interpretazione trova conferma in altre pronunzie del giudice amministrativo (cfr., in Tar Piemonte, Sez. I, 24 marzo 2010, n. 1575), secondo le quali si evidenzia che, nell’attuale sistema normativo, l’obbligo di bonifica dei siti inquinati grava in primo luogo sull’effettivo responsabile dell’inquinamento stesso, che le competenti Autorità amministrative hanno l’obbligo di individuare e ricercare. Ne consegue che la mera qualifica di proprietario, o detentore del terreno inquinato – con le precisazioni sopra svolte in termini di esonero della collettività dai costi della bonifica - non implica un immediato autonomo obbligo di effettuazione della bonifica.
Se è vero, dunque, che con riferimento agli oneri di messa in sicurezza, si deve applicare una regola di presunzione, si è anche detto che ciò deve avvenire secondo il criterio della “preponderanza dell'evidenza”. Tale aspetto, dunque, assume particolare rilevanza, nella specie, quanto all’inquinamento da mercurio per ciò che si è detto.
Ne’ può vale ad introdurre una diversa conclusione ermeneutica il dato normativo di cui al co. 2 dell’art. 245, d.lgs. n. 152, che recita: “Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242. La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi dì bonifica necessari nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità”.
Infatti, nel senso sin qui esposto sono le conclusioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che ha affermato che sulla base del quadro normativo nazionale vigente, l’Amministrazione non può imporre al proprietario - valga nel caso che occupa tanto più con riferimento al concessionario dell’area demaniale - di un’area inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e bonifica, di cui all’art. 240, co. 1, lett. m) e p), d.lgs. n. 152/2006, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253, stesso decreto, in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare.
Le disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV, del citato decreto (artt. da 239 a 253) operano, infatti, una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell’inquinamento e quella del proprietario del sito, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione e il riferimento all’onere reale non vale a far diventare obbligatorio ciò che (l’intervento di bonifica) poco prima (art. 245) il legislatore ha qualificato in termini di una mera facoltà, quanto, piuttosto, a far gravare sul fondo il rimborso delle spese sostenute dall’autorità che abbia provveduto d’ufficio all’intervento (e, quindi, semmai, a far diventare quella facoltà un onere) (cfr. Corte Giust. UE, Sez. Grande, sentenza 9 marzo 2010, n. C-378/08) .
In relazione a ciò, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (con ordinanza n. 25 del 2013, a seguito di sentenza di remissione della Sez. VI, n. 3515 del 2013 nel RG. 9190/2012) ha rimesso nuovamente, all’esame della Corte di giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale di corretta interpretazione dei principii del “chi inquina paga”, di precauzione, dell’azione preventiva, della correzione prioritaria, alla fonte, dei danni causati all’ambiente alla luce di quanto sancito in materia ambientale dall’art. 191, par.o 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla Direttiva n. 2004/35/U.e. del 21 aprile 2004 (articoli 1 ed 8 n. 3; 13° e 24° considerando) – con riferimento alla disciplina delineata dagli artt. 244-245 e 253 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
I successivi motivi XXV, XXVI, quanto alle carenze istruttorie in particolare e XXVII e XXVIII, che concernono le modalità, appaiono strettamente connessi alle prescrizioni sopra esaminate.
Ne consegue che il ricorso per motivi aggiunti in esame deve essere accolto e, per l’effetto, devono essere annullati i verbali delle CdS decisorie del 18 luglio 2005 e del 14 settembre 2005 in parte qua.
Con particolare riferimento al motivo XXVIII deve, tuttavia, essere dichiarata cessata la materia del contendere, come espressamente richiesto nella memoria di parte ricorrente per l’udienza di discussione, in quanto la prescrizione gravata è stata espressamente revocata con la successiva CdS del 6 marzo 2008.
Nulla deve disporsi, data la valenza endoprocedimentale, con riguardo ai verbali delle relative CdS istruttorie preparatorie.
XXV – Con riferimento al quinto ricorso per motivi aggiunti, come precisato già in fatto, devono essere dichiarati improcedibili il motivo XXIX in quanto riferito al verbale di CdS annullato in esito all’esame dei precedenti motivi, ed, altresì, conformemente alla richiesta della parte ricorrente, i motivi XXX e XXXII in quanto attinenti a prescrizioni cui la Società ha adempiuto o superate dalle successive fasi progettuali.
XXVI – Invece, in ordine alle doglianze di cui al XXXIII motivo di ricorso in esame, sulle prescrizioni relative alla m.i.s.e con riferimento allo sversamento accidentale del 31 novembre 2003 e con riguardo all’adozione degli ulteriori interventi nel termine di dieci giorni, alle specifiche attività di verifica e di monitoraggio della falda ed all’attuazione del piano di caratterizzazione, nonché di presentazione dei risultati in trenta giorni, rispetto ai quali parte istante lamentava la mancata considerazione l’attività già svolta dalla ricorrente stessa e, conseguentemente, la carenza istruttoria, deve essere dichiarata l’intervenuta carenza di interesse in seguito agli interventi eseguiti dalla Esso (cfr. Relazione Golder, p.1, di cui alla memoria per l’udienza di discussione).
XXVII – Da ultimo, in ordine alla prescrizione delle analisi sulla frazione granulometrica, può farsi rinvio a quanto diffusamente esaminato con riguardo al IV motivo del primo ricorso per motivi aggiunti. Mentre, con riguardo alla censura relativa all’illegittimità della prescrizione riferita alla qualificazione delle acqua di falda, vale quanto si è precisato con riferimento al XVI motivo del terzo atto per motivi aggiunti.
Ne discende che i predetti motivi di gravame devono essere respinti.
XXVIII – Deve, dunque, ora passarsi ad esaminare un gruppo di ricorsi per motivi aggiunti – VII, VIII, IX - relativi alle CdS decisorie del 2006 ed ai conseguenti decreti direttoriali di approvazione, che possono essere vagliati congiuntamente sia per la coincidenza dei motivi di ricorso e la stretta consequenzialità degli argomenti, sia perchè gli atti gravati sono stati oggetto di esame da parte del TAR Catania, con la sentenza n. 1254 del 2007, che riuniva i ricorsi di varie aziende, accogliendoli.
XXIX - Preliminarmente, va precisato che, con la memoria per l’udienza di discussione, la parte ricorrente dichiarava cessata la materia del contendere, in ragione della fase procedimentale raggiunta, con riferimento ai motivi XLIV (relativo alla richiesta dei titolari di aree insistenti sulla Rada di presentare I risultati della caratterizzazione integrativa a maglia 50x50), XLV (richiesta di progetto di bonifica dei suoli) del settimo ricorso per motivi aggiunti e LIV (richiesta di caratterizzazione integrativa e di progetto definitivo di bonifica dei suoli) dell’ottavo ricorso per motivi aggiunti, nonché il sopravvenuto difetto di interesse, in ragione degli interventi posti, medio tempore, in essere con riguardo al motivo XLVI del settimo ricorso per motivi aggiunti e di nuovo del LIV motivo dell’ottavo ricorso per motivi aggiunti, tuttavia, rimanendo l’interesse con riferimento alla prescrizione della barriera fisica.
In ragione di quanto esposto dall’istante, sussistono, dunque, gli elementi per dichiarare i ricorsi improcedibili, in parte qua – con riferimento ai richiamati motivi.
XXX – In ordine al primo gruppo di censure di ordine procedimentale, con particolare riguardo alla violazione del principio del contraddittorio e della partecipazione nel procedimento e all’insufficienza di istruttoria, questo Tribunale intende richiamarsi alle conclusioni raggiunte dal TAR di Catania con la sentenza n. 1254 del 2007 citata, che seppur relativa ad altri operatori, assume un rilievo particolare per l’esame della fattispecie, essendo attinente ai medesimi atti gravati.
Deve, dunque,esaminarsi il profilo del principio del contraddittorio e della istruttoria nel procedimento amministrativo che ha ad oggetto la imposizione di obblighi di intervento di bonifica e/o disinquinamento ambientale.
Nella richiamata sede si affermava come il proprietario del suolo o dell’impianto interessato alle procedure di bonifica ha titolo per partecipare pienamente al relativo procedimento amministrativo e che la disciplina del procedimento sia soggetta alle norme e regole generali di cui alla l. 241 del 1990 sia a quelle specifiche di settore, contenute nel d.lgs. 152 del 2006, che sono invocate anche dall’odierna ricorrente.
Più precisamente l’istruttoria è regolata – quanto alle norme di settore – dalle disposizioni contenute nel d. lgs 152/2006 agli artt. 239 e ss..
Il Collegio condivide la conclusione del TAR di Catania sulla fondatezza delle censure di difetto di istruttoria, osservando la carenza da punto di vista innanzitutto procedimentale.
Sono, pertanto, fondate le censure, specialmente sviluppate dalla difesa della Società ricorrente, con cui si lamenta l’illegittimità nello svolgimento dell’istruttoria tecnica delle Conferenze dei Servizi decisorie del 2006 per violazione e falsa applicazione del d.m. n. 471/99 e dell’art. 264 del T.U. 152/2006, (e con cui si deducono i vizi di incompetenza, eccesso di potere per difetto dei presupposti legittimanti, contraddittorietà, del difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità).
Evidenziava la ricorrente gli elementi di contraddittorietà nelle Conferenze di servizi svolte dal Ministero dell’Ambiente per il sito di Priolo (sia di per sé che unitamente ai decreti direttoriali di loro approvazione e integrazione dell’efficacia), attraverso meccanismi di delega delle indagini e di successiva rilevazione dell’incompletezza e/o la non conformità alle direttive impartite, il mancato rispetto della tempistica imposta e richiedendone più volte la ripetizione.
La censura è fondata.
Vale qui riportare quanto osservato sul punto nella citata sentenza: “l’istruttoria di un procedimento di bonifica è rigidamente scandita dal legislatore ed è soprattutto da espletarsi in condizioni di autonomia scientifica, alla luce degli odierni sviluppi della tecnologia, lasciando poi all’organo decisionale, politico o amministrativo, solamente la responsabilità della scelta delle migliori modalità logistiche in ordine alle concrete soluzioni di intervento (che si fondino sempre sui risultati delle indagini) e la cura e la verifica della loro corretta e scrupolosa attuazione.
In tal senso, è necessario che dapprima vengano posti in essere tutti gli studi necessari a fornire all’organo amministrativo o politico procedente la completa cognizione di causa, individuando cause ed effetti dei fenomeni scientifici sui quali devono essere assunte le determinazioni dell’Autorità; e poi che queste ultime vengano assunte dietro ponderata valutazione amministrativa delle risultanze degli studi scientifici, volta ad apprestare ed organizzare i mezzi tecnici e finanziari, ed a valutare altresì quegli apporti tecnici, scientifici e consultivi che le parti interessate o controinteressate possono fornire (le quali, a loro volta, devono essere messe, concretamente, in condizioni di farlo).
E’ quindi nella sede amministrativa (principalmente in sede di Conferenza dei servizi) che sono confrontate e ponderate le risultanze tecniche e scientifiche, sia ove queste siano prodotte dagli organismi tecnici nazionali e sia ove esse vengano invece proposte dalle parti private partecipanti al procedimento”.
In punto di fatto, si rilevava in quella sede che - come anche dall’analisi della documentazione in atti - emerge che “i provvedimenti impugnati sono stati emessi prevalentemente in relazione a studi ICRAM che, dichiaratamente, hanno ad oggetto solo prime analisi di approccio, quindi con valore di studio preliminare, senza che si sia provveduto ad una completa ed approfondita caratterizzazione dei sedimenti marini e delle aree inquinate”.
Proseguiva la pronunzia nel senso di affermare che: “i presupposti per disporre un piano di bonifica, o una M.I.S.E., non possono essere affidati ad indagini incomplete o comunque a mezzo di campionamenti non sistemici ed organici. Il D.lgs 152/06, al contrario, disciplina accuratamente e dettagliatamente i presupposti contenutistici ed istruttori di ciascun intervento, condizioni queste che nel caso di specie non risultano essere state rispettate.
Al fine di determinare gli interventi di bonifica, è intanto necessario accertare con estrema precisione sia il livello che la qualità dell’inquinamento, allo scopo sia di determinarne le cause e quindi individuarne i responsabili e sia di selezionare le appropriate tecniche di disinquinamento da adottarsi (artt. 240 e 242). Nella fattispecie in esame, tali indagini sono praticamente ancora in corso e costituiscono oggetto di più interventi nelle varie conferenze dei servizi che si sono succedute dal 2004 in poi.
Ai soggetti non responsabili dell’inquinamento, ma che, essendo in relazione con il suolo contaminato, ne rilevino il fenomeno, è data facoltà di chiedere l’attivazione delle procedure di interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale (art. 245 d.lgs. 152/06). La procedura prevista dall’art. 242 cit. è, poi, adeguatamente specificata e dettagliata dal legislatore per i Siti di Interesse Nazionale, laddove la responsabilità dell’intervento è affidata al Ministero dell’Ambiente che provvede “sentito il Ministero delle Attività produttive” (art. 252 d.lgs 152/06), fermo restando il contenuto della procedura “tipica” disciplinata nel titolo di riferimento”.
Ed, in particolare, evidenziava: “la necessità di ciò che già la norma rende obbligatorio in astratto, e cioè l’esigenza di istruttorie più approfondite che, soprattutto, siano fondate su due elementi, necessariamente coesistenti:
a) una pianificazione complessiva, approfondita e sistematica delle “esigenze” e degli “obiettivi” della bonifica (ossia delle necessità del disinquinamento) ed una altrettanto compiuta pianificazione dei “metodi” della bonifica (ossia delle pratiche scientifiche e tecniche o tecnologiche coerenti con gli obiettivi e misurabili, determinate nel tempo e nella quantità) da condurre nel rispetto procedurale e contenutistico di cui al citato art. 242 d.lgs 152/2006;
b) un confronto partecipato e condiviso con le imprese operanti nella Rada, secondo i principi propri del procedimento, allo scopo di pervenire a risultati di analisi e ad una metodologia di intervento condivisi (anche nelle forme dell’accordo di programma di cui all’art. 246 del d.lgs 152/06) o, in assenza di condivisione, ad una appropriata, adeguata ed approfondita motivazione che la P.A. dovrà rendere in ordine alle difformità delle sue valutazioni dall’apporto valutativo e partecipativo dei privati, rigorosamente ponderato in contraddittorio”.
Con riferimento specifico alla rimozione dei sedimenti, si deve evidenziare la carenza istruttoria (che – peraltro, nel procedimento sottoposto al vaglio del Tribunale di Catania – evidenziava le potenzialità addirittura di aggravamento dei rischi sanitari).
Peraltro, la mancanza di adeguata istruttoria, emerge – come è stato notato - dalla contraddizione esistente nel complesso delle prescrizioni imposte con i provvedimenti impugnati, come quella del blocco della navigazione nella Rada, è fondato sull’affermazione secondo la quale il movimento dei natanti causerebbe la risospensione dei sedimenti depositati sui fondali.
Tali osservazioni sono di per sè sufficienti all’accoglimento dei ricorsi VII, VIII e IX per motivi aggiunti con riferimento alle conclusioni delle Conferenze di Servizi impugnate ed, in via derivata dei decreti direttoriali di approvazione, fatta salava la dichiarazione di improcedibilità per quanto non più di interesse.
XXXI – Tuttavia, per completezza, alcuni profili meritano approfondimento, stante la portata generale delle censure.
Così, in primo luogo, si deve richiamare, quanto già affermato dal TAR di Catania in ordine alla dedotta incompetenza del direttore del Ministero ad adottare il provvedimento finale.
Come nella fattispecie sottoposta al vaglio di questo Tribunale, infatti, le ricorrenti della precedente controversia deducevano che le Conferenze dei Servizi avrebbero condotto all’adozione di atti che presuppongono una profonda incidenza nell’ambito dei livelli produttivi ed occupazionali della Rada e come tali sarebbero espressione di un necessario indirizzo politico.
Tale conclusione non può essere condivisa. Infatti, come ricordato dal TAR di Catania: “nessuna tra le prescrizioni in esame relativamente alle decisioni adottate nel 2006 possiede quella valenza generale tale da farla assurgere ad espressione di un indirizzo politico, posto che si tratta di provvedimenti che, sia pure con notevole complessità, affrontano la materia della esecuzione dei programmi di bonifica inerenti il Sito di Interesse Nazionale di Priolo e comunque si prefiggono solamente obiettivi gestionali di diretta attuazione delle previsioni normative in materia.
Pertanto, tutte le prescrizioni adottate nelle Conferenze dei servizi in esame sono atti amministrativi gestionali, come tali interamente soggetti alle regole procedimentali di cui agli artt. 2 e ss. della l. 241/90, con particolare riferimento all’obbligo di motivazione ed agli istituti della partecipazione, e per essi non si può ritenere la sussistenza, ai fini dell’adozione, della competenza del Ministro.
Bisogna considerare, a questo proposito che, a norma dell’art. 4 del dlgs 165/2001, “Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare: a) le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo; b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione amministrativa e per la gestione; c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale; d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi; e) … (omississ) “.
In punto di fatto, si osserva che nessuno dei provvedimenti emergenti dalle Conferenze dei servizi può essere considerato come appartenente alla declaratoria di atti e provvedimenti tipici descritti dall’art. 4 cit. (e che trovano puntuale corrispondenza negli artt. 3 comma 2 e 13 comma 1 della l. 241/90).
Ciò in quanto, innanzitutto si tratta di imposizioni puntuali prive del carattere di generalità presupposto dalla norma in esame, posto che sono dirette alle imprese che operano nella Rada (soggetti perfettamente individuati); secondariamente, si tratta di prescrizioni che sono finalizzate alla diretta applicazione di norme di legge, senza contenuto programmatico o di indirizzo generale, tanto che le stesse ricorrenti ne lamentano la carenza di istruttoria e/o di motivazione, nonché di violazione del principio del contraddittorio e del giusto procedimento (censure, queste, che – ad eccezione del difetto di istruttoria, per cui cfr. TAR Catania, II, 1191/05 confermata da CGA 22/07 del 29.01.2007 – non avrebbero potuto essere dirette contro atti o provvedimenti di natura programmatica o pianificatoria generale, stante il chiaro disposto degli artt. 2 comma 3 e 13 l. 241/90 citati)”.
Pertanto le censure ove si lamenta l’incompetenza del Direttore generale all’adozione dei provvedimenti in essi contenuti, sono infondate e come tali da respingersi.
XXXII – Rileva, invece, ai fini del vaglio della correttezza procedimentale, secondo le deduzione della ricorrente, il dato di fatto che l’ordine di procedere alla bonifica è stato rivolto a tutte le imprese indistintamente operanti nella Rada, senza misurare il concreto apporto di ciascuna di esse.
Infatti, l’ordine di procedere alla bonifica è stato comunque rivolto alle imprese senza neppure postulare che esse siano le responsabili dell’inquinamento, posto che, ad es. nel verbale del 21 luglio 2006, a pag. 25, si conferma la richiesta della Conferenza dei servizi al Commissario delegato di accertare le eventuali correlazioni esistenti tra la contaminazione delle aree a terra e quelle dei sedimenti marini “al fine della identificazione dei soggetti responsabili”.
Per tali ragioni, sono dunque fondate - come si è già avuto modo di precisare sopra - le censure, articolatamente proposte nei ricorsi in esame, con le quali si lamenta la violazione del principio comunitario “chi inquina paga” e delle disposizioni nazionali di settore, da parte dell’Amministrazione procedente, con gli atti impugnati, laddove con questi ultimi si impone di rimuovere le fonti di contaminazione, anche prescindendo dall’individuazione dei materiali impiegati nel ciclo produttivo della Società ricorrente, di rimuovere i sedimenti entro 90 giorni e di presentare il progetto definitivo di bonifica con il metodo basato sul “marginamento fisico” entro 60 giorni (punto 1 o.d.g. C.d.S. 21 luglio 2006).
Per quanto, poi, attiene all’imposizione dei termini valgono le considerazioni sin qui svolte, con riferimento all’interesse.
XXXIII - Sulle prescrizioni inerenti la navigazione in Rada (punto 1, pagg. 26 e 27 del verbale del 21 luglio 2006) l’illegittimità delle stesse discende con assoluta evidenza dalle considerazioni esposte, in ordine alla carenza istruttoria presupposta, essendosi limitata l’Amministrazione procedente ad “assumere” che sussiste un effetto diretto di risospensione dei sedimenti inquinati a causa del passaggio delle navi, senza accertare in alcun modo entità, correlazioni e ricadute del medesimo traffico nelle varie zone della Rada.
Pertanto, sono illegittime le prescrizioni dettate per limitare la navigazione nella rada di Augusta, come impugnate con i ricorsi in epigrafe, per violazione di legge (in relazione a quanto previsto dagli artt. 15 e ss. del Codice della navigazione), e per eccesso di potere, per difetto di istruttoria e di motivazione.
Con la sentenza del Tar Catania, peraltro, si evidenziava che “Più precisamente, il difetto di istruttoria e di motivazione emerge, in primo luogo e con assoluta evidenza, con riferimento al fatto che l’Amministrazione non ha comunque tenuto conto, nell’adottare le limitazioni contestate, delle valutazioni contrarie effettuate da parte degli enti competenti (cfr., in particolare, la nota 5 ottobre 2006 della Capitaneria di Porto d’Augusta) enti che, tra l’altro, avrebbero dovuto essere coinvolti ben diversamente nella istruttoria e che, invece, sono stati di fatto pretermessi; ed, inoltre, ben più gravemente, per la mancanza negli atti impugnati e, soprattutto, nel loro contesto motivazionale di alcuna evidenza che porti a ritenere che la circolazione delle navi all’interno della Rada determini un aumento dei processi di risospensione dei sedimenti contaminati e di dispersione dell’inquinamento o, in ogni caso, che a questa sia ricollegabile un qualche aumento del rischio sanitario- ambientale. In altri termini, dagli atti e dalle difese delle Amministrazioni costituite, si deve ritenere che una decisione di tale portata (che incide pesantemente sull’approvigionamento energetico nonchè sui livelli occupazionali dell’intera area) è affidata, sempre da un punto di vista motivazionale, ad una considerazione di necessità scaturente da ipotesi e non da accertamenti”.
A fronte di ciò, la Società comprovano ricorrente ha comprovato con studi depositati in giudizio, che l’ingresso e l’uscita delle imbarcazioni dalla Rada di Augusta comportano un impatto trascurabile per l’ecosistema.
Prosegue la pronuncia, con considerazioni che il Collegio condivide: “Le contraddittorietà della istruttoria e dei processi decisionali dell’Autorità, sono poi comprovate dalla lettura stessa dei provvedimenti impugnati, ed in specie dalle Conferenze di Servizi del 19 e del 31 ottobre 2006 nelle quali si chiede ad Icram l’avvio del monitoraggio della torbidità delle acque con conseguente evidenza della mancanza di quella che avrebbe dovuto essere la principale tipologia di istruttoria della determinazione di limitare il traffico navale nella Rada (che arriva a prevedere misure incrementali che culminerebbero, via via, con la interdizione totale della navigazione).
A maggior riprova della contraddittorietà dei provvedimenti e della assenza di istruttoria, si può richiamare, sul piano tecnico, quanto la stessa Autorità portuale di Augusta, in nota del 31 ottobre 2006, ha espresso circa le limitazioni al traffico navale, così come proposte dal Ministero dell’ambiente e a più riprese modificate (e ciò sia in merito al criterio della “velocità di sicurezza” quale limite alla velocità di navigazione per i vettori commerciali all’interno della rada, sia in merito al sistema di controllo della rotta e velocità dei vettori commerciali mediante l’adozione di dispositivi GPS e NAVISAT; sia con riferimento, alla profondità del battente d’acqua sottochiglia; sia con riferimento alla operatività in fondali inferiori a 15 metri; sia, infine, con riferimento alla esenzione dei servizi tecnico-nautici, dei servizi portuali, del naviglio da pesca e delle zone verdi da limitazione, sia in merito alle tecniche di ancoraggio consentite)”.
Alla luce di quanto rilevato, le censure sono fondate.
XXXIV - Ancora devono svolgersi talune precisazioni con riguardo alle misure di messa in sicurezza, ed, in particolare, alla disposizione del barrieramento fisico, rispetto alla quale, la Società istante ha confermato l’interesse alla pronunzia.
L’origine della doglianza nasce dalla considerazione che la barriera fisica costituirebbe un intervento di bonifica o, comunque, di messa in sicurezza permanente, e non, come erroneamente ritenuto dall’Amministrazione, una misura di messa in sicurezza d’emergenza.
Come anche all’inizio della trattazione si è avuto modo di evidenziare, non vi è dubbio – come è stato notato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che la definizione di messa in sicurezza d’emergenza (c.d. m.i.s.e.), oggi contenuta nell’art. 240, comma 1, lett. m), d.lgs. n. 152 del 2006 ma già all’epoca dei primi atti gravati - all’art. 2, comma 1, lett. d), d.m. n. 471 del 1999, è di ampiezza tale da includere anche la possibilità – in via generale - di ricorrere anche a misure di contenimento fisico della falda, al fine precipuo della bonifica e del ripristino ambientale del sito contaminato quando si versa in una situazione di dominante urgenza.
Sicchè non si condivide, ad un attento esame, la tesi che esclude aprioristicamente tale strumento dal concetto di messa in sicurezza d’emergenza, che deve ricomprendere ogni intervento immediato atto a contenere la diffusione della contaminazione e impedirne il contatto con altre matrici presenti.
Come rammentato, l’attuale riferimento nella disposizione del citato art. 240 comma 1, lett. m), d.lgs. n. 152 del 2006 – non presente nel citato art. 2 comma 1, lett. d), d.m. n. 471 del 1999, - al “caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura”, va inteso con riguardo a un manifestarsi subitaneo degli effetti (“eventi”) e a fronte di siffatte situazioni di emergenza, non risultano prescrizioni che siano contrarie tuttavia all’imposizione di misure di contenimento a carattere permanente.
Orbene, nel caso di specie, come sopra osservato, l’imposizione della barriera fisica è avvenuta all’esito di un’ istruttoria assai carente.
Dunque, seppur muovendo da diverse considerazioni iniziali e di ordine generale, ritiene il Tribunale di dover concordare con quanto evidenziato dal TAR Catania a riguardo:
-nel caso del Sito di interesse Nazionale di Priolo sussistono fenomeni di contaminazioni storiche;
-negli atti impugnati, si fa riferimento a situazioni di inquinamento storiche e che per estensione configurano la necessità di piani di bonifica.
Ciò, tanto più, perché “il procedimento di bonifica è soggetto a procedure e tempi che ne assicurano la ponderazione e quindi la qualità, la MISE è invece un contenimento immediato di situazioni improvvise e quindi è regolata da una procedura di urgenza, come tale limitata, puntuale e non estensibile oltre i suoi limiti naturali a pena del rischio di interventi frettolosi ed inappropriati che, nel tema della tutela ambientale, sono in maniera del tutto intuibile, completamente esclusi dal novero delle previsioni legislative.
La conferma della fondatezza delle censure delle ricorrenti, tra l’altro, si riscontra nel verbale del 31 ottobre 2006, laddove “si prende atto degli elaborati trasmessi …. dal Commissario delegato …. miranti ad assicurare la MISE, da intendersi come prima fase dell’intervento di bonifica”.
Ne discende con evidenza, dunque, una contaminazione dei mezzi utilizzati dalla p.a. nella specie, in violazione, tuttavia, dell’iter procedimentale prescritto per legge ai fini della bonifica.
Ha osservato la richiamata decisione che “ abusando della MISE come strumento alternativo alla procedura tipica ed effettiva, non solo si produce una attività amministrativa illegittima per le censure ampiamente sollevate nei ricorsi, ma si compromette gravemente, nel merito, la efficacia e la efficienza dell’azione amministrativa e la qualità del recupero ambientale che non può che essere gravemente sminuito da una azione affrettata e, come tale, superficiale.
Si consideri, da ultimo, che è in atti la prova evidente della assenza del primo tra i presupposti della M.I.S.E. ossia l’urgenza di provvedere: con le prescrizioni in esame, infatti, l’Autorità ha cercato di far fronte a fenomeni di inquinamento notoriamente risalenti nel tempo, con ciò quindi dovendosi escludere in radice l’esistenza di un fenomeno repentino che è l’unica condizione (insuperabile) per disporre la M.I.S.E.”. In questo caso la risalenza appare non solo della causa, ma anche dell’evento, secondo le precisazioni svolte per i rilievi sin qui effettuatu alla luce della giurisprudenza del consiglio di Stato.
XXXV - Circa le conferenze dei servizi decisorie successive a quella del 21 luglio, esse proseguono l’esame delle prescrizioni imposte con la predetta, essendo, dunque, viziate, oltre che per quanto sin qui detto anche per illegittimità derivata, avendo prodotto disposizioni che sono fondate sulle determinazioni precedenti.
Quanto ai decreti impugnati, si è già detto che gli stessi risultano chiaramente viziati per illegittimità derivata, per quanto sin qui esposto e secondo i punti già precedentemente evidenziati con riferimento al quarto ricorso per motivi aggiunti.
Tale considerazione esime il Collegio dal dovere esaminare oltre le censure variamente riproposte contro le relative determinazioni nei ricorsi per motivi aggiunti VIII e IX.
Si può dunque, concludere per l’accoglimento, per quanto d’interesse – secondo le iniziali precisazioni – dei ricorso VII, VIII e IX per motivi aggiunti e, per l’effetto, per l’annullamento - in parte qua - dei provvedimenti ivi gravati.
XXXVI – Vengono, dunque, in evidenza le censure proposte con il X atto per motivi aggiunti, il cui esame risulta in parte complesso per l’essere nelle more intervenute una serie di pronunzie del TAR di Catania a riguardo, con riferimento ai ricorsi proposti da altri soggetti interessati e le cui conclusioni devono essere prese in considerazioni ai fini della delibazione.
Inoltre, deve sin qui evidenziarsi che è sopravvenuto il difetto di interesse con riguardo ai motivi LXIII, LXV e LXX attinenti alla caratterizzazione integrativa ed al progetto di bonifica, LXXI sul monitoraggio, LXVII – ad eccezione tuttavia delle censure attinenti al parametro c.d. ‘hot spot’ – LXXI e LXVIII – ad eccezione che con riferimento al criterio della frazione granolumetrica.
XXXVII – Come detto, le determinazioni della CdS qui gravate hanno formato oggetto di altro giudizio dinanzi al TAR di Catania, che, sulla base delle conclusioni già raggiunte nella sentenza n. 1254 del 2007, accoglieva i ricorsi presentati dagli operatori ricorrenti. A tale decisione, peraltro, si è uniformata la sentenza in forma semplificata n. 200 del 2008.
In particolare, evidenziava il TAR le profonde lacune istruttorie.
Anche nella controversia all’esame, la Società istante si duole essenzialmente della mancata completezza delle indagini presupposte, che non può essere sanata dal richiamo alla CdS istruttoria del maggio 2006, che non verteva su tutti i punti all’O.d.g..
Il motivo di ordine generale (LXII) è fondato.
Non è, tuttavia, condivisibile il motivo LXIV per carenza di istruttoria con riguardo all’ordine di caratterizzazione dei sedimenti del torrente Cantera, nonostante quanto affermato dalla Società istante (cfr. i documenti riportati nelle “Considerazioni tecniche sulla V memoria del Ministero del 1.10.2014 (sui motivi aggiunti Esso da X a XIV)”, punto 1.0 punto 2) pag. 14), in ragione della diversa valutazione dei valori di contaminazione di cui si è detto..
Tuttavia, devono essere esaminati alcuni punti che mantengono interesse.
XXXVIII – Quanto al XVI motivo, la ricorrente censura la prescrizione recante l’ordine di “presentare entro 30 giorni … il progetto definitivo [di bonifica] delle acque di falda basato sul contenimento fisico”.
La prescrizione è censurata sotto diversi profili:
- per violazione del giudicato con riferimento a quanto disposto con ordinanza di questa Sezione n. 142 del 2007,
- per violazione degli All.ti 2-3, Tit. V Parte IV, d.lgs. n. 152 del 2006;
- per eccesso di potere nelle varie figure sintomatiche;
- per violazione del principio di proporzionalità;
- per violazione e falsa applicazione dell’art. 17, d.lgs. n. 22 del 1997 e degli attuali artt. 239 e ss. d.lgs. n. 152 del 2006;
- nonché per violazione dell’art. 174, TUE.
XXXIX - Orbene, prima di tutto, deve svolgersi una precisazione di ordine generale.
Quanto sopra considerato con riferimento alla specifica questione dell’inquinamento da mercurio, non può trovare diretta applicazione con riguardo alle altre esigenze di contenimento dell’inquinamento.
Infatti, con riferimento alla situazione di diffuso inquinamento, presente ed accertato nell’area di interesse, la ratio del principio comunitario “chi inquina paga” è quella – come detto - di escludere che i costi derivanti dal ripristino di siti inquinati venga sopportato dalla collettività.
Tale soluzione, non è incompatibile con quanto deciso dalla pure richiamata sentenza della Corte di Giustizia del 9 marzo 2010 causa C-378/08, che in ipotesi di inquinamento ambientale come quello in esame, a carattere diffuso, ha affermato che la normativa di uno Stato membro può prevedere che l'autorità competente abbia facoltà di imporre misure di riparazione del danno ambientale presumendo l’esistenza di un nesso di causalità tra l’inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi operatori, e ciò in base alla vicinanza degli impianti di questi ultimi con il menzionato inquinamento (sentenza C 378/08, ERG e a., cit., punto 56) (cfr. TAR Catania, sentenza n. 2117 del 2012).
Tuttavia, chiaramente, l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento (cfr. sentenza 24 giugno 2008, causa C 188/07, Commune de Mesquer, Racc. pag. I 4501, punto 77), per poter presumere secondo tali modalità l’esistenza di un siffatto nesso di causalità l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività (sentenza C 378/08, ERG e a., cit., punto 57).
Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato (punto n. 58).
Pertanto – come osservato dalla richiamata sentenza del TAR Catania del 2012 - “in presenza di una situazione di contaminazione estesa come nel caso di specie, in relazione alla quale non è facile distinguere l’apporto individuale di ciascun operatore nella causazione del danno ambientale, anche in considerazione dell’ampio periodo di utilizzo produttivo del sito industriale durante il quale all’interno del sito stesso si sono avvicendati numerosi operatori, risultano soddisfatti, ad avviso del Collegio i presupposti indicati dalla Corte per l’accertamento presuntivo del nesso causale, vale a dire la vicinanza degli impianti e l’identità tra le sostanze rinvenute nelle matrici ambientali contaminate e quelle trattate, prodotte o stoccate, o comunque utilizzate dalle aziende”, salvo che non sia possibile raggiungere quel grado di ragionevole presunzione, già sopra precisato a proposito dell’inquinamento da mercurio.
Con riguardo alle altre sostanze inquinanti l’esclusione del nesso causale, infatti, non discende dai dati e dalle conclusioni della CTU del gennaio 2009 ordinata dalla Procura del Tribunale di Siracusa e dello Studio in atti, Allegato n. 2 al XIV ricorso per motivi aggiunti, che fa riferimento alla risalenza dell’inquinamento agli anni cinquanta-sessanta.
La stessa conclusione della CTU è nel senso che “è remota” “la probabilità che l’apporto di contaminanti presenti nella falda superficiale possa essere significativo nel determinare l’inquinamento dei fondali della Rada di Augusta”.
Tuttavia, essa non lo esclude.
Così come la stima dell’apporto annuo di idrocarburi pesanti dalla falda (Tab. 7) rivela una presenza di inquinanti.
Mentre è confermata la non riconducibilità alla Raffineria Esso della presenza di mercurio (pg. 23).
XL – Tuttavia nel merito, il motivo va accolto.
Infatti, premesso che nella specie le valutazioni debbono essere riferite alla legittimità delle prescrizioni di bonifica e non di m.i.s.e., e che è vero che la scelta in ordine alle modalità di bonifica del sito è espressione di discrezionalità tecnica dell’amministrazione, ed in quanto tale non sindacabile nel merito da parte di questo Giudice, tuttavia qualsiasi valutazione tecnico-discrezionale deve essere supportata da adeguata istruttoria e motivazione per sfuggire al sindacato giurisdizionale.
Ritiene il Collegio che la scelta circa le predette modalità di bonifica sia viziata sotto i profili denunciati dalla Società ricorrente e sinteticamente prima riassunti, come già ha avuto modo di rilevare il TAR di Catania.
Appare sul punto necessario riportare le conclusioni raggiunte dal TAR Catania con la sentenza n. 2117 del 2012 citata: “Risulta infatti dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta da questa Sezione che l’Amministrazione non ha svolto alcuna attività di indagine per individuare gli interventi effettivamente necessari alla rimozione dell’inquinamento accertato.
La consulenza tecnica ha accertato che il progetto ICRAM non è stato preceduto da alcuna analisi di rischio sito-specifica che, consentendo di valutare i rischi effettivi per la salute umana derivanti dall’accertato inquinamento da mercurio, esaclorobenzene ed in parte da idrocarburi, avrebbe consentito una più adeguata individuazione degli obiettivi della bonifica. E’ stato invece acclarato che non sono esattamente identificate “le modalità di conduzione degli interventi (vale a dire le metodologie), per le quali non sono valutabili, quindi, l’efficacia e l’efficienza; peraltro, non sono individuate e stimate le possibili conseguenze sulle componenti ambientali, per cui non sono valutabili i suoi effetti” (CTU, pag. 268).
Il progetto riporta solo una illustrazione generale delle tecniche utilizzabili per la rimozione dei sedimenti e conseguentemente non spiega le ragioni della soluzione prescelta, né identifica delle possibili alternative anche in funzione della minimizzazione dell’impatto ambientale (p. 238).
Non risulta possibile “valutare la sostenibilità in termini di costi/benefici e tempi” del progetto, poiché in esso “non vengono stimati in maniera adeguata né i costi sommari necessari per l’intervento… né i tempi richiesti sia per il completamento dell’iter progettuale che per la sua esecuzione” (CTU, pagg. 268);
Alla data delle operazioni peritali non risultavano eseguiti i test di trattabilità sui sedimenti, per i quali erano stati individuati solo gli obiettivi da perseguire, nonché in maniera generica le modalità di indagine che si intendeva applicare.
Invero, a seguito della fase di caratterizzazione dei sedimenti svolta da ICRAM e della riscontrata contaminazione, l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare da un lato gli effettivi rischi per la salute umana connessi alla presenza di inquinanti nelle matrici ambientali, calcolare i valori di intervento e valutare la fattibilità delle opere, approfondendo gli effetti del dragaggio sulle componenti ambientali.
La carenza di istruttoria è evidente anche per quanto riguarda l’analisi dei principali problemi indotti dalle operazioni di dragaggio, quale lo smaltimento delle acque di risulta dalle operazioni di trattamento dei sedimenti ovvero gli eventuali interventi di ripristino e miglioramento ambientale.
Inoltre, proprio per la mancata effettuazione di un’analisi di rischio sito specifica, non appare ragionevole la previsione che l’intervento debba interessare anche le aree meno contaminate della Rada, atteso che date le dimensioni della Rada stessa sarebbe più ragionevole limitare gli interventi alle sole zone più contaminate.
Quanto al progetto di realizzazione delle casse di colmata, la consulenza tecnica pone in evidenza la mancata individuazione della modalità di esecuzione delle vasche, nonché la non coerenza con il progetto di bonifica dei sedimenti, come aggiornato nel luglio 2008, poiché essendo prevista in quest’ultimo la drastica riduzione dei sedimenti da dragare, anche il progetto relativo alle casse di colmata avrebbe dovuto essere adeguato di conseguenza, in modo da considerare il minor volume di sedimento da riversare nelle vasche.
Infine, il vizio di carenza di istruttoria risulta confermato altresì dalle dichiarazioni, contenute nella memoria depositata dall’Avvocatura il 10 ottobre 2011, di dover ancora formulare, in via definitiva, la scelta circa gli interventi da attuare per la bonifica della Rada (“Ora, nella fattispecie, è evidente che la scelta finale dell’intervento più opportuno dovrà essere valutata caso per caso e modulata in funzione della qualità e quantità dei volumi di sedimento contaminati, del regime idrodinamico della Rada, della morfologia dei fondali… ”- pag. 8).
In conclusione sul punto, la scelta dell’amministrazione in ordine alle modalità e tecniche da utilizzare per la bonifica dei fondali della Rada non è supportata da adeguata istruttoria e motivazione a fronte del rischio di una dispersione incontrollata di sedimenti contaminati, che potrebbe essere determinata dall’attività di dragaggio e potrebbe vanificare l'opera di risanamento; specie a fronte degli studi prodotti delle società ricorrenti a sostegno delle obiezioni sollevate circa i presupposti della bonifica e le modalità dell’intervento”.
In particolare, deve accogliersi, dunque, la censura relativa alla prescrizione del contenimento fisico, contestata dalla Società con riferimento alla sua intrinseca illegittimità e pericolosità.
Va condivisa la dedotta illegittimità – come già affermato nella richiamata pronuncia “per avere l’Autorità prescritto una misura la cui realizzabilità è stata affermata in assenza di qualsivoglia indagine tecnica che ne dimostri l’idoneità al conseguimento dello scopo, nonché la compatibilità dal punto di vista idrogeologico”.
Il Collegio richiama sul punto, aderendovi, anche le precedenti conclusioni, già sopra evidenziate, raggiunte dalla sentenza n. 1254 del 2007 del TAR Catania.
Peraltro, si deve brevemente far riferimento a quanto risultante dalla documentazioni in atti (“Valutazione dell’efficacia dei sistemi di MISE”, All.to n. 1 al XIV atto per motivi aggiunti, par. 4.2), da cui risulta, tra l’altro, che:
-“l’opera di confinamento fisico determina una alterazione permanente del flusso delle acque sotterranee”;
-“la costruzione dell’opera di confinamento con le tecnologie che prevedono lo scavo… o l’infissione di elementi verticali non è possibile in presenza di sottoservizi” – come nel caso che occupa, essendo interessato il sito da varie tubazioni di collegamento ai due pontili;
-“la costruzione dell’opera di confinamento con le tecnologie che prevedono lo scavo di terreno, comporta una ingente produzion di terreno che risulta, con impatti ambientali significativi nella loro gestione ai sensi della normativa vigente”.
XLI – Con riguardo, invece, alla validità delle prescrizioni “in corrispondenza degli hot spot”, si può rinviare a quanto già osservato a proposito del secondo ricorso per motivi aggiunti. Per le medesime ragioni di economia processuale si rinvia a quanto considerato per quanto concerne il criterio della frazione granilumetrica.
Deve, altresì, essere respinta la censura di cui al LXIX relativa alla prescrizione sul riutilizzo delle acque di falda per quanto sopra esposto.
XLII – Per quanto detto, non possono trovaer condivisione le censure relative alle ulteriori prescrizioni di caratterizzazione, salvo che per quanto deriva dall’imposizione di indagini in ordine a componenti inquinanti in alcun modo riconducibili all’attività della Società.
Tuttavia, per i già richiamati profili di carenza istruttoria e motivazionale (motivi da LXXII a LXV) devono trovare accoglimento le censure relative alle prescrizioni sulla Rada di Augusta.
Il decreto impugnato, nel recepire le conclusioni della CdS in discussione è, dunque, necessariamente viziato da illegittimità derivata.
Ne consegue che – nei limiti sopra precisati il ricorso va accolto.
XLIII – I ricorsi per motivi aggiunti XI, XII e XIII debbono essere esaminati insieme, per ragioni di economia processuale, poichè gli atti ivi gravati hanno costituito già oggetto unitario di esame nella menzionata sentenza del TAR Catania n. 2117 del 2012.
Occorre precisare che dalla precedente fase relativa alla messa in sicurezza di emergenza e caratterizzazione delle aree a terra (suoli e falda) si passa ora – negli atti gravati - ad una prospettiva di bonifica dell’intera Rada di Augusta prospiciente il Petrolchimico, attraverso una prima ed una seconda fase di caratterizzazione nel corso delle quali le indagini svolte da ICRAM, dapprima in due aree prioritarie della Rada e successivamente in tutta la Rada, hanno condotto alla rilevazione di una grave contaminazione da mercurio nei sedimenti marini.
Come rilevato già nel precedente giudizio svoltosi dinanzi al TAR di Catania, erano, dunque, introdotte nei confronti delle Società insediate nel sito di Priolo nuove prescrizioni relative alla messa in sicurezza di emergenza e bonifica dei sedimenti della Rada, e con l’approvazione del Progetto di bonifica ICRAM nella Conferenza del 20 dicembre 2007 (oggetto qui di impugnazione nell’XI ricorso per motivi aggiunti).
Con il XII atto per motivi aggiunti era gravata anche la CdS decisoria del 6 marzo 2008 con cui era prevista la realizzazione della II caratterizzazione e gli interventi necessari al fine di consentire il riutilizzo delle aree.
In data 7 novembre 2008 era, peraltro, sottoscritto l’Accordo di Programma tra soggetti pubblici (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dei Trasporti, Commissario delegato per l’emergenza bonifiche e tutela delle acque della Regione Siciliana, Regione Siciliana, Provincia di Siracusa, Comuni territorialmente interessati e Autorità Portuale di Augusta ), avente ad oggetto “Interventi di riqualificazione ambientali funzionali alla deindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di interesse nazionale di Priolo”, finalizzato alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e bonifica del sito contaminato mediante rimozione dei sedimenti inquinati, congiuntamente allo sviluppo portuale all’interno del sito di interesse nazionale di Priolo.
Il predetto Accordo di programma era successivamente integrato con atto in data 5 marzo 2009.
XLIV – Devono, dunque, affrontarsi alcune questioni generali.
Per quanto già sopra esposto, appaiono fondati i ricorsi sulla questione relativa alla bonifica dei fondali della Rada, con la conseguenza che le relative determinazioni delle Conferenze dei Servizi impugnate da annullare, sotto il profilo del difetto di istruttoria e motivazione dei prescritti interventi di asportazione dei sedimenti mediante attività di dragaggio (motivi LXXVIII, LXXIX).
Infatti, sono fondate le censure con le quali la Società ricorrente ha contestato, per carenza di adeguata istruttoria e di motivazione, le prescrizioni delle CdS del 2007 e del 2008 inerenti il progetto di bonifica della Rada, dirette a realizzare la rimozione di diversi milioni di metri cubi di sedimenti contaminati.
La Società ricorrente ha censurato l’efficacia della tecnica di dragaggio dei sedimenti inquinati, in particolare evidenziando la pericolosità per l’ambiente e per la salute umana di tale tecnica, per il rischio che possano rimettersi in circolazione depositi di materiale inquinato oramai giacenti sui fondali.
Quanto alla violazione del principio comunitario “chi inquina paga”, si è diffusamente argomentato, sicchè non pare possa essere condivisa in tutto la tesi di parte istante, come già esposto.
XLV – Tuttavia, ritiene il Collegio che la scelta circa le predette modalità di bonifica sia viziata sotto i profili denunciati dalla Società ricorrente e sinteticamente prima riassunti.
Come già indicato, il progetto ICRAM non è stato preceduto da alcuna analisi di rischio sito-specifica che, consentendo di valutare i rischi effettivi degli per evidenziare gli obiettivi della bonifica.
Come, altresì, ricordato, la carenza di istruttoria è evidente anche per quanto riguarda l’analisi dei principali problemi indotti dalle operazioni di dragaggio.
Inoltre, proprio per la mancata effettuazione di un’analisi di rischio sito specifica, non appare ragionevole la previsione che l’intervento debba interessare anche le aree meno contaminate della Rada, atteso che date le dimensioni della Rada stessa sarebbe più ragionevole limitare gli interventi alle sole zone più contaminate.
Deve, dunque, condividersi la conclusione affermata nella menzionata sentenza, secondo la quale “la scelta dell’amministrazione in ordine alle modalità e tecniche da utilizzare per la bonifica dei fondali della Rada non è supportata da adeguata istruttoria e motivazione a fronte del rischio di una dispersione incontrollata di sedimenti contaminati, che potrebbe essere determinata dall’attività di dragaggio e potrebbe vanificare l'opera di risanamento”.
Devono conseguentemente accogliersi l’XI ricorso per motivi aggiunti in esame in relazione alle dette censure, sollevate avverso le prescrizioni relative alla bonifica della Rada mediante attività di dragaggio dei sedimenti contaminati, con assorbimento degli ulteriori motivi dedotti ed il conseguente annullamento delle relative prescrizioni.
XLVI – Quanto al barrieramento fisico della falda. Tuttavia, ulteriori precisazioni occorrono con riguardo alle censure attinenti alla restituzione delle aree agli usi legittimi (motivo LXXXVI dell’XII ricorso per motivi aggiunti).
Riassuntivamente, deve rammentarsi che la prescrizione sull’obbligo di realizzare un contenimento fisico della falda inquinata si è appalesata illegittima, in quanto non supportata da alcuna motivazione tecnica o da alcun accertamento istruttorio.
Un’adeguata istruttoria e motivazione erano tanto più necessarie se si considera che la Società ricorrente ha rappresentato di avere realizzato già diversificati interventi.
Di conseguenza, è parimenti illegittima anche la prescrizione della medesima CdS del 6 marzo 2008 relativa alla restituzione agli usi legittimi delle aree non interessate alla bonifica, tenuto conto che la realizzazione di un contenimento fisico (ritenuta illegittima) costituisce il presupposto per il rilascio di qualsiasi area interna al perimetro.
Le sopra esposte conclusioni trovano conferma nella pronuncia resa dalla Corte di Giustizia sulle cause riunite C-379/08 e C- 380/08, a seguito di rinvio pregiudiziale disposto dal TAR Catania e richiamate nella già più volte menzionata pronunzia: “La Corte ha affermato che la direttiva 2004/35/CE in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale deve essere interpretata nel senso che l’autorità competente è legittimata a modificare, anche d’ufficio, misure di riparazione ambientale precedentemente disposte, ove giunga alla conclusione che le misure inizialmente disposte si rivelino inefficaci e che ne siano necessarie altre per porre rimedio ad un determinato inquinamento ambientale (punto 51).
Tuttavia, al fine di adottare una siffatta decisione, “occorre garantire un’adeguata tutela dei legittimi interessi degli operatori e delle altre parti interessate” (punto 52) e pertanto l’autorità è obbligata ad ascoltare gli operatori cui siano imposte misure del genere, salvo quando l’urgenza della situazione ambientale imponga un’azione immediata dell’autorità, ed inoltre i titolari dei terreni interessati dalle nuove misure riparatorie, devono essere invitati a presentare le loro osservazioni, di cui l’autorità deve tener conto (punti 54, 55, 56).
L’autorità competente, inoltre, nel valutare la rilevanza dei danni e scegliere le misure più idonee ad assicurare la riparazione dei danni ambientali, “ha l’obbligo di esaminare in modo accurato e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie” (punto 61) e pertanto deve, in caso di mutamento dell’opzione di riparazione, indicare le ragioni specifiche che motivino la nuova scelta (punto 63) e “vigilare affinchè l’opzione accolta alla fine consenta realmente di raggiungere risultati migliori dal punto di vista ambientale senza con ciò esporre gli operatori interessati a costi manifestamente sproporzionati rispetto a quelli che essi dovevano o avrebbero dovuto sostenere nel quadro della prima opzione accolta dalla detta autorità”, a meno che quest’ultima non dimostri che la prima opzione accolta si è rivelata inadeguata (punto 64) .
Sulla terza questione - restituzione delle aree - , infine la Corte ha dichiarato che in presenza di un inquinamento di particolari dimensioni e gravità come quello in esame, l’autorità può subordinare l’esercizio del diritto degli operatori destinatari di misure di riparazione ambientale all’utilizzo dei loro terreni alla condizione che essi realizzino i lavori imposti dall’autorità stessa, e ciò perfino quando detti terreni non siano interessati dalle misure di bonifica; tuttavia una tale misura può essere adottata solo se giustificata dallo scopo di impedire il peggioramento della situazione ambientale nel luogo dove tali misure sono poste in esecuzione, o, in applicazione del principio di precauzione, allo scopo di prevenire il verificarsi o il ripetersi di altri danni ambientali nei detti terreni degli operatori, limitrofi all’intero litorale oggetto delle misure di riparazione”.
Da quanto sopra evidenziato deriva necessariamente l’illegittimità della prescrizione, non essendo stata provata la necessità della misura del contenimento fisico come condizione per lo svincolo delle aree. Essa, dunque, deve essere annullata.
XLVII – Alcune precisazioni meritano, poi, talune questioni particolari, rispetto alle quali si appalesano i difetti istruttori sopra evidenziati:
1 – la prescrizione della IIa caratterizzazione (XI ricorso per motivi aggiunti);
2 – la mancata individuazione del responsabile dell’inquinamento, pur se chiaramente denunciato l’episodio occorso al collettore I.A.S..
Infatti, quanto sopra affermato in ordine alla situazione di emergenza in presenza di inquinamento diffuso, non può esonerare l’Amministrazione da un’adeguata istruttoria, anche in ordine alle responsabilità.
La normativa, tesa ad evitare che i costi dell’inquinamento gravino sulla collettività non contraddice il completo svolgimento dell’istruttoria, che nella specie risulta rapidamente eseguibile anche alla luce della documentazione sottoposte alla C.d.S. del 6 marzo 2008 (motivo LXXXV).
XLVIX – Con riguardo al XIII ricorso per motivi aggiunti, va in via del tutto preliminare, rilevato che la richiesta di sottoposizione di un nuovo progetto di messa in sicurezza “MISO” rielaborato secondo una serie di prescrizioni tra cui quella del marginamento fisico risulta, alla luce di quanto sin qui rilevato, illegittima per difetto di istruttoria.
Sicchè il ricorso appare sotto tale profilo fondato e deve essere accolto.
Valgono sotto questo aspetto le rilevate carenze istruttorie, già sopra descritte.
Tuttavia, pur sempre con la precisazione in ordine alla non condivisibilità della censura relativa al rilievo dei c.d. ‘hot spot’ in sè, di cui si è ampiamente detto (motivo LXXXVIII). Così, neppure possono condividersi le censure relative all’imposizione delle prescrizioni in relazione al superamento delle CSC per alcuni parametri.
Il richiamo agli esiti istruttori dell’Anali rischi costituisce, ad avviso del Collegio, sufficiente motivazione, che si giustificano altresì in applicazione del principio di precauzione (motivo XC, punti 3-7).
L - Ciò in disparte la considerazione della censura in ordine all’adesione all’Accordo di programma, rispetto al quale si è ampiamente pronunziato il TAR di Catania, con conclusioni che il Collegio condivide: “l’Accordo prevede un intervento pubblico, cui si lascia semplicemente ai privati coinvolti la possibilità di aderire partecipando alla realizzazione degli interventi per evitare la successiva procedura di recupero in danno.
La ricorrente, pertanto, non è destinataria di obblighi previsti da esso, avendo semplicemente la possibilità di aderirvi, oppure di realizzare la bonifica autonomamente.
L’accordo di programma è atto di carattere generale, sottoscritto per la disciplina dei rapporti tra amministrazioni pubbliche (le quali beneficiano, a tal fine, di contributi pubblici), che non ha, almeno nella fase iniziale e programmatica in esame, alcun riflesso sull'attività della ricorrente, non individuando misure specifiche di immediata attuazione. L'accordo disciplina l’attuazione di interventi comuni di parte pubblica con la possibilità, per i privati, di aderire e di coordinare, in questo modo, gli interventi di relativa competenza (messa in sicurezza, bonifica e recupero ambientale) con gli interventi attuativi dell’accordo di programma.
Occorre anche aggiungere che l’accordo di programma è un modulo procedimentale che raccorda l’azione degli enti pubblici che sono tutti titolari di (diverse) competenze da esercitare in un medesimo procedimento amministrativo. La circostanza che gli stessi abbiano deciso di procedere ad un’intesa per concordare tra loro le linee di condotta da portare avanti nella soluzione della questione dell’inquinamento del S.I.N. di Priolo, e per evitare quindi di procedere ciascuno secondo direttrici differenti, non può essere oggetto di censura da parte del soggetto privato che auspicava che l’esito dell’accordo di programma fosse la scelta di una linea più favorevole ai propri interessi, posto che la parte privata resta libera di aderire o meno all’accordo e che nel caso non aderisca resta libera di contestare la legittimità dei provvedimenti unilaterali successivi che portano ad esecuzione l’accordo stesso”.
LI - I decreti di approvazione delle conferenze di servizi sono viziati per illegittimità derivata, in quanto ad essi va ricondotta una funzione di approvazione formale.
LII – Per le considerazioni sin qui svolte, devono essere accolti, in parte qua, i ricorsi XI, XII e XIII per motivi aggiunti, nei limiti specificati.
LIII – Con gli ultimi motivi aggiunti, la ricorrente censura, ulteriormente le conclusioni della CdS del 5 marzo 2014, sostanzialmente riproponendo i motivi sin qui esaminati.
La disamina svolta sinora, esonera da una dettagliata relazione a riguardo.
Lamenta la Società ricorrente che la CdS riportava all’ordine del giorno gli interventi di MISO – messa in sicurezza operativa – dovendo, dunque, ritenersi superata la fase della caratterizzazione.
A riguardo, allegava le “Considerazioni tecniche” (All.to IV al XIV ricorso per motivi aggiunti) – in contrasto alle controdeduzioni dell’Amministrazione (di cui alla memoria dell’1 ottobre 2014): in particolare, con riguardo allo sversamento del TK212, rispetto al quale evidenziava che sono state eseguite le prescrizioni delle CdS in accordo con la Provincia e l’ARPA, sino all’installazione a valle del serbatoio della barriera idraulica (cfr. relazione Golder n. prot. 1350840695/EM4808 del settembre 2014) (punto 1.0).
Tuttavia, alla luce del richiamato principio di precauzione, la necessità di ulteriori interventi immediati è imposta dalla presenza nell’area in questione enormi quantitativi di inquinanti ed il superamento nei suoli e nelle acque di falda di numerosi parametri di contaminazione. Rispetto a tali interventi, le ulteriori procedure di indagine risultano, pertanto, necessariamente preordinate e connesse.
Per quanto già esposto, sono infondate le censure con le quali Esso ha contestato la prescrizione relativa al valore limite fissato per il parametro MTBE e delle CSR (motivi XCIII, XCIV, XCV).
Al contrario, il ricorso risulta fondato in relazione al motivo XCVII, in quanto le conclusioni della Conferenza appaiono carenti dal punto di vista istruttorio e di motivazione, con riferimento al metodo imposto (SVE) che – secondo le risultanze in atti – risulta contraddittorio con la prescrizione di messa in sicurezza operativa, implicando l’inattività del sito. Essa infatti, consistendo nell’estrazione e nel recupero di vapori interstiziali dal sottosuolo attraverso dispositivi di aspirazione, presuppone l’assenza di infrastrutture, serbatoi e sottoservizi.
Sotto tale aspetto, dunque, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato il decreto di approvazione della CdS, per illegittimità derivata, in parte qua.
Nulla deve disporsi con riferimento al verbale della CdS istruttoria per le considerazioni già svolte in ordine alla natura interlocutoria della stessa.
LIV – In ragione della complessità della fattispecie e della parziale reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per compensare in parte le spese del presente giudizio; per l’effetto, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare deve essere condannato al pagamento delle spese di lite in favore della Società ricorrente di complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre IVA e CPA.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, dispone come di seguito:
1 – dichiara il sopravvenuto difetto di interesse con riferimento alle intervenienti, compensando, conseguentemente, le spese di lite con riferimento alle stesse;
2 – accoglie in parte e nei limiti indicati in motivazione il ricorso introduttivo e, per l’effetto:
a) annulla, nei limiti sopra specificati con riguardo al III motivo di ricorso, la nota del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio prot. n. 10933 del 25 gennaio 2002;
b) dichiara, per il resto, inammissibile (II motivo) ed improcedibile (I e parte del III motivo) il ricorso introduttivo ed, in parte da’ atto – con riferimento ad esso – dell’avvenuta parziale cessazione della materia del contendere, come precisato in motivazione;
c) respinge per il resto le censure di cui al III motivo di ricorso come in diritto precisato;
3 – respinge, in parte e nei limiti indicati in motivazione, il I ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto:
a) dichiara con riferimento al I motivo il ricorso in parte improcedibile e per il resto la cessazione della materia del contendere – come sopra specificato;
b) respinge per il resto il ricorso con riferimento ai motivi I, III ed il IV;
c) dichiara la cessazione della materia del contendere relativamente al II motivo di ricorso;
4 – ritenuta irrilevante e non manifestamente fondata la questione di legittimità sollevata, respinge, in parte e nei limiti indicati in motivazione, il II ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto:
a) dichiara con riferimento all’ XI.1 motivo il ricorso in parte improcedibile;
b) respinge per il resto il ricorso con riferimento ai motivi VI e VII, VIII-X in parte qua, XI.2, XI.3 e XII;
c) dichiara la cessazione della materia del contendere relativamente ai motivi VIII-X, limitatamente a quanto precisato in motivazione;
5 - ritenuta irrilevante e non manifestamente fondata la questione di legittimità sollevata, respinge, in parte e nei limiti indicati in motivazione, il III ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto:
a) dichiara improcedibile il ricorso con riguardo ai motivi XIV, XV, XVII;
b) dichiara in parte intervenuta la cessazione della materia del contendere con riferimento al motivo XX;
c) respinge il ricorso con riferimento al motivo XVI, con le precisazioni svolte in motivazione, il XVIII ed il XIX;
6 – accoglie il IV ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto:
a) annulla, in parte qua, i verbali delle CdS decisorie del 18 luglio 2005 e del 14 settembre 2005, in parte qua;
b) dichiara cessata la materia del contendere con riferimento a quanto censurato con il motivo XXVIII;
7 – respinge in parte il V ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto:
a) dichiara improcedibile il ricorso con riferimento ai motivi XXIX, XXX e XXXII, XXXIII;
b) respinge il ricorso con riguardo ai motivi XXXI e XXXIV;
8 – dichiara inammissibile il VI ricorso per motivi aggiunti;
9 – precisati i termini di ineresse in motivazione, accoglie, in parte, i ricorsi per motivi aggiunti VII, VIII e IX ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto:
a) dichiara improcedibile il ricorso con riguardo ai motivi XLIV, XLV, XLVI del VII ricorso per motivi aggiunti;
a) dichiara improcedibile il ricorso con riguardo al motivo LIV in parte qua, dell’VIII ricorso per motivi aggiunti;
b) annulla, in parte qua, i verbali delle CdS decisorie del 21 luglio, 19 ottobre, 31 ottobre e 4 dicembre 2006 ed i decreti direttoriali del 31 ottobre 2006 prot. 2979/QdV/Di/B e 2980/QdV/Di/B e 3204//QdV/Di/B del 13 dicembre 2006;
10 - accoglie, in parte, il X ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto:
a) annulla, in parte qua, il verbale di CdS decisoria del 16 febbraio 2007 ed il decreto direttoriale del 1° marzo 2007 prot. 3387/QdV/Di/B nei limiti precisati in motivazione;
b) dichiara improcedibile il ricorso con riferimento ai motivi ai motivi LXIII, LXV, LXX, LXXI, LXVII - in parte qua, LXXI e LXVIII – in parte qua;
11 – accoglie, nei limiti specificati in motivazione, i ricorsi per motivi aggiunti XI, XII e XIII e per l’effetto:
a) annulla, in parte qua, i verbali di CdS del 20 dicembre 2007, del 6 marzo 2008, del 22 dicembre 2010 ed i decreti direttoriali del 21 febbraio 2008 prot. 4378/Qdv/DI/B e del 16 aprile 2008, prot. 4486/Qdv/DI/B, nonché del 3 marzo 2011 prot. 1189/TRI/DI/B;
12 – accoglie, nei limiti specificati in motivazione, i ricorsi per motivi aggiunti XIV e per l’effetto:
a) annulla, in parte qua, i verbali di CdS del 5 marzo 2014 (con riferimento al motivo XCVII) ed il decreto direttoriale del 7 marzo 2014 prot. 4890/TRI/DI;
13 - Condanna il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare al pagamento delle spese di lite in favore della Società ricorrente di complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre IVA e CPA; compensa per il resto le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 20 novembre e 4 dicembre 2014, con l'intervento dei magistrati:
Antonino Savo Amodio,Presidente
Antonio Vinciguerra,Consigliere
Solveig Cogliani,Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/03/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)