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Permesso costruire demolizione e ricostruzione - Cons. Stato, sez. IV, sent. n.755 del 11.02.2015

Pubblico
Sabato, 14 Febbraio, 2015 - 01:00

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n. 755 del 11 febbraio 2015, su permesso di costruire rilasciato per la realizzazione dei lavori di abbattimento e ricostruzione fabbricato 
 
 
N. 00755/2015REG.PROV.COLL.
N. 05039/2013 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 5039 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Lydia Ada Orsola Spiezia, rappresentata e difesa dagli avv. Felice Laudadio, Ferdinando Scotto, con domicilio eletto presso Felice Laudadio in Roma, G.G.Belli, 39; 
contro
Comune di Marigliano, rappresentato e difeso dagli avv. Settimio Di Salvo, Fabiana Perretti, con domicilio eletto presso Bruno Moscarelli in Roma, via Augusto Aubry, 1; Ipodema Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Enrico Soprano, con domicilio eletto presso Enrico Soprano in Roma, via degli Avignonesi, 5; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA –Sede di NAPOLI - SEZIONE II n. 01502/2013, resa tra le parti, concernente permesso di costruire rilasciato per la realizzazione dei lavori di abbattimento e ricostruzione fabbricato – mcp.
 
 
Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Marigliano e di Ipodema Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2015 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Felice Laudadio, Ferdinando Scotto, Enrico Soprano e Andrea Abbomonte su delega dell'avvocato Settimio Di Salvo;
Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
 
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Campania – Sede di Napoli - ha soltanto in parte accolto il ricorso di primo grado, notificato il 6/12 aprile 2012, proposto dall’odierna parte appellante Lydia Ada Orsola Spiezia, volto ad ottenere l’annullamento del permesso di costruire n. 20 del 14 marzo 2011, rilasciato alla società Ipodema s.r.l. per la realizzazione di lavori di abbattimento e ricostruzione, con ampliamento del 35% ex art. 5 L.R. n. 19/09, del fabbricato sito in Marigliano al corso Umberto I, 194, nonché in via presupposta del parere del responsabile dell'istruttoria del 30 novembre 2010, n. 5637/Sett. Urb., nonché del parere del Direttore generale n. 347/DG e di ogni altro atto collegato, connesso e conseguente.
L’originaria ricorrente aveva esposto:
- di essere proprietaria dell'intero secondo piano di un palazzo di due piani sito in Marigliano al corso Umberto I, 188, ad angolo con l'inizio di via Nicotera;
- che, su area parzialmente frontistante la propria abitazione, il Comune di Marigliano aveva approvato, con ilpermesso di costruire n. 20 del 14 marzo 2011, il progetto edilizio presentato dalla società Ipodema S.r.l. per la realizzazione, previa demolizione della preesistente villa e con l'aumento di cubatura previsto dal c.d. Piano Casa, di un edificio a corpo unico con due scale composto da tre piani fuori terra, oltre al piano rialzato, e diviso in 22 o 24 appartamenti per civili abitazioni più 6 locali commerciali;
- che, tuttavia, l'immobile preesistente consisteva in una villa padronale di struttura smilza, costruita negli anni Trenta in stile razionalista, circondata su due lati da un ampio giardino e per gli altri due con affaccio sul corso Umberto e su via Nicotera, dai quali era separata da un vialetto largo circa due metri che correva lungo un basso muretto di recinzione sormontato da paletti e rete metallica;
- che, all'esito della richiesta di accesso ai documenti (consegnati al tecnico incaricato dalla odierna appellante soltanto in data 12 marzo 2012), si era potuto constatare che il progetto concernente lo stato di fatto era stato redatto sulla base di una falsa rappresentazione della consistenza, in termini di volume e di superficie, sia del corpo “A” (asseritamente preesistente nel giardino lato via Nicotera), sia del corpo “B” (cioè la villa vera e propria), con la conseguenza che l'intervento approvato avrebbe comportato la realizzazione di un'entità edilizia completamente diversa rispetto a quella preesistente, con un notevole incremento volumetrico, nonché una modifica delle destinazioni d'uso e della sagoma.
Essa era quindi insorta, prospettando quattro articolate macrocensure di violazione di legge e di eccesso di potere, supportate da una perizia giurata a firma del geometra Carmine Serpico.
Con ordinanza n. 671/2012 dell'11 maggio 2012, il Tar, in sede di delibazione sull'istanza cautelare proposta, aveva disposto una verificazione; infine, la causa è stata posta in decisione.
Il primo giudice ha anzitutto vagliato, dichiarandola inammissibile in quanto palesemente tardiva, l’istanza di ricusazione del verificatore nominato, proposta dalla odierna appellante. Per altro verso, ha osservato che, se la detta istanza di ricusazione fosse stata da intendersi quale rivolta nei confronti della persona dell'architetto Maurizio Biondi (ausiliario tecnico del quale il verificatore era stato autorizzato ad avvalersi), l’istanza doveva dichiararsi inammissibile in quanto la parte originaria ricorrente, attraverso i propri legali, nella camera di consiglio del 10 gennaio 2013 fissata per la decisione della formale richiesta del funzionario verificatore di avvalersi dell'ausilio di tale architetto, non aveva proposto alcuna opposizione, prestandovi quindi adesione.
In ultimo, il Tar ha osservato che nessuno dei motivi prospettati rientrava nel perimetro applicativo di cui all’art. 51 c.p.c., per cui la richiesta non avrebbe comunque potuto trovare accoglimento.
Il Tar ha quindi disatteso le eccezioni di tardività e di inammissibilità del ricorso di primo grado, sollevate dalle parti odierne appellate, respingendole entrambe; parimenti sono state disattese le eccezioni di inammissibilità del mezzo per difetto di legittimazione attiva e di carenza di interesse in capo all’appellante (incentrate sulla asserita non lesività dell’erigenda opera).
Il primo giudice ha quindi partitamente esaminato le doglianze di merito.
A tal proposito, esaminandole congiuntamente, ha disatteso la prima e la quarta censura, (incentrate sulla supposta inapplicabilità della normativa regionale relativa al cosiddetto Piano Casa, per effetto dello “stralcio” della zona in questione in sede di approvazione del P.R.G. del Comune di Marigliano).
Ha in proposito rammentato che la L.R. Campania n. 19 del 28 dicembre 2009, c.d. “Piano Casa”, nella dichiarata finalità di contrastare la grave crisi economica e di tutelare i livelli occupazionali attraverso il rilancio delle attività edilizie, aveva disciplinato interventi di incremento volumetrico e di superfici, da attuare sui singoli edifici, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, in relazione ad un arco di tempo limitato, con casi di esclusione ben determinati.
La L.R. in questione (successivamente modificata ed integrata dalle leggi regionali 5 gennaio 2011 n. 1, 15 marzo 2011 n. 4 e 6 luglio 2012 n. 17) aveva quindi – ad avviso del Tar - introdotto una normativa eccezionale e derogatoria, come tale prevalente rispetto al regime urbanistico ordinario (artt. 4, 5, 7, 8,12 bis della legge regionale citata).
Da ciò discendeva, secondo il Tar, che la L.R. n. 19 del 28 dicembre 2009 si caratterizzava per l’introduzione di norme eccezionali, derogatorie e temporanee (come tali, destinate a prevalere sulle norme urbanistiche ordinarie e ad operare per un periodo di tempo limitato), che si applicavano sull'intero territorio regionale, prescindendo dall’esistenza o meno di previsioni urbanistiche vigenti (nonché dalla classificazione in zone omogenee eventualmente operata in sede di pianificazione urbanistica dai singoli Comuni), ma avendo di mira esclusivamente, in attuazione della dichiarata finalità legislativa, il recupero del patrimonio edilizio esistente.
Gli unici casi di esclusione dell’applicazione di detta disciplina, quindi, erano quelli previsti, direttamente o indirettamente, dalla medesima legge regionale.
In particolare, poteva trattarsi di quelli espressamente previsti dall'articolo 3 (che inibiva gli interventi edilizi di cui agli articoli 4, 5, 6/bis e 7, in relazione alle ipotesi ivi tassativamente delineate), ovvero, in virtù del rinvio operato dalla legge regionale alla potestà pianificatoria dei Comuni (di cui all’art. 4, comma 6, all’art. 5, comma 7 ed all’art. 7, comma 7), di quelli previsti dai Comuni <>.
Da ciò discendeva, secondo il Tar, che lo “stralcio” della zona B (in cui si trovava l'immobile in questione) dal P.R.G. del Comune di Marigliano fosse del tutto irrilevante, in quanto l'assentito intervento edilizio (concernente un'ipotesi di demolizione e ricostruzione con aumento entro il limite del 35% della volumetria esistente, ai sensi dell'articolo 5 della L.R. n. 19/2009) non rientrava in alcuno dei casi di esclusione contemplati, direttamente o indirettamente, dalla medesima normativa regionale.
Il Tar ha poi irrobustito la propria motivazione facendo presente che l'amministrazione comunale di Marigliano, nell'esercizio del suindicato, specifico, potere pianificatorio in materia urbanistica, aveva espressamente deliberato (con la deliberazione di Giunta Comunale n. 13 del 23 febbraio 2010, integralmente confermata dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 3 del 26 febbraio 2010), che, <> della L.R. n. 19/2009, gli interventi di cui all'articolo 5 di tale legge nelle aree residenziali “stralciate” (A, B, C), <>.
Ne conseguiva l'ammissibilità dell'intervento edilizio in questione, in quanto conforme alla normativa regionale di riferimento (pienamente applicabile nella specie) e, comunque, espressamente consentito dalle citate deliberazioni comunali (emanate nell'esercizio dello specifico potere conferito ai Comuni di individuare eventuali aree del territorio comunale da sottrarre all'applicazione della L.R. n. 19/2009).
Il Tar si è poi fatto carico di esaminare la subordinata eccezione di incostituzionalità della detta legge regionale in quanto asseritamente contrastante con l'articolo 117 della Costituzione, rilevandone la manifesta infondatezza.
Ha quindi esaminato la ulteriore doglianza subordinata, contenuta nella quarta censura del mezzo di primo grado (relativa alla mancata previsione, nel provvedimento impugnato, di una percentuale destinata ad “housing sociale”).
Di essa ha escluso la fondatezza alla luce dell'articolo 5 della L.R. n. 19/2009, che non prevedeva, in relazione agli interventi straordinari di demolizione e ricostruzione, alcuna riserva in tal senso (invece prevista dalla diversa fattispecie di cui all'articolo 7 della stessa legge, la cui finalità, concerneva la risoluzione delle problematiche abitative e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, da attuare mediante interventi di edilizia residenziale sociale).
Concluso tale excursus, sono state quindi congiuntamente scrutinate la seconda e la terza censura (entrambe dirette a contestare la legittimità dell'impugnato permesso di costruire sotto il profilo della erronea rappresentazione e considerazione dello stato di fatto preesistente, rispettivamente, in termini di volumetria e di altezza).
Richiamati gli esiti della disposta verificazione, ha ritenuto parzialmente fondata la seconda censura, in quanto i verificatori avevano accertato una erronea rappresentazione della volumetria complessiva preesistente (per una differenza di mc. 237,32), che aveva condotto, in sede di incremento volumetrico ex articolo 5 L.R. n. 19/2009, alla illegittima autorizzazione di un maggior volume pari a mc. 212,58.
Quanto alla terza censura, invece, essa era risultata destituita di fondamento, non essendo riscontrabili le difformità lamentate, né in relazione all'altezza del nuovo fabbricato (che non eccedeva quello preesistente), né in relazione all'asserita mancanza di spazi destinati a parcheggi e a verde (regolarmente previsti nei grafici approvati).
Conclusivamente, il mezzo è stato accolto limitatamente, in parte, alla seconda censura, ed entro tali limiti è stato annullato l'impugnato provvedimento ampliativo, mentre per il resto il ricorso è stato disatteso.
La odierna parte appellante, già ricorrente rimasta parzialmente soccombente nel giudizio di prime cure, ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe, chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha ripercorso il contenzioso intercorso ed ha chiarito quali perplessità avesse già evidenziato, nel corso del giudizio di primo grado, in ordine agli approdi cui era giunto il tecnico verificatore nominato; ha poi (primo motivo di censura) sostenuto che l’Arch. Biondi aveva partecipato, senza alcun titolo, al sopralluogo del 14.12.2012 ed ha fatto presente che non appariva corretto che il termine per la proposizione della ricusazione fosse fatto decorrere dal 24.10.2012: ciò che si era censurato con detto mezzo riposava nell’abusivo affidamento di compiti e funzioni al predetto Architetto.
Ne discendeva che l’istanza proposta il 26.1.2013 era tempestiva.
Il verificatore, comunque, aveva debordato dai compiti affidatigli ai punti 1, 2, 3, 4 e 5 della ordinanza n. 671/2012 che aveva formulato i quesiti.
Con la seconda censura l’appellante ha sostenuto che la verificazione era errata nella parte in cui aveva limitato a soli mc 212,58 l’eccedenza della volumetria assentita.
Ha in proposito sostenuto che, quanto al corpo A (pollaio), era errata la qualifica di superficie residenziale: i mc. 85,20 non dovevano essere computabili.
L’altezza del locale 1 era stata computata in sei metri, mentre invece, in passato, non superava i 3 metri: l’entità volumetrica era di mc 172, invece dei 329,69 computati.
Quanto al locale B (qualificato dalla società appellata “deposito”), la quantificazione resa collideva con l’art. 34 del RE del comune di Marigliano, cui faceva riferimento il pregresso art. 22, nella parte in cui stabiliva che nei piani seminterrati non potevano essere consentite abitazioni, né altre attività umane.
Parimenti errata (censura n.2.2) era la individuazione dei volumi recuperabili al secondo piano, in quanto fondata su una variante mai concessa.
L’art. 22 comma 5 del RE impediva di considerare volume recuperabile in costruzione la terrazza coperta.
Conclusivamente, la illegittima maggiorazione volumetrica era pari non alla modesta cifra di soli mc 212,58, ma a mc 1.249,97 (come peraltro assunto anche dal Giudice penale con il provvedimento che aveva disposto la celebrazione del giudizio).
Con il terzo motivo di censura, l’appellante ha censurato la prima parte della gravata decisione, nella parte in cui aveva fatto riferimento alla natura “speciale” e derogatoria delle disposizioni di cui al c.d. “Piano Casa”, riproponendo le doglianze disattese in primo grado e reiterando, in via subordinata (punto 3.3. dell’appello), la questione di costituzionalità dichiarata manifestamente infondata dal Tar.
Infine, con la quarta censura, ha censurato la parte della sentenza in cui si era affermato che le disposizioni di cui al c.d. “Piano Casa” non contemplavano la necessità di indicare la parte da destinare ad “housing” sociale (artt. 5 e 7 della legge regionale n. 19/2009).
L’appellante ha conseguentemente chiesto la riforma della gravata decisione.
L’appellata amministrazione ha depositato due articolate memorie, riepilogando l’andamento del procedimento svoltosi e chiedendo la reiezione dell’appello (anche e soprattutto con particolare riferimento ai motivi aggiunti notificati il 14 marzo 2014), perché infondato.
La società Ipodema ha depositato articolate memorie, chiedendo la reiezione dell’appello e dei motivi aggiunti in appello, in quanto infondati.
Con ricorso in appello incidentale ha contestato la esattezza della gravata sentenza, laddove questa aveva accolto la tesi secondo cui v’era stata una erronea rappresentazione della volumetria preesistente (mc. 237,32), con conseguente assentimento di un maggior volume pari a mc 212,58 (secondo motivo di censura contenuto nel ricorso di primo grado).
Quanto al corpo A, infatti, doveva farsi riferimento ad una altezza media di mt. 7 (superficie in pianta pari a mt. 121,00).
Erroneamente i verificatori avevano escluso dal calcolo i volumi del forno ed i volumi non delimitati su tutti e quattro i lati dalle pareti, disattendendo la loro stessa affermazione di partenza in ordine al volume lordo.
Ed anche l’altezza non era stata correttamente calcolata.
Erroneamente, ad avviso dell’appellante incidentale, era stato quindi disposto l’annullamento parziale del permessodi costruire n. 20/2011.
Alla adunanza camerale del 27 agosto 2013, fissata per la delibazione dell’incidente cautelare, la controversia è stata rinviata al merito (il 3.7.2013 era stato reso decreto presidenziale in ordine alla richiesta di tutela cautelare urgente inaudita altera parte).
Alla adunanza camerale del 5 maggio 2014, rifissata per la delibazione dell’incidente cautelare, la controversia è stata nuovamente differita al merito.
In vista della udienza pubblica le parti hanno depositato memorie tese a puntualizzare e ribadire le proprie rispettivi deduzioni, eccezioni, e doglianze.
L’appellata, in particolare, ha fatto presente che nessuna conseguenza probatoria e neppure indiziante poteva trarsi dal pendente procedimento penale, essendo quest’ultimo in fase embrionale: il provvedimento che disponeva il giudizio, infatti era stato reso prima che il Tar con la gravata sentenza avesse smentito le numerose infondate prospettazioni dell’appellante in ordine alla illegittimità dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire.
Alla pubblica udienza del 27 gennaio 2015 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.L’appello è in parte infondato e deve essere disatteso, nei termini di cui alla motivazione che segue, mentre per il resto devono essere disposti gli incombenti istruttori che verranno esplicitati nella parte motiva della presente sentenza non definitiva.
2.La prima censura – consistente nella riproposizione della istanza di ricusazione del verificatore disattesa in primo grado perché tardiva – è infondata.
Invero, delle due l’una: o la ricusazione si rivolge alla persona del verificatore, ovvero all’ausiliario dalla stessa richiesto ed autorizzato dal Tar. Nel primo caso, dubbio non può esservi sulla tardività, nei termini rappresentati dal Tar; nel secondo caso, essa sarebbe in astratto tempestiva, ma non è stato articolato alcun motivo attingente la persona dell’ausiliario, né alcun dubbio di imparzialità a carico del medesimo: e ciò anche a trascurare la circostanza che neppure l’appellante contesta che – come peraltro colto e posto in luce dal Tar - essa non aveva proposto alcuna opposizione alla richiesta di ottenere ausilio dal l’architetto indicato, prestandovi quindi adesione, tanto che l’ordinanza del Tar n. 00360/2013 fa espressa menzione dell’assenza di opposizione.
La realtà è che si è utilizzato il veicolo processuale della ricusazione, ex art. 51 e segg cpc, per censurare le scelte giudiziali che hanno consentito il ricorso all’ausiliario e/o quelle del verificatore che ha ritenuto di coinvolgere quest’ultimo, soltanto, però, in relazione al concreto atteggiarsi delle operazioni di verificazione.
Ne consegue, quindi, che dette doglianze sollevano in realtà dubbi sulla attendibilità complessiva delle operazioni peritali, ma non rientrano nel perimetro di quelle deducibili mercé ricusazione (si rammenta che per costante giurisprudenza di legittimità le norme che prevedono le cause di ricusazione sono norme eccezionali e, come tali, di stretta interpretazione, sia perchè determinano limiti all'esercizio del potere giurisdizionale e alla capacità del giudice, sia perché consentono un'ingerenza delle parti nella materia dell'ordinamento giudiziario, che attiene al rapporto di diritto pubblico fra Stato e giudice: ex aliis Cass. pen. Sez. VI, 18-09-2013, n. 14 ).
Richiamato il condivisibile indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione, secondo cui il consulente può avvalersi dell'opera di esperti specialisti al fine di acquisire, mediante gli opportuni e necessari mezzi tecnici, tutti gli strumenti di giudizio, senza che sia necessaria una preventiva autorizzazione del giudice, purché egli assuma la responsabilità morale e scientifica dell'accertamento e delle conclusioni raggiunte dal coadiutore, e fatta salva una valutazione in ordine alla necessità del ricorso a tale esperto esterno svolta successivamente dal giudice (Cass. sez. III, 15 luglio 2009, n. 16471, cui si è di recente rifatta Cons. Stato Sez. V, Sent., 23-06-2011, n. 3807), deve conclusivamente porsi in luce che dette doglianze giammai sollevano profili inerenti alle persone che detta verificazione hanno svolto: ne discende che la censura è certamente infondata, quanto alla proponibilità ed ammissibilità delle ricusazioni ed è parimenti inaccoglibile laddove solleva dubbi sulla complessiva non attendibilità “soggettiva” della medesima (fermo restando che le singole critiche mosse dall’appellante ai singoli approdi raggiunti dai tecnici, nell’elaborato di verificazione, saranno compiutamente vagliate allorché verrà preso in esame il secondo motivo di censura).
3. Parimenti insuscettibili di favorevole delibazione sono le connesse doglianze prospettate nel terzo e nel quarto motivo di appello, e manifestamente infondate appaiono pure le questioni di legittimità costituzionale riproposte.
L’art. 5 della legge regionale della Campania 28-12-2009 n. 19 e succ. mod. (recante “misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa”) così dispone:
“1. In deroga agli strumenti urbanistici vigenti è consentito l’aumento, entro il limite del trentacinque per cento, della volumetria esistente degli edifici residenziali per interventi di demolizione e ricostruzione, da realizzarsi all’interno dell’area nella quale l’edificio esistente è ubicato, di proprietà del soggetto richiedente .
2. L’aumento di cui al comma 1 è consentito:
a) nel caso di edifici a destinazione abitativa ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettere b) e c), la cui restante parte abbia utilizzo compatibile con quello abitativo;
b) per interventi che non modificano la destinazione d’uso prevalente degli edifici interessati;
c) nel caso di edifici residenziali ubicati in aree urbanizzate, nel rispetto delle distanze minime e delle altezze massime dei fabbricati ;
d) su edifici residenziali ubicati in aree esterne agli ambiti dichiarati in atti formali a pericolosità o rischio idraulico e da frana elevata o molto elevata;
e) su edifici ubicati in aree esterne a quelle definite ad alto rischio vulcanico.
3. Il numero delle unità immobiliari residenziali originariamente esistenti può variare, purché le eventuali unità immobiliari aggiuntive abbiano una superficie utile non inferiore a sessanta metri quadrati.
4.omissis.
5. Per la realizzazione dell’aumento è obbligatorio:
a) l’utilizzo di tecniche costruttive, anche con utilizzo di materiale eco-compatibile, che garantiscano prestazioni energetico-ambientali nel rispetto dei parametri stabiliti dagli atti di indirizzo regionali e dalla normativa vigente. L’utilizzo delle tecniche costruttive ed il rispetto degli indici di prestazione energetica fissati dalla Giunta regionale sono certificati dal direttore dei lavori con la comunicazione di ultimazione dei lavori. Gli interventi devono essere realizzati da una ditta con iscrizione anche alla Cassa edile comprovata da un regolare DURC. In mancanza di detti requisiti non è certificata l’agibilità, ai sensi dell’articolo 25(R) del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, dell’intervento realizzato;
b) il rispetto delle prescrizioni tecniche di cui al decreto ministeriale n. 236/1989, attuativo della legge 9 gennaio 1989, n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati);
c) la conformità alle norme sulle costruzioni in zona sismica.
6. Per gli edifici residenziali e loro frazionamento, sui quali sia stato realizzato l’aumento ai sensi della presente legge, non può essere modificata la destinazione d’uso se non siano decorsi almeno cinque anni dalla comunicazione di ultimazione dei lavori.
7. L’aumento non può essere realizzato su edifici residenziali privi di relativo accatastamento ovvero per i quali al momento della richiesta dell’ampliamento non sia in corso la procedura di accatastamento. L’aumento non può essere realizzato, altresì, in aree individuate, dai comuni provvisti di strumenti urbanistici generali vigenti, con provvedimento di consiglio comunale motivato da esigenze di carattere urbanistico ed edilizio, nel termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente legge.
8. Negli interventi straordinari di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti, a parità di volume, di cui al comma 1 del presente articolo, possono essere mantenute le distanze già esistenti da edifici fronteggianti, qualora inferiori a quelle prescritte per le nuove edificazioni dalla normativa vigente”.
Neppure l’appellante contesta che detta disposizione – unitamente a quelle di cui gli artt. 4, 7, 8, 12bis (che si omette di richiamare integralmente per non appesantire il presente elaborato, ma che devono intendersi integralmente richiamati e trascritti in seno alla presente decisione) ed in combinato disposto con le (limitate) esclusioni di cui all’art. 3 della citata legge (parimenti da intendere integralmente richiamato e trascritto in seno alla presente decisione) - integri un compiuto sistema normativo “singulare” con portata derogatoria.
E’ la detta legge regionale che consente od inibisce gli interventi e che direttamente disciplina le ipotesi di autoesclusione applicativa; in questo quadro normativo (che non è stato contestato dall’appellante, salvo quanto di seguito di dirà sui dubbi di compatibilità costituzionale da essa prospettati), l’unica tesi contraria proposta dall’appellante è quella per cui lo “stralcio” della zona B (in cui si trova l'immobile in questione) dal P.R.G. del Comune di Marigliano possedesse portata escludente.
Secondo detta tesi, infatti, a seguito del detto stralcio, la zona predetta sarebbe stata normata dal restrittivo regime previsto per le c.d. “zone bianche”, il che avrebbe reso possibili unicamente gli interventi di ristrutturazione previsti ex art. 3 lett. D del dPR n. 380/2001 (demolizione e ricostruzione con in vincolo di sagoma e volume rispetto all’immobile preesistente).
3.1. Ciò non appare corretto alla luce dell’ordinario criterio di gerarchia delle fonti del diritto.
Se si concorda, infatti, con la portata derogatoria della Legge regionale suddetta e si pone mente alla circostanza che nella stessa vengono analiticamente individuati i casi di non applicazione della medesima, appare evidente come la circostanza che un comune abbia disposto lo stralcio di un’area dal proprio PRG non può possedere portata impediente all’applicazione delle prescrizioni di legge.
Ciò appunto, perché in essa sola si devono rinvenire le preclusioni all’applicazione delle prescrizioni ivi contenute e perché è incontestato che l’intervento assentito concerne un'ipotesi di demolizione e ricostruzione con aumento entro il limite del 35% della volumetria esistente, ai sensi dell'articolo 5 della L.R. n. 19/2009.
3.1.1.Questa considerazione è sufficiente a respingere il mezzo.
In modo non scorretto, poi, il Tar ha integrato la propria motivazione con un argomento accessorio ed aggiuntivo, facendo presente che l'amministrazione comunale di Marigliano aveva espressamente deciso (con la deliberazione di Giunta comunale n. 13 del 23 febbraio 2010, integralmente confermata dal Consiglio comunale con deliberazione n. 3 del 26 febbraio 2010), che <> della L.R. n. 19/2009, gli interventi di cui all'articolo 5 di tale legge nelle aree residenziali “stralciate“ (A, B, C), <>.
L’appellante censura detta parte del ragionamento del Tar, attribuendo alla delibera suddetta un effetto di variante e dolendosi che la stessa sia stata sostanzialmente adottata in regime di incompetenza, non essendo consentito operare in tali termini mercé “semplice” delibera consiliare.
In contrario avviso, rispetto a quanto sostenuto dall’appellante, e con portata assorbente, ribadisce il Collegio che, se anche il Comune non si fosse espresso in tali termini (che comunque denotano una inequivoca volontà diretta alla massima applicazione sul proprio territorio delle prescrizioni contenute nel c.d. Piano Casa), ugualmente le disposizioni della legge regionale avrebbero trovato applicazione, di talché la delibera suddetta (che comunque non è stata gravata dall’appellante) riveste una mera portata ricognitiva; ed i supposti “vizi” della stessa non rileverebbero.
3.1.2. Infine, ad avviso del Collegio nessuno dei riproposti dubbi di compatibilità costituzionale delle disposizioni della legge regionale campana prima richiamata (punti 3.3. e 4 dell’atto di appello principale) si sottrae ad una delibazione di manifesta infondatezza.
Non rileva ovviamente il parziale mutamento di ottica prospettica contenuto nell’atto di appello, rispetto a quello prospettato in primo grado (trattasi di profili eventualmente sollevabili anche ex officio ed in relazione ai quali la parziale o financo totale mutatio libelli non possiede portata impediente alla disamina giudiziale).
3.1.3. Affermata la natura autoapplicativa e “particolare” delle disposizioni della legge regionale campana a più riprese richiamata e rilevata la sostanziale ininfluenza ai fini della determinazione degli interventi assentibili delle delibere comunali (che, invece, per espressa previsione contenuta nel comma 7 dell’art. 5, potrebbero rilevare in senso preclusivo: “l’aumento non può essere realizzato su edifici residenziali privi di relativo accatastamento ovvero per i quali al momento della richiesta dell’ampliamento non sia in corso la procedura di accatastamento. L’aumento non può essere realizzato, altresì, in aree individuate, dai comuni provvisti di strumenti urbanistici generali vigenti, con provvedimento di consiglio comunale motivato da esigenze di carattere urbanistico ed edilizio, nel termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente legge.”), ‘cadono’ gli argomenti incentrati sul procedimento delineato sub art. 14 del dPR n. 380/2001.
Il dubbio (punto 3.3. dell’atto di appello) sollevato in ordine al parametro di cui all’art. 3 della Costituzione (sarebbe stato violato il canone della ragionevolezza) appare tanto manifestamente infondato, quanto genericamente formulato.
Mentre, quanto alla supposta ipotesi di incompatibilità costituzionale per mancata previsione, nel provvedimento impugnato, di una percentuale destinata ad “housing sociale”, non può che rammentarsi – come già fatto dal primo giudice, del resto - che l'articolo 5 della L.R. n. 19/2009 non prevede, in relazione agli interventi straordinari di demolizione e ricostruzione, alcuna riserva in tal senso.
Detta riserva è contenuta sub articolo 7 della stessa legge, la cui finalità, concerne la risoluzione delle problematiche abitative e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, da attuare mediante interventi di edilizia residenziale sociale.
La differente previsione contenuta nelle distinte disposizioni di legge regionale surrichiamate non appare suscettibile di alcun sospetto di incostituzionalità, per come (genericamente, per il vero) evidenziato dall’appellante nell’ultimo motivo di appello, il che impone anche in parte qua la conferma del decisum di primo grado.
Ed è proprio il parametro invocato dall’appellante (art. 117 della Costituzione) che non persuade:
le scelte del legislatore regionale vanno collocate nell'ambito del nuovo riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni introdotto dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione. In particolare, com'è noto, la materia dell'edilizia e dell'urbanistica, non prevista esplicitamente, rientra nell'ambito della materia «governo del territorio», che l'art. 117, terzo comma, della Costituzione attribuisce alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni (ex multis, sentenze della Corte costituzionale n. 326 e n. 303 del 2003).
Il legislatore regionale, nell'esercizio delle proprie competenze in subiecta materia, deve far riferimento ai principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato oppure desumibili dalle leggi statali vigenti: la ratio complessiva di tali principi riposava nella incentivazione alla realizzazione di edilizia abitativa sulla base dell’intesa tra lo Stato e le Regioni.
Tale “causale” è stata perseguita dall’ordito normativo regionale, libero di determinare le misure di attuazione, purché non collidessero con principi cogenti della legislazione statale. Neppure l’appellante individua quali puntuali disposizioni del legislatore statuale (espressive, lo si ripete, di principi cogenti) sarebbero state dequotate.
Anche sotto tale profilo il dubbio di costituzionalità va disatteso.
3.2. Quanto sinora rilevato conduce alla definitiva reiezione di tutti i motivi di appello, ad eccezione del secondo.
4. Può a questo punto essere sottoposta a scrutinio la questione (rivestente portata centrale del giudizio, ad avviso del Collegio) prospettata dall’appellante nel secondo motivo di appello.
4.1. Ivi, come sommariamente rammentato nella parte in fatto della presente decisione, ci si duole della circostanza che la sentenza di primo grado avrebbe acriticamente recepito le risultanze contenute nell’elaborato di verificazione, stabilendo che l’incremento volumetrico assentito esuberante rispetto alla consistenza del preesistente immobile fosse determinabile nella misura di mc 212, 58. Si sostiene invece che detto ampliamento illegittimo sarebbe stato di gran lunga superiore, e pari a mc.1249, 97.
4.1.1. Di converso, parte appellante incidentale censura la decisione gravata nell’unico capo accoglitivo del mezzo di primo grado e con riferimento al modesto ampliamento riscontrato.
L’appellante si è fatta carico di criticare partitamente l’elaborato di verificazione recepito dal Tar, ed ha sollevato, in proposito, tre distinti argomenti critici.
Il primo investe il locale A (pollaio) ed involge la definizione di superficie residenziale allo stesso attribuita dal Tar, da cui conseguirebbe la non computabilità di mc 82,50; parimenti, quanto al locale 1, non si poteva affermare che l’altezza dello stesso, in passato, fosse stata pari a mt 6. Il locale preesistente era alto al più mt tre: l’entità volumetrica preesistente era quindi pari a mc 172, e non già a mc. 329,69 siccome inesattamente affermatosi nella verificazione (e come poi erroneamente recepito dal Tar).
Con il secondo argomento si è sostenuto che il locale B, quantificato in mq 166 in carenza di riscontro alcuno, dovesse essere escluso dal computo, stante la previsione di cui all’art. 34 del RE del Comune (laddove si vietava che nei seminterrati potessero essere allocate abitazioni).
Con la terza critica, sono stati, soprattutto, mossi rilievi alla individuazione dei volumi recuperabili al secondo piano.
L’appellante incidentale confuta tali doglianze, e per parte propria segnala che, quanto al corpo A, l’altezza era pari a mt 7 e la superficie di pianta a mq 121: i verificatori avrebbero commesso un errore laddove, pur ancorandosi al detto dato, quanto alla superficie lorda, avrebbero poi escluso dal calcolo i volumi del forno ed i volumi non delimitati su tutti e quattro i lati dalle pareti, disattendendo la loro stessa affermazione di partenza in ordine al volume lordo.
4.2. Ritiene il Collegio che, alla luce della contrapposizione tra le parti, vertente, prima che sulla interpretazione del dato tecnico, sulla stessa individuazione del corretto riferimento in punto di fatto da tenere presente (id est: preesistente consistenza dell’immobile sul quale doveva effettuarsi l’intervento edilizio per cui è causa), il processo non sia maturo per la decisione.
Si rammenta in proposito che questi furono i quesiti formulati dal Tar nella propria ordinanza collegiale n. 00671/2012 dispositiva della verificazione:
1) quali siano la consistenza plano-volumetrica (superficie, altezza, volume e sagoma) e la destinazione d’uso del manufatto (corpo “A” e corpo “B”) preesistente (oggetto dell’impugnato permesso di costruire);
2) se la suddetta consistenza corrisponda o meno a quella riportata nei grafici dello stato dei luoghi allegati all’istanza di permesso di costruire di cui trattasi;
3) quale sia in particolare il volume preesistente, il volume autorizzabile con l’aumento del 35% e quello autorizzato;
4) quale sia l’attuale stato dei lavori assentiti con l’impugnato permesso di costruire ed a quale presumibile data risale la realizzazione di tale stato medesimo;
5) ogni altra circostanza che dovesse essere ritenuta utile ai fini di causa.
Su tutti i punti predetti permane un inconciliabile ed argomentato contrasto tra le parti, per risolvere il quale ritiene il Collegio indispensabile procedere ad una nuova verificazione, affidandola al Signor Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, od altro componente del Consiglio Superiore da questi delegato (purché fornito di diploma di laurea in ingegneria civile od equipollente).
Si ritiene, pertanto, di affidare al suindicato verificatore il compito di accertare, in contraddittorio con le parti processuali ed i consulenti eventualmente dalle stesse nominati, i quesiti suindicati, da intendersi integralmente ritrascritti in questa sede, con particolare accurato riferimento alla pregressa altezza di cui al corpo A, tenendo conto delle argomentazioni difensive contrapposte sinora prospettate dalle parti mercé i loro scritti difensivi, e delle relazioni tecniche dalle stesse prodotte.
Compulsati gli atti del fascicolo e gli scritti difensivi, che vengono messi a disposizione del verificatore, ed espletati eventualmente sopralluoghi, misurazioni, etc sul sito, ovvero comunque verificata la documentazione in possesso di pubblici Uffici, la risposta ai quesiti, conclusiva della verificazione (quest’ultima da svolgersi nel contraddittorio delle parti) dovrà culminare nell’inoltro alle parti di una bozza di relazione, avverso la quale le parti stesse potranno fare pervenire eventuali contrarie considerazioni nel termine di 10 giorni.
Il verificatore, nei successivi 20 giorni, dovrà predisporre le risposte da fornire alle dette osservazioni, ovvero, ove ritenga di accoglierle anche in parte, provvederà a modificare la bozza primigenia nel senso accoglitivo, anche parziale, chiarendo le ragioni dell’accoglimento ed evidenziando quale fosse stato l’approdo contenuto nella bozza di verificazione e quale sia stato il convincimento finale, chiarendo il processo logico-tecnico che ha indotto all’accoglimento della osservazione/deduzione di parte.
La detta relazione finale, successiva a tale fase, dovrà essere depositata in segreteria nel termine di giorni 90 dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa, se anteriore, della presente sentenza non definitiva.
Le spese della verificazione verranno poste a carico della parte soccombente, mentre euro tremila (€ 3000//00), a titolo di anticipazione, sono poste a carico di parte appellante principale: ogni statuizione ulteriore sul rito, sul merito, e sulle spese, è rinviata al definitivo.
Si provvede sin d’ora a fissare la udienza pubblica di trattazione della causa alla data del 2 luglio 2015.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge parzialmente, nei termini di cui alla motivazione, per l’effetto confermando, in parte qua, la gravata decisione e, nella restante parte, dispone gli incombenti istruttori di cui alla motiva precedente motivazione.
Ogni statuizione ulteriore, sul rito, sul merito e sulle spese, è rinviata al definitivo.
Fissa la udienza pubblica di trattazione della causa alla data del 2 luglio 2015.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Antonio Bianchi, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Pubblicato in: Urbanistica » Giurisprudenza

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