SCIA
Pubblico
Mercoledì, 10 Agosto, 2016 - 02:00
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 28-06-2016, n. 2842, in materia di SCIA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4837 del 2014, proposto da:
N.G., rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Manzi, Paolo Tamietti, con domicilio eletto presso l'avvocato Paolo Tamietti in Roma, Via Acciaioli N.7;
contro
Comune di Roma - Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Cristina Montanaro, domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove 21;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I QUA n. 05516/2014, resa tra le parti, concernente ordine di rimozione o demolizione di opere realizzate abusivamente
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Roma - Roma Capitale,;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2016 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti gli avvocati Manzi e Tamietti;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con la sentenza appellata il T.a.r. Lazio, Roma, ha respinto il ricorso proposto in primo grado dal sig. G.N. per l'annullamento della determinazione dirigenziale n. 3119 del 17.12.2003, con la qual eil Dirigente dell'ex Municipio II del Comune di Roma, con riferimento all'immobile sito in Roma, via Mangili n. 3, rilevando presunti interventi edilizi abusivi di "ristrutturazione in assenza del titolo abilitativo", ha ingiunto al ricorrente, nella qualità di proprietario e committente, la rimozione o demolizione entro 30 giorni dalla notifica "di tutte le opere abusivamente realizzate così come specificate in narrativa, delle ulteriori eventuali opere abusive nel frattempo eseguite, nonché il ripristino dello stato dei luoghi".
2. Ha proposto appello il sig. Niolu deducendo vizi eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria e violazione di legge sotto diversi profili.
3. Si è costituito in giudizio il Comune di Roma chiedendo il rigetto dell'appello.
4. L'appello merita accoglimento.
5. Risulta fondato, in particolare, il vizio di difetto di motivazione dedotto dall'appellante.
Come già rilevato da questa Sezione in sede cautelare (cfr. ordinanza 4 agosto 2014, n. 3511), l'Amministrazione, soprattutto quando interviene a distanza di anni dalla formazione di un titolo abilitativo astrattamente idoneo alla realizzazione di alcuni lavori, deve illustrare in maniera diffusa le ragioni, anche di interesse pubblico, che giustificano il ritiro dell'abilitazione, ovvero le altre ragioni che impongono il provvedimento sanzionatorio con l'ordine di riduzione in pristino.
Nella specie tale motivazione non può ritenersi sufficiente in quanto non si evincono i profili di asimmetria sostanziale tra quanto assentito con la d.i.a. e quanto realizzato.
Come già precisato da questa Sezione, infatti, la d.i.a., una volta decorsi i termini per l'esercizio del potere inibitorio-repressivo, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l'esercizio del potere di autotutela decisoria. Pertanto, deve considerarsi illegittima l'adozione, da parte di un'Amministrazione comunale, di un provvedimento repressivo-inibitorio della d.i.a. (già consolidatasi) oltre il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della d.i.a. e senza le garanzie e i presupposti previsti dall'ordinamento per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4780).
Tale interpretazione è stata, di recente, indirettamente confermata dalla Corte costituzionale con la sentenza 9 marzo 2016, n. 46, la quale ha dichiarato incostituzionale, perché viola i principi fondamentali dell'ordinamento statale in materia edilizia, l'art. 84-bis, comma 2, lett. d) della L.R. Toscana 3 gennaio 2015, n. 1, che consentiva all'Amministrazione di esercitare poteri sanzionatori per la repressione degli abusi edilizi, anche oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, in un numero di ipotesi più ampio rispetto a quello previsto dai commi 3 e 4 dell'art. 19 della L. n. 241 del 1990.
La Corte costituzionale nell'accogliere la questione di costituzionalità ha precisato che nell'ambito della materia concorrente "governo del territorio", prevista dall'art. 117, terzo comma, Cost., i titoli abilitativi agli interventi edilizi costituiscono oggetto di una disciplina che assurge a principio fondamentale, e tale valutazione deve ritenersi valida anche per la denuncia di inizio attività (DIA) e per la SCIA che, seppure con la loro indubbia specificità, si inseriscono in una fattispecie il cui effetto è pur sempre quello di legittimare il privato ad effettuare gli interventi edilizi.
La Corte costituzionale ha aggiunto che tale fattispecie ha una struttura complessa e non si esaurisce, rispettivamente, con la dichiarazione o la segnalazione, ma si sviluppa in fasi ulteriori: una prima, di ordinaria attività di controllo dell'Amministrazione (rispettivamente nei termini di sessanta e trenta giorni); una seconda, in cui può esercitarsi l'autotutela amministrativa.
Non vi è dubbio, infatti, che anche le condizioni e le modalità di esercizio dell'intervento della pubblica amministrazione, una volta che siano decorsi i termini in questione, debbano considerarsi il necessario completamento della disciplina di tali titoli abilitativi, poiché la individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza rispetto alle verifiche effettuate dall'Amministrazione successivamente alla maturazione degli stessi.
La disciplina di questa fase ulteriore, dunque, è parte integrante di quella del titolo abilitativo e costituisce con essa un tutt'uno inscindibile.
Il suo perno è costituito da un istituto di portata generale - quello dell'autotutela -che si colloca allo snodo delicatissimo del rapporto fra il potere amministrativo e il suo riesercizio, da una parte, e la tutela dell'affidamento del privato, dall'altra.
Non è un caso, del resto, che è proprio a questa fase della formazione dei titoli in esame che il legislatore abbia dedicato la maggiore attenzione, ritornando più volte sull'argomento, al fine di pervenire ad un giusto equilibrio fra le esigenze di certezza delle situazioni giuridiche maturate a seguito della DIA e della SCIA e le ragioni di tutela dell'interesse pubblico urbanistico.
Ne discende che anche per questa parte la disciplina in questione costituisce espressione di un principio fondamentale della materia "governo del territorio".
6. Nel caso di specie, il Comune di Roma - Roma Capitale ha violato questo principio fondamentale adottando un provvedimento repressivo-ripristinatorio al di fuori delle garanzie, specie motivazionali, richieste per l'esercizio del potere di autotutela.
In conclusione, quindi, l'appello deve essere accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, deve accogliersi il ricorso di primo grado.
7. Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e sono liquidate in complessivi Euro 7.000.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado.
Condanna il Comune di Roma - Roma Capitale al pagamento a favore del sig. G.N. delle spese del doppio grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 7.000, oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere