Ristrutturazione ruderi in zona ente parco
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n. 7594 del 16 settembre 2024, sulla ristrutturazione ruderi in zona parco
MASSIMA
È legittimo il provvedimento dell’Ente Parco che, nell’operare il censimento di un rudere esistente nell’area del Parco, ponga come “annotazione” la sua non ricostruibilità per non essere ancora visibili i muri perimetrali con una consistenza pari ad almeno 1/3 della struttura muraria ipotizzata preesistente, come prescritto dal relativo Regolamento per la Riqualificazione del Patrimonio Edilizio del Parco, il quale non può considerarsi implicitamente abrogato ad opera dell’art. 30, comma 1, lett. a) del decrero legge n. 69 del 21 giugno 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 98 del 9 agosto 2013, che, nel modificare l’art. 3, comma 1, lett. d), consente interventi di ristrutturazione edilizia anche sui ruderi, a condizione che il proprietario sia in grado di dimostrarne la consistenza originaria, poiché la prevalenza delle definizioni degli interventi edilizi contenute nell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 è infatti predicata dall’art. 3, comma 2, del medesimo d.P.R. rispetto alle disposizioni degli “strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi”, ma non rispetto alle previsioni speciali in materia di tutela ambientale che rispondono a specifiche esigenze di salvaguardia; del pari, è a dirsi con riferimento all’art. 10 del decreto legge n. 76 del 16 luglio 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 120 dell’11 settembre 2020, che ha esteso la nuova e più comprensiva definizione di ristrutturazione edilizia (estesa agli edifici demoliti o crollati) alle zone sottoposte a vincolo paesaggistico, ma non a quelle sottoposte a vincolo di natura ambientale, come accade per le aree che ricadono nel perimetro del Parco.
SENTENZA
N. 07594/2024REG.PROV.COLL.
N. 01531/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1531 del 2021, proposto dalla Azienda Agricola Caterina Società Agricola in Accomandita Semplice di Moro Antonietta Anna & C (già Azienda Agricola Caterina S.a.s, di Mussini Simona & C), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Masetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via XXV Aprile, n. 11a/3;
contro
Ente Parco di Portofino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Renato Mottola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Alessio Petretti in Roma, via degli Scipioni 268 A;
Regione Liguria, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 00898/2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ente Parco di Portofino;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 marzo 2024 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Società ricorrente è proprietaria di un compendio immobiliare nel Parco naturale regionale di Portofino, comprendente alcuni terreni coltivati e frammenti della muratura perimetrale di un edificio (“Villa Prato”) distrutto durante la seconda guerra mondiale.
Con istanza presentata all’Ente Parco in data 23 giugno 2016, la proprietaria chiedeva che, in funzione di un successivo intervento ricostruttivo, i resti del fabbricato suddetto fossero inseriti nell’elenco dei ruderi presenti nell’area di protezione.
Le norme di attuazione del Piano del Parco prevedono, infatti, il censimento del patrimonio edilizio esistente e demandano ad apposito regolamento l’individuazione dei casi in cui è possibile la ricostruzione dei ruderi, a condizione che sussistano i muri perimetrali in misura almeno pari ad un terzo della struttura preesistente.
Con la deliberazione n. 10 del 28 marzo 2017, il Consiglio dell’Ente Parco ha espresso parere favorevole all’inserimento dei resti di “Villa Prato” nell’elenco dei ruderi di cui all’allegato “C” del Regolamento per la riqualificazione del patrimonio edilizio, “con la notazione che lo stesso rudere non potrà comunque essere ricostruito in quanto non risultano visibili i muri perimetrali con una consistenza pari ad almeno 1/3 della struttura muraria preesistente”.
Ritenendo che quest’ultima precisazione fosse pregiudizievole per i propri interessi, siccome preclusiva al rilascio del successivo nulla osta per la ricostruzione del rudere, la proprietaria ha impugnato in parte qua la deliberazione suddetta con ricorso al T.a.r. per la Liguria lamentando che:
1. in sede di censimento dei ruderi, il Consiglio dell’Ente Parco non avrebbe potuto esprimere alcuna prescrizione circa lo specifico intervento ricostruttivo, trattandosi di incombenza rimessa al Direttore dell’Ente dall’art. 20 dello Statuto sicchè la annotazione era affetta da vizio di incompetenza;
2. la contestata prescrizione non sarebbe pertinente alla domanda che il privato aveva formulato al solo scopo di conseguire l’iscrizione del proprio bene nel registro dei ruderi con conseguente violazione del principio della domanda di corrispondenza tra chiesto e pronunciato;
3. la prescrizione impugnata si porrebbe in contrasto con le disposizioni di cui all’allegato “A” che, per identificare i ruderi, non richiedono la visibilità di almeno un terzo delle murature originarie.
4. le disposizioni locali che richiedono la visibilità di almeno un terzo della preesistente muratura perimetrale sarebbero state, in ogni caso, tacitamente abrogate ovvero si porrebbero in contrasto con la normativa sopravvenuta che, innovando il concetto di “preesistenza edilizia” ai fini della regolamentazione degli interventi sul patrimonio edilizio esistente, ha incluso nella categoria della ristrutturazione edilizia anche gli interventi di ricostruzione di edifici crollati o demoliti, qualora sia possibile accertarne la preesistente consistenza;
5. l’Amministrazione procedente avrebbe frainteso gli apporti consultivi forniti nel corso del procedimento dal Ministero delle infrastrutture e dal Ministero dell’ambiente, in realtà non ostativi al recupero.
Con sentenza n. 898 del 2020 il T.a.r. per la Liguria ha respinto il ricorso osservando che:
a) poiché l’attività di censimento è chiaramente finalizzata all’individuazione dei ruderi suscettibili di ricupero edilizio, il Consiglio dell’Ente non poteva esimersi dall’evidenziare l’insussistenza delle condizioni richieste dal Piano e dal Regolamento per legittimare un intervento di ricostruzione del rudere, attraverso l’apposizione di una prescrizione che non costituisce indebita ingerenza nelle attribuzioni del Direttore dell’Ente definite dall’art. 20 dello Statuto e dall’art. 107 del d.lgs. n. 267/2000 e non provoca effetti distorsivi della competenza relativa ad un’istanza edificatoria non ancora presentata; l’aggiunta ritenuta ultronea rispetto alle competenze del Consiglio ed invasiva di quelle del direttore, si rendeva invero necessaria in ragione del fatto che la ricorrente, con la propria istanza, non si era limitata a chiedere l’inserimento del bene nell’elenco dei ruderi, ma aveva anche manifestato la volontà di procedere alla sua ricostruzione, soffermandosi sui presupposti che, a suo avviso, avrebbero reso assentibile tale intervento;
b) non potrebbe pertanto ritenersi che il Consiglio dell’Ente Parco abbia anticipato un giudizio negativo su un’istanza di nulla osta per la ricostruzione di “Villa Prato” non ancora presentata e nonostante l’interessata si fosse formalmente limitata a chiedere l’inserimento del proprio bene nell’elenco dei ruderi;
c) non sussisterebbe la denunciata la violazione delle disposizioni di cui all’allegato “A” del Regolamento per la riqualificazione del patrimonio edilizio del Parco di Portofino, muovendo dall’assunto per cui le stesse non richiedono, perché un relitto di struttura edilizia sia qualificato come rudere, la condizione di visibilità di un terzo delle sue originarie murature, reputata assente nel caso di specie: l’allegato infatti descrive le tipologie di “forme insediative presenti all’interno del Parco” ma non preclude la possibilità di disciplinare le condizioni per il loro recupero attraverso le previsioni pianificatorie e regolamentari;
d) non vi sarebbe alcun contrasto tra le predette previsioni regolamentari (che disciplinano i presupposti per il recupero dei ruderi) con l’art. 30, d.l. n. 69 del 2013, convertito dalla legge n. 98 del 2013 (e riprodotto dall’art. 12 della l.r. Liguria n. 40 del 2013), che ha incluso nella categoria della ristrutturazione edilizia gli interventi “di ricostruzione di edifici preesistenti crollati o demoliti, purché sia possibile accertarne la loro preesistente consistenza”, poiché la novella incide sul concetto di ristrutturazione edilizia come categoria generale ma non preclude alle normative speciali di settore di disciplinare i presupposti per il recupero dei ruderi nel perimetro del Parco; la disciplina dell’Ente Parco, si collocherebbe su di un piano del tutto diverso e selezionerebbe gli interventi ammissibili avendo riguardo non alla loro qualificazione giuridica (ristrutturazione o nuova costruzione) ma sulla base di scelte finalizzate alla conservazione delle caratteristiche paesaggistiche del territorio protetto, in coerenza con le finalità statutarie dell’Ente Parco;
e) la contestata prescrizione non sarebbe frutto di un’erronea lettura dei pareri resi dal Ministero delle infrastrutture e dal Ministero dell’ambiente: il primo, in particolare, riconoscerebbe espressamente la possibilità di introdurre vincoli da parte di strumenti di pianificazione di settore.
Avverso la predetta sentenza ha interposto appello l’Azienda Agricola Caterina Società Agricola per chiederne la riforma in quanto errata in diritto, articolando cinque motivi di appello.
Si è costituito in giudizio l’Ente Parco di Portofino per resistere all’appello, concludendo per la sua reiezione nel merito in quanto infondato.
Alla udienza pubblica del 14 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie conclusive e di replica con le quali le parti hanno nuovamente illustrato le rispettive tesi difensive.
Tanto premesso in fatto, va preliminarmente dichiarata la irrilevanza della documentazione fotografica depositata dalla appellante in data 2 febbraio 2024 e relativa allo stato dei luoghi per cui è causa, con conseguente assorbimento della eccezione di tardività sollevata dall’Ente Parco.
Nel merito il Collegio è dell’avviso che le motivazioni puntuali rese dal T.a.r. resistano alle critiche mosse dall’appellante per le seguenti ragioni.
Con il primo motivo di appello viene dedotto: “Erroneità ed ingiustizia dell’impugnata decisione. Mancata e/o errata valutazione di circostanze di fatto e diritto essenziali ai fini della decisione.”.
L’appellante lamenta che il Consiglio dell’Ente non avrebbe potuto esprimere, nell’ambito delle attività di censimento dei ruderi, un preventivo ed abnorme giudizio negativo sulla possibilità di ricostruire in futuro il rudere stesso per assenza di almeno 1/3 delle sue originarie murature, atteso che un simile giudizio, riguarda non già l’attività di mero censimento ma, semmai, la valutazione di una futura richiesta di nulla osta alla ricostruzione del rudere medesimo, il cui esame è riservato, ai sensi dell’art. 20 dello Statuto dell’Ente e dell’art. 107 del d. lgs. n. 267/2000, all’esclusiva competenza dirigenziale del Direttore dell’Ente Parco. La prescrizione sarebbe pertanto illegittimità per vizio di competenza.
Il motivo è infondato.
Il T.a.r. sul punto ha correttamente rilevato che: “L’attività di censimento, d’altronde, è chiaramente finalizzata all’individuazione dei ruderi suscettibili di ricupero edilizio, come aveva dimostrato di ben comprendere l’odierna ricorrente che, con la propria istanza, non si era limitata a chiedere l’inserimento del bene nell’elenco dei ruderi, ma aveva anche manifestato la volontà di procedere alla sua ricostruzione, soffermandosi sui presupposti che, a suo avviso, avrebbero reso assentibile tale intervento. Il Consiglio dell’Ente, quindi, non poteva esimersi dall’evidenziare l’insussistenza (resa palese dalle stesse fotografie presentate dal privato) delle condizioni richieste dal Piano e dal Regolamento per legittimare un intervento di ricostruzione del rudere, attraverso l’apposizione di una prescrizione che non costituisce indebita ingerenza nelle attribuzioni dell’organo gestionale e non provoca effetti distorsivi della competenza relativa ad un’istanza edificatoria non ancora presentata.”.
La annotazione è stata invero occasionata dal tenore dell’istanza della ricorrente che, anziché limitarsi a chiedere l’inserimento del rudere nell’elenco a tal fine previsto, ha inteso argomentare in diritto e documentare già in questa fase la sussistenza dei presupposti per procedere al suo recupero. A fronte di una istanza così circostanziata il Consiglio dell’Ente non poteva esimersi dal prendere posizione sul punto per evitare che il silenzio potesse essere interpretato come un avallo implicito alla tesi della istante circa la sussistenza di una qualità rilevante dell’immobile, da spendere nella successiva fase di richiesta del nulla osta.
Si è trattato dunque di una precisazione – non a caso qualificata come “annotazione” - introdotta in via cautelativa, a fronte di una peculiare modalità di presentazione della domanda di censimento che, lungi dal violare il principio di tipicità dei provvedimenti o le regole sulla competenza degli organi, è piuttosto espressione del principio di buona fede e del connesso obbligo del clare loqui che conformano la relazione procedimentale anche nei rapporti di diritto pubblico, tenuto altresì conto che l’operazione di censimento condiziona la successiva possibilità di recupero dei ruderi.
Del resto tale precisazione è altresì coerente con quanto previsto dall’art. 9 del Regolamento di Riqualificazione del Patrimonio Edilizio del Parco a mente del quale il Consiglio, nell’aggiornare il censimento dei manufatti di cui all’Allegato C, deve procedere ad una “previa acquisizione di ulteriori elementi conoscitivi”.
Il T.a.r. non ha dunque confuso l’attività ricognitiva di censimento e quella autorizzativa ma ha correttamente ritenuto non ultronea una precisazione formulata dal Consiglio dell’Ente per evitare che una condotta inerte potesse generare un affidamento circa una qualità essenziale dell’immobile da censire, rilevante ai fini del suo recupero, su cui l’appellante si era lungamente soffermata nell’istanza.
Così facendo non ha avallato alcuno sconfinamento del Consiglio dell’Ente nelle attribuzioni del direttore che conserva integro il proprio potere di rilasciare o negare il nulla osta all’esito delle verifiche istruttorie che saranno autonomamente condotte in caso di presentazione della relativa istanza.
La annotazione in esame non dequota, infatti, il potere del Direttore da potere discrezionale a potere vincolato – come invece eccepisce infondatamente l’appellante - poiché l’organo resta libero di condurre le verifiche di competenza e qualora dovesse, in ipotesi, ravvisare le condizioni di fatto e di diritto per il rilascio del nulla osta, potrà determinarsi in tal senso, previa congrua motivazione che chiarisca le circostanze di fatto o di diritto che non consentono di condividere il tenore della annotazione apposta dal Consiglio in sede di censimento.
Da quanto precede discende l’infondatezza anche del secondo motivo di appello con il quale l’appellante ha dedotto: “Erroneità ed ingiustizia dell’impugnata decisione. Mancata e/o errata valutazione di circostanze di fatto e di diritto essenziali ai fini della decisione.”.
L’appellante lamenta, in particolare, che la prescrizione in questione andrebbe oltre il tenore della domanda del 23 giugno 2016 finalizzata, esclusivamente, ad ottenere, ai sensi dell’art. 9 del Regolamento stesso, l’aggiornamento o la revisione del “Censimento dei ruderi” di cui all’allegato C al Regolamento medesimo mediante, appunto, l’inserimento, nell’allegato stesso, del rudere di cui qui si discute.
E’ vero piuttosto il contrario, poiché la ricorrente, già in sede di presentazione della domanda di aggiornamento del censimento ruderi, non solo ha allegato ma ha anche inteso comprovare, mediante apposita documentazione fotografica, la sussistenza dei requisiti in fatto ed in diritto (quanto alla normativa applicabile) per procedere alla ricostruzione; di qui la scelta prudenziale del Consiglio dell’Ente di introdurre una apposita annotazione circa la insussistenza della qualità che tale documentazione era finalizzata a comprovare già nella fase del censimento.
E’ dunque l’appellante che ha anticipato alla fase del censimento elementi istruttori sullo stato del rudere che avrebbe dovuto presentare in sede di rilascio del nulla osta, inducendo il Consiglio a chiarire in via prudenziale e cautelativa che ad essere censito era un rudere privo dei requisiti che l’istante aveva inteso comprovare al fine di poter auspicabilmente cristallizzare già in quella fase una qualità dell’immobile che sarebbe divenuta rilevante nel successivo iter di rilascio del nulla osta.
Che le intenzioni del ricorrente non fossero quelle di accertare la natura del rudere ma solo di presentare una istanza di censimento completa e di comprovare la titolarità di un interesse concreto ed attuale in tal senso, non rileva poiché ciò che conta è che la documentazione fotografica allegata e le stesse argomentazioni in diritto articolate a corredo della stessa fossero oggettivamente idonee ad ingenerare, in caso di silenzio, un affidamento circa le caratteristiche del rudere che l’interessata aveva, di fatto, inteso comprovare con la propria condotta.
Non si è trattato dunque di riscontrare negativamente ed intempestivamente un’istanza di nulla osta alla ricostruzione del rudere stesso, neppure presentata a quella data, ma di prevenire fraintendimenti circa i caratteri del rudere, per come rappresentati e documentati in sede di istanza di censimento, senza anticipazioni nè possibilità di condizionamenti rispetto alla successiva valutazione sul nulla osta riservata al Direttore.
Con il terzo motivo l’appellante ha dedotto “Erroneità ed ingiustizia dell’impugnata decisione. Mancata e/o errata valutazione di circostanze di fatto e di diritto essenziali ai fini della decisione.”.
Lamenta la erroneità della decisione del T.a.r. laddove non ha considerato che l’allegato A “Repertorio delle Forme Insediative” al Regolamento edilizio per la Riqualificazione del Patrimonio Edilizio dell’Ente non richiede affatto che per censire un rudere sia necessario che lo stesso abbia conservato almeno un terzo delle sue murature perimetrali: tale requisito non sarebbe contemplato dalla definizione di rudere ivi contenuta.
Il T.a.r. invece avrebbe disatteso il motivo rilevando che la classificazione di rudere contenuta nell’allegato A avrebbe “finalità prettamente conoscitive del patrimonio edilizio esistente, nelle sue diverse connotazioni, che non interferisce con le previsioni pianificatorie e regolamentari in tema di
ricostruzione dei ruderi”.
Il motivo è infondato poiché i caratteri del rudere non rilevano – come sostenuto dall’appellante - ai fini dell’inserimento nell’elenco di cui all’allegato C ma solo ai diversi fini dell’eventuale successivo recupero, tant’è che il rudere è stato effettivamente censito, sebbene con una annotazione relativa alle sue caratteristiche della cui ratio e legittimità si è detto nella disamina dei primi due motivi di appello con argomenti cui si rinvia e che valgono anche in relazione alla definizione di rudere contenuta nell’allegato A (nel senso che la predetta annotazione, per quanto non contemplata nella definizione di rudere contenuta Allegato A, trova giustificazione nel tenore della domanda della ricorrente).
In questi termini la motivazione del T.a.r., sul punto, deve essere integrata.
Con il quarto motivo l’appellante ha dedotto “Erroneità ed ingiustizia dell’impugnata decisione. Mancata e/o errata valutazione di circostanze di fatto e di diritto essenziali ai fini della decisione.”
Lamenta la erroneità della decisione del T.a.r. laddove non ha considerato fondato il motivo incentrato sulla avvenuta abrogazione ad opera dell’art. 30, comma 1, lett. a) del decreto legge n. 69/2013, (riprodotta, a livello regionale, nell’art. 12 della legge della Regione Liguria n. 40 del 2013) delle disposizioni contenute sia nell’art. 9, comma 4, lett. b) delle NTA del Piano del Parco sia nell’art. 16 del Regolamento per la Riqualificazione del Patrimonio Edilizio del Parco, poste a fondamento della qui contestata prescrizione, le quali, come detto, prescrivono che per poter ricostruire, nell’ambito di un intervento sull’esistente, un rudere “occorre che risultino ancora visibili i muri perimetrali con una consistenza pari ad almeno 1/3 della struttura muraria ipotizzata preesistente”.
Per effetto di tale innovativa disposizione, infatti, non sarebbe più necessario – a dire dell’appellante - che un fabbricato per poter essere ricostruito, nell’ambito di un intervento di mera ristrutturazione, pacificamente ammesso nella zona de qua, debba essere visibile per almeno 1/3 delle sue ipotizzate murature perimetrali originarie, come previsto dalle disposizioni regolamentari dell’Ente Parco, ma sarebbe, piuttosto, necessaria la prova della sua esatta consistenza anteriore alla demolizione.
Assume, in particolare, che il T.a.r. avrebbe errato nell’interpretare la portata dell’art. 30, comma 1, lett. a) del decreto legge n. 69/2013.
Il motivo è infondato.
Sul punto il T.a.r. ha correttamente rilevato il carattere speciale – e come tale non cedevole - della normativa applicata dall’Ente Parco rispetto a quella generale successiva, osservando che: “La novella legislativa ha inciso, infatti, sul concetto normativo di ristrutturazione edilizia che, secondo l’interpretazione corrente, postulava la preesistenza di un organismo dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura.
Ad oggi, la nuova definizione consente di porre in essere interventi di ristrutturazione edilizia anche sui ruderi, a condizione che il proprietario sia in grado di dimostrarne la consistenza originaria.
Ciò non implica, però, che i ruderi siano suscettibili di ricostruzione a prescindere dalle previsioni della disciplina urbanistica di zona né fa venir meno la potestà del pianificatore di operare scelte che, alla luce del peculiare contesto territoriale dell’area di protezione, escludono interventi volti al ricupero di strutture edilizie ormai non più riconoscibili.
Infatti, mentre il legislatore ha operato sul piano definitorio generale, dilatando la categoria della ristrutturazione edilizia, la disciplina dell’Ente Parco, che si colloca su un piano del tutto diverso, seleziona gli interventi ammissibili avendo riguardo, non alla loro qualificazione giuridica (ristrutturazione o nuova costruzione), ma all’entità della struttura muraria “superstite”.
Tale selezione costituisce frutto di una precisa scelta intesa alla conservazione delle caratteristiche paesaggistiche del territorio protetto, in coerenza con le finalità statutarie dell’Ente Parco, cui non può essere opposto il sopravvenuto ampliamento in termini generali dei confini della ristrutturazione edilizia.”.
Il Collegio condivide tale ricostruzione che resiste alle critiche mosse dall’appellante e pertanto deve essere confermata.
La stessa prevalenza delle definizioni degli interventi edilizi contenute nell’art. 3, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 380 del 2001 è infatti predicata dall’art. 3, comma 2, del medesimo d.P.R. rispetto alle disposizioni degli “strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi” ma non rispetto alle previsioni speciali in materia di tutela ambientale che rispondono a specifiche esigenze di salvaguardia: è, in altri termini, limitata alla materia urbanistica.
Lo stesso dicasi per l’art. 10 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, che ha esteso la nuova e più comprensiva definizione di ristrutturazione edilizia (estesa agli edifici demoliti o crollati) alle zone sottoposte a vincolo paesaggistico ma non a quelle sottoposte a vincolo di natura ambientale, come accade per le aree che ricadono nel perimetro del Parco.
Con il quinto motivo l’appellante ha dedotto: “Erroneità ed ingiustizia dell’impugnata decisione. Mancata e/o errata valutazione di circostanze di fatto e di diritto essenziali ai fini della decisione.”.
Lamenta che il T.a.r. avrebbe travisato il contenuto degli apporti consultivi, invero neppure previsti dal procedimento di che trattasi, resi dal Ministero delle Infrastrutture con nota del 28 dicembre 2016 e dal Ministero dell’Ambiente con nota del 3 febbraio 2017. Lamenta altresì una omessa pronuncia sul motivo di appello.
Il motivo è infondato per le motivazioni puntualmente illustrate dal T.a.r. e che il Collegio condivide.
Deve ribadirsi che lo stesso Ministero delle Infrastrutture ha rimarcato la necessità di tenere conto dei vincoli apposti sull’area interessata dalle normative urbanistiche ed edilizie locali, oppure da vincoli introdotti da strumenti di pianificazione di settore, come accade nel caso di specie.
Il motivo presenta anche profili di inammissibilità per difetto di interesse in quanto il thema decidendum non è rappresentato dalla corretta valutazione degli apporti consultivi forniti dai Ministeri interpellati – sollecitati su di una questione di diritto - bensì quello della corretta interpretazione dell’art. 3, comma 2, del D.P.R. 380/2001 e del suo rapporto con la previgente normativa speciale del Parco che va risolto nei termini chiariti nella disamina del quarto motivo di appello cui si rinvia.
Alla luce delle motivazioni che precedono l’appello deve, pertanto, essere respinto.
La peculiarità in fatto della controversia induce il Collegio a ritenere sussistenti giusti motivi per compensare le spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2024 con l’intervento dei magistrati:
Luca Lamberti, Presidente FF
Silvia Martino, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore
Rosario Carrano, Consigliere
Eugenio Tagliasacchi, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Luca Monteferrante
Luca Lamberti
IL SEGRETARIO