News: Diniego installazione cancello
Pubblico
Sabato, 14 Maggio, 2016 - 02:00
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), sentenza n. 1933 del 13 maggio 2016, sul diniego installazione cancello
N. 01933/2016REG.PROV.COLL.
N. 00902/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 902 del 2010, proposto dalla:
Azienda Agricola il Casellino di Eduardo Salvia & C. S.a.s., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Benussi, con domicilio eletto presso lo Studio Gian Marco Grez in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
contro
Comune di Rignano sull'Arno, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Pasquale Mosca e Germana Parlapiano, con domicilio eletto presso Giovanni Pasquale Mosca in Roma, Corso Italia, n. 102;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio delle province di Firenze Pistoia e Prato, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma:
della sentenza del T.A.R. per la Toscana, Sezione III, n. 948 del 15 gennaio 2009, resa tra le parti, concernente il diniego di autorizzazione all’installazione di un cancello.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rignano sull'Arno e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 aprile 2016 il Cons. Dante D'Alessio e uditi per le parti gli avvocati Domenico Benussi, Giovanni Pasquale Mosca e l’avvocato dello Stato Gabriella D'Avanzo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- L’Azienda Agricola il Casellino di Eduardo Salvia & C., di seguito anche Azienda Casellino, proprietaria di una area nel Comune di Rignano sull’Arno, lungo la strada provinciale n. 90 Torri - Volognano - Rosano, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, voleva collocare un cancello in ferro battuto all’accesso della stradella che dalla sua proprietà sbocca sulla strada provinciale. Ha quindi chiesto, in data 22 agosto 2006, al Comune di Rignano sull’Arno il rilascio della necessaria autorizzazione paesaggistica.
Il Comune di Rignano sull'Arno, con provvedimento in data 13 ottobre 2006, ha negato l’autorizzazione all’installazione del cancello per l’accertato contrasto del proposto intervento con l’art. 31 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Regolamento urbanistico comunale.
1.1.- L’Azienda Casellino ha impugnato tale diniego davanti al T.A.R. per la Toscana chiedendone l’annullamento previa sospensiva.
1.2.- Il T.A.R. per la Toscana ha respinto la domanda cautelare, con ordinanza della Sezione III, n.1018 del 13 dicembre 2006, avendo ritenuto che il ricorso non risultava assistito dal requisito del fumus boni juris in quanto le giustificazioni poste a base del diniego impugnato non facevano riferimento «al carattere vicinale della strada de qua, contestato in sede di giurisdizione civile, bensì al vincolo storico-ambientale istituito come invariante strutturale ai sensi dell’art. 31 del Regolamento Urbanistico».
Tale ordinanza, appellata dall’interessata, è stata riformata dal Consiglio di Stato, Sezione IV, con ordinanza n. 923 del 20 febbraio 2007, nella quale il giudice di appello ha rilevato che l’Amministrazione non aveva tenuto conto della «declaratoria giudiziale, provvisoriamente esecutiva, dell’inesistenza di servitù di uso pubblico sulla strada de qua e della natura non vicinale della strada stessa» ed inoltre che l’art. 31 delle NTA dello strumento urbanistico non consentiva «di rilevare le ragioni di tutela storico-ambientale proclamate dalle difese dell’Amministrazione comunale».
2.- Con nota del 16 maggio 2007 il Comune di Rignano sull’Arno comunicava, quindi, alla Società ricorrente il nuovo parere espresso dalla Commissione Comunale per il Paesaggio secondo il quale risultava opportuno collocare il manufatto edilizio «in prossimità del complesso edilizio a monte , in chiaro rapporto di pertinenza con gli edifici esistenti, anziché come elemento isolato, avulso dal contesto rurale circostante». Con successiva nota del 22 maggio 2007 il Comune specificava che il parere in questione era stato espresso ai fini ambientali e non urbanistici.
2.1.- L’Azienda Casellino ha impugnato anche tali atti, con motivi aggiunti, davanti al T.A.R. per la Toscana.
2.2.- La richiesta di misura cautelare è stata respinta dal T.A.R. per la Toscana, con ordinanza della Sezione III, n. 528 del 14 giugno 2007, in quanto l'atto impugnato non aveva «la natura e l'effetto di una atto di sbarramento del procedimento autorizzatorio de quo, disponendo una sospensione di 60 (sessanta) giorni dell'esame dell'istanza della parte ricorrente in attesa di sue iniziative per la modifica del progetto».
Ma anche tale ordinanza è stata riformata, in appello dal Consiglio di Stato con ordinanza della Sezione IV, n. 3995 del 30 luglio 2007 in quanto l’atto determinava «a mezzo dell’imposizione della presentazione di un nuovo progetto a pena di archiviazione definitiva della pratica, un vero e proprio arresto procedimentale lesivo della posizione giuridica dell’interessato» e tenuto conto che lo stesso non risultava fondato «su una sufficiente valutazione della natura e delle finalità dell’opera di cui si tratta».
3.- La Commissione Comunale per il Paesaggio, nella seduta dell’8 agosto 2007, ha peraltro ancora proposto il diniego di autorizzazione all’installazione del cancello poiché «il manufatto edilizio non collocandosi in prossimità del complesso edilizio a monte, in mancanza di un rapporto di pertinenza con gli edifici esistenti, si presenta come elemento isolato, avulso dal contesto rurale circostante».
Il Comune di Rignano sull’Arno, con nota del 3 settembre 2007, ha quindi trasmesso al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali la proposta di diniego di autorizzazione paesaggistica, ai sensi degli artt. 87 e 88 della legge regionale n. 1 del 2005.
3.1- L’Azienda Casellino ha impugnato anche tali atti davanti al T.A.R. per la Toscana con ulteriori (secondi) motivi aggiunti.
4.- Con atto del 21 gennaio 2008 il Comune ha poi comunicato all’interessata il parere ancora contrario all’installazione del cancello in ferro battuto, reso dalla Commissione Comunale per i Paesaggio il 5 dicembre 2007, ed ha comunicato l’avvio del procedimento di diniego di autorizzazione paesaggistica.
Sulla proposta di diniego si è espresso favorevolmente il Ministero per i Beni e le Attività Culturali in data 13 marzo 2008.
Il Comune, infine, con provvedimento del 27 marzo 2008, ha ancora negato il rilascio della autorizzazione paesaggistica per la realizzazione dell’opera in questione.
4.1.- L’Azienda Casellino ha impugnato tali atti davanti al T.A.R. con i terzi motivi aggiunti.
5.- Il T.A.R. per la Toscana, con sentenza della Sezione III, n. 948 del 15 gennaio 2009 ha:
- rigettato il ricorso originario;
- rigettato la richiesta risarcitoria formulata;
- ha dichiarato improcedibili i motivi aggiunti depositati il 23 maggio 2007;
- ha dichiarato improcedibili i motivi aggiunti depositati il 7 dicembre 2007;
- ha rigettato i motivi aggiunti depositati il 22 maggio 2008.
6.- L’Azienda Casellino ha appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili.
All’appello si oppongono il Comune di Rignano sull'Arno e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali che ne hanno chiesto il rigetto.
7.- La vicenda sottoposta all’esame del Consiglio di Stato riguarda il diniego opposto dal Comune di Rignano sull'Arno, con reiterati provvedimenti, alla richiesta dell’Azienda Casellino di essere autorizzata alla installazione di un cancello in ferro battuto nel punto di accesso della stradella che dalla sua proprietà sbocca sulla strada provinciale n. 90 Torri - Volognano - Rosano.
7.1.- Il diniego, come si è detto più volte reiterato, è stato determinato dall’applicazione dell’art. 31 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Regolamento urbanistico del PRG del Comune di Rignano sull'Arno.
Come ha già ricordato il T.A.R., l’art. 31 delle NTA del Regolamento urbanistico del Comune stabilisce che, nelle zone omogenee “E”- Extraurbane (e quindi anche nella zona E3 “area agricola produttiva collinare”, nella quale ricade l’area interessata dalla richiesta dell’appellante) sono individuate dal Piano Strutturale del PRG le seguenti “Invarianti Strutturali”: «d) viabilità e tracciati storici di cui all’art. 7 delle presenti NTA».
L’ultimo comma dell’art. 31 prevedeva poi (all’epoca) che «i percorsi, strade vicinali, strade campestri, sentieri, esistenti sul territorio agricolo del Comune… devono essere destinati ad uso pubblico, di conseguenza non vi sono ammessi impedimenti al transito né ostacoli di qualunque tipo alla utilizzazione pubblica».
Il T.A.R. ha poi anche ricordato che l’art. 19 del Piano Strutturale del PRG, espressamente (all’epoca) prescriveva, per le “invarianti strutturali - viabilità e tracciati storici”, «la manutenzione con materiali tradizionali dei percorsi storici da riservare al solo uso pedonale e/o equestre» ed aggiungeva che «è vietato l’impedimento dell’uso pubblico dei medesimi, se non su ordinanza del Sindaco per ragioni di pubblica incolumità».
7.2.- Con tali disposizioni, come ha evidenziato il T.A.R., il Comune ha voluto imporre, per le strade agricole (come quella in questione) con le caratteristiche di un tracciato storico, un regime particolare di tutela che sostanzialmente impedisce la realizzazione di manufatti o di opere di impedimento alla percorribilità delle stesse.
Si tratta di una forma di tutela che pur incidendo, come ha giustamente osservato il T.A.R., sul regime di viabilità dei tracciati viari, in realtà è caratterizzata anche da connotazioni di tipo paesaggistico-ambientale perché è volta alla sostanziale conservazione (anche visiva) di tali tracciati, per i quali sono ammesse solo opere di manutenzione con materiali tradizionali e non sono ammesse opere che impediscono il libero passaggio.
Come ha ricordato il T.A.R., le disposizioni in questione intendono tutelare i tracciati agrari storici come «espressione del valore tipico del paesaggio della zona e … parte integrante di un territorio aperto» e per tali valori «l’Amministrazione comunale in sede di disciplina urbanistica ha volutamente approntato una specifica tutela, con la previsione di un vincolo di destinazione di non impedimento al transito o di non ammissione di qualunque ostacolo alla utilizzazione pubblica» della strade in questione.
In conseguenza, come ha giustamente osservato il T.A.R., le indicate disposizioni di tutela, per il loro carattere generale, trovano applicazione a prescindere dalla questione, oggetto di un procedimento davanti al giudice civile, sull’accertamento dell’inesistenza o dell’esistenza di una servitù di uso pubblico sul tracciato viario in questione.
7.3.- Peraltro la sentenza, n. 876 del 7 marzo 2006, con la quale il Tribunale Civile di Firenze aveva accolto il giudizio che era stato proposto dall’Azienda Casellino per vedersi dichiarare l’inesistenza di servitù pubblica e la natura di strada non vicinale della stradella che parte dalla via provinciale e conduce al podere di proprietà, è stata poi riformata dalla Corte di Appello di Firenze, con la sentenza, n. 1514 del 2011 (impugnata dall’Azienda Casellino davanti alla Corte di Cassazione), che ha ritenuto la natura vicinale della strada.
8.- Ciò posto è possibile ora esaminare i diversi motivi dell’appello proposto dall’Azienda Casellino.
9.- Con il primo motivo l’Azienda Casellino, dopo aver fatto riferimento alla sentenza emessa dal Tribunale Civile di Firenze, provvisoriamente esecutiva, sulla natura privata della strada e sulla inesistenza sulla stessa di una servitù di pubblico transito, ha insistito nel sostenere che il Comune non poteva negare la posa in opera di un cancello a chiusura della proprietà.
L’appellante ha poi aggiunto che la sentenza appellata, nel ritenere che il diniego del Comune era stato determinato da esigenze di tutela paesaggistica della località, si pone in chiara contraddizione con quanto affermato in altra parte della decisione circa la proposta dell’Amministrazione di collocare il cancello in posizione diversa da quella richiesta.
Peraltro, ha aggiunto l’appellante, la sentenza del T.A.R., si pone in contrasto anche con quanto era stato affermato, sulla valenza della norma richiamata, dal Consiglio di Stato con l’ordinanza cautelare n. 923 del 2007.
9.1.- I motivi non sono fondati.
Come giustamente ha osservato il T.A.R., le disposizioni di tutela dettate dall’art. 31 delle N.T.A. e dall’art. 19 del Piano Strutturale sulle “invarianze strutturali” (all’epoca vigente) si applicano a prescindere dall’esistenza (o meno) di una servitù di pubblico transito sui tracciati viari interessati.
Peraltro, come si è già ricordato, la sentenza, n. 876 del 7 marzo 2006, con la quale il Tribunale Civile di Firenze aveva accolto il giudizio che era stato proposto dall’Azienda Casellino per vedersi dichiarare l’inesistenza di una servitù pubblica e la natura di strada non vicinale della stradella che parte dalla via provinciale e conduce al podere di proprietà, è stata riformata dalla Corte di Appello di Firenze, con la sentenza, n. 1514 del 2011.
Allo stato, sebbene la sentenza della Corte di Appello di Firenze sia stata impugnata dall’Azienda Casellino davanti alla Corte di Cassazione, la stradella in questione deve ritenersi quindi di natura vicinale.
9.2.- Non risulta poi manifestamente irrazionale, anche ai fini della tutela paesaggistica, la proposta, fatta dall’Amministrazione comunale, di installare il cancello piuttosto in prossimità del complesso edilizio a monte, in più stretto rapporto di pertinenza con gli edifici esistenti, anziché collocarlo all’accesso della stradella sulla strada provinciale, «come elemento isolato, avulso dal contesto rurale circostante».
9.3.- Non può essere poi condivisa la tesi di un contrasto della sentenza impugnata con le ordinanze cautelari del Consiglio di Stato, che come si è prima ricordato, sono state emesse nel corso del giudizio di primo grado (in senso favorevole alla odierna appellante), considerato che le ordinanze cautelari sono emanate all’esito di una cognizione che è solo sommaria degli elementi del giudizio (il cd. fumus boni iuri) e sulla base dei possibili profili di danno che possono derivare alle parti dall’esecuzione dei provvedimenti impugnati.
Su un piano diverso si colloca la sentenza di merito che non è più condizionata dai profili del danno ed è emessa all’esito di una approfondito esame, in fatto e in diritto, delle questioni sottoposte all’esame del collegio.
In conseguenza è fisiologico che una questione possa trovare un esito diverso in sede cautelare e in sede di merito (a volte anche ad opera di uno stesso collegio giudicante).
Ma non può essere censurata una sentenza di merito per il ritenuto contrasto con una ordinanza cautelare (anche eventualmente del giudice di appello) emessa nello stesso giudizio.
9.4.- Sotto un diverso profilo non può ritenersi viziato, per elusione di quanto affermato dal Consiglio di Stato in sede cautelare, l’impugnato provvedimento finale di diniego alla installazione del cancello in questione, considerato che, come si evince dagli atti, il Comune ha sempre tenuto conto, in sede di rinnovazione degli atti, delle motivazioni sulla base delle quali erano state emesse le citate ordinanze cautelari ed ha ritenuto motivatamente di dover insistere nel diniego opposto alla richiesta della Azienda Casellino sulla base delle ragioni che si sono esposte e che il T.A.R. ha ritenuto esenti da vizi di legittimità.
10.- Infondato, per quanto si è già prima ricordato, si rileva poi anche il secondo motivo di appello con il quale l’Azienda Casellino ha sostenuto che il T.A.R., nell’affermare che il vincolo che ha determinato il diniego impugnato ha natura conformativa e non espropriativa, come tale volto a mantenere aperta al pubblico transito la strada in questione, non ha considerato l’illegittimità del diniego in relazione alla sentenza emessa dal Tribunale Civile di Firenze che aveva accertato l’inesistenza di una servitù di pubblico transito.
Infatti, nella specie, come ha ricordato anche il T.A.R. «non viene in rilievo il regime giuridico di viabilità della strada in relazione all’esistenza o meno di una servitù di pubblico passaggio su detta strada».
Risulta peraltro del tutto condivisibile la sentenza appellata nella parte in cui, dopo una pregevole ricostruzione sulla natura dei vincoli impressi con gli strumenti urbanistici, ha ritenuto che il vincolo in questione ha carattere sostanzialmente conformativo.
10.1.- Correttamente il T.A.R. ha poi aggiunto che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, al Comune è consentito introdurre prescrizioni urbanistiche anche ai fini di protezione paesaggistico o ambientale di determinate aree del proprio territorio, indipendentemente dalle specifiche normative di settore.
Anche di recente questo Consiglio di Stato ha, in proposito, affermato che il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all'interesse pubblico all'ordinato sviluppo edilizio del territorio, in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma è funzionalmente rivolto anche alla realizzazione contemperata di una pluralità di altri interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti, come quello alla tutela dell'ambiente (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 839 del 19 febbraio 2015).
11.- L’Azienda Casellino, con il terzo motivo di appello, ha sostenuto che la sentenza impugnata, nel sostenere che la previsione urbanistica sulla base della quale è stato negato il rilascio dell’autorizzazione ha come presupposto la tutela ambientale della località, in contrasto con quanto era stato affermato dal Consiglio di Stato con la citata ordinanza cautelare n. 923 del 2007, non ha tenuto conto della denunciata violazione degli articoli 87 - 94 della legge regionale n. 1 del 2005 sull’esercizio dei poteri di vigilanza sul vincolo paesaggistico esistente nella zona.
Peraltro la scelta effettuata dall’Amministrazione, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., nell’imporre un vincolo conformativo non dettato da esigenze di natura ambientale deve ritenersi inficiata da errori di fatto o da abnormi illogicità.
11.1.- Anche tali motivi non sono fondati.
Il Comune ha respinto la richiesta dell’appellante sulla base del parere espresso dalla Commissione Comunale per il Paesaggio che ha esercitato le sue funzioni di valutazione sull’impatto paesaggistico dell’opera per la quale era stata chiesta l’autorizzazione facendo riferimento anche alla disciplina urbanistica, con considerazione dei valori paesaggistici, che si è prima ricordata.
Non sussiste pertanto la lamentata violazione della legge regionale n. 1 del 2005.
11.2.- Né, per quanto si è già prima esposto, tale determinazione può ritenersi inficiata da errori di fatto o da manifesta illogicità.
12.- L’Azienda Casellino, con il quarto motivo di appello, ha insistito nel sostenere che il T.A.R. non si è conformato alle decisioni cautelari emanate dal Consiglio di Stato sulla questione ed ha sostenuto che la sentenza è erronea anche per aver ritenuto non contraddittorio con il diniego impugnato il rilascio di una autorizzazione nel lotto frontistante di una recinzione perché se è vero che la destinazione urbanistica delle due aree è diversa il vincolo è uguale per tutti.
Peraltro, ha aggiunto l’appellante, la tematica della differente destinazione urbanistica è stata poi clamorosamente smentita dalla stessa Amministrazione che nella stessa zona E, a poche decine di metri dalla stradella in questione, ha autorizzato la realizzazione di una grande cantina dal rilevante impatto paesaggistico.
L’Azienda Casellino ha poi insistito nel sostenere l’illegittimità del diniego impugnato che contiene motivazioni irrilevanti sulla questione senza tenere conto dell’oggetto del contendere costituito dalla installazione di un modesto cancello in ferro battuto.
12.- I motivi non sono fondati.
12.1.- Si è già prima ricordato che la sentenza appellata non può ritenersi viziata solo perché ha deciso la questione in (ritenuto) contrasto con le due decisioni cautelari emesse dal Consiglio di Stato nel corso del giudizio di primo grado.
12.2.- Per quanto riguarda l’asserita contraddittorietà del diniego con l’assenso dato alla realizzazione di una recinzione in muratura in area frontistante la proprietà della ricorrente, correttamente il T.A.R. ha rilevato che tale circostanza non è idonea «ad inficiare gli impugnati provvedimenti ove si osservi che nella specie, come da informazioni di carattere tecnico rese dal Responsabile del competente Settore comunale con nota 7574 del 6/6/2007, nella specie non si tratta della realizzazione ex novo di un muro, bensì della sostituzione di una preesistente struttura di perimetrazione di complesso produttivo, opera che viene a collocarsi su area inserita in zona interamente industriale – artigiana, con un regime diverso, dunque, dalla zona agricola “E” in cui si trova l’area destina nata ad ospitare il realizzando cancello».
12.3.- Né si può giungere a conclusione diversa in relazione alla ulteriore circostanza riguardante l’assenso, dopo l’emanazione del diniego impugnato, alla realizzazione di un fabbricato rurale in area contigua a destinazione agricola.
Benché, come è pacifico, l’impatto paesaggistico di tale opera sia molto più rilevante rispetto alla installazione del cancello in questione, tuttavia diversa è la disciplina normativa che regola le due fattispecie, con la conseguenza che l’assentita realizzazione di tale fabbricato rurale, a prescindere da ogni questione sulla legittimità dei relativi atti abilitativi (che non possono essere oggetto di questo giudizio ma che risultano oggetto di altro giudizio pendente) comunque non incide sulla legittimità del diniego opposto agli appellanti.
13.- Con il successivo motivo di appello l’Azienda Casellino ha censurato la sentenza appellata anche per non aver considerato che il provvedimento di rigetto era assolutamente identico al preavviso di rigetto e non aveva tenuto in alcun conto, come peraltro il parere della Soprintendenza, delle deduzioni che erano state presentate, con la conseguente violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990.
13.1.- Il motivo è chiaramente infondato.
Come ha giustamente affermato il T.A.R., l’onere di cui all’art. 10 bis della legge n. 241 non comporta la necessaria confutazione analitica di tutti i rilievi che sono stati sollevati dalla parte interessata essendo sufficiente che il provvedimento finale adottato dall’Amministrazione dia conto, nella sua motivazione, delle ragioni che giustificano l’atto, anche alla luce delle osservazioni presentate dalla parte, come è avvenuto nella fattispecie in cui le ragioni del diniego sono state ampiamente esposte nel parere della Commissione comunale per il paesaggio, condiviso dalla locale Soprintendenza.
Anche di recente questa Sezione ha, in proposito, affermato che l’onere di cui all’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 non comporta la puntuale confutazione analitica delle argomentazioni svolte dalla parte privata. Infatti, per giustificare il provvedimento conclusivo adottato è sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto stesso, alla luce delle risultanze acquisite (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5622 del 10 dicembre 2015).
14.- Con l’ultimo motivo di appello l’Azienda Casellino ha censurato la sentenza appellata per aver disposto la condanna alle spese di giudizio senza tenere conto che non vi era stata soccombenza integrale in primo grado, come era dimostrato dalla dichiarazione di improcedibilità di parte dei motivi aggiunti proposti e dai successivi atti adottati dall’Amministrazione.
14.1.- Anche tale motivo deve ritenersi infondato.
Al riguardo si deve ricordare in materia di spese, vige la regola generale della condanna alle spese del giudizio della parte soccombente, ex art. 91 c.p.c., applicabile nel processo amministrativo per espresso rinvio dell’art. 26, comma 1, del c.p.a.
14.2.- Quanto alla misura della condanna alle spese della parte soccombente, la giurisprudenza consolidata ritiene che la sindacabilità in appello della condanna alle spese comminata in primo grado, in quanto espressiva della discrezionalità di cui dispone il giudice in ogni fase del processo, è limitata solo all’ipotesi in cui venga modificata la decisione principale, salvo la manifesta abnormità della condanna (fra le più recenti, Consiglio di Stato, sez. III, n. 1262 del 31 marzo 2016).
Considerato che l’Azienda Casellino è risultata comunque soccombente all’esito del giudizio di primo grado non può ritenersi manifestamente abnorme e quindi censurabile la condanna (di € 3.000,00) alle spese di giudizio disposta dal T.A.R.
15.- In conclusione, sulla base di tutte le esposte considerazioni, l’appello deve essere respinto.
Deve, in conseguenza, essere respinta anche la richiesta di risarcimento dei danni che è stata riproposta in appello dall’Azienda Casellino.
16.- Le spese del grado di appello, tenuto conto della particolarità della vicenda esaminata, possono essere integralmente compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dispone la compensazione fra le parti delle spese e competenze del grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:
Sergio Santoro,Presidente
Giulio Castriota Scanderbeg,Consigliere
Dante D'Alessio,Consigliere, Estensore
Andrea Pannone,Consigliere
Vincenzo Lopilato,Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)