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Sulla ammissibilità o meno di sanatoria di opere realizzate sulla base di autorizzazione paesaggistica annullata - Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 6049 del 10.12.2014

Pubblico
Giovedì, 11 Dicembre, 2014 - 01:00

I Giudici di Palazzo Spada affrontano, nella sentenza in rassegna, il tema della ammissibilità di un poter amministrativo di sanatoria di opere realizzate sulla base di una autorizzazione paesaggistica annullata. 
 
Ricordano che il Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza 26 marzo 2014, n. 1472, ha esaminato per la prima volta la questione relativa alla ammissibilità di una fase di riedizione del potere successivamente all’annullamento giudiziale dell’autorizzazione paesaggistica. 
 
Con la citata decisione si è affermato che le norme riportate, come risulta dal loro tenore letterale, non consentono la sanatoria di interventi realizzati in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, ammettendo il rilascio di un provvedimento di compatibilità soltanto nel caso di abusi minori.
Si tratta di norme imperative di divieto di fattispecie specificamente descritte, con individuazione di quelle sottratte al divieto stesso.
 
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Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), sentenza n.6049 del 10 dicembre 2014, sull’ammissibilità di un potere amministrativo di sanatoria di opere realizzate sulla base di una autorizzazione paesaggistica annullata.
 
N. 06049/2014REG.PROV.COLL.
N. 01244/2013 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1244 del 2013, proposto da: 
Tinvest s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Guido Romanelli e Alberto Luppi, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via Pacuvio, 34; 
contro
Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per beni architettonici e paesaggistici - Brescia Cremona e Mantova, Soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio - Brescia Cremona e Mantova, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati presso i suoi uffici in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 
Comune di Tremosine, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Paolo Rolfo in Roma, via Appia Nuova, 96; 
per la riforma
della sentenza 13 luglio 2012, n. 1335, del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione Staccata di Brescia, Sezione I.
 
 
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio; Viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2014 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Luppi, Rolfo, per delega dell’avvocato Bezzi e l’avvocato dello Stato Ventrella.
 
 
FATTO
1.– La società Tinvest s.r.l. è proprietaria di alcune aree site nella frazione Pieve del Comune di Tremosine, interessate da un piano di lottizzazione definitivamente approvato con deliberazione del
23 marzo 2001, finalizzato alla realizzazione di edifici da destinare in parte ad uso residenziale ed in parte ad uso turistico-ricettivo.
La società e il Comune, in data 16 ottobre 2003, stipulavano la convenzione urbanistica.
In data 2 agosto 2005 la società inoltrava al Comune istanza di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, resa necessaria dalla presenza del vincolo imposto con decreto ministeriale 22 ottobre 1958 all’intera zona costiera del Lago di Garda.
La Comunità Montana del parco Alto Garda Bresciano, ente deputato al rilascio dell’autorizzazione in questione, con atto del 27 settembre 2005, prot. n. 9547, recependo il parere favorevole con prescrizioni espresso dalla Commissione edilizia integrata in data 7 aprile 2005 (sulla base delle valutazioni espresse dagli esperti paesaggisti), rilasciava l’autorizzazione paesaggistica.
La Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Brescia, Mantova e Cremona, con il decreto del 22 novembre 2005, prot. n. 69, annullava il nulla osta in questione, rilevando, tra l’altro, «che l’istruttoria è carente per non aver approdato a considerazioni lineari quali la mancanza di punti panoramici all’interno del piano di lottizzazione che verrebbero esclusi e l’aver considerato il blocco degli edifici contrassegnato con la lettera B, di ben tre metri più alto della cresta, quale sostanziale mantenimento della percezione delle creste esistenti che risultano sempre più alte dei nuovi volumi».
La società impugnava tale decreto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, che, con sentenza 12 gennaio 2007, n. 18, accoglieva il ricorso e, per l’effetto, annullava il provvedimento della Soprintendenza.
L’amministrazione impugnava detta sentenza.
Il Consiglio di Stato, con sentenza 17 luglio 2008, n. 3609, accoglieva l’appello, rilevando quanto segue:
- «l’atto autorizzativo, ritenendo la compatibilità del progettato intervento rispetto ai valori paesaggistici riconosciuti dal vincolo, si è basato sulla circostanza della totale non visibilità dell’intervento dal sottostante lago, per essere l’intervento in questione interamente posizionato ad un’altezza inferiore rispetto a quella della cresta rocciosa prossima al dirupo in affaccio sul lago»;
- «dalle risultanze in atti emerge che la circostanza nella specie tenuta presente non corrisponda al reale stato dei luoghi»;
- «dalla documentazione in atti emerge che le sommità dei progettati edifici supererebbe in altezza il predetto crinale roccioso per circa 3-5 mt., in tal modo rendendo certamente visibili tali sommità dal bacino lacustre»;
- in particolare, «la realizzazione dell’intervento programmato comporterebbe un’alterazione della skyline della zona interessata atteso che (come evincibile dalle indicazioni altimetriche ritraibili dalla planimetria generale) il complesso di costruzioni denominato ‘B’ è impostato a quota 370 e 375 mt., mentre il cono ottico del lago ha punti tutti più bassi di 370 mt.»;
- ne consegue che «il blocco di costruzioni risulterebbe visibile dal lago, con la conseguenza che il provvedimento statale di annullamento risulta corretto quanto meno per la parte in cui ha ritenuto l’atto di autorizzazione paesaggistica illegittimo per travisamento dei presupposti fattuali posti a fondamento dell’esercizio della relativa attività».
2.– La società, successivamente all’annullamento del decreto della Soprintendenza da parte del Tribunale amministrativo, aveva provveduto a realizzare tre dei quattro edifici autorizzati nel 2005 (edifici A, B e C) per una superficie di 6.000 mc., inferiore a quella originariamente assentita.
La società, pertanto, presentava, in data 1° giugno 2010, una istanza all’amministrazione al fine di ottenere una rinnovata valutazione di compatibilità paesaggistica per un progetto che prevedeva, per superare le criticità evidenziate dalla Soprintendenza e dal Consiglio di Stato, con la citata sentenza, la demolizione di parte dell’ultimo piano del fabbricato B, al fine di ridurne l’altezza ed eliminare quelle emergenze incidenti sulloskyline paesaggisticamente rilevante.
La Soprintendenza, con atto del 7 luglio 2010, prot. n. 6375, rendeva parere negativo in quanto «le opere realizzate prima che l’iter procedurale giudiziario giungesse al termine (…) si configurano come eseguite in assenza di autorizzazione paesaggistica e, pertanto, in violazione degli ordini previsti dal titolo I della parte terza del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137)».
Il Comune, preso atto di detto parere, con atto del 23 agosto 2010, prot. n. 6840, ha rigettato l’istanza.
La società ha impugnato anche tale atto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, rilevando, tra l’altro, che l’intervento realizzato in base ad autorizzazione annullata non sarebbe assimilabile all’intervento privo di autorizzazione.
2.1.– Il Tribunale, con sentenza 13 luglio 2012, n. 1335, ha rigettato il ricorso, rilevando come l’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004 non consenta una sanatoria paesaggistica di opere già realizzate.
2.2.– La società ha proposto appello riproponendo le censure prospettate nel giudizio di primo grado.
2.3.– Si è costituito in giudizio il Ministero intimato e il Comune chiedendo il rigetto dell’appello.
2.4.– Il Consiglio di Stato, con ordinanza 30 aprile 2014, n. 1722, ha accolto l’istanza cautelare sospendendo gli effetti della sentenza impugnata.
3.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 4 novembre 2014.
DIRITTO
1.– La questione posta all’esame del Collegio attiene all’ammissibilità di un potere amministrativo di sanatoria di opere realizzate sulla base di una autorizzazione paesaggistica annullata.
2.– Con l’atto di appello si sostiene, criticando la sentenza impugnata, che, essendo state le opere realizzate dopo che il Tribunale amministrativo ha annullato l’atto della Soprintendenza di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, la costruzione degli edifici sarebbe avvenuta in un periodo in cui essa era “coperta” da legittimi ed efficaci atti amministrativi che autorizzavano l’intervento.
3.– L’appello è fondato.
4.– L’articolo 159 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), applicabile ratione temporis, ha previsto un regime transitorio, vigente sino al 31 dicembre 2009, secondo cui il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica avviene all’esito di un procedimento complesso composto da due fasi necessarie: l’una di competenza dell’amministrazione locale che svolge valutazioni tecniche in ordine alla compatibilità delle opere con il paesaggio; l’altra di competenza dell’amministrazione statale che svolge, nell’ottica della cogestione del vincolo, un “controllo” in ordine alle modalità di svolgimento delle suddette valutazioni, con divieto, in presenza di una adeguata motivazione, di sovrapporre propri giudizi a quelli sottoposti al suo esame (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9).
L’art. 146, comma 4, ha disposto che «fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi». Il richiamato articolo 167 ha stabilito che tale divieto non opera nei casi in cui: a) i lavori eseguiti non hanno determinato la «creazione di superficie utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati»; b) sono stati impiegati «materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica»; c) gli interventi eseguiti sono qualificabili quali «interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria» ai sensi dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
L’articolo 159, comma 4, ha previsto che, anche nella fase transitoria, si applica quanto stabilito, tra l’altro, dall’art. 146, comma 4, e quindi opera il divieto di sanatoria con le indicate eccezioni.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza 26 marzo 2014, n. 1472, ha esaminato per la prima volta la questione relativa alla ammissibilità di una fase di riedizione del potere successivamente all’annullamento giudiziale dell’autorizzazione paesaggistica.
Con la citata decisione si è affermato che le norme riportate, come risulta dal loro tenore letterale, non consentono la sanatoria di interventi realizzati in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, ammettendo il rilascio di un provvedimento di compatibilità soltanto nel caso di abusi minori.
Si tratta di norme imperative di divieto di fattispecie specificamente descritte, con individuazione di quelle sottratte al divieto stesso.
Il legislatore non ha ricompreso, si è chiarito con la citata decisione, nell’ambito di applicazione della disposizione in esame la realizzazione di lavori eseguiti sulla base di una autorizzazione paesaggistica rilasciata e, successivamente, annullata in sede giurisdizionale. Né, si è puntualizzato, «sarebbe ammissibile una interpretazione analogica del citato articolo 146, comma 4, in quanto, venendo in rilievo una norma di proibizione, la stessa, per la sua natura eccezionale, non è suscettibile di applicazione a casi diversi da quelli espressamente contemplati». Ma anche a volere prescindere da tale aspetto, «non sussisterebbe neanche la identità di ratio che giustifica il procedimento di interpretazione analogica: non sono, infatti, equiparabili le due fattispecie costituite, da un lato, dall’assenza o difformità dal titolo, dall’altro, dall’esistenza di un titolo invalido ma, sino alla sentenza del giudice amministrativo, pienamente efficace».
Questi principi, che si fondano sulla tutela dell’affidamento di chi ha realizzato le opere in un momento in cui sussistevano legittimi titoli abilitativi, sono applicabili anche al caso in cui l’atto autorizzatorio sia stato annullato con un atto di controllo della Soprintendenza a sua volta annullato con sentenza immediatamente esecutiva del Tribunale amministrativo.
5.– Applicando i suddetti principi al caso di specie ne discende la fondatezza dell’appello.
Nel fattispecie all’esame del Collegio la società ha ottenuto, con atto del 27 settembre 2005, prot. n. 9547, l’autorizzazione paesaggistica da parte dell’ente locale competente. Il successivo annullamento di tale autorizzazione, avvenuto con decreto del 22 novembre 2005, prot. n. 69, da parte della Soprintendenza è stato annullato, a sua volta, con sentenza 12 gennaio 2007, n. 18, dal Tribunale amministrativo. La società, in virtù del fatto che la sentenza fosse auto-esecutiva e avesse riassegnato piena validità ed efficacia al titolo autorizzatorio, ha realizzato le opere. Tale realizzazione è, pertanto, avvenuta in un momento temporale in cui sussistevano legittimi titoli abilitativi, senza che possa essere di impedimento la circostanza che successivamente il Consiglio di Stato, con sentenza n. 9540 del 2008, abbia accolto l’appello.
6.– Per le ragioni sin qui esposte, i motivi posti a base del diniego della Soprintendenza sono illegittimi.
7.– La natura della controversia e la novità della soluzione interpretativa fornita dal Consiglio di Stato, con la sentenza sopra riportata, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti 7 luglio 2010, prot. n. 6375, della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Brescia, Mantova e Cremona e 23 agosto 2010, prot. n. 6840, del Comune di Tremosine;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Carlo Mosca, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Pubblicato in: Urbanistica » Giurisprudenza

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