Silenzio inadempimento ed autotutela
Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, (Sezione Prima), sentenza n. 1669 del 7 luglio 2021, sul silenzio inadempimento in caso di autotutela
MASSIMA
Il potere di autotutela soggiace alla più ampia valutazione discrezionale della Pubblica amministrazione e non si esercita in base ad un'istanza di parte, avente al più portata meramente sollecitatoria e inidonea, come tale, ad imporre alcun obbligo giuridico di provvedere, con la conseguente inutilizzabilità del rimedio processuale previsto avverso il silenzio-inadempimento della P.A.
SENTENZA
N. 01669/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00359/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 359 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Jacopo Gendre e Andrea Mecca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, domiciliataria ex lege in Milano, via Freguglia, 1;
per l'annullamento
quanto al ricorso introduttivo
del decreto del Prefetto di Milano del 16 novembre 2015 di rigetto del ricorso esperito avverso il provvedimento del Questore di Milano del 20 agosto 2015, recante l’ordine di cessazione immediata dell’attività di -OMISSIS-;
nonché per l’accertamento
quanto all’atto recante motivi aggiunti
della illegittimità del silenzio serbato dalla Amministrazione sulle istanze di revoca in autotutela del provvedimento del Questore del 20 agosto 2015, plurimamente presentate nel 2016 e nel 2017 dal ricorrente.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 9 giugno 2021, tenutasi da remoto, Rocco Vampa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con provvedimento del 20 agosto 2015 il Questore di Milano ordinava al ricorrente, esplicante attività di -OMISSIS- per conto di società debitamente autorizzata all’uopo ex art. 115 TULPS, la immediata cessazione di tale peculiare funzione lavorativa, in ragione della esistenza di una congerie di sentenza di condanna inflitte a suo carico, per una pluralità di distinte ipotesi delittuose (minacce, ingiurie e lesione: 1 anno di reclusione; calunnia: 1 anno di reclusione; bancarotta: 1 anno e mesi 11 di reclusione; detenzione e cessione di sostanze stupefacenti: anni 5 e mesi 10 di reclusione; omessa dichiarazione annuale di imposta: 1 anno e mesi due di reclusione).
1.1. Con provvedimento del 16 novembre 2015, di poi, il Prefetto di Milano respingeva il ricorso gerarchico presentato dal ricorrente avverso il ridetto decreto del Questore, rilevando che la pluralità delle condanne riportate dal ricorrente nel corso degli anni, e le peculiari condotte di reato ascritte, deponessero per la fondatezza del giudizio di inaffidabilità ex art. 11 TULPS posto a fondamento del primigenio provvedimento di ablazione personale.
1.2. Avverso tale provvedimento insorgeva il sig. -OMISSIS- ad unico motivo del gravame essenzialmente deducendo:
- violazione di legge in relazione agli artt. 11 e 115 TULPS – violazione dei principi di certezza, legittimo affidamento e ragionevolezza, per avere la Amministrazione operato una valutazione di inaffidabilità nei confronti del ricorrente a distanza di anni dalla emanazione delle sentenze penali, tenuto conto che gli episodi posti a fondamento delle condanne richiamate nel provvedimento sarebbero risalenti e, in ogni caso, antecedenti all’avvio della attività del ricorrente (2011) e quindi già conosciute dalla medesima Autorità e, in allora, non reputate ostative all’espletamento della attività stessa che, di contro, a distanza di anni ed ex abrupto col gravato provvedimento si inibiva; anche la mancata riabilitazione in relazione alla sentenza di condanna ad oltre 5 anni di reclusione, sarebbe addebitabile ad errori materiali della Questura nella redazione della relazione fornita poi al Tribunale di sorveglianza.
1.3. In data 2 maggio 2016, di poi, interveniva la agognata riabilitazione per tale ultimo reato, ciò che induceva il ricorrente a presentare in data 16.6.2016 istanza di riesame in autotutela, rappresentando –oltre alla emanazione del provvedimento di riabilitazione- le medesime circostanze poste a fondamento del gravame giurisdizionale.
1.4. Detta istanza, unitamente a quelle di poi riproposte dal ricorrente nel luglio e nell’ottobre 2017, non venivano riscontrate dalla Amministrazione; di qui la proposizione dell’atto recante motivi aggiunti, volto a censurare la illegittimità del silenzio e per la declaratoria dell’obbligo di provvedere (a revocare in autotutela l’ordine del Questore dell’agosto 2015).
1.5. Si costituiva in guisa meramente formale la Amministrazione e la causa, al fine, veniva introitata per la decisione all’esito della odierna udienza, tenutasi da remoto.
DIRITTO
2. Il ricorso non è fondato.
2.1. E, invero:
- il diniego, ovvero la revoca della autorizzazione di polizia ex art. 11 (e 115, nella fattispecie che ne occupa, relativa all’agente di una società titolare della licenza per lo svolgimento dell’attività di -OMISSIS- per conto di terzi) TULPS -ovvero del porto d’armi, nonché il divieto di detenzione delle stesse- costituiscono esplicazione di potestà connotata da ampi margini di discrezionalità (CdS, III, 9 agosto 2018, n. 4887);
- si è formata una ormai univoca giurisprudenza secondo cui l’Autorità di pubblica sicurezza gode di ampia discrezionalità nel valutare la sussistenza dei requisiti di affidabilità del soggetto che richiede, ovvero che è già in possesso, di una licenza di polizia; ai sensi dell’art. 11 del TULPS, il compito che esercita l’Autorità non è di tipo sanzionatorio, né tantomeno punitivo, ma di natura cautelare, consistente nel garantire che l’espletamento di determinate attività – non a caso soggette ad “autorizzazione di polizia”- sia consentito solo a persone in possesso di requisiti di “onorabilità” e “affidabilità”, prevenendo in nuce abusi, a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblici;
- ai sensi dell’art. 11 TULPS, indi, ai fini della revoca dell’autorizzazione ovvero del divieto di espletare una determinata attività –nella specie, quella di agente di una società autorizzata ex art. 115 TULPS- l'Amministrazione è tenuta a valutare se manchi la buona condotta, per la commissione di fatti che, sebbene non costituiscano reato, comunque non rendano i richiedenti meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia (non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell'interessato);
- nella fattispecie, la congerie di sentenze di condanna riportate dal ricorrente nel corso degli anni -anche a voler tenere in non cale la più grave di esse, conclusa con pena ad oltre cinque anni di reclusione- e la natura pregnante e variegata delle figure criminose integrate, vale per certo a supportare il giudizio di inaffidabilità, ovvero di insussistenza della “buona condotta” ex lege richiesta, posto a fondamento dell’agere inibitorio della Autorità;
- le plurime condotte del ricorrente, offensive di una disparata serie di interessi, sono –valutate nel loro complesso, e non in guisa atomistica- esemplarmente rivelatrici della patente inaffidabilità in allora di esso ricorrente, tali da escludere radicitus i requisiti di affidabilità e di buona condotta all’uopo necessari nel momento di emanazione dell’ordine (agosto 2015);
- immune da patenti vizi di ragionevolezza e di logicità si palesa l’esercizio della discrezionalità da parte della resistente Autorità, tenuto conto che la pluralità di reati ascritti al ricorrente assume una significanza tutt’affatto peculiare proprio ai fini che ci occupano, con una connotazione di riprovevolezza e di disvalore che non può non rilevare nell’“ordinamento settoriale” che disciplina e conforma le attività sottoposte a “riserva normativa”, segnatamente quelle condizionate al rilascio di autorizzazioni di polizia;
- né del resto può attribuirsi soverchia rilevanza alla intervenuta riabilitazione, trattandosi di fatto sopravvenuto e, indi, non suscettibile di incidere sullo scrutinio di legittimità che ne occupa, astretto come è noto ed in ossequio al principio tempus regit actum, alle condizioni di fatto e di diritto esistenti al momento della emanazione del potere.
2.2. Anche le osservazioni volte alla emersione di una pretesa contraddittorietà dell’azione amministrativa, avendo in passato l’Autorità consentito al ricorrente l’espletamento della attività, malgrado l’esistenza delle citate sentenze di condanna a suo carico, non sono fondate, atteso che:
- in linea generale, pertiene alla Autorità di polizia il diuturno munus di perseguire l’interesse pubblico di cui è attributaria, valorizzando in continuum tutte le circostanze all’uopo rilevanti, siano esse sopravvenute, ovvero oggetto di una nuova ponderazione, anche re melius perpensa, dovendosi conseguentemente ritenere che l’avvio e lo svolgimento ab initio della attività non valgono per certo ad ingenerare, né tampoco a consolidare, un affidamento meritevole di tutela in capo all’interessato;
- contrariamente a quanto sostenuto dall’istante, l’iniziale espletamento della attività non gli ha attribuito alcun diritto al suo perdurante svolgimento de futuro, essendo questo sempre subordinato alla valutazione, da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, della sussistenza delle condizioni di legge all’esito di un diuturno munus di vigilanza.
2.3. Anche l’atto recante motivi aggiunti, con cui si pretende stigmatizzare il silente contegno serbato dalla Amministrazione sulle istanze di riesame in autotutela nel tempo avanzate dal ricorrente, non merita miglior sorte, stante:
- l’inveterato insegnamento giurisprudenziale per cui il “potere di autotutela soggiace alla più ampia valutazione discrezionale della Pubblica amministrazione e non si esercita in base ad un'istanza di parte, avente al più portata meramente sollecitatoria e inidonea, come tale, ad imporre alcun obbligo giuridico di provvedere, con la conseguente inutilizzabilità del rimedio processuale previsto avverso il silenzio-inadempimento della P.A.” (solo da ultimo, CdS, III, 18 gennaio 2021, n. 539);
- in ogni caso, la patente inidoneità delle “sopravvenienze” allegate dal ricorrente (segnatamente quella relativa alla riabilitazione relativamente alla condanna per cessione di stupefacenti) ad incrinare il giudizio di inaffidabilità in allora e a suo tempo formulato dal Questore, confermato dal Prefetto, e men che meno ad eccitare la potestas di autotutela, potendo al più supportare una nuova istanza, anche della società titolare della licenza di polizia, volta ad eventualmente sollecitare un esame ex novo della situazione personale del ricorrente e della sua attuale idoneità all’ingresso nel peculiare “ordinamento sezionale” che ne occupa.
4. Le peculiari connotazioni della controversia inducono, nondimeno, a compensare inter partes le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2021, tenutasi da remoto, con l'intervento dei signori magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Fabrizio Fornataro, Consigliere
Rocco Vampa, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Rocco Vampa
Domenico Giordano
IL SEGRETARIO