Ripubblicazione piano urbanistico a seguito di modifiche regionali
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n. 7027 del 13 novembre 2020, ripubblicazione dei piani urbanistici in caso di modifiche
MASSIMA
Con specifico riferimento all’obbligo di ripubblicazione del piano urbanistico comunale a seguito delle modificazioni che possono essere introdotte dalla Regione al momento dell’approvazione, si è altresì puntualizzato che occorre distinguere tra modifiche “obbligatorie” (in quanto indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni del piano territoriale di coordinamento, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici, l’adozione di standard urbanistici minimi), modifiche “facoltative” (consistenti in innovazioni non sostanziali) e modifiche “concordate” (conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate dal Comune); mentre per le modifiche “facoltative” e “concordate”, ove superino il limite di rispetto dei canoni guida del piano adottato, sussiste l’obbligo della ripubblicazione da parte del Comune, diversamente, per le modifiche “obbligatorie” tale obbligo non sorge, poiché proprio il carattere dovuto dell’intervento regionale rende superfluo l’apporto collaborativo del privato, superato e ricompreso nelle scelte pianificatorie operate in sede regionale e comunale, come risulta essersi verificato nella fattispecie in esame
SENTENZA
N. 07027/2020REG.PROV.COLL.
N. 05405/2014 REG.RIC.
N. 07442/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5405 del 2014, proposto dalla Regione Liguria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gabriele Pafundi e dall’avvocato Marina Crovetto, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14;
contro
la s.r.l. Emea, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Alberto Marconi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
del Comune di Ventimiglia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Corrado Mauceri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14a/4;
della Provincia di Imperia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 7442 del 2014, proposto dalla s.n.c. Orelmar di Cotta Elvira & C., cui è succeduta la s.r.l. Emea, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Alberto Marconi e Luca Gabrielli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Luca Gabrielli in Roma, via Filippo Nicolai, n. 70;
contro
la Regione Liguria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14a/4;
la Provincia di Imperia ed il Comune di Ventimiglia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 13/2014, resa tra le parti
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ventimiglia, della s.r.l. Emea e della Regione Liguria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 30 ottobre 2020 il Cons. Ezio Fedullo e dato atto che gli Avvocati Alberto Marconi, Marina Crovetto, Gabriele Pafundi e Corrado Augusto Mauceri hanno presentato istanza di passaggio in decisione senza discussione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con la sentenza appellata, il T.A.R. Liguria ha accolto il ricorso proposto dalla società ricorrente, proprietaria di immobili interessati dalla nuova pianificazione urbanistica, avverso il Piano Urbanistico Comunale del Comune di Ventimiglia (GE).
Il gravame aveva ad oggetto, tra gli altri atti, la deliberazione di Giunta Regionale n. 179 del 26 febbraio 2008, di rilascio, ai sensi dell’art. 69 l.r. Liguria n. 36/1997, del nulla osta a variare il Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico in sede di approvazione del progetto definitivo del P.U.C. di Ventimiglia, nella parte in cui aveva previsto la necessità che venissero recepite le prescrizioni e le indicazioni contenute nel voto del Comitato Tecnico Regionale per il territorio n. 34/2008, il quale, per la zona in cui ricadevano gli immobili di proprietà dei ricorrenti (pur non interessata dalla variante al P.T.C.P.), prevedeva il sostanziale azzeramento dell’edificabilità.
Il T.A.R., dopo aver richiamato, in vista di conformarsi ad esso, il proprio precedente di cui alla sentenza n. 701\2013 e dopo una articolata ricostruzione, condotta alla luce della pertinente disciplina regionale, delle connessioni procedimentali tra l’iter di approvazione del P.U.C. e quello di variante del P.T.C.P., ha accolto i motivi di ricorsi intesi a lamentare: 1) l’incompetenza inficiante la menzionata delibera di G.R. n. 179/2008, spettando la relativa potestà al Consiglio regionale; 2) la mancanza della fase partecipativa degli interessati, in relazione al progetto definitivo di P.U.C., riadottato a seguito della citata deliberazione regionale ed adeguato alle prescrizioni in essa contenute.
La sentenza appellata ha contenuto reiettivo, invece, con riferimento al motivo di ricorso inteso a lamentare, in sintesi, che la Regione, in sede di espressione del parere sul progetto preliminare, avrebbe consumato il suo potere di incidere sul contenuto del P.U.C. in itinere.
La sentenza suindicata viene censurata dalla Regione Liguria, che si prefigge di ottenerne la riforma relativamente alle statuizioni favorevoli alla parte ricorrente da essa recate.
Si è costituito in giudizio il Comune di Ventimiglia, sostanzialmente aderendo alle posizioni regionali.
Si è altresì costituita in giudizio, per opporsi all’accoglimento dell’appello, la società EMEA s.r.l. (succeduta alla s.n.c. Orelmar di Cotta Elvira & C.).
L’originaria società ricorrente ha a sua volta impugnato, per le parti ad essa sfavorevoli, la sentenza suindicata (ricorso in appello n. 7442/2014).
In via preliminare, deve disporsi la riunione dei ricorsi suindicati, in quanto rivolti avverso la medesima sentenza.
Iniziando l’esame dall’appello regionale, la parte appellante contesta in primo luogo la statuizione di accoglimento del motivo di ricorso avente ad oggetto il vizio di incompetenza inficiante la d.G.R. n. 179/2008, sul presupposto che il potere di rilasciare il nulla osta alla variante al P.T.C.P. spetterebbe all’organo consiliare.
Con il primo profilo di censura, la parte appellante eccepisce l’inammissibilità del motivo, sulla base della carenza di interesse dei ricorrenti a proporlo, attesa l’estraneità delle aree di loro appartenenza all’ambito della variante del P.T.C.P..
Il motivo, già sotto tale profilo di rito, risulta fondato e va accolto.
Deve osservarsi che il T.A.R., al fine di respingere l’eccezione di inammissibilità, ha affermato quanto segue:
“Sotto il versante preliminare, a nulla rileva ai fini in esame che la porzione dei ricorrenti non sia direttamente interessata da varianti al ptcp, in quanto altrimenti opinando sarebbe fondato il primo ordine di rilievi, in quanto solo il legame con l’analisi del ptcp giustifica il permanere del potere di espressione esercitato e riconosciuto in capo alla Regione; al riguardo, poi è evidente la sussistenza dell’interesse diretto concreto ed attuale a censurare vizi procedimentali generali, quale quello in esame, al fine di far decadere la nuova pianificazione contestata, anche in capo agli odierni ricorrenti. Anzi, nel caso de quo l’accettazione della nuova limitazione per l’area di diretto interesse del ricorrente ha costituito la condizione per l’approvazione delle altre varianti al ptcp proposte dal comune, come emerge dalla delibera regionale”.
Ebbene, tali postulati motivazionali non possono essere condivisi.
Dal primo punto di vista, si è evidenziato che, sebbene la d.G.R. n. 179/2008 accorpi una duplice funzione provvedimentale – l’una relativa alla formulazione delle valutazioni finali in ordine alla coerenza del progetto definitivo di P.U.C. con le previsioni del P.T.C.P., l’altra al rilascio del nulla osta alla variante del medesimo piano sovraordinato, relativamente alle aree da essa interessate – le stesse restano distinte, né sono legate da un rapporto di (reciproco o unilaterale) condizionamento: in particolare, la formulazione delle prescrizioni censurate, concernenti le aree di pertinenza dei ricorrenti, trova autonomo titolo giustificativo, da un punto di vista procedimentale, nelle “riserve” espresse dalla Regione in sede di parere sul progetto preliminare di P.U.C. (“riserve” sciolte, in sede di valutazione finale sulla compatibilità del P.U.C. con il sovraordinato P.T.C.P. e di introduzione dei correttivi ritenuti necessari, mediante l’impugnata deliberazione di G.R. n. 179/2008), e, da un punto di vista sostanziale, nell’esigenza di assicurare la salvaguardia del valore paesaggistico delle aree produttive agricole, ritenuto non adeguatamente tutelato dal P.U.C., nonostante le integrazioni apportate dal Comune a seguito del suddetto parere regionale sul progetto preliminare.
Peraltro, con specifico riferimento alla fattispecie in esame, l’autonomia dispositiva della delibera impugnata, nella parte concernente l’area dei ricorrenti, rispetto a quella attinente alle varianti al P.T.C.P., emerge con maggiore evidenza, ove si consideri che, come dedotto dalla Regione appellante:
- nel progetto preliminare di P.U.C. le aree di proprietà della società ricorrente erano ricomprese nell’ambito costiero di riqualificazione a destinazione turistico-ricettiva ARItr3, per la quale la disciplina di piano consentiva interventi di nuova edificazione;
- per tale ambito, ricadente nel regime ISCE di P.T.C.P., il Comune, aveva proposto la riclassificazione nel regime ISMA (variante n. 15), al fine di uniformare la disciplina urbanistica con quella paesistica;
- la Regione, in sede di parere sul progetto preliminare di P.U.C., ha valutato negativamente la proposta variante al P.T.C.P., prescrivendo lo stralcio delle previsioni di nuova edificazione;
- nel progetto definitivo il Comune non ha riproposto la modifica del vigente regime ISCE di P.T.C.P. e ha nel contempo riclassificato l’ambito ARItr3 come ACEstp4 (ambito di valore storico e paesaggistico), in analogia con le limitrofe aree del litorale, la cui disciplina consentiva interventi fino alla ristrutturazione edilizia con cambio d’uso;
- col voto del CTR n. 34/2008, la Regione da un lato ha ribadito la valutazione negativa in precedenza formulate in ordine alla richiesta di variante al P.T.C.P. da ISCE a ISMA, dall’altro ha confermato, in assenza di una puntuale disciplina idonea a prefigurare esiti degli interventi compatibili con la normativa del P.T.C.P. (art. 48 delle n.d.a.) concernente l’ambito paesistico ISCE, ridotte possibilità di intervento sull’esistente, limitandole al risanamento conservativo e assoggettando qualunque intervento eccedente tale categoria alla elaborazione di un PUO di approvazione regionale.
L’autonomia dei contenuti lesivi della delibera n. 179/2008, rispetto alla variante del P.T.C.P., costituisce il presupposto per superare anche la seconda argomentazione posta dal T.A.R. a base della sua statuizione di reiezione della eccezione di inammissibilità del suindicato motivo di censura.
In primo luogo, infatti, l’estraneità delle aree di proprietà dei ricorrenti all’oggetto della variante al P.T.C.P. pone in evidenza l’assenza di riflessi della stessa sull’interesse di cui i predetti sono portatori, alla cui tutela, in forza della nota connotazione soggettiva della giurisdizione amministrativa, l’azione impugnatoria (e la relativa legittimazione) deve essere circoscritta.
In secondo luogo, la connessione tra la variante (al cui procedimento approvativo direttamente inerisce il dedotto vizio di incompetenza) e le “limitazioni” alla edificabilità delle aree di proprietà dei ricorrenti non potrebbe essere sostenuta – nemmeno al fine di fondare una relazione provvedimentale suscettibile di determinare la caducazione delle medesime “limitazioni” quale corollario necessario dell’annullamento della variante – sul fatto che “l’accettazione della nuova limitazione per l’area di diretto interesse del ricorrente ha costituito la condizione per l’approvazione delle altre varianti al ptcp proposte dal comune, come emerge dalla delibera regionale”, come affermato dal giudice di primo grado, atteso che non è dimostrato che, laddove la variante non fosse stata proposta (o comunque non fosse stata assentita), la Regione non avrebbe ugualmente introdotto le censurate prescrizioni limitative.
Il motivo di appello, in ogni caso, è meritevole di accoglimento anche laddove si prefigge di dimostrare l’infondatezza del motivo di ricorso accolto dal T.A.R.
Deve premettersi che la statuizione di accoglimento è fondata sul seguente percorso motivazionale:
“Sotto il versante sostanziale, oltre a quanto appena evidenziato, l’analisi della norma invocata conferma la necessità (invero ex sé ragionevole, stante la valenza programmatoria fondamentale delle scelte) che l’approvazione delle varianti al ptcp sia preceduta dall’acquisizione del nulla-osta del Consiglio regionale, ove le medesime varianti non siano di mera precisazione di confini e riguardino aree assoggettate ai seguenti regimi normativi del livello locale: a) di trasformazione, relativamente a tutti gli assetti; b) di conservazione, relativamente a tutti gli assetti; c) di mantenimento, limitatamente alle aree non insediate di cui si proponga il passaggio al regime normativo di trasformabilità dell'assetto insediativo. Nel caso de quo la variante nella sua globalità coinvolge pacificamente aree assoggettate a tali regimi, in specie di conservazione, cosicchè è integrato il presupposto normativo dettato dalla norma; non a caso la precedente delibera di Giunta del 2004 aveva evidenziato la necessità della previa acquisizione del nulla osta consiliare in questione. Né vale a superare il chiaro (e come detto ragionevole) dettato normativo il presunto carattere di mero aggiornamento; si interviene sul regime di conservazione e non a solo fini di precisazione dei confini, non potendo forzarsi il dato letterale della norma - costruita come eccezione - oltre il significato proprio dell’espressione utilizzata. Invero, incidentalmente va evidenziato come anche sotto il presente profilo emergono difficoltà applicative – in specie per gli uffici regionali, provinciali e comunali - di una legislazione estremamente complessa e non sempre di piana lettura ricostruttiva del sistema”.
Ebbene, al fine di apprezzare la fondatezza del corrispondente motivo di appello, deve preliminarmente richiamarsi il disposto dell’art. 69, comma 2, l.r. n. 36/1997, ai sensi del quale:
“L’approvazione delle varianti al PTCP è riservata alla Regione ed è soggetta alle procedure stabilite dalla presente legge con riferimento al rispettivo atto di pianificazione od al procedimento concertativo in cui sono previste. L’approvazione di tali varianti è preceduta dalla acquisizione del nulla-osta del Consiglio regionale, ove le medesime varianti non siano di mera precisazione di confini e riguardino aree assoggettate ai seguenti regimi normativi del livello locale:
a) di trasformazione, relativamente a tutti gli assetti;
b) di conservazione, relativamente a tutti gli assetti;
c) di mantenimento, limitatamente alle aree non insediate di cui si proponga il passaggio al regime normativo di trasformabilità dell’assetto insediativo”.
Deve altresì precisarsi, in via altrettanto preliminare, che deve essere condivisa la tesi regionale, secondo cui la competenza consiliare, sempre che ricorrano i presupposti di cui all’art. 69, comma 2, l.r. n. 36/1997, non potrebbe essere estesa alla “variante nella sua globalità”, come affermato dal T.A.R., ma varrebbe limitatamente a quelle ricomprese nella specifica casistica contemplata dalla norma suindicata: deve invero rilevarsi che, atteggiandosi la competenza consiliare sub specie di nulla osta all’approvazione della variante, la sua (eventualmente illegittima) mancanza non potrebbe che ridondare i suoi effetti invalidanti, a carico del procedimento approvativo del P.U.C. e delle relative varianti al P.T.C.P., limitatamente alle aree ricomprese nella classificazione dianzi richiamata.
Deve inoltre osservarsi, proseguendo nella disamina del motivo di appello di cui si tratta, che i regimi normativi di livello locale, ai quali devono essere assoggettate le aree oggetto di variante al fine di concretizzare i presupposti della competenza consiliare (sempre che la variante non consista nella mera precisazione dei confini), corrispondono, come precisato dalla Regione appellante, alle seguenti classifiche:
- trasformazione: TRZ;
- conservazione: CE;
- mantenimento: MA.
Deduce altresì la Regione che nessuna delle varianti previste ha comportato la riclassificazione in altri regimi normativi di aree già classificate dal PTCP come TRZ o MA, mentre, per quanto riguarda le aree classificate CE, solo in tre casi (corrispondenti nel voto del CTR n. 34/2008 alle varianti nn. 37, 95 e 101), la Regione ha apportato una mera precisazione dei confini volta a dare atto di una situazione insediativa diversa da quella registrata al momento della elaborazione del P.T.C.P.
Del resto, la stessa d.G.R. n. 179/2008 (pag. 3) dà atto, con statuizione non puntualmente censurata, che “le varianti al Piano territoriale di coordinamento paesistico ritenute meritevoli di approvazione non rientrano tra quelle sottoposte a specifico nulla osta da parte del Consiglio regionale, ai sensi e per gli effetti del ridetto art. 69, in quanto non riferite ai regimi indicati al comma 2 dello stesso, posto che le modifiche al regime di Conservazione apportate con il presente provvedimento costituiscono meri aggiornamenti alla scala puntuale rispetto allo stato di fatto”.
Va rilevato inoltre che la stessa parte ricorrente, nell’atto di ricorso, non ha indicato le caratteristiche delle varianti, atte a consentire di escludere che le stesse integrino mere “precisazioni di confini”, limitandosi a dedurre che le modifiche approvate attengono alle zone suindicate: circostanza, come si è detto, insufficiente al fine di radicare la competenza consiliare, ove la variante non trasmodi i limiti suindicati.
La sentenza appellata, in conclusione, va riformata quanto alla statuizione di accoglimento del motivo di ricorso inteso a lamentare il vizio di incompetenza inficiante la d.G.R. n. 179/2008, tanto sia per ragioni attinenti alla inammissibilità della censura che alla infondatezza della stessa.
Deve adesso esaminarsi il motivo di appello della Regione inteso a censurare la sentenza appellata nella parte in cui ha accolto la doglianza avente ad oggetto la lamentata mancanza della fase partecipativa (mediante la ripubblicazione del progetto definitivo di P.U.C. e la raccolta delle relative eventuali osservazioni) susseguente all’adeguamento del progetto definitivo di P.U.C. ai rilievi regionali, formulati con la d.G.R. n. 179/2008.
La censura è stata accolta dal giudice di primo grado, dopo aver argomentato la tempestività, sulla scorta delle seguenti considerazioni:
“si è chiarito come – in linea di principio – nulla osti a che la Regione, prima dell’approvazione del puc, si esprima definitivamente in un unico provvedimento sia in relazione alle varianti al ptcp ex art. 69, sia in relazione all’adottato progetto definitivo di puc, con specifico riguardo alla sua compatibilità con i rilievi e le riserve già (genericamente) formulati nel parere sul progetto preliminare ex art. 39. Sennonché, ove la Regione proceda in tal modo, riservandosi di introdurre ulteriori prescrizioni a completamento del parere sul progetto preliminare ed a scioglimento delle riserve ivi espresse (nel caso di specie, con la D.G.R. 26.2.2008, n. 179), pur dopo l’adozione del progetto definitivo di puc (nel caso di specie, avvenuta con deliberazione C.C. 6.12.2006, n. 71), essa deve nondimeno obbligatoriamente rispettare la fase partecipativa di cui all’art. 40 comma 3, che, per essere “effettiva” e concludente, deve svolgersi sugli elaborati delle norme di conformità e congruenza redatti “in forma completa”, cioè definitiva (art. 40 comma 1 lett. a e b), anche – e, verrebbe da dire, soprattutto - per quanto riguarda le modifiche pregiudizievoli apportate al progetto preliminare sulla base dei pareri regionale e provinciale. (…) Nel caso di specie, l’accoglimento dei rilievi formulati dalla Regione con la deliberazione 26.2.2008, n. 179 ha comportato la limitazione delle possibilità edificatorie ed il condizionamento ad approvazione di puo regionale, nei termini dedotti e riportati dalla narrativa in fatto. Al riguardo, parte ricorrente, proprietaria direttamente incisa dalle nuove previsioni, non è stata dunque posta in grado di formulare osservazioni – ex art. 39 comma 3 - su una disciplina urbanistica introdotta a seguito dei rilievi di un soggetto terzo (la Regione), che ha sicuramente inciso notevolmente, in senso peggiorativo, sulle aree di proprietà. La disposizione di cui all’art. 40 comma 4 lett. a), laddove prevede che le modifiche apportate al puc in conseguenza dell’accoglimento delle osservazioni “non comportano la necessità di procedere alla ripubblicazione degli atti”, si riferisce con ogni evidenza all’accoglimento delle osservazioni presentate dai soggetti direttamente interessati (per i quali, a seguito dell’accoglimento, viene – per così dire – a cessare la materia del contendere), non certo alle osservazioni presentate da soggetti “terzi” (e, tra questi, quelli istituzionali) rispetto ai proprietari delle aree interessate dalla nuova disciplina. Né vale sostenere l’inutilità della fase partecipativa, in relazione al carattere obbligatorio delle prescrizioni introdotte dalla Regione a tutela del territorio nella sua espressione paesistico-ambientale. Sia in termini di principio a fronte della natura delle determinazioni in questione, sia in termini di dettaglio in quanto è pacifico che le aree di proprietà delle società ricorrenti non fossero affatto interessate da variante al ptcp, ed inoltre che la disciplina delle zone ammettesse gli interventi paventati. Si tratta di una valutazione di merito circa l’an ed il quantum di nuova edificazione compatibile con il carattere sparso dell’insediamento, di carattere eminentemente discrezionale (e dunque non vincolata, ancorché vincolante per i piani sottordinati), sicché non può trovare applicazione la sanatoria giurisprudenziale ex art. 21-octies comma 2 L. n. 241/1990”.
Osserva la Regione appellante, in vista della riforma in parte qua della sentenza appellata, che le modifiche apportate dal Comune successivamente alla fase di pubblicità-partecipazione non necessitavano, per espressa disposizione dell’art. 40, comma 4, lett. a), di ulteriore pubblicazione in funzione partecipativa.
Deduce altresì che essa, con la d.G.R. n. 179/2008, ha dettato le indicazioni prescrittive per gli aspetti paesistico-ambientali, che ai sensi dell’art. 39, comma 7, l.r. n. 36/1997, così come vigente ratione temporis, hanno carattere vincolante (“Il parere espresso dalla Regione a norma del comma 4 ha carattere vincolante con esclusivo riferimento alle indicazioni prescrittive del P.T.R. di cui all’articolo 13, comma 1, lettere b) e c)”).
Ebbene, deve osservarsi in primo luogo che assume carattere dirimente il disposto dell’art. 40, comma 4, lett. a) l.r. n. 36/1997.
Secondo la disposizione menzionata, infatti, acquisite le osservazioni in ordine all’adottato progetto definitivo di P.U.C. “limitatamente agli aspetti che costituiscono sviluppo e completamento del progetto preliminare”, il P.U.C. si intende approvato con la deliberazione con la quale: a) il Consiglio comunale, entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 2, decide sulle osservazioni presentate, fermo restando che le modifiche apportate al P.U.C. in conseguenza del loro accoglimento non comportano la necessità di procedere alla ripubblicazione degli atti.
La disposizione richiamata, infatti, è univoca nel disporre che le modifiche eventualmente apportate al P.U.C. dal Comune, a seguito del recepimento delle osservazioni sul progetto definitivo (cui il T.A.R. assimila il parere regionale di cui alla d.G.R. n. 179/2008), non impongono la nuova pubblicazione del Piano: ciò, evidentemente, in ossequio ad evidenti esigenze di economia procedimentale, determinandosi altrimenti, per effetto della presentazione “a catena” di osservazioni e del loro accoglimento, la rinnovata e ripetuta esigenza di riaprire la fase partecipativa.
Inoltre, come si è visto, il T.A.R. propone una equiparazione del parere regionale alle osservazioni dei privati, affermando che, quando l’osservazione accolta non promani dal suo promotore, si renda necessario attivare un nuovo segmento partecipativo nei confronti dei proprietari interessati.
Deve tuttavia osservarsi che il parere regionale, lungi dal costituire espressione delle facoltà partecipative dei privati, destinati a subire gli effetti autoritativi e conformativi della programmazione urbanistica, rappresenta la manifestazione del rapporto di cooperazione tra Enti titolari di competenze distinte e concorrenti nel procedimento di formazione degli strumenti urbanistici.
Con particolare riferimento alla fattispecie in esame, la competenza consultiva regionale risulta orientata, nel suo concreto esercizio, a garantire la coerenza delle previsioni del P.U.C. in itinere con le prescrizioni inderogabili del P.T.C.P., al fine di evitare che la carenza di una idonea disciplina di dettaglio, di tipo urbanistico e paesistico, potesse pregiudicare le esigenze di conservazione dei tratti paesaggistici delle aree interessate, così come recepite dal piano sovraordinato.
Trattasi, quindi, di prescrizioni finalizzate a salvaguardare le previsioni del P.T.C.P. in punto di caratterizzazione delle aree de quibus che, indipendentemente dalla loro riconducibilità – sostenuta dalla Regione – alla richiamata previsione di cui all’art. 39, comma 7, l.r. n. 36/1997, esulano dal potere di valutazione discrezionale comunale, afferente alla disciplina di carattere strettamente urbanistico, alla cui definizione è funzionale la partecipazione dei privati.
Il carattere necessitato delle modifiche introdotte dal Comune, in sede di recepimento delle prescrizioni di cui alla d.G.R. n. 179/2008, induce quindi a fare applicazione alla fattispecie in esame del principio giurisprudenziale secondo cui (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, n. 7839 del 14 novembre 2019) “proprio con specifico riferimento all’obbligo di ripubblicazione del piano a seguito delle modificazioni che possono essere introdotte dalla Regione al momento dell’approvazione, si è altresì puntualizzato che occorre distinguere tra modifiche “obbligatorie” (in quanto indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni del piano territoriale di coordinamento, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici, l’adozione di standard urbanistici minimi), modifiche “facoltative” (consistenti in innovazioni non sostanziali) e modifiche “concordate” (conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate dal Comune). Mentre per le modifiche “facoltative” e “concordate”, ove superino il limite di rispetto dei canoni guida del piano adottato, sussiste l’obbligo della ripubblicazione da parte del Comune, diversamente, per le modifiche “obbligatorie” tale obbligo non sorge, poiché proprio il carattere dovuto dell’intervento regionale rende superfluo l’apporto collaborativo del privato, superato e ricompreso nelle scelte pianificatorie operate in sede regionale e comunale, come risulta essersi verificato nella fattispecie in esame”.
Ad ulteriore supporto della conclusione raggiunta, va richiamato il suddetto orientamento anche laddove afferma che “la necessità di ripubblicazione del piano, dunque, viene ritenuta sussistere allorché, in un qualunque momento della procedura che porta alla sua approvazione, vi sia stata una sua rielaborazione complessiva, cioè un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione presiedono (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1477; id., 25 novembre 2003, n. 7782; cfr. anche la più recente Cons. Stato, sez. IV, 19 novembre 2018, n. 6484). Si tratta di orientamento seguito anche dalla giurisprudenza di prime cure, secondo la quale la necessità di ripubblicazione si impone allorquando fra la fase di adozione e quella di approvazione siano intervenuti mutamenti tali da determinare un cambiamento radicale delle caratteristiche essenziali del piano e dei criteri che presiedono alla sua impostazione (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 26 novembre 2018, n. 2677). Rileva infine il Collegio che debba escludersi che si possa parlare di rielaborazione complessiva del piano, quando, in sede di approvazione, vengano introdotte modifiche che riguardano la disciplina di singole aree o singoli gruppi di aree (Cons. Stato, sez. IV, 19 novembre 2018, n. 6484, cit. supra); in altri termini, l’obbligo de quo non sussiste nel caso in cui le modifiche consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l’impianto originario, quand’anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 8 maggio 2017, n. 614; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 8 maggio 2017, n. 880)”.
Ebbene, tale situazione corrisponde proprio a quella verificatasi nella specie, in quanto le prescrizioni limitative censurate incidono appunto sulle aree agricole, senza determinare alcun “cambiamento radicale delle caratteristiche essenziali del piano e dei criteri che presiedono alla sua impostazione”.
Né, infine, varrebbe osservare che le prescrizioni regionali hanno contenuto discrezionale, non derivando da un puntuale contrasto dello strumento urbanistico comunale rispetto al P.T.C.P., in quando il citato orientamento evidenzia che “è proprio la doverosità della disciplina, pur discrezionale nei suoi contenuti concreti, che ne implica l’innesto nelle scelte pianificatorie originarie del Comune, ovviamente coinvolto nel procedimento, senza necessità di un azzeramento della procedura con conseguente nuova pubblicazione del Piano”.
Deve adesso esaminarsi l’appello della società ricorrente, la quale deduce, in primo luogo, che essa, in primo grado, aveva dedotto che la Regione, nel pronunciarsi sul progetto definitivo al fine di rilasciare il nulla osta alla variante del P.T.C.P., doveva limitarsi a verificare se il Comune si fosse adeguato ai rilievi contenuti nel parere sul preliminare, rilasciato ex art. 39 l.r. n. 36/1997 sulla scorta del voto del C.T.R. n. 128/2004 ed in vista della definizione delle condizioni per assentire la variante, senza poter imporre – come invece aveva fatto sulla scorta del voto del C.T.R. n. 34/2008, alla luce di criteri più rigidi di quelli ai quali il Comune si era attenuto nell’adeguare il progetto definitivo di P.U.C. - modificazioni del progetto definitivo con riferimento ad aree, come quelle di pertinenza degli appellanti, non interessate dalla proposta di variante ed in mancanza di profili di contrasto con il parere suindicato: così diversamente operando, deducevano i ricorrenti, la Regione aveva finito per violare la successione dei passaggi procedimentali così come delineata dalla legge regionale urbanistica ligure n. 36/1997.
Le censure appena riassunte, va precisato, sono state respinte dal T.A.R. sulla base dei seguenti passaggi motivazionali:
- “già in linea di principio non risponde al vero che, con l’espressione del parere ex art. 39 cit. sul progetto preliminare di puc, la Regione consumi definitivamente il potere consultivo di esame del puc – con particolare riguardo alla sua compatibilità con i piani territoriali di livello regionale e provinciale - al punto da non poter più mettere in discussione le scelte urbanistiche successivamente effettuate in sede di adozione del progetto definitivo”;
- “l’art. 40 comma 3 prevede infatti che, sull’adozione del progetto definitivo di puc (da elaborarsi anche in considerazione dei pareri regionale e provinciale), “chiunque” può far pervenire osservazioni con esclusivo riferimento agli aspetti che costituiscono sviluppo e completamento del progetto preliminare. Dunque, conformemente al principio generale espresso dall’art. 9 comma 2 della legge urbanistica fondamentale 17.8.1942, n. 1150, che assume valore conseguente anche nel rapporto tra le fonti in tema di governo del territorio, tra i soggetti abilitati a sindacare gli aspetti del progetto definitivo adottato che costituiscono sviluppo e completamento del progetto preliminare, deve ritenersi che rientrino a pieno titolo – anzi a maggior ragione - anche quelli istituzionali (Regione e Provincia), direttamente interessati a valutare il grado di adeguamento della disciplina urbanistica adottata ai rilievi eventualmente espressi nei pareri sul progetto preliminare e, più in generale, alla sua effettiva conformità alle prescrizioni dei piani territoriali regionale e provinciale”;
- “il termine ultimo per l’espressione di un compiuto parere circa la compatibilità del puc ai piani territoriali sovraordinati sembra doversi individuare – al più tardi – nel momento in cui il Presidente della Provincia rende il parere di legittimità di cui all’art. 40 comma 6 l.r. cit.”;
- “la circostanza che la fase di rilascio del nulla osta a variare il ptcp sia autonomamente disciplinata dalla legge (art. 69), non può renderla del tutto estranea al procedimento di approvazione del puc (artt. 39 e 40), nella quale al contrario, per le evidenti interconnessioni, si inserisce come fase sub-procedimentale. In difetto di una disposizione legislativa – ma la complessa legislazione regionale in esame non è in generale di facile ricostruzione - che individui esattamente in quale fase di approvazione del puc si inserisca il sub procedimento di approvazione della variante al ptcp, nulla impediva dunque alla Regione – prima dell’approvazione del puc - di esprimersi definitivamente in un unico provvedimento (l’impugnata deliberazione G.R. n. 179/2008) sia in relazione alle varianti al ptcp, sia in relazione all’adottato progetto definitivo di puc, con specifico riguardo alla sua compatibilità con i rilievi e le riserve già (genericamente) formulati nel parere sul progetto preliminare. D’altronde è logico intendere la disciplina come tale da consentire di addivenire ad una conclusiva valutazione in ordine alla verifica di compatibilità con il ptcp e con gli altri piani sovraordinati”.
Deduce sul punto la parte appellante che essa non intendeva contestare, in primo grado, il potere della Regione di imporre modifiche del progetto definitivo sulla scorta di eventuali profili di contrasto con i piani sovraordinati (ed in particolare col P.T.C.P.), ma il potere della medesima Amministrazione di imporre nuove e più restrittive prescrizioni, rispetto a quelle imposte con il parere sul progetto preliminare ex art. 39 l.r. n. 36/1997, sulla base di una scelta discrezionale costituente espressione di mutati indirizzi di politica urbanistica e con riferimento ad aree non interessate dalle proposte varianti, nonostante l’avvenuto adeguamento al parere medesimo del progetto definitivo e l’assenza di contrasti del progetto modificato con il P.T.C.P..
Il motivo, nella sua complessiva articolazione, non risulta fondato.
Deve muoversi, al fine di rilevare la sua infondatezza, da uno dei surriportati passaggi della sentenza appellata, laddove in particolare viene statuito che “nulla impediva dunque alla Regione – prima dell’approvazione del puc - di esprimersi definitivamente in un unico provvedimento (l’impugnata deliberazione G.R. n. 179/2008) sia in relazione alle varianti al ptcp, sia in relazione all’adottato progetto definitivo di puc, con specifico riguardo alla sua compatibilità con i rilievi e le riserve già (genericamente) formulati nel parere sul progetto preliminare”.
Ebbene, l’assunto della società - secondo cui mentre il progetto definitivo si era perfettamente adeguato al parere sul preliminare, la Regione aveva preteso di modificare il progetto definitivo anche laddove non vi erano varianti al P.T.C.P. . non corrisponde alla corretta ricostruzione dei fatti procedimentali.
Deve infatti evidenziarsi, come si evince dalla disamina che precede, che il Comune, in sede di elaborazione del progetto preliminare, ha ricompreso le aree di proprietà della società ricorrente nell’ambito costiero di riqualificazione a destinazione turistico-ricettiva ARItr3, per la quale la disciplina di piano consentiva interventi di nuova edificazione: quindi, a seguito dei rilievi regionali in ordine alla inammissibilità della richiesta di variante del P.T.C.P., nel senso della riclassificazione delle aree medesime da ISCE ad ISMA (variante n. 15), al fine di uniformare la disciplina urbanistica con quella paesistica, nel progetto definitivo il Comune non ha riproposto la modifica del vigente regime ISCE di P.T.C.P. e ha nel contempo riclassificato l’ambito ARItr3 come ACEstp4 (ambito di valore storico e paesaggistico), in analogia con le limitrofe aree del litorale, la cui disciplina consentiva interventi fino alla ristrutturazione edilizia con cambio d’uso.
In ordine a tale diversa impostazione regolativa delle aree de quibus, la d.G.R. n. 179/2008, sulla scorta del voto del CTR n. 34/2008, ha da un lato ribadito la valutazione contraria in precedenza formulata in ordine alla richiesta di variante al P.T.C.P. da ISCE a ISMA, dall’altro lato, ha confermato, in assenza di una puntuale disciplina idonea a prefigurare esiti degli interventi compatibili con la normativa del P.T.C.P. (art. 48 delle n.d.a.) concernente l’ambito paesistico ISCE, ridotte possibilità di intervento sull’esistente, limitandole al risanamento conservativo e assoggettando qualunque intervento eccedente tale categoria alla elaborazione di un PUO di approvazione regionale.
Consegue, da tali rilievi, che la delibera impugnata ha avuto ad oggetto la disciplina introdotta ex novo, in sede di approvazione del progetto definitivo di P.U.C., dal Comune in ordine alle modalità d’uso delle aree per le quali la richiesta di variante era stata negativamente valutata dalla Regione in sede di parere sul progetto preliminare: essa, pertanto, ha riguardato la compatibilità della disciplina urbanistica comunale con le prescrizioni sovraordinate dal P.T.C.P. e con la relativa disciplina paesistica delle aree in questione, costituendo espressione del potere regionale di valutare la coerenza tra la disciplina puntuale in tema di utilizzo delle stesse e quella locale dettata dal primo, di cui la Regione è titolare indipendentemente dal fatto che l’ambito coinvolto sia compreso o meno (o non più) in una proposta di variante.
Allo stesso modo, la delibera impugnata non scaturisce dalla semplice diversità di approccio alla tematica de qua, sulla scorta di valutazioni di carattere discrezionale, in contraddizione con la posizione manifestata in sede di parere sul progetto preliminare: deve infatti osservarsi che il parere reso dalla Regione sul progetto definitivo costituisce espressione del medesimo orientamento, espresso in sede preliminare, volto alla tutela dei valori paesaggistici delle aree interessate, mentre il diverso contenuto dei due pareri si spiega con la diversità dell’oggetto della valutazione (in sede preliminare consistente nella proposta di variante, in sede di definitivo nella disciplina elaborata dal Comune a seguito dell’esito negativo della proposta di variante del P.T.C.P. e ritenuta dalla Regione ugualmente non satisfattiva delle esigenze di tutela paesistica delle aree de quibus).
Dal parere sul progetto preliminare si evince infatti, a giustificazione del mancato accoglimento della proposta di variante di cui si tratta, che “in detta zona è riscontrabile un modello insediativo a lotti con villa e parco d’epoca, risalente agli inizi del secolo scorso, che caratterizza l’intera zona ed è meritevole di essere mantenuto o quantomeno ripetuto come schema”, aggiungendosi che “gli interventi sul patrimonio edilizio esistente (…) dovranno essere resi congruenti con il regime di conservazione che si intende in questa sede confermare in quanto idoneo a salvaguardare i caratteri di pregio della zona”.
Quindi, in sede di valutazione del definitivo, la Regione rileva che “le possibilità di intervento ammesse dal PUC per gli ambiti ACE stp superano i limiti di intervento di cui al regime normativo di conservazione impresso dal PTCP che:
- consente solo limitate modifiche dell’esistente che non alterino la situazione in atto sia dal punto di vista ambientale che architettonico. Sono pertanto da ammettere interventi sugli edifici esistenti nel limite del risanamento e restauro conservativo.
(…)
- ammette interventi più incisivi solo in presenza di una disciplina urbanistica di livello puntuale di maggior dettaglio in grado di prefigurare l’esito finale dell’intervento e di garantire la coerenza con il regime paesistico di conservazione vigente. Qualunque intervento che superi i limiti suddetti dovrà pertanto essere oggetto di specifico PUO la cui approvazione, in ragione della valenza paesaggistica dei luoghi, compete all’Amministrazione regionale”.
Come si vede, quindi, il parere sul progetto definitivo, lungi dl contraddire quello sul preliminare, ne sviluppa i contenuti alla luce della disciplina urbanistica proposta dal Comune relativamente agli ambiti in cui ricade la proprietà della ricorrente.
Deduce ancora la parte appellante – lamentando il sostanziale difetto di pronuncia sul punto da parte del T.A.R. – che, in sede di definitivo, il Comune ha limitato gli interventi sull’esistente rispetto a quelli ammissibili ai sensi dell’art 25 delle n.t.a., senza che tale limitazione fosse imposta dalla Regione e senza che nessuna disposizione di legge lo prevedesse.
Lamenta inoltre che la Regione, con il parere impugnato, ha prescritto che gli interventi di ristrutturazione con cambio d’uso dovessero essere realizzati nell’ambito di un PUO ad approvazione regionale, pur in carenza dei presupposti all’uopo previsti dall’art. 69 l.r. n. 36/1997.
Nessuno dei due profili di censura è meritevole di accoglimento.
Quanto al primo, deve osservarsi che, come si evince dalla surriportata motivazione della d.G.R. n. 179/2008, la limitazione degli interventi ammissibili è discesa dal parere regionale e non ha costituito l’esito di una autonoma valutazione discrezionale del Comune.
Quanto al secondo, deve osservarsi che la disposizione (art. 69, comma 5, l.r. n. 36/1997) invocata non è pertinente.
Essa infatti, nel prevedere che “la Regione nel rendere le proprie valutazioni può disporre che gli interventi in attuazione delle previsioni oggetto delle varianti al PTCP di cui sopra, nonché gli interventi che comportino rilevanti trasformazioni in aree sottoposte a vincolo paesistico-ambientale, siano sottoposti ad obbligo di approvazione regionale, comprensiva del rilascio dell'autorizzazione paesistico-ambientale”, concerne gli interventi 1) diretti (e non previo PUO) e 2) attuativi delle varianti.
Premesso che non sussiste nessuno di tali casi, la scelta di imporre l’approvazione di un PUO regionale è frutto delle valutazioni discrezionali della Regione, dettate a miglior tutela delle esigenze paesaggistiche recepite dal P.T.C.P., la cui introduzione non trova ostacolo nella insussistenza di una previsione di legge che lo preveda.
Infine, la appellante deduce l’erroneità della limitazione posta dal T.A.R. all’effetto caducatorio della sentenza appellata, assumendo che esso non avrebbe dovuto essere soggettivamente circoscritto, alla luce del disposto annullamento della delibera di G.R. n. 179/2008.
Il motivo deve essere considerato improcedibile, dal momento che, come si vedrà, l’accoglimento dell’appello della Regione Liguria determina la riforma della sentenza appellata nella sua integrale componente caducatoria.
L’appello n. 7442/2014, in conclusione, deve essere in parte respinto ed in parte dichiarato improcedibile.
Per le ragioni che precedono, l’appello della Regione va accolto, l’appello della società in parte va respinto e in parte va dichiarato inammissibile, sicché – in riforma della sentenza del TAR – il ricorso di primo grado va respinto.
La complessità dell’oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa riunione degli stessi, accoglie l’appello della Regione Liguria, in parte respinge ed in parte dichiara improcedibile l’appello di Emea s.r.l. e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Spese dei due gradi di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2020 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
Ezio Fedullo, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Ezio Fedullo
Luigi Maruotti