Sulle ipotesi tipiche di sanabilità abusi
Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce - Sezione Terza, sentenza n. 117 del 24 gennaio 2017, sulle ipotesi tipiche in cui non dar seguito ad ordinanza di demolizione
N. 00117/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00093/2016 REG.RIC.IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 93 del 2016, proposto da:
OMISSIS, rappresentati e difesi dall'avvocato Ernesto Sticchi Damiani (C.F. STCRST41E16D862W), con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via 95° Rgt. Fanteria, 9;
contro
Comune di Minervino di Lecce, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Agostino Rizzo (C.F. RZZGTN85A13G751U), con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Valeria Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore, 16;
per l'annullamento
- dell'ordinanza di demolizione n. 64 del 9 novembre 2015, a firma del Responsabile dell’ “Ufficio Tecnico Comunale - Servizio Assetto e Sviluppo del Territorio” del Comune di Minervino di Lecce;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Minervino di Lecce;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2016 la dott.ssa Maria Luisa Rotondano e uditi per le parti gli avv.ti E. Sticchi Damiani e V. Pellegrino, quest'ultima in sostituzione dell’avv. A. Rizzo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.FATTO
I signori OMISSIS - rispettivamente comodatario e proprietaria di un immobile ubicato su di un terreno ricadente in Zona “E1 Verde Agricolo Extraurbano” sito in Minervino di Lecce - impugnano, domandandone l’annullamento:
1) l’ordinanza n. 64 del 9 novembre 2015, con la quale il Responsabile dell’ “Ufficio Tecnico Comunale - Sviluppo ed Assetto del Territorio” del Comune di Minervino di Lecce ha (nuovamente) ingiunto (visto il verbale di sopralluogo datato 5 ottobre 2015, “dal quale si evince che lo stato dei luoghi è immutato rispetto all’epoca del primo sopralluogo in cui è stato accertato l’abuso” e, quindi, rispetto alla precedente ordinanza n. 6 del 3 aprile 2007) la demolizione di alcune opere edilizie realizzate presso il suddetto fabbricato (adibito ad attività artigianale di “Autolavaggio e autoriparazione”) in assenza di autorizzazione edilizia e/o in difformità a quelle autorizzate, consistenti in diversa ubicazione sul lotto, piccole variazioni dimensionali, cambio di destinazione d’uso da “locale agricolo ad artigianale”, ampliamento abusivo attraverso la realizzazione di un vano w.c. e di un vano deposito, opere e superfici necessarie all’attività artigianale (quali piazzale in cemento, strutture metalliche intelaiate, struttura in cemento per l’ispezione degli automezzi, pozzo nero, installazione piccolo prefabbricato, muri di recinzione delimitanti l’area destinata all’attività artigianale), mutamento della destinazione d’uso dell’area da agricola ad artigianale (e tanto in esecuzione della sentenza T.A.R. Puglia - Sezione di Lecce n. 1447/2012, con cui è stato, da un lato, dichiarato improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, il ricorso avverso la precedente ordinanza di demolizione n. 6/2007, stante la successiva presentazione della domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, e, dall’altro, respinto il gravame con riferimento all’impugnazione del diniego della predetta istanza di sanatoria, “in quanto giustificato dalla incompatibilità delle opere realizzate, funzionali all’attività di autofficina e autolavaggio, con la qualificazione agricola dell’area”);
2) ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
A sostegno dell’impugnazione interposta deduce, quale unica censura, l’“illegittimità sopravvenuta” dell’ordinanza gravata.
Si costituisce in giudizio il Comune di Minervino di Lecce, eccependo in limine l’inammissibilità del ricorso (non contenendo quest’ultimo alcuna censura avverso le motivazioni poste a base dell’ordinanza impugnata) e chiedendone, poi, la reiezione nel merito.
All’udienza pubblica dell’8 novembre 2016, su istanza di parte, la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
0. - Si può prescindere dall’eccezione di inammissibilità formulata in limine dal Comune resistente, in quanto il ricorso è infondato.
1. - Con unica censura, i ricorrenti deducono l’ “illegittimità sopravvenuta” dell’ordinanza di demolizione n. 64 del 9 novembre 2015, per avere gli stessi, con istanza presentata il 7 gennaio 2016 (successivamente all’ingiunzione de qua), chiesto il “recupero a legittimità” delle relative opere tramite l’ “avvio in sanatoria” del procedimento di cui all’art. 8 del D.P.R. 7 settembre 2010, n. 160, il che comporterebbe (asseritamente) la “caducazione automatica” della suddetta ingiunzione “in funzione sia del possibile assenso, che del parimenti possibile diniego all’istanza presentata relativamente alle opere che ne costituiscono l’oggetto”, con la necessità, in quest’ultimo caso, dell’adozione di una nuova ordinanza di demolizione, il cui fondamento deriverebbe non solo dall’abusività delle opere che ne costituiscono l’oggetto, ma anche - e soprattutto - dal definitivo accertamento dell’impossibilità di consentirne la conservazione: e tanto costituendo principio giurisprudenziale acclarato quello secondo il quale il riesame dell’abusività dell’opera edilizia, provocato dall’istanza di sanatoria dell’autore dell’abuso, determina la necessaria formazione di un nuovo provvedimento sanzionatorio che vale a rendere inefficace quello in precedenza emanato.
1.1 - La doglianza non coglie nel segno.
Ed invero, la Sezione condivide l’insegnamento giurisprudenziale prevalente secondo cui <
Alle medesime conclusioni si è giunti con riferimento alla presentazione, successivamente all’ordinanza di demolizione, di domanda di sanatoria ex art. 37 del D.P.R. n. 380/2001, per le ipotesi (opere realizzate in assenza di segnalazione certificata di inizio attività su immobili vincolati o compresi in zona “A”) di cui ai commi 2 e 3 (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, VIII, 5 novembre 2015, n. 5137), ovvero di domanda di condono edilizio ai sensi delle relative norme eccezionali temporanee (v. Consiglio di Stato, V, 19 aprile 2013, n. 2221, con cui si è ritenuto che “la presentazione di una domanda di concessione in sanatoria per abusi edilizi ex L. 28 febbraio 1985 n. 47 (fonte richiamata dalle successive leggi di condono) impone al Comune competente la sua disamina e l'adozione dei provvedimenti conseguenti, di talché gli atti repressivi dell'abuso in precedenza adottati perdono efficacia, salva la necessità di una loro rinnovata adozione nell’eventualità di un successivo rigetto dell'istanza di sanatoria”).
Trattasi di soluzioni ermeneutiche che soddisfano “evidenti esigenze pratiche e di interesse pubblico, evitando l'inconveniente consistente nel demolire un’opera, per poi consentirne la ricostruzione in base a (successivo ed eventuale) titolo abilitativo, nel caso in cui sussistano i presupposti per il suo rilascio” (T.A.R. Puglia, Lecce, III, 6 giugno 2016, n. 909).
Ciò posto, osserva il Collegio che le conclusioni interpretative innanzi riportate si riferiscono, con ogni evidenza, ad ipotesi di sanatoria “tipiche”.
Viceversa, nel caso di specie, la domanda presentata ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 160/2010 (“Raccordi procedimentali con strumenti urbanistici” - “1. Nei comuni in cui lo strumento urbanistico non individua aree destinate all'insediamento di impianti produttivi o individua aree insufficienti, fatta salva l'applicazione della relativa disciplina regionale, l'interessato può richiedere al responsabile del SUAP la convocazione della conferenza di servizi di cui agli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e alle altre normative di settore, in seduta pubblica. Qualora l'esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, ove sussista l'assenso della Regione espresso in quella sede, il verbale è trasmesso al Sindaco ovvero al Presidente del Consiglio comunale, ove esistente, che lo sottopone alla votazione del Consiglio nella prima seduta utile”), lungi dal configurare un’ipotesi tipica di sanatoria ex lege, rappresenta (come pure condivisibilmente rilevato dal Comune resistente) una richiesta di permesso di costruire in variante al Piano Urbanistico locale, avente ad oggetto opere originariamente e sostanzialmente abusive, in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente (come confermato proprio dalla stessa istanza di variante proposta e pure dalla sentenza di questo T.A.R. n. 1447/2012, che ha rilevato, appunto, la “incompatibilità delle opere realizzate, funzionali all’attività di autofficina e autolavaggio, con la qualificazione agricola dell’area”), già realizzate (peraltro, non viene dedotta alcuna censura avverso le motivazioni poste a base dell’ordinanza impugnata): sicchè del tutto inconferente risulta il richiamo alla giurisprudenza (anche di questo Tribunale) che ha ritenuto l’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza di demolizione successivamente alla presentazione di un’istanza di sanatoria ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 (fattispecie consistenti nella “regolarizzazione”, a seguito di accertamento della c.d. “doppia conformità”, di opere già realizzate, originariamente affette da mera “abusività formale”) o di condono edilizio.
La contraria opzione interpretativa (nel senso di riconoscere l’esistenza di un principio generale di “sanabilità del realizzato sine titulo” al di fuori delle ipotesi normative “tipiche”, secondo il quale, in definitiva, al fine di rendere inefficace un’ordinanza di demolizione, sarebbe sufficiente la mera presentazione un’istanza di variante urbanistica) condurrebbe all’assurda conseguenza che l’eventuale accoglimento dell’istanza di variante legittimerebbe ex post (ed al di fuori delle eccezionali disposizioni temporanee condonistiche) il mantenimento di quanto illegittimamente realizzato in contrasto con la disciplina edilizia ed urbanistica vigente, sicchè va ripudiata in forza del c.d. metodo apagogico.
2. - Per tutto quanto innanzi sinteticamente esposto, il ricorso deve essere respinto.
3. - Sussistono, tuttavia, gravi ed eccezionali motivi (le peculiarità delle questioni trattate) per giustificare l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Terza definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa integralmente tra le parti delle spese del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella Camera di Consiglio del giorno 8 novembre 2016 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Costantini, Presidente
Enrico d'Arpe, Consigliere
Maria Luisa Rotondano, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Maria Luisa Rotondano Luigi Costantini
IL SEGRETARIO