Pianificazione urbanistica degli insediamenti
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Terza), sentenza n. 2815 del 25 marzo 2024, sulla pianificazione urbanistica degli insediamenti
MASSIMA
La disciplina comunitaria della liberalizzazione non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l’attività economica, dovendo, anche tale libertà economica confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali, in un’ottica di bilanciata proporzionalità delle contrapposte esigenze.
Gli atti della programmazione territoriale non sono, infatti, esenti dalle verifiche prescritte dalla direttiva servizi per il solo fatto di essere adottati nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, dovendosi verificare se, in concreto, essi perseguano effettivamente finalità di tutela dell’ambiente urbano o siano, comunque, riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell’offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese.
Una volta ammessa, poi, una particolare tipologia di uso commerciale, non è legittima l’introduzione di restrizioni quantitative al numero di esercizi, la quale non si configura quale prescrizione meramente urbanistica, ma si traduce in una limitazione ingiustificata e discriminatoria della libertà di stabilimento e della libertà d’impresa nonchè in una regolazione indebita dell’offerta sul mercato.
SENTENZA
N. 02815/2024REG.PROV.COLL.
N. 08049/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8049 del 2019, proposto da
Società Salumificio Peppone S.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Rodolfo Ludovici, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Provincia dell’Aquila, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Pierfranco De Nicola e Francesca Tempesta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Comune dell’Aquila, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico De Nardis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Regione Abruzzo, in persona del Presidente della Giunta, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e con domicilio nei suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Azienda Regionale delle Aree Produttive-ARAP, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, Sezione Prima, n. 137/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia dell’Aquila, del Comune dell’Aquila e della Regione Abruzzo;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;
Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 7 febbraio 2024 il Cons. Alessandro Enrico Basilico e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La società appellante impugna la sentenza che ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento con cui il Comune ha rigettato la richiesta, da questa avanzata, di mutamento della destinazione d’uso da industriale a vendita al dettaglio di alcuni locali di sua proprietà, sulla base del piano regolatore territoriale del nucleo di sviluppo industriale della città.
2. In punto di fatto, si rileva che, con delibera n. 2 del 30 gennaio 2017, il Consiglio provinciale dell’Aquila ha adottato la variante n. 55 al Piano territoriale di coordinamento provinciale-PTCP per la modifica del Piano regolatore territoriale-PRT del Nucleo di sviluppo industriale della Città capoluogo, inserendo limiti e vincoli alla possibilità di cambi di destinazione d’uso e di nuovi insediamenti per attività commerciali di vendita a dettaglio.
3. Il 23 febbraio 2017 la Società Salumificio Peppone S.r.l. ha presentato istanza per il cambio di destinazione d’uso da industriale a commerciale di alcuni locali dell’edificio di sua proprietà, situato nel nucleo industriale di Bazzano.
4. Con determinazione del 7 aprile 2017 di conclusione negativa della Conferenza di servizi decisoria convocata per l’esame della domanda, il Comune dell’Aquila ha respinto la richiesta, richiamando il parere emesso dall’Azienda regionale delle aree produttive-ARAP prot. 206/3 del 2 marzo 2017, che evidenziava come a norma della nuova variante al PTCP non fossero più consentiti mutamenti delle destinazioni d’uso oltre quelli espressamente ammessi dai diversi PRT.
5. La società ha impugnato dinanzi al TAR la delibera della Provincia e il provvedimento di diniego del Comune.
6. Il Tribunale ha respinto il ricorso, compensando le spese di lite tra le parti.
7. La società ha proposto appello avverso la sentenza.
8. Nel giudizio di secondo grado si sono costituiti il Comune e la Provincia dell’Aquila, nonché la Regione Abruzzo, chiedendo tutti il rigetto del gravame.
9. Non si è costituita l’ARAP, sebbene l’appello le sia stato regolarmente notificato via PEC.
10. All’udienza camerale del 7 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
11. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza del TAR per aver respinto la prima censura del ricorso di primo grado, con la quale si era denunciata l’incompetenza della Provincia a dettare la disciplina urbanistica delle aree industriali del Comune dell’Aquila.
12. Il motivo è infondato.
L’art. 44 della l.r. Abruzzo n. 11 del 1999 ha trasferito alle Province, tra gli altri, il compito di approvare il PTCP «fermi restando i compiti e le funzioni da esse esercitati in base alla L.R. 12.04.1983, n. 18» e gli artt. 8 e 75 della legge del 1983 – abrogata dalla l.r. Abruzzo n. 58 del 2023 ma ancora vigente quando sono stati emanati gli atti contestati – ricomprendono appunto quello di elaborare e adottare il Piano (in coerenza con l’art. 20 del TUEL di cui al d.lgs. n. 267 del 2000), mentre il successivo art. 87, co. 2, stabilisce che alla data della sua approvazione cessa l’efficacia dei Piani territoriali delle aree e Nuclei di sviluppo industriale.
Nel caso di specie, con deliberazione del Consiglio n. 62 del 28 febbraio 2004, la Provincia ha appunto approvato il PTCP prevedendo, all’art. 1 delle relative Norme di attuazione, che i Piani territoriali dei Nuclei di sviluppo industriale cessano la loro efficacia ed entrano a far parte dello stesso PTCP che ne fa salve le previsioni.
13. Non conducono a una diversa conclusione né l’art. 22 della l.r. Abruzzo n. 11 del 1999, né l’art. 1, co. 4-bis, della l.r. Abruzzo n. 23 del 2011: il primo attiene alla “programmazione industriale”, da intendersi – come l’ha intesa il TAR – come riferita allo sviluppo industriale a livello generale (come si evince dalla sua collocazione nel titolo II della legge dedicato a “Industria” e in coerenza con gli artt. 18 e 19 del d.lgs. n. 112 del 1998 di cui la normativa regionale costituisce attuazione) e non alle sue ricadute sul governo del territorio (materia ricompresa nel titolo III della legge dedicato a “Territorio, ambiente e infrastrutture”); il secondo, nello stabilire che «nelle more dell’adozione della legge regionale in materia di pianificazione per il governo del territorio, i Piani regolatori dell’ARAP sono costituiti, in prima applicazione, dai vigenti piani regolatori degli attuali Consorzi per le aree di sviluppo industriale», conferma l’ultrattività dei Piani vigenti al momento della sua entrata in vigore, ossia nella specie il PTCP dell’Aquila in cui era stato trasfuso il PRT del Nucleo di sviluppo industriale della città.
Non sussiste dunque il vizio d’incompetenza denunciato dall’appellante.
14. Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza del TAR per aver respinto la seconda e la terza censura del ricorso di primo grado, con cui si è contestata la legittimità dei limiti posti dalla Provincia all’insediamento di attività commerciali nelle aree industriali, con riferimento ai principi in materia di liberalizzazione delle attività economiche sanciti tanto dai decreti legge n. 70 e n. 201 del 2011 (rispettivamente conv. in legge n. 106 e n. 214 del 2011), nonché dalla l.r. n. 49 del 2012 che ha dato attuazione al primo, quanto dalla direttiva “Bolkestein” n. 2006/123/CE e dalla normativa nazionale di recepimento.
15. Il motivo è fondato.
Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, la promozione della riqualificazione delle aree degradate e degli edifici a destinazione non residenziale dismessi, in via di dismissione o da rilocalizzare, nonché lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, la l.r. Abruzzo del 15 ottobre 2012, n. 49 (emanata per l’attuazione dell’art. 5 del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011, n. 106, che modifica la disciplina in materia di realizzazione di costruzioni private), all’art. 5 prevede che le modifiche della destinazione d’uso degli immobili, realizzate anche attraverso interventi di ristrutturazione, ampliamento o demolizione e ricostruzione, «sono ammissibili purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari», aggiungendo che, salva la possibilità per i Comuni d’individuare ipotesi ulteriori, «sussiste complementarietà reciproca tra le seguenti destinazioni: […] b) destinazioni produttive quali: industriali, artigianali, direzionale e servizi, integrabili con: commerciali di vicinato, ricettività alberghiera ed extra-alberghiera, cultura e comunicazione».
La legge 23 dicembre 2014, n. 90, d’interpretazione autentica del d.l. n. 70 del 2011, ha precisato che le agevolazioni incentivanti previste dall’art. 5, co. 9 e 14 del decreto, «prevalgono sulle normative di piano regolatore generale, anche relative a piani particolareggiati o attuativi».
16. La deliberazione n. 2 del 30 gennaio 2017, con cui il Consiglio della Provincia dell’Aquila ha adottato la contestata variante al Piano territoriale di coordinamento provinciale-PTCP per la modifica del Piano regolatore territoriale del Nucleo di sviluppo industriale del capoluogo, al fine di recepire, con specifici criteri e indirizzi applicativi, la l.r. n. 49 del 2012, ha stabilito, tra l’altro, le destinazioni compatibili e complementari rispetto a quella industriale ovvero d’interesse generale, espressamente escludendo «nuovi insediamenti per attività commerciali di vendita al dettaglio, ad eccezione di quelli consentiti dall’art. 1, comma 50, della L.R. n. 11 del 16.07.2008 (vendita al dettaglio dei prodotti realizzati dalle aziende artigianali ed industriali ivi insediate) e di quelli ammessi con la presente Variante (un solo esercizio di vicinato per ogni azienda)».
17. Nel caso di specie, la destinazione che la Società vorrebbe imprimere a una porzione dell’immobile industriale attualmente utilizzato per la macellazione, lavorazione e vendita di carne suina, in particolare ai locali già adibiti allo stoccaggio della merce prodotta, è commerciale, per una superficie di 250 mq, dunque esattamente nel limite massimo di superficie affinché un esercizio commerciale sia considerato “di vicinato” – quantomeno nei Comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, come è notorio essere la città dell’Aquila – ai sensi della l.r. Abruzzo n. 11 del 2008.
Tanto la delibera provinciale, quanto la determinazione del Comune n. 55 del 7 aprile 2017 sono dunque in contrasto con la l.r. n. 49 del 2012, che ha espressamente qualificato come complementari le destinazioni produttive e gli esercizi di vicinato, consentendo agli Enti locali d’individuare ipotesi ulteriori ma non di escludere quelle già previste dalla fonte primaria.
18. L’atto della Provincia viola inoltre la direttiva “Bolkestein” e la disciplina interna di attuazione, come interpretati dalla giurisprudenza consolidata.
In particolare, con sentenza della IV Sezione n. 5394 del 2021, che compendia i principi consolidati in questa materia, si è osservato che «il Consiglio di Stato (ex plurimis sez. IV, nn. 4810 del 2020, 2762 del 2018, 4810 del 2018, 2026 del 2017, 1494 del 2017), ha analizzato funditus il rapporto tra i limiti imposti dagli atti della pianificazione urbanistica e i principi in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi sanciti dalla direttiva 123/2006/CE e dai provvedimenti legislativi che vi hanno dato attuazione, partendo dalla premessa che la disciplina comunitaria della liberalizzazione non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l’attività economica, dovendo, anche tale libertà economica, confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali. La conclusione a cui si è pervenuti - e che questo Collegio condivide - è che la questione involge tipicamente un giudizio sulla proporzionalità delle limitazioni urbanistiche opposte dall’autorità comunale rispetto alle effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio (cfr. Corte giustizia UE, sez. IV, 26 novembre 2015, n. 345; sez. II, 24 marzo 2011, n. 400); esigenze che, per l’appunto, devono essere sempre riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e non fondate su ragioni meramente economiche e commerciali, che si pongano quale ostacolo o limitazione al libero esercizio dell’attività di impresa che non deve comunque svolgersi in contrasto con l’utilità sociale (in argomento da ultimo, proprio in materia di apertura di strutture di vendita e di rapporti fra la direttiva 12 dicembre 2006 n. 2006/123/CE, c.d. Bolkestein, v. Corte cost., 25 febbraio 2016, n. 39; Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1860; 13 gennaio 2014, n. 70)».
Più di recente, con sentenza n. 4294 del 2023 della medesima Sezione si è precisato che «gli atti della programmazione territoriale sono stati ritenuti dalla giurisprudenza non esenti dalle verifiche prescritte dalla direttiva servizi per il solo fatto di essere adottati nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, dovendosi verificare se, in concreto, essi perseguano effettivamente finalità di tutela dell’ambiente urbano o siano, comunque, riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell’offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese».
Applicando i principi sopra richiamati al caso di specie, ne discende che, sebbene gli strumenti urbanistici possano individuare la destinazione dei suoli e le varie attività che su di essi possono esplicarsi, una volta che venga ammessa una particolare tipologia di uso commerciale (e nella specie la delibera appunto consente l’attività di commercio al dettaglio) non è poi legittima l’introduzione di restrizioni quantitative al numero di esercizi (come appunto la limitazione «ad un solo esercizio di vicinato per ogni azienda»), la quale non si configura quale prescrizione meramente urbanistica, ma si traduce in una limitazione ingiustificata e discriminatoria della libertà di stabilimento e della libertà d’impresa e in una regolazione indebita dell’offerta sul mercato.
19. L’appello è dunque meritevole di accoglimento e, in riforma della sentenza di primo grado, deve essere accolto il ricorso di primo grado e, per l’effetto, annullati gli atti con esso impugnati, dunque la determinazione del Comune n. 55 del 7 aprile 2017 e la delibera del Consiglio provinciale n. 2 del 30 gennaio 2017 nella parte in cui, all’interno del PRT del Nucleo di sviluppo industriale dell’Aquila, pone limiti al mutamento di destinazione d’uso da industriale a commerciale, con riferimento agli esercizi di vicinato.
20. La particolarità della questione giustifica la compensazione delle spese di lite del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti con esso impugnati, nei sensi e limiti di cui in motivazione; compensa tra le parti le spese di lite del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente FF
Giovanni Sabbato, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere
Alessandro Enrico Basilico, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Alessandro Enrico Basilico
Fabio Franconiero
IL SEGRETARIO