Vicinitas per impugnazione titoli edilizi: rimessione alla Plenaria
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA, sentenza n. 759 del 27 luglio 2021, rimette alla Plenaria il criterio della vicinitas per impugnazione titoli edilizi
N. 00759/2021REG.PROV.COLL.
N. 00610/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 610 del 2014, proposto da
-OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Fabio Petrantoni, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Namio in Palermo, via Libertà 107, rappresentati e difesi dall'avvocato Giancarlo Greco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Giuseppe Natale, domiciliataria ex lege in Palermo, piazza Marina n. 39;
nei confronti
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Immordino, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Immordino in Palermo, via Libertà 171;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione I) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Palermo e di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 giugno 2021 e nella camera di consiglio del giorno 6 luglio 2021, tenutesi ex art. 4 del d.l. n. 84 del 2020 e ex art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, così come modificato dall'art. 6 del d.l. n. 44/2021, il Cons. Sara Raffaella Molinaro,
Uditi per le parti gli avvocati Simona Tarantino, su delega dell’avvocato Giancarlo Greco, e Giuseppe Immordino;
Considerato presente, ex art. 4 comma 1 penultimo periodo d.l. n. 28/2020 e art. 25 d.l. 137/2020, l'avvocato Giuseppe Natale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La controversia riguarda la concessione edilizia -OMISSIS-rilasciata dal Comune di Palermo.
I signori -OMISSIS- e -OMISSIS- sono comproprietari dell’immobile (trattasi di una villa) sito in Palermo, -OMISSIS- (iscritto nel catasto del Comune di Palermo alla partita -OMISSIS-OMISSIS-), a seguito di atto di compravendita del 12.9.2001.
Tale immobile, facente parte di un “residence”, confinava (prima del frazionamento) con altro fabbricato di proprietà dei signori -OMISSIS-, iscritto nel catasto al foglio n. 8-OMISSIS-.
Con frazionamento n. 313144 dell’11 luglio 2008 e con successivo frazionamento n. 332544 del 21.6.2010, la predetta particella è stata suddivisa nelle particelle n. -OMISSIS-.
Con concessione edilizia -OMISSIS- il Comune di Palermo ha rilasciato al sig. -OMISSIS- una concessione per la realizzazione di una villetta residenziale bifamiliare sul terreno contraddistinto in catasto dalle due particelle in ultimo menzionate.
Con contratto stipulato il 29 luglio 2011 il terreno in questione è stato acquistato dal sig. -OMISSIS-, che ha chiesto e ottenuto la c.d. “volturazione” in suo favore della predetta concessione.
2. I signori -OMISSIS- e -OMISSIS- hanno impugnato tali atti innanzi al Tar Sicilia – Palermo, chiedendo altresì il risarcimento del danno patito.
Nel chiederne l’annullamento, hanno lamentato:
1) con riferimento agli atti di frazionamento impugnati, violazione dell’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 3 del regolamento edilizio del Comune di Palermo, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e difetto dei presupposti, in quanto il frazionamento non avrebbe tenuto conto del fatto che la distanza dal confine dell’immobile rimasto di proprietà dei signori -OMISSIS- sarebbe stata inferiore ai prescritti 5 metri, oltre a concretizzare un’ipotesi di lottizzazione abusiva;
2) violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 56 del regolamento edilizio del Comune di Palermo, nonché degli artt. 873 ed 878 del codice civile e dell’art. 9 del d.m. n. 97 del 1968, ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, deducendo che la predetta norma regolamentare prescrive che la distanza minima di una costruzione dal confine di proprietà non può essere inferiore cinque metri; e che, per contro, il solaio di calpestio del piano seminterrato della villetta bifamiliare (così come i balconi) del controinteressato (signor -OMISSIS-), dista meno dei meno di cinque metri dal muro di confine dei ricorrenti;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del regolamento edilizio del Comune di Palermo nonché degli artt. 873 e 878 del codice civile e dell’art. 9 del d.m. n. 97 del 1968, ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, deducendo che per dare accesso al piano cantinato è stato realizzato (mediante sbancamento) un “muro di contenimento” che non rispetterebbe la distanza di dieci metri dalle altre costruzione e la distanza di cinque metri dal confine di proprietà;
4) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del regolamento edilizio del Comune di Palermo nonché degli artt. 873 e 878 del codice civile e dell’art. 9 del d.m. n. 97 del 1968, ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, deducendo che la concessione non poteva essere rilasciata in quanto i muri di parapetto alle rampe di acceso al piano seminterrato non rispettano le distanze tra costruzioni, né di cinque metri dal confine;
5) domanda di risarcimento danni derivanti dal rilascio della concessione illegittima.
3. Con motivi aggiunti i germani -OMISSIS- hanno dedotto ulteriori (rispetto ai quattro sollevati con il ricorso introduttivo) profili di illegittimità della concessione già impugnata:
6) violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, dell’art. 3 comma 22 lett. a) del regolamento edilizio e dell’art. 9 comma 4 delle NTA del PRG, deducendo che la concessione edilizia è stata rilasciata in violazione della normativa statale sulla distanza fra costruzioni, segnatamente fra la costruzione dei signori -OMISSIS- e la costruzione del signor -OMISSIS-, sopra indicata;
7) eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, deducendo che la concessione è stata rilasciata sulla scorta della errata rappresentazione grafica fornita dai richiedenti e che ciò costituisce una ulteriore ragione a conferma dell’illegittimità del provvedimento concessorio.
4. Con sentenza -OMISSIS- il Tar ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile e per il resto lo ha respinto.
In particolare, con detta sentenza, il Tar:
- ha ritenuto infondate le domande giudiziali introdotte con il secondo, il terzo ed il quarto mezzo di gravame (violazione della distanza minima della costruzione dal confine di proprietà e della distanza minima dal confine di proprietà nei termini sopra precisati) in ragione degli esiti positivi del sopralluogo effettuato dall’Amministrazione in data 8 ottobre 2012;
- ha dichiarato inammissibile, e comunque improcedibile, per carenza, o comunque per sopravvenuta carenza, d’interesse la domanda giudiziale introdotta con il primo mezzo di gravame, basata sulla “difformità progettuale” riscontrata dall’Amministrazione, riguardante la distanza inferiore a dieci metri fra la proprietà del controinteressato signor -OMISSIS- e quella dei Sig.ri -OMISSIS- (“la pretesa dei ricorrenti non è assistita da alcun interesse personale, posto che non hanno dimostrato quale diretto pregiudizio essi subiscano dal fatto che soggetti “terzi” abbiano edificato i loro fabbricati a distanza - fra essi - inferiore rispetto a quella prescritta”; il Tar ha poi valorizzato, ai fini della sopravvenuta improcedibilità, l’accordo negoziale intervenuto sul punto fra i proprietari della casa realizzata precedentemente, i signori -OMISSIS-, e il signor -OMISSIS-;
- ha ritenuto infondato il profilo di doglianza secondo cui il frazionamento del terreno che ha consentito di ricavare il lotto sul quale il controinteressato (signor -OMISSIS-) ha costruito la sua villa avrebbe determinato una “lottizzazione abusiva”: detta fattispecie ricorrerebbe solo nel caso in cui il frazionamento avvenga senza autorizzazione da parte dell’Amministrazione, che invece nel caso di specie sussiste, e comunque quando la violazione delle prescrizioni urbanistiche riguardi la realizzazione di opere di urbanizzazione e non quando riguardi la costruzione e la concreta ubicazione degli edifici e le distanze fra essi;
- ha dichiarato inammissibili per tardività le doglianze sollevate con il ricorso per motivi aggiunti (che il giudice di primo grado riconduce alla violazione delle distanze e all’applicazione del d.m. n. 1444 del 1968), posto che dette potevano essere dedotte in sede di proposizione del ricorso principale.
5. Con ricorso n. 610 del 2014 la sentenza è stata appellata dai signori -OMISSIS- e -OMISSIS-.
6. Con il ricorso in appello i germani -OMISSIS- hanno innanzitutto dedotto l’errata ricostruzione in punto di fatto e di diritto contenuta nella pronuncia e hanno censurato il capo con il quale il Tar ha dichiarato l’inammissibilità del primo motivo del ricorso introduttivo per carenza di interesse e del ricorso per motivi aggiunti per tardività (primo motivo).
6.1. Gli appellanti hanno poi sollevato il vizio di omessa pronunzia del giudice di prime cure sul primo motivo del ricorso introduttivo, riproponendo nel presente grado di giudizio l’asserita illegittimità del frazionamento in ragione di quanto previsto dal regolamento edilizio comunale e dal d.m. n. 1444 del 1968, per violazione della distanza dal confine dell’immobile del dante causa dell’appellato (secondo motivo).
6.2. I signori -OMISSIS- hanno lamentato la violazione della regola che vuole che i fatti non contestati siano considerati provati e del contraddittorio in ragione del fatto che l’istruttoria si sarebbe basata esclusivamente su un atto dell’Amministrazione, senza considerare che la consulenza di parte non sarebbe stata contestata (motivo terzo e quarto).
6.3. I germani -OMISSIS- hanno poi criticato la sentenza gravata asserendone l’erroneità nella parte in cui il Tar ha dichiarato l'infondatezza del secondo, terzo e quarto motivo di ricorso. Il giudice di primo grado non avrebbe considerato che, “oltre la già citata violazione della distanza dall'art. 9 d.m. n.. 1444/1968, è stata accertata la errata rappresentazione nei grafici di progetto del posizionamento dell'edificio limitrofo, che ha comportato l'illegittimità della concessione edilizia de qua”. Il riferimento è alle censure di violazione e/o falsa applicazione di legge dell'art. 2, 3 e 56 del regolamento edilizio del Comune di Palermo, nonché degli art. 878 e 873 c.c. per mancato rispetto della distanza di dieci metri fra edifici, per errata rappresentazione grafica e per omessa specificazione, negli elaborati grafici allegati al progetto di concessione, delle distanze dal muro di contenimento, che funge anche da muro di confine con la proprietà -OMISSIS-, e che perciò stesso avrebbe dovuto distare almeno dieci metri dalle costruzioni altrui. Con specifico all’estradosso del solaio di copertura è stato ribadito che esso non rispetta anche la distanza prescritta dal confine (quinto motivo).
6.4. Con il sesto motivo parte appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar, errando nel delineare l’oggetto del primo motivo di ricorso, ha ritenuto infondata la censura di lottizzazione abusiva e improcedibile la doglianza in ragione dell’accordo negoziale intervenuto fra le parti sulle distanze da osservare (sesto motivo).
6.5. Rispetto alla tardività del ricorso per motivi aggiunti depositato in data 1 agosto 2013 gli appellanti hanno dedotto che “nel caso di specie non è stata fornita la rigorosa prova della tardività dell'impugnazione o meglio di una piena conoscenza dell'atto gravato. Diversamente da quanto affermato dal primo giudice i ricorrenti con la proposizione del ricorso principale non potevano far valere le violazioni poi successivamente eccepite” (settimo motivo).
Secondo gli appellanti la condotta colposa del Comune di Palermo sarebbe stata ravvisata anche dalla Procura della Repubblica di Palermo e risulterebbe evidente dall’adozione dei provvedimenti disciplinari adottati nei confronti dei dipendenti comunali che si sono occupati della vicenda. Da tale condotta deriverebbe la responsabilità dell’Amministrazione che avrebbe dovuto agire in autotutela ma non lo ha fatto (ottavo motivo di appello).
6.6. In ultimo con l’appello viene giustificata la produzione tardiva di documentazione, in ragione del segreto istruttorio apposto sulla medesima.
7. Il controinteressato, sig. -OMISSIS-, si è costituito in appello in data 29 luglio 2014 e nella successiva memoria del 9 novembre 2018 ha esposto le ragioni per le quali l’appello sarebbe infondato:
- la ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza gravata non sarebbe erronea e non sussisterebbe il vizio di omessa pronunzia;
- il primo motivo del ricorso introduttivo sarebbe inammissibile e comunque infondato;
- il ricorso per motivi aggiunti sarebbe inammissibile in quanto tardivo;
- il ricorso per motivi aggiunti e il primo, il terzo e il quarto dei motivi del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado sarebbero inammissibili per carenza di interesse;
- in ogni caso il ricorso per motivi aggiunti sarebbe infondato;
- i motivi di ricorso sarebbero inammissibili e infondati anche con riferimento al richiamo in appello dell’art. 64 c.p.a.;
- la produzione documentale sarebbe tardiva.
8. Il Comune di Palermo si è costituito in appello in data 7 agosto 2014 e nella successiva memoria dell’8 novembre 2018 ha esposto le ragioni per le quali l’appello sarebbe infondato:
- nell’atto di appello risultano richiamati atti non depositati in giudizio e dei quali non si dovrebbe tener conto;
- la prima censura sarebbe infondata attesa l’asserita legittimità dell’intervenuto frazionamento;
- la ricostruzione in punto di fatto della vicenda processuale dimostrerebbe l’infondatezza delle censure di cui al terzo, al quarto e al quinto dei motivi dell’appello;
- la sentenza gravata non sarebbe erronea per aver dichiarato inammissibile per carenza di interesse il primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado;
- il ricorso per motivi aggiunti sarebbe inammissibile atteso che con tale mezzo di gravame gli allora ricorrenti avrebbero fatto valere ragioni che avrebbero dovuto essere dedotte con il ricorso introduttivo;
- sarebbe infondata la pretesa risarcitoria degli appellanti atteso che non è configurabile alcuna colpa in capo all’Amministrazione comunale. A riguarda si rammenta che non sussiste alcun obbligo per la P.A. di procedere in via di autotutela e si precisa che “con istanza del 17 febbraio 2016 i signori -OMISSIS- hanno chiesto al Comune di annullare in autotutela la concessione; con ricorso notificato in data 4 aprile 2016 hanno impugnato il silenzio dell’Amministrazione ed il T.A.R.S., con sentenza n. -OMISSIS-, passata in giudicato, ha dichiarato inammissibile il ricorso”. Nel caso di specie mancherebbe la prova del danno sofferto dagli appellanti.
9. Gli appellanti hanno con memoria 20 novembre 2018 replicato alle tesi sostenute dalla difesa del sig. -OMISSIS- e dall’Avvocatura comunale ribadendo la bontà delle ragioni poste a sostegno del ricorso in appello.
10. Le parti hanno curato il deposito agli atti di causa di documentazione acquisita nel tempo, in data 31 ottobre 2018 da parte degli appellanti, signori -OMISSIS-, e in data 24 ottobre 2018 da parte del controinteressato sig. -OMISSIS-.
11. Il CGARS, con ordinanza n. -OMISSIS-, oltre a chiedere alle parti di depositare ulteriore documentazione, ha disposto una verificazione - nel contraddittorio fra le parti - volta ad accertare:
- se c’è stata una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi a cura dei progettisti e degli originari proprietari che ha tratto in inganno il Comune di Palermo;
- quale sia il reale posizionamento degli edifici di proprietà dei signori -OMISSIS-, di proprietà del signor -OMISSIS- e il fondo di proprietà degli appellanti con indicazione delle rispettive distanze, verificando se il suddetto posizionamento rispetta i titoli concessori e la normativa applicabile (d.m. n. 1444/1968, art 3 comma 22 lett. a) e regolamento edilizio del Comune di Palermo);
- ha conferito l’incarico di curare l’accertamento tecnico sopra indicato al Direttore generale del Dipartimento regionale dell’urbanistica dell’Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente con facoltà di designare un ad altro dirigente dello stesso dipartimento;
- ha conferito a ciascuna delle parti la facoltà di nominare un proprio consulente o tecnico di fiducia, assegnando loro il termine di venti giorni dalla ricezione della relazione provvisoria, per depositare eventuali relazioni e/o osservazioni.
11.1. Con successiva ordinanza n. -OMISSIS- il CGARS ha autorizzato l’arch. -OMISSIS-, in quanto delegato all’accertamento tecnico dal Direttore generale del Dipartimento regionale dell’urbanistica dell’Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente, a potere incaricare un tecnico alla misurazione attraverso strumentazione elettroottica e ridefinito i tempi in cui la verificazione dovrà essere svolta.
11.2. Al verificatore sono state concesse due proroghe (ordinanza n. -OMISSIS- e ordinanza n. -OMISSIS-).
12. Parte appellante ha adempiuto all’incombente istruttorio di cui alle citate ordinanze istruttorie del CGA -OMISSIS- e n. -OMISSIS- con il deposito del primo agosto 2019 (richiesta di archiviazione ex art. 411 c.p.p. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e relazione di consulenza tecnica d’ufficio per il Tribunale di Palermo II sezione civile) e con il deposito -OMISSIS- (sentenza del Tribunale di Palermo – Terza sezione penale -OMISSIS-).
13. Il verificatore ha depositato la relazione finale in data 24 dicembre 2019.
Nella medesima si legge che:
- le distanze riportate nel progetto (di cui alla concessione edilizia impugnata), anche se divergenti rispetto a quelle rilevate, “risultano conformi alle norme sulle distanze dai confini dei fabbricati e pertanto non appare che la rappresentazione del progetto abbia potuto trarre in inganno il Comune di Palermo”;
- per quanto riguarda il posizionamento degli edifici di proprietà dei signori -OMISSIS-, di proprietà del signor -OMISSIS- e di proprietà degli appellanti, e le relative distanze non emergono elementi da accogliere, così come sulla lesione dei diritti dei terzi.
14. Parte appellante, con memoria 20 febbraio 2020, ha preso posizione sulla relazione finale del verificatore contestando buona parte delle conclusioni alle quali l’accertamento tecnico è pervenuto e ha sottolineato la bontà delle ragioni dedotte e chiede che la sentenza gravata sia riformata.
15. In sede di replica, la difesa del sig. -OMISSIS- ha affermato che:
- il verificatore avrebbe affermato che l’asserita diversità di posizionamento sarebbe comunque irrilevante perché rispettosa della disciplina in materia di distanze;
- secondo il verificatore la eventuale traslazione dell’immobile rispetto all’originaria rappresentazione contenuta nei grafici di progetto non avrebbe comportato alcuna violazione della disciplina in materia di distanze con la conseguenza che la leggera traslazione dell’immobile senza modifica di sagoma e volumetria non comporterebbe neppure una variazione (non) essenziale né alcuna violazione della disciplina urbanistica;
- i balconi prospettanti sul fondo -OMISSIS- sono larghi metri 1,20, quindi rispetterebbero il regolamento edilizio comunale in aderenza al disposto dell'art. 873 c.c.;
- la distanza di metri 9,45, misurata dal punto più vicino tra l'edificio -OMISSIS- e l'immobile -OMISSIS-, non costituirebbe violazione della distanza legale in quanto la parete dell'immobile -OMISSIS-, in quel punto non presenterebbe né aperture e né finestre. Per quanto riguarda la distanza dai confini, sia dal lato -OMISSIS-, sia dal lato -OMISSIS-, le stesse risulterebbero superiori a metri 5,00;
- il nuovo piano di campagna è stato ottenuto in seguito allo scavo ed alla realizzazione del piano terra, leggermente sollevato per permettere il regolare allontanamento delle acque meteoriche e comunque rientrante nelle prescrizioni contenute dal regolamento edilizio allegate al PRG del Comune di Palermo.
16. Parte appellante - con memoria di replica depositata in data 8 maggio 2020 – ha approfondito le ragioni dell’appello, non mancando di dolersi del comportamento del verificatore che avrebbe omesso di considerare le osservazioni alla bozza di verificazione svolte dal difensore degli appellanti con le quali si richiamava l’attenzione del tecnico su aspetti oggettivi concernenti la misurazione delle distanze fra fondi e edifici e a suo dire trascurati in sede di accertamento tecnico.
17. Con note di udienza depositate da parte appellata in data 25 maggio 2020 è stata eccepita la tardività della memoria di replica in quanto la stessa risulterebbe depositata in data 8 maggio 2020 alle ore 18,43 in vista dell’udienza pubblica del 28 maggio 2020 anziché il 7 maggio (venti giorni liberi prima).
17.1. Parte appellante ha poi richiamato le proprie tesi difensive che a suo dire depongono nel senso della conferma della sentenza gravata.
18. Nel corso dell’udienza di trattazione del 28 maggio 2020 la causa è stata posta in decisione.
19. Il Collegio ha ritenuto la lite non ancora matura per la decisione, avuto riguardo al contenuto della verificazione e alle critiche ad essa mosse da parte appellante.
Con ordinanza -OMISSIS- questo CGARS ha quindi disposto un supplemento di verificazione, affidata al direttore pro tempore del Dipartimento di ingegneria civile e architettura dell’Università degli studi di Catania volto ad accertare:
- quale sia il posizionamento degli edifici di proprietà dei signori -OMISSIS-, di proprietà del signor -OMISSIS- e il fondo di proprietà degli appellanti con indicazione delle rispettive distanze, verificando se il suddetto posizionamento rispetta i titoli concessori e la normativa applicabile (d.m. n. 1444 del 1968 e art 3 comma 22 lett. a) regolamento edilizio del Comune di Palermo) (di cui si v. CGA, ordinanza collegiale n. -OMISSIS-);
- rispetto alle risultanze già acquisite al processo, il nuovo accertamento tecnico dovrà fornire al Collegio indicazioni circa le distanze fra l’edificio del sig. -OMISSIS- e l’immobile di proprietà dei signori -OMISSIS- da ogni lato e angolazione, evidenziando balconi, finestre, luci;
- la verificazione dovrà essere corredata da rilievi grafici e fotografici a colori.
20. Le parti hanno prodotto documentazione in data 14 settembre 2020, 30 ottobre 2020 e 6 novembre 2020.
21. Gli appellanti, i germani -OMISSIS-, hanno depositato memorie in data 12 novembre 2020 e 23 novembre 2020 mentre l’appellato ha replicato in data 25 novembre 2020.
22. In data 9 aprile 2021 è stato depositato l’adempimento istruttorio da parte del verificatore (che si illustrerà infra).
23. Il Comune di Palermo ha depositato memoria il 21 aprile 2021, con la quale ha dedotto che il parametro normativo di riferimento per la valutazione delle distanze dal confine e delle distanze tra fabbricati relativi al lotto -OMISSIS- sono le NTA al PRG del 1962 che, al combinato disposto degli artt. 28 (Verde Agricolo V4) e 76 (Edilizia a villini Tipo A), prescrivevano il distacco tra confini pari a metri tre e il distacco tra fabbricati pari a metri sei, oltre ad avere argomentato sui muri di contenimento e sul piano cantinato.
24. In data 6 maggio 2021 l’appellato ha depositato documentazione inerente al procedimento penale.
25. In date 12 maggio 2021 e 14 maggio 2021, nonché in date 25 e 26 maggio 2021 sono stata scambiate memoria in vista dell’udienza.
26. Nell’udienza del 16 giugno 2021 e nella successiva camera di consiglio del 6 luglio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
27. Si premette che, in seguito alle vicende e al frazionamento del terreno di proprietà dei signori -OMISSIS- meglio descritti in fatto, la particella originaria n. -OMISSIS--, è stata suddivisa nelle particelle n. -OMISSIS-, l’una, confinante con i germani -OMISSIS-, intestata al signor -OMISSIS- (a seguito di contratto 29 luglio 2011 stipulato con i signori -OMISSIS-) e l’altra, non confinante con il terreno degli appellanti ma confinante (dal lato opposto a quello che si affaccia sulla proprietà dei germani -OMISSIS-) esclusivamente con il terreno del signor -OMISSIS-, rimasta intestata ai signori -OMISSIS-.
28. Detto ciò in punto di fatto, si rileva innanzitutto che la documentazione depositata nel presente grado di giudizio sarà valutata, nei limiti nei quali non è stato possibile depositarla prima, in ragione della rilevanza della medesima sui motivi ritualmente dedotti nella controversia e che le eccezioni di tardività delle memorie presentate in vista delle udienze che si sono succedute prima dell’udienza del 16 giugno 2021 risultano assorbite dalla circostanza che in dette udienze è stata decisa la prosecuzione dell’attività istruttoria, con la conseguenza che le controparti hanno potuto replicare senza menomazioni del contraddittorio.
28.1. In via prioritaria si ritiene di poter superare le censure rivolte da parte appellante alle modalità utilizzate dal giudice di primo grado per svolgere l’istruttoria (terzo e quarto motivo di appello). Ciò in quanto questo CGARS ha svolto ampi approfondimenti istruttori, demandandoli a soggetti muniti della necessaria competenza.
28.2. E’ necessario a questo punto individuare il thema decidendum del presente grado di giudizio attraverso lo scrutinio dei motivi di appello volti a criticare i capi della sentenza impugnata con i quali il Tar ha dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso introduttivo e i motivi aggiunti.
29. Deve innanzitutto essere accolta la doglianza (contenuta nel primo motivo di appello) volta a evidenziare l’errore compiuto dal giudice di primo grado.
Il Tar infatti, come sopra illustrato, ha dichiarato inammissibile per carenza d’interesse (oltre che improcedibile, con pronuncia la cui censura è esaminata di seguito) la domanda giudiziale introdotta con il primo mezzo di gravame, basata sulla “difformità progettuale” riscontrata dall’Amministrazione, ritenendo che riguardasse la distanza inferiore a dieci metri fra la proprietà del controinteressato signor -OMISSIS- e quella dei Sig.ri -OMISSIS- (“la pretesa dei ricorrenti non è assistita da alcun interesse personale, posto che non hanno dimostrato quale diretto pregiudizio essi subiscano dal fatto che soggetti “terzi” abbiano edificato i loro fabbricati a distanza - fra essi - inferiore rispetto a quella prescritta”).
Tuttavia oggetto del primo motivo del ricorso introduttivo è l’illegittimità del frazionamento in ragione del mancato rispetto da parte dell’immobile dei signori -OMISSIS- della distanza di cinque metri dal confine prescritta dall’art. 3 del regolamento edilizio e non in ragione del mancato rispetto della distanza di dieci metri fra costruzioni, come invece ritenuto dal giudice di primo grado.
Il primo motivo del ricorso introduttivo non è quindi stato esaminato dal Tar, che ha deciso su una censura non prospettata dal ricorrente con il ricorso introduttivo.
Pertanto la pronuncia su detta (ipotetica) censura merita di essere riformata per violazione del principio della domanda.
30. Si è anticipato che il primo motivo del ricorso introduttivo, oltre ad essere stato dichiarato inammissibile (con pronuncia riformata appena sopra), è stato dichiarato dal Tar altresì improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse essendo intervenuto nelle more del giudizio un accordo negoziale in forza del quale i proprietari della casa realizzata precedentemente (nella specie, i signori -OMISSIS-) hanno rinunziato ad ogni azione volta ad ottenere il rispetto della distanza nei confronti del controinteressato (sig. -OMISSIS-).
Anche detta pronuncia in rito merita di essere riformata, accogliendo il sesto motivo di appello, atteso che la prescrizione di distanza fra costruzioni è inderogabile dall’Amministrazione, in quanto prevale persino rispetto al disposto degli strumenti urbanistici (Cons. St. sez. V, 11 settembre 2019 n. 6136), e quindi anche dai privati.
Ne deriva che la censura relativa alla distanza fra costruzioni non è divenuta improcedibile in ragione di detto accordo.
31. Ritenute fondate, per le ragioni appena sopra illustrate, le censure dedotte dall’appellante avverso la pronuncia di inammissibilità per carenza di interesse e di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse nei confronti del capo della sentenza impugnata riguardante il primo motivo del ricorso introduttivo (il cui contenuto è stato appunto erroneamente inteso dal TaR), questo CGARS si appresta a scrutinare il primo motivo del ricorso introduttivo (non esaminato dal giudice di primo grado nei termini in cui è stato formulato con il ricorso introduttivo), riproposto con il secondo motivo di appello.
Con il primo motivo del ricorso introduttivo è stata dedotta l’invalidità del frazionamento, realizzato dai signori -OMISSIS- e relativo alla suddivisione dell’originaria particella catastale n. -OMISSIS- in due particelle, la n. -OMISSIS- e la n. -OMISSIS-, attualmente rispettivamente intestate ai medesimi e al signor -OMISSIS- (oltre che la conseguente lottizzazione abusiva, su cui di seguito), in quanto non conforme alla regola sulla distanza minima dal confine dell’immobile rimasto di proprietà dei signori -OMISSIS-.
L’impugnazione dell’atto di frazionamento, e quindi il primo motivo del ricorso introduttivo con cui è stato censurato, deve essere dichiarata inammissibile in accoglimento delle eccezioni formulate dal controinteressato e dall’Amministrazione.
In disparte la questione della natura autoritativa o meno del frazionamento, il ricorso introduttivo non è infatti stato notificato all’Agenzia del territorio (intestataria del relativo potere, come si evince dall’atto di frazionamento), né ai signori -OMISSIS-, autori del frazionamento e quindi soggetti controinteressati, così dovendosi dichiarare l’inammissibilità del motivo per violazione dell’art. 41 comma 2 c.p.a., come eccepito in primo grado con memoria depositata il 28 novembre 2013 dal controinteressato signor -OMISSIS- e ribadito in appello con memoria depositata il 9 novembre 2018 dal Comune di Palermo.
Ne deriva che la violazione della distanza di cinque metri dal confine della costruzione dei signori -OMISSIS-, danti causa dell’appellato signor -OMISSIS-, dal confine (del signor -OMISSIS-) non rientra nel thema decidendum della presente controversia.
La violazione della distanza di cinque metri dal confine della costruzione dei signori -OMISSIS- è infatti stata veicolata nella controversia con il primo motivo del ricorso di primo grado, primo motivo che viene rivolto esclusivamente contro gli atti di frazionamento e non anche contro la concessione edilizia (“tale frazionamento infatti viola l’art. 3 del Regolamento Edilizio del Comune di Palermo, poiché, nel determinare il confine non ha tenuto conto della costruzione oggi limitrofa (immobile -OMISSIS-)”, così il ricorso introduttivo), derivando da tale atto (la cui impugnazione è appunto inammissibile), che ha determinato il confine dal quale si computa la distanza di cinque metri del fabbricato -OMISSIS-, e non attenendo in via diretta alla concessione edilizia qui impugnata, relativa all’immobile del signor -OMISSIS-.
31.1. L’inammissibilità del primo motivo del ricorso introduttivo, con il quale è stata dedotta l’invalidità del frazionamento, comporta anche l’inammissibilità della censura di lottizzazione abusiva, derivante (in tesi, come esposto nel primo motivo del ricorso introduttivo) proprio dal frazionamento posto in essere (così il sesto motivo di appello).
31.2. Ne deriva che sono inammissibili tutte le doglianze riguardanti l’atto di frazionamento, con le quali il ricorrente ha censurato la lottizzazione abusiva e il mancato rispetto delle distanze dal confine da parte del manufatto dei signori -OMISSIS-.
32. Deve poi riformarsi in parte, sempre in funzione di delineare il thema decidendum del giudizio, la declaratoria di inammissibilità per tardività dei motivi aggiunti, così accogliendo sul punto il settimo motivo di appello. Con essi l’appellante ha dedotto la violazione della distanza di dieci metri fra le costruzioni intestate al signor -OMISSIS- (vicino degli appellanti) e ai signori -OMISSIS- e l’errata rappresentazione del progetto annesso all’istanza di concessione.
32.1. La prima di dette (asserite) criticità non è evincibile dalla documentazione allegata alla concessione, né facilmente riscontrabile sulla base di un raffronto con lo stato dei luoghi, dal momento che la villetta del signor -OMISSIS- era in costruzione (la comunicazione di fine lavori è del 20 giugno 2013) e che “nella tavola non viene evidenziato che, a seguito del frazionamento eseguito dalla Ditta -OMISSIS-, non sarebbero state rispettate la distanza di dieci metri tra i fabbricati (entrambi finestrati sui fronti opposti)” (così la relazione di verificazione) e avendo richiesto detta violazione apposita verificazione per essere accertata, non essendo evidente lo scostamento rispetto al parametro legale di 10 metri (la distanza tra i fabbricati varia da circa 8,45m a circa 10,00m).
Del resto il Comune di Palermo ha riscontrato la violazione con l’ordinanza di sospensione dei lavori n. 35 del 16 ottobre 2012, depositato in giudizio il 4 luglio 2013, laddove il ricorso introduttivo è stato notificato nel gennaio 2012, mentre i motivi aggiunti sono stati spediti per la notifica il 30 luglio 2013.
La doglianza relativa al mancato rispetto della distanza minima fra la costruzione -OMISSIS- e il fabbricato del signor -OMISSIS-, contenuta nei motivi aggiunti, è quindi ammissibile.
32.2. Diverso trattamento deve invece riservarsi all’altra censura contenuta nei motivi aggiunti presentati al Tar, quella relativa alla difformità del progetto allegato alla concessione rispetto allo stato dei luoghi. Detta difformità è stata specificata (nei motivi aggiunti) essere relativa alla distanza, inferiore ai cinque metri, dal confine della costruzione dei signori -OMISSIS-.
Detta difformità era evincibile già all’epoca della proposizione del ricorso introduttivo.
La violazione della distanza dal confine della costruzione -OMISSIS- infatti è stata dedotta con il ricorso introduttivo seppure quale vizio dell’atto di frazionamento. Atteso che la concessione impugnata e il relativo progetto, già conosciuti dal ricorrente (atteso che sono fra i documenti offerti in comunicazione in calce al ricorso) all’epoca della presentazione del ricorso introduttivo, si sono basati su detto atto, il ricorrente avrebbe potuto (e dovuto) dedurla in quella sede.
E’ quindi da confermare la declaratoria di inammissibilità per tardività di detta censura.
Ne deriva che i motivi aggiunti presentati davanti al Tar sono in parte ammissibili, con specifico riferimento alla censura di violazione della distanza prescritta fra le costruzioni, mentre sono inammissibili nella parte in cui è stata dedotta la doglianza relativa alla difformità fra il progetto presentato in sede di concessione e lo stato dei luoghi (con riferimento alal distanza della costruzione -OMISSIS- dal confine).
33. L’ambito del potere cognitorio di questo Giudice comprende quindi, quanto alla domanda demolitoria, le censure di violazione delle distanze fra la costruzione degli appellanti germani -OMISSIS- e dell’appellato signor -OMISSIS- e di violazione delle distanze relativamente al lato della proprietà dell’appellato che si interfaccia con la costruzione dei signori -OMISSIS- (ma solo quanto alla distanza fra costruzioni e alla distanza dal confine della sola costruzione del signor -OMISSIS-, non anche della distanza dal confine della costruzione -OMISSIS-), oltre che la censura relativa alla discrepanza fra il progetto allegato all’istanza di concessione edilizia poi rilasciata con atto n. -OMISSIS-, qui impugnato, e lo stato dei luoghi[questa frase in giallo quindi la toglierei, mentre aggiungerei la successiva] alla domanda di risarcimento danni .
34. Così delineate l’ambito della valutazione da parte di questo Giudice e affrontando lo scrutinio di merito delle censure ammissibili, la seconda verificazione disposta da questo CGARS (con ordinanza -OMISSIS-) ha consentito di accertare la situazione di fatto con la dovuta perizia tecnica.
34.1. Detto accertamento è risultato in particolare utile al fine di scrutinare le censure di violazione delle distanze fra la costruzione degli appellanti germani -OMISSIS- e dell’appellato signor -OMISSIS-, oggetto del secondo, terzo e quarto motivo del ricorso introduttivo, nei termini in cui sono richiamati dal quinto motivo di appello.
Al riguardo si rileva innanzitutto che l’effetto devolutivo del gravame è circoscritto, per come formulata la censura in appello, alla sola violazione della distanza fra le costruzioni degli appellanti e il fabbricato del signor -OMISSIS-, considerato anche l’estradosso, il muro di contenimento e i parapetti, mentre la violazione della distanza dal confine è stata richiamata con riferimento all’estradosso.
Invero, le argomentazioni spese riguardano, con formulazione peraltro connotata da una certa oscurità, i soli aspetti sopra indicati.
Né le norme ivi richiamate (artt. 873 e 878 c.c., art. 9 d.m. n. 1444 del 1968 e artt. 2, 3, e 56 del regolamento edilizio) fanno riferimento ad altri profili se non per quanto contenuto nell’art. 3 del regolamento edilizio, che, però, in quanto richiama quasi tutti le disposizioni riguardanti l’attività edilizia, è di per sè indicativo della critica mossa alla pronuncia gravata, sicché il motivo di appello, per come formulato, integra l’onere dell’appellante di specificare le censure dedotte e quelle riproposte (artt. 40 comma 1 lett. d) e 101 comma 1 c.p.a.) solo con riferimento agli aspetti sopra illustrati.
In riferimento ai suddetti profili di asserita violazione delle regole edilizie il verificatore ha attestato che il fabbricato di proprietà -OMISSIS- rispetta la distanza minima di cinque metri dal confine con la proprietà di parte appellante e anche la distanza minima di dieci metri tra i fronti dei fabbricati (e ciò considerando i profili dedotti).
In particolare:
- il fronte del fabbricato -OMISSIS- dista “sempre ben oltre i cinque metri” dal muro di confine con la proprietà -OMISSIS-;
- il fronte del fabbricato -OMISSIS- che si affaccia sulla proprietà -OMISSIS- dista dal muro di confine circa 5,00 m a sud e 5,05 m a nord;
- quindi, rilevato che il muro di confine ha lo spessore di 0,30 m e assumendo che la mezzeria dello stesso rappresenti la linea di confine tra i fondi, il fronte del fabbricato -OMISSIS- è a distanza variabile tra 5,15 m e 5,20 m dal confine con la proprietà -OMISSIS- e rispetta la distanza minima di cinque metri prevista dal regolamento edilizio del Comune di Palermo;
- i ballatoi del fabbricato -OMISSIS- sporgono di 1,20 m dalla parete che si affaccia sul fondo -OMISSIS- e, ai sensi del regolamento edilizio, rientrano nel limite massimo consentito per non essere presi in considerazione ai fini della determinazione della distanza tra i fabbricati (e dalle foto allegata dal verificatore il ballatoio è profondo 0,80 metri);
- la distanza tra i fabbricati -OMISSIS- e -OMISSIS-, pertanto, è sempre superiore ai dieci metri, variando, lungo i fronti opposti, da circa 12,00 m a 11,70 m procedendo da sud verso nord.
A ciò si aggiunge che il verificatore ha attestato che il terrapieno a tergo del muro realizzato per accedere al piano interrato è da ritenere “naturale”, dal momento che i muri di contenimento sono stati realizzati a quota inferiore rispetto all’originario piano di campagna, i terrapieni retrostanti. Dopo lo sbancamento necessario per realizzare l’edificio assentito, essi sono stati infatti ricondotti alla quota originaria e non sono stati rilevati riporti di terreno e relativi muri di contenimento atti a innalzare artificialmente le quote del piano di campagna originario.
Risultano quindi superati in fatto i rilievi afferenti alle distanze fra le proprietà degli appellanti -OMISSIS- e del signor -OMISSIS-, riproposti con il quinto motivo di appello.
Né ostano a tale valutazione:
- la sentenza della Corte d’appello di Palermo, sez. II civ., la n. -OMISSIS-, che ha condannato --OMISSIS- a rimuovere i balconi aggettanti in quanto “i balconi, estendendo in superficie il volume edificatorio, costituiscono corpo di fabbrica, di tale sporgenza deve tenersi conto nel valutare il rispetto o meno delle distanze legali, che nel caso di specie, risultano, senz’altro, seppur di un metro, violate”, riferita alle distanze dal confine e comunque impugnata in Corte di cassazione come da ricorso deposito in data 6 maggio 2021;
- la sentenza della Corte d’appello di Palermo, sez. II civ., n. -OMISSIS-, che ha ritenuto la costruzione del signor -OMISSIS- priva del carattere abusivo e non in contrasto delle distanze legali in relazione al muro di contenimento.
34.2. I relativi motivi devono quindi essere respinti.
35. Rimane quindi da valutare, oltre alla domanda di risarcimento del danno, un solo motivo di annullamento del titolo edilizio impugnato, contenuto nei motivi aggiunti presentati in primo grado e riproposti in appello con il settimo mezzo: la censura della violazione della distanza fra la costruzione di proprietà del signor -OMISSIS- e la costruzione di proprietà dei signori -OMISSIS-.
35.1. Invero l’altra censura contenuta nei motivi aggiunti, relativa all’asserita discrepanza, dedotta con riferimento alla distanza dal confine dell’immobile dei signori -OMISSIS-, fra il progetto allegato all’istanza di concessione edilizia poi rilasciata con atto n. -OMISSIS-, qui impugnato, e lo stato dei luoghi, è stata dichiarata inammissibile.
Al riguardo, si rileva peraltro che essa è comunque infondata anche nel merito.
La concessione edilizia è stata infatti rilasciata, previa acquisizione della relazione tecnica dell’arch. -OMISSIS- e dei grafici di progetto prodotti in data 23 luglio 2010, con atto -OMISSIS- ai signori -OMISSIS-, che hanno presentato istanza il 26 luglio 2010.
In data 26 ottobre 2011 il signor -OMISSIS-, divenuto proprietario del terreno con atto 29 luglio 2011, ha chiesto la voltura di detta concessione edilizia, assentita con provvedimento 16 maggio 2012.
Sulla difformità fra tavola del progetto (assentito dal Comune di Palermo con la concessione edilizia impugnata) e stato dei luoghi si sono pronunciati l’Amministrazione, i verificatori nominati da questo CGARS e il giudice penale.
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ha chiesto l’archiviazione nei confronti del signor -OMISSIS- per mancanza dell’elemento soggettivo a cagione della condotta altalenante tenuta sul punto dall’Amministrazione, assentita dal gip in data 20 gennaio 2014.
Con sentenza n. -OMISSIS- il Tribunale di Palermo ha pronunciato:
- sentenza di non doversi procedere per prescrizione nei confronti dell’arch. -OMISSIS- (autore del progetto) e di assoluzione per non aver commesso il fatto nei confronti della -OMISSIS- per il capo di imputazione relativo alla contravvenzione di cui all’art. 44 lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001;
- di assoluzione perché il fatto non costituisce reato nei confronti dell’arch. -OMISSIS- per il capo d’imputazione relativo al per falso ideologico in atto pubblico, oltre che per la contravvenzione di cui all’art. 44 lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001, nei confronti dell’ing. -OMISSIS-. Nella medesima si rileva
Nella medesima sentenza si dà atto dell’”entità esigua della difformità”, “non rilevabile ictu oculi e oggetto nel prosieguo di divergenti valutazioni da parte dei tecnici comunali”.
La posizione del signor -OMISSIS- rispetto all’illecito edilizio di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 è stata archiviata (come da decreto di archiviazione, depositato in giudizio da parte appellante in data 1 agosto 2019).
Quanto all’attività amministrativa, il Comune di Palermo ha effettuato due sopralluoghi in loco, in date 11 gennaio 2012 e 8 ottobre 2012, e solo nella seconda l’Ufficio competente si è accorto della difformità fra progetto presentato e stato dei luoghi, peraltro solo con riferimento alla distanza fra le costruzioni sopra dette dei signori -OMISSIS- e del signor -OMISSIS- (così dalla nota del Comune di Palermo 19 marzo 2013 n. 116).
Ha poi sospeso temporaneamente i lavori con nota 16 ottobre 2012 n. 35, sempre con riferimento alla distanza fra le costruzioni sopra dette dei signori -OMISSIS- e del signor -OMISSIS-, ma non ha dato successivamente seguito all’iniziativa intrapresa avverso l’immobile del signor -OMISSIS-.
La successiva iniziativa di regolarizzazione intrapresa dall’appellato, con istanza 12 novembre 2012 n. 802035, presentata ai sensi dell’art. 12 della legge n. 47 del 1985, è stata negativamente riscontrata dall’Amministrazione in ragione dell’inapplicabilità al caso di specie della fattispecie della difformità fra il titolo concessorio e l’opera realizzata.
Quanto all’accertamento compiuto autonomamente da questo Giudice, il primo verificatore ha affermato che le distanze riportate nel progetto (di cui alla concessione edilizia impugnata) anche se divergenti rispetto a quelle rilevate “risultano conformi alle norme sulle distanze dai confini dei e pertanto non appare che la rappresentazione del progetto abbia potuto trarre in inganno il Comune di Palermo”.
Il secondo ha dichiarato che “nella tavola del progetto assentito dal Comune di Palermo il fabbricato da realizzare, che oggi è di proprietà -OMISSIS-, è rappresentato a distanza di 5,10 m dal confine con la proprietà -OMISSIS-, quindi conformemente alle prescrizioni del regolamento edilizio, ma nella tavola non viene evidenziato che, a seguito del frazionamento eseguito dalla Ditta -OMISSIS-, non sarebbero state rispettate la distanza di dieci metri tra i fabbricati (entrambi finestrati sui fronti prospicienti) né che il fabbricato -OMISSIS- si sarebbe ritrovato a distanza dal confine inferiore a cinque metri”.
Da quanto sopra esposto deriva che il giudice penale non ha accertato profili di responsabilità in ordine alla vicenda per cui è causa, l’Amministrazione ha tenuto una condotta non lineare sul punto e il verificatore ha rilevato l’omessa evidenziazione nelle tavole di progetto assentito con concessione n. -OMISSIS- della distanza fra la costruzione dei signori -OMISSIS- e il fabbricato del signor -OMISSIS- e della distanza dal confine del primo.
Il Collegio rileva al riguardo che la censura, per come formulata nel settimo motivo di appello (con il quale è stata dedotta l’illegittimità della concessione a causa della “errata rappresentazione dei luoghi nei grafici di progetto”), non può essere accolta.
Innanzitutto il verificatore ha accertato la (sola) omessa evidenziazione nelle tavole di progetto assentita con concessione n. -OMISSIS- della distanza fra costruzioni e della distanza dal confine (“nella tavola non viene evidenziato che, a seguito del frazionamento eseguito dalla Ditta -OMISSIS-, non sarebbero state rispettate la distanza di dieci metri tra i fabbricati […], né che il fabbricato -OMISSIS- si sarebbe ritrovato a distanza dal confine inferiore a cinque metri”).
Inoltre la concessione edilizia n. -OMISSIS- non consegue senza soluzione di continuità all’istanza del privato istante, e del relativo progettista, e quindi al progetto presentato (in tesi, erroneo).
Si interpone fra i due momenti l’attività amministrativa, atteso che il progetto è stato assentito con provvedimento espresso e che la documentazione prodotta è risultata deficitaria di un dato, quello relativo alla distanza fra costruzioni, che l’Amministrazione avrebbe potuto chiedere e appurare.
Invero, il provvedimento espresso di concessione costituisce un atto pubblico di cui l’Amministrazione si assume la responsabilità e che necessita di essere istruito in caso di dati mancanti.
In tal senso si distingue la presenza di una concessione edilizia espressa dal titolo abilitante che si forma sulla scia, che costituisce un atto del privato, del quale questi si assume la responsabilità.
In provvedimento espresso, invece, è adottato all’esito di un procedimento nel quale il dominus dell’accertamento del fatto è l’Amministrazione, sulla quale grava l’onere e la responsabilità di determinarsi a seguito di un’istruttoria completa. Seppur la legge n. 241/1990 valorizza l’apporto difensivo e collaborativo delle parti, permane comunque l’obbligo di accertamento in capo all’Amministrazione. L’art. 6 della legge n. 241/1990 attribuisce infatti al responsabile del procedimento il compito di accertare d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e di adottare ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria, con la precisazione che l'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale: così facendo viene consacrato il principio di accertamento d’ufficio dei fatti nel corso del procedimento amministrativo. “Secondo un fondamentale principio dell'istruttoria del procedimento amministrativo - oggi, del resto, consacrato nell'art. 6 lett. b), l. 7 agosto 1990 n. 241 - l'amministrazione ha l'obbligo di accertare d'ufficio, per quanto possibile, la realtà dei fatti e degli atti” (Cons. St., sez. VI, 9 maggio 2002 n. 2531).
Pertanto non può essere rinvenuta, quale unica causa dell’asserita illegittimità della concessione, l’omessa evidenziazione nel progetto del dato sulla distanza (dal confine, per come dedotto nei motivi aggiunti), così dovendosi respingere il motivo di impugnazione in esame, con il quale l’illegittimità della concessione è stata dedotta come derivante del progetto presentato dal privato, e che si distingue dal diverso motivo, su cui infra, teso a rinvenire la causa dell’illegittimità della concessione nella violazione della regola sulla distanza fra costruzioni.
36. In ragione di quanto sopra deciso, sono stati quindi respinti nel merito tutti i motivi di appello ritualmente proposti, salve uno: rimane da scrutinare la censura della violazione della distanza fra la costruzione di proprietà del signor -OMISSIS- e la costruzione di proprietà dei signor -OMISSIS- (dedotta in primo grado con motivi aggiunti e riproposta in appello con il settimo motivo).
37. In relazione a detta violazione (che è onere di questo Giudice accertare, potendosi basare e potendo valutare autonomamente le risultanze di accertamenti dall’amministrazione o nell’ambito di procedimenti penali, peraltro non conclusi con sentenza di condanna), il verificatore ha affermato, dopo avere svolto le indagini peritali, che “il fabbricato di proprietà -OMISSIS- rispetta la distanza minima di cinque metri dal confine con la proprietà -OMISSIS- ma non rispetta la distanza minima di dieci metri tra i fronti dei fabbricati, che, in questo caso, sono entrambi finestrati; la distanza tra i fabbricati varia da circa 8,45m a circa 10,00m”.
In merito al rispetto della prescrizione sulle distanze si rileva che:
- l’art. 9 del d.m. n. 1444/1968, laddove prescrive la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, ricadenti, come nella fattispecie, in zona diversa dalla zona A, va rispettato in modo assoluto, trattandosi di norma finalizzata non alla tutela della riservatezza, bensì a impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è derogabile;
- tale disposizione opera anche in presenza di norme contrastanti incluse negli strumenti urbanistici locali, dovendosi essa ritenere automaticamente inserita nel P.R.G. al posto della norma illegittima (l’art. 136 del d.P.R. n. 380 del 2001 ha mantenuto in vigore l’art. 41-quinquies, commi 6, 8, 9, della l. n. 1150 del 1942, per cui in forza dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 la distanza minima inderogabile di 10 metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti è quella che tutti i Comuni sono tenuti ad osservare);
- la distanza di dieci metri, che deve sussistere tra edifici antistanti, va calcolata con riferimento a ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano: tale calcolo si applica a tutte le pareti finestrate e non soltanto a quella principale, indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiantesi sia finestrata e che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell’edificio preesistente
- è sufficiente che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, ancorché solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta: il rispetto della distanza minima è dovuto anche per i tratti di parete che sono in parte privi di finestra, indipendentemente dalla circostanza che la parete finestrata si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto all’altra;
- ai sensi dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968, per “pareti finestrate” devono intendersi non soltanto le pareti munite di “vedute” ma, più in generale, tutte le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l’esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo, di veduta o di luce (Cons. St. sez. V, 11 settembre 2019 n. 6136 su titti i punti sopra richiamati);
- non può essere utilmente presa in considerazione la circostanza, dedotta dall’appellato, che il fabbricato dei signori -OMISSIS- sia stato edificato nella vigenza del precedente piano regolatore del 1962, che indicava il distacco minimo fra le costruzioni in metri sei: non solo in ragione della prevalenza del disposto di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 ma anche in quanto l’asserita violazione della disposizione sulle distanze fra costruzioni si è consumata con l’edificazione del fabbricato del signor -OMISSIS-, quindi nella vigenza della successiva disciplina urbanistica comunale.
Ne deriva che si configurano le premesse per ritenere violata la distanza di dieci metri prescritta dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 dell’edificio del signor -OMISSIS- rispetto alla costruzione dei suoi danti causa, i signori -OMISSIS-.
38. Tuttavia l’appellato e l’Amministrazione resistente hanno dedotto, con memoria 27 aprile 2020 e 9 novembre 2018, la carenza di interesse degli appellanti rispetto a una violazione riguardante sì la costruzione del proprio vicino, il signor -OMISSIS-, ma nei confronti di una costruzione terza, quella dei signori -OMISSIS-, non rispetto all’immobile dei fratelli -OMISSIS- (qui appellanti) e la non configurabilità di una giurisdizione di diritto oggettivo.
Sul punto si è già anticipato come il Tar si sia pronunciato circa la carenza di interesse personale e concreto dei ricorrenti a sollevare il vizio di mancato rispetto della prescritta distanza fra costruzioni, nel capo in cui ha erroneamente ritenuto che detta censura fosse stata dedotta con il primo motivo del ricorso introduttivo (laddove invece è stata dedotta con motivi aggiunti che il Tar ha dichiarato inammissibili per tardività, con pronuncia riformata sopra da questo CGARS).
38.1. Nel presente grado di giudizio l’appellato e l’Amministrazione resistente hanno dedotto, con memoria 27 aprile 2020 e 9 novembre 2018, la carenza di interesse degli appellanti rispetto a una violazione riguardante sì la costruzione del proprio vicino, il signor -OMISSIS-, ma nei confronti di una costruzione terza, quella dei signori -OMISSIS-, non rispetto all’immobile dei fratelli -OMISSIS- (qui appellanti).
Questi ultimi si sono difesi richiamando la giurisprudenza (su cui infra) che ritiene sufficiente la vicinitas al fine di riscontrare legittimazione ad agire e interesse a ricorrere avverso i titoli edilizi, senza addurre specifici pregiudizi allo stesso derivanti dalla violazione in esame.
39. Posto quindi che è rimasta da valutare la censura della violazione della distanza fra la costruzione di proprietà del signor -OMISSIS- e la costruzione di proprietà dei signor -OMISSIS- e che gli esiti della verificazione depongono nel senso dell’accertamento della medesima violazione, risulta dirimente stabilire se il requisito della vicinitas è di per sé idoneo a supportare, oltre alla condizione della legittimazione ad agire, la condizione dell’interesse a ricorrere di parte appellante, atteso che detta parte non ha supportato la propria domanda di tutela di un’ulteriore e più specifico interesse.
In punto di legittimazione a ricorrere infatti il criterio della vicinitas, quale stabile collegamento tra il ricorrente e il contesto territoriale nel quale si trova l’area presa in considerazione dal provvedimento impugnato, è generalmente ritenuto idoneo a definire la sussistenza di una posizione giuridica qualificata e differenziata in astratto configurabile come interesse legittimo (Cons. St., sez. V, 16 giugno 2021 n. 4650 e sez. IV, 15 dicembre 2017 -OMISSIS-908).
La questione che si pone riguarda quindi essenzialmente l’interesse a ricorrere.
39.1. Viene in rilievo il tema del criterio giuridicamente rilevante per verificare la sussistenza di detta ultima condizione dell’azione.
39.2. Secondo l’orientamento maggioritario (ma non univoco) il criterio della vicinitas, ovvero il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell'intervento o abbiano uno stabile e significativo collegamento con esso, è di per sé idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, assorbendo in sé anche il profilo dell’interesse all’impugnazione.
L’orientamento si è formato nel vigore dell’art. 10 della legge n. 765 del 1967 (che consentiva a ‘chiunque’ la legittimazione a ‘ricorrere contro il rilascio della concessione edilizia’), norma non riprodotta nel d.P.R. n. 380 del 2001.
Da tempo risalente l’Adunanza plenaria ha attribuito decisivo rilievo, ai fini dell’inquadramento del “sistema della legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo fondato sull’esistenza di un interesse attuale, personale e diretto sia pure inteso in una considerazione adeguata alle esigenze dei tempi e della materia”, al criterio della vicinitas. E ciò al precipuo scopo di evitare che l’utilizzo del lemma “chiunque” potesse consentire di ammettere un’actio popularis, posto l’“indirizzo assolutamente fermo nel negare che la disposizione in questione abbia inteso introdurre un’azione popolare” (Ad. plen. 7 novembre 1977 n. 23).
Successivamente detto orientamento è stato confermato dalla giurisprudenza, pur non essendo stata riprodotta nel d.P.R. n. 380 del 2001 la disposizione contenuta nell’art. 10 della legge n. 765 del 1967, sulla base della quale il medesimo si è formato.
In base ad esso, in materia edilizia, la vicinitas, ossia l'esistenza di uno stabile collegamento con il terreno interessato dall'intervento edilizio, è “circostanza sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che dell'interesse a ricorrere, senza che sia necessario al ricorrente anche allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per effetto dell'attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo” (fra le molte Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2021 n. 4387, sez. VI, 28 aprile 2021 n. 3430, sez. II, 10 marzo 2021, n. 2056, sez. VI, 6 marzo 2018 n. 1448, 23 maggio 2019 n. 3386 e sez. IV 17 giungo 2014 n. 3094 V sez., n. 6082/2013 Sez. V, 10 luglio 1981, n. 360; Sez. V, 17 aprile 1973, n. 399).
In tale prospettiva al criterio della vicinitas è riconosciuta non solo l’idoneità a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, ma anche l’attitudine a evidenziare il profilo dell’interesse all’impugnazione, qualora ad impugnare sia il proprietario confinante. E detta considerazione assume un rilievo generale nel settore, valevole non solo quando si impugna un titolo edilizio, allorquando sussiste “indubbiamente una lesione della propria sfera giuridica – e non occorrendo la prova di uno specifico pregiudizio - quando si deduca che la violazione edilizia sia idonea a procurare un pregiudizio e ad incidere negativamente sulla qualità della vita o sulla salute”, ma anche quando si impugna un atto che pianifica diversamente un terreno vicino, o che localizza un’opera pubblica o una discarica di rifiuti o una stazione radio base o un atto che consente l’apertura di una struttura di vendita o l’ampliamento di quella esistente e comunque “qualsiasi atto che consenta la trasformazione del territorio” (Cons. St. sez. IV, 24 dicembre 2020 n. 8313).
Con specifico riferimento agli abusi la giurisprudenza ritiene che “il pregiudizio del confinante [sia] in re ipsa, dato che ogni edificazione abusiva incide sull'equilibrio urbanistico e sull'ordinato sviluppo del territorio” (Cons. St., sez. VI, 29 marzo 2019 n. 2100).
Ne deriva che il criterio della vicinitas, ovvero il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell'intervento o abbiano uno stabile e significativo collegamento con esso, tenuto conto della portata delle possibili esternalità negative, rappresenta quindi un elemento di per sé qualificante dell’interesse a ricorrere, “mentre pretendere la dimostrazione di uno specifico pregiudizio costituirebbe una probatio diabolica, tale da incidere sul diritto costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive” (Cons. St., sez. II, 10 marzo 2021 n. 2056).
A detto orientamento ha aderito la Corte di cassazione, secondo la quale il requisito della vicinitas è sufficiente al fine di radicare la legittimazione attiva e l’interesse a ricorrere avverso la realizzazione di un’opera, senza che occorra la prova puntuale della concreta pericolosità della stessa, né ricercare un soggetto collettivo che assuma la titolarità della corrispondente situazione giuridica, non potendosi pretendere altresì la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute ai fini della legittimazione e dell’interesse a ricorrere (ss. uu., ordinanze 30 giugno 2021 n. 18493 e 27 agosto 2019 n. 21740).
39.3. Nel corso del tempo si è andato però affermando anche un diverso approdo giurisprudenziale, che ha poi dato vita ad un’ulteriore evoluzione del medesimo (su cui infra), che si è affermata di recente.
In base a detto orientamento la vicinitas è idonea a radicare la legittimazione ad agire ma non è di per sé elemento sufficiente a fondare l’interesse a impugnare, dovendosi ulteriormente dimostrare che quanto contestato abbia la capacità di propagarsi sino a incidere negativamente sulla proprietà del ricorrente (Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2021 n. 4650, sez. II, 1 giugno 2020 n. 3440, sez. IV, 13 marzo 2019 n. 1656, sez. IV, 22 giugno 2018 n. 3843, sez. IV, 15 dicembre 2017 -OMISSIS-908, sez. VI, 18 ottobre 2017 n. 4830 e sez. IV 19 novembre 2015, -OMISSIS-278). Ciò in quanto la vicinitas, nell’identificare una posizione qualificata idonea a rappresentare “la legittimazione a impugnare” il titolo edilizio, non assorbe ogni ulteriore valutazione relativa all’interesse a ricorrere, come in precedenza ritenuto (Cons. St., sez. II, 8 giugno 2021 n. 4375), dovendo sempre il ricorrente fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute e all'ambiente, o alla proprietà. Deve infatti essere sempre fornita “la prova del concreto pregiudizio patito e patiendo (sia esso di carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l'area) a cagione dell'intervento edificatorio” (Cons. St., sez. IV, 15 dicembre 2017 -OMISSIS-908).
Piuttosto il ricorrente sarebbe tenuto a fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute ed all'ambiente. “Ciò in quanto il criterio della vicinitas, se è idoneo a definire la sussistenza di una posizione giuridica qualificata e differenziata in astratto configurabile come interesse legittimo, tuttavia non esaurisce le condizioni necessarie cui è subordinata la legittimazione al ricorso, dovendosi da parte di chi ricorre fornire invece la prova del concreto pregiudizio patito e patiendo (sia esso di carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita o di peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l'area) a cagione dell'intervento edificatorio”(Cons. St., sez. II, 8 giugno 2021 n. 4375 e sez. IV, 15 dicembre 2017 -OMISSIS-908). Sarebbe quindi necessario che il ricorrente fornisca la “prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute ed all'ambiente” (Cons. St., sez. II, 1 giugno 2020 n. 3440 e sez. IV, 13 marzo 2019 n. 1656, nonché 22 giugno 2018 n. 3843, 15 dicembre 2017 -OMISSIS-908 e sez. VI, 18 ottobre 2017 n. 4830).
A ciò consegue che la rilevanza del pregiudizio allegato sarà oggetto di valutazione sulla sussistenza della condizione dell’interesse a ricorrere.
In tale prospettiva, ad esempio, si è ritenuto che la riduzione del panorama non integri il requisito, a meno che, come ritenuto da Cons. St., sez. IV 27 gennaio 2015 n.362, la visuale relativa non assuma un valore economico, che però va dimostrato (Cons. St., sez. IV, 14 giugno 2021 n. 4557, sez. VI 18 ottobre 2017 n.4830 e IV 2 febbraio 2016 n.383).
39.4. Come anticipato, tale secondo orientamento è stato ulteriormente declinato, in alcune pronunce (specie recenti), nel senso che il concetto di vicinitas, anche in termini logici, è una sintesi verbale, una formula riassuntiva che sta a indicare una situazione nella quale, nella normalità dei casi, il pregiudizio proveniente dal titolo impugnato secondo il comune apprezzamento sussiste, senza bisogno di speciali dimostrazioni. Costituisce una situazione che può comportare, nel concreto rispetto al tipo di impianto di cui si parla, “un pregiudizio almeno presumibile al vicino”. Si tratta di “una sorta di presunzione, che però non è assoluta, nel senso che ove vi sia una specifica contestazione della controparte, l’allegazione non basta, bisogna verificare che il pregiudizio esista davvero”. L’onere della relativa dimostrazione, secondo i principi, spetta poi alla parte interessata, ovvero al soggetto che agisce, e in mancanza il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse (Cons. St., sez. V, 21 aprile 2021 n. 3247 e sez. IV 14 giugno 2021 n. 4557).
40. Stante l’esposto contrasto giurisprudenziale sulle tematiche in oggetto, il Collegio ritiene opportuno, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., deferire l’affare all’Adunanza plenaria.
Ciò in quanto, essendo rimasta da valutare, in punto di domanda demolitoria (essendo stata anche formulata domanda risarcitoria), la censura della violazione della distanza fra la costruzione di proprietà del signor -OMISSIS- e la costruzione di proprietà dei signor -OMISSIS- ed essendo che, sulla base della verificazione da ultimo disposta, si configurano i presupposti per ritenere sussistente la violazione, risulta dirimente sapere se il requisito della vicinitas è di per sé idoneo a supportare l’interesse a ricorrere di parte appellante (oltre che la sua indiscussa, legittimazione ad agire), atteso che detta parte non ha allegato alla propria domanda di tutela un ulteriore e più specifico interesse.
40.1. Prima di riferire in ordine agli argomenti a favore delle varie tesi, si premette che il combinato disposto degli artt. 24, 103, 111 e 113 Cost. configura la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi lesi dall’azione amministrativa come una giurisdizione di tipo soggettivo e non oggettivo, ad iniziativa di parte, sulla base di una puntuale situazione soggettiva lesa, cui consegue un interesse ad agire concreto e attuale, di modo che l’azione giudiziale possa far conseguire alla parte privata un risultato utile in termini di effettivo vantaggio conseguente dalla vittoria in giudizio (Corte cost. n. 271 del 2019).
In coerenza con i principi della giurisdizione soggettiva e dell’impulso di parte, il controllo della legittimazione al ricorso e dell’interesse a ricorrere assume carattere pregiudiziale rispetto all’esame del merito della domanda, così come disposto dall’art. 76 comma 4 c.p.a. e dell’art. 276 comma 2 c.p.c. (Ad. plen. 7 aprile 2011 n. 4 e 27 aprile 2015 -OMISSIS-).
Nel processo amministrativo impugnatorio la legittimazione ad agire spetta di regola al soggetto che è titolare della situazione giuridica sostanziale, in termini di interesse legittimo o di diritto soggettivo (così anche la recente Adunanza plenaria con sentenza 20 febbraio 2020 n. 6, in merito alla legittimazione delle associazioni).
L’interesse al ricorso consiste invece nel vantaggio pratico e concreto che può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa (Cons. Stato, sez. IV, 1 giugno 2018, n. 3321; 19 luglio 2017, n. 3563), cioè nell’utilità o nel vantaggio, materiale o morale, ottenibile dal processo amministrativo al fine di porre rimedio alla lesione subita.
Nel processo amministrativo è infatti applicabile, in virtù della clausola di rinvio esterno recata dall’art. 39 comma 1 c.p.a., l’art. 100 c.p.c. secondo cui “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse” (nel codice del processo amministrativo l’art. 34 comma 3 fa espressamente riferimento al concetto di utilità).
Secondo la costante elaborazione giurisprudenziale, l’interesse al ricorso deve essere personale, concreto e attuale. “Nel processo amministrativo l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato”, cui segue il richiamo di Cassazione civile, sez. un., 2 novembre 2007, n. 23031, “secondo cui l’interesse a ricorrere deve essere, non soltanto personale e diretto, ma anche attuale e concreto - e non ipotetico o virtuale- per fornire una prospettiva di vantaggio” (Ad. plen. 26 aprile 2018 n. 4).
I connotati della personalità, attualità e concretezza debbono caratterizzare l’interesse a ricorrere in entrambi i profili nei quali si articola, quello della lesione e quello dell’utilità che può derivare dall’esercizio dell’azione al fine di porre rimedio alla lesione subita.
Così descritte le due condizioni dell’azione, si rileva che la legittimazione collega la posizione di chi presenta ricorso all’ordinamento giuridico mentre l’interesse a ricorrere sposta l’attenzione sul rapporto fra l’azione giudiziaria esercitata e lo scopo perseguito in concreto dal soggetto agente, laddove per vantaggio concreto deve intendersi un risultato che, per quanto possa realizzarsi anche solo sul piano degli effetti giuridici, sia percepibile in modo tangibile dal ricorrente.
Nel suddetto quadro sistematico si è inserita la giurisprudenza della Corte di giustizia, che, seppur in relazione al solo (ma rilevante) settore degli appalti pubblici, ha introdotto, per quanto di interesse in questa sede e con specifico riferimento ai rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale reciprocamente escludenti, due prospettive interpretative che hanno inciso sulla nozione di legittimazione a ricorrere e (soprattutto) di interesse a ricorrere.
In una prima prospettiva la Corte di giustizia ritiene sufficiente, quale interesse al ricorso, un interesse ipoteticamente strumentale, dato che nell’evenienza fattuale del caso Lombardi (C. giust., sez. X, 5 settembre 2019 C-333/18).
In una seconda prospettiva, l’impostazione della Corte di giustizia ha sovrapposto l’istituto dell’interesse al ricorso rispetto a quello della legittimazione ad agire allorquando e, affermato il primato del diritto eurounitario in ordine al diritto a un ricorso effettivo rispetto alle regole nazionali relative all’ordine di esame delle questioni (di cui alla richiamata Ad. plen. n. 4 del 2011), ha fatto prevalere la condizione dell’interesse al ricorso su quella della legittimazione ad agire, che è rimasta quindi assorbita dalla prima.
40.2. Detto ciò, si esaminano dapprima gli aspetti positivi e negativi degli orientamenti giurisprudenziali sopra esaminati, per poi prendere posizione.
Con riferimento all’orientamento in base al quale la vicinitas è circostanza sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che dell'interesse a ricorrere, si rileva che:
- rappresenta l’orientamento maggioritario (e garantisce quindi stabilità al sistema);
- àncora la sussistenza di entrambe le condizioni dell’azione a un unico presupposto, la vicinitas, così semplificando il canone di accesso alla giustizia, anche in ragione del fatto che il criterio riceve oggi un’applicazione uniforme, che garantisce certezza in ordine alla fruibilità del servizio giustizia nel settore;
- la circostanza che entrambe le condizioni dell’azione siano attestate da un unico presupposto riflette il fatto che la situazione giuridica soggettiva è collegata (in punto di legittimazione) a un bene immobile che è per natura localizzato in modo stabile in una certa zona e che l’utilità pratica anelata con il ricorso, collegandosi a detto bene, è circostanziata dal punto di vista spaziale in ragione proprio di quella localizzazione (in punto di interesse);
- nella maggioranza dei casi il criterio della vicinitas è idoneo a rendere evidente il pregiudizio proveniente dal titolo impugnato senza bisogno di speciali dimostrazioni, rendendo così giustiziabili tali casi senza richiedere un sforzo aggravato ai fruitori del servizio giustizia;
- può essere apprezzato in termini di coerenza con le sollecitazioni provenienti dalla sopra illustrata impostazione eurounitaria sia in punto di sovrapponibilità delle due condizioni dell’azione, la legittimazione a ricorrere e l’interesse a ricorrere, sia in punto di interesse a ricorrere.
In senso negativo si osserva che:
- non sembra avere un sicuro fondamento normativo dopo l’abrogazione dell’art. art. 10 della legge n. 765 del 1967 senza riproduzione nel d.P.R. n. 380/2001;
- riconduce ad unità due istituti processuali aventi contenuto e ratio differenti, come sopra esposto;
- assume in sé il rischio di rendere recessiva la condizione dell’interesse a ricorrere, delineata nei caratteri tipici della concretezza, personalità e attualità, rispetto alla legittimazione, atteso che il concetto di vicinitas proviene da quest’ultima prospettiva (quella della legittimazione), rispetto alla quale è autosufficiente (dal momento che il relativo interesse legittimo è di norma connesso a un diritto autoindividuato), laddove il collegamento stabile con il luogo non rende invece evidente sempre (ma solo nella maggioranza dei casi) il ricorrere di un interesse concreto e personale;
- in particolare, la circostanza che ogni edificazione “illegittima” sia potenzialmente idonea a incidere sull'equilibrio urbanistico e sull'ordinato sviluppo del territorio (Cons. St., sez. VI, 29 marzo 2019 n. 2100) evidenzia aspetti di possibile contiguità rispetto alle prerogative proprie di una giurisdizione di diritto oggettivo, tesa ad assicurare il legittimo dispiegarsi del rapporto di diritto pubblico nell’interesse generale, laddove la prospettiva soggettiva richiede la prova dello specifico pregiudizio derivante dall’iniziativa edilizia nella sfera del ricorrente;
- né le “possibili esternalità negative” scaturenti da un intervento edilizio (di cui alla richiamata pronuncia Cons. St., sez. II, 10 marzo 2021 n. 2056) rappresentano un elemento di per sé qualificante dell’interesse a ricorrere, che deriva solo dall’allegazione della specifica esternalità capace di pregiudicare il ricorrente.
In relazione all’orientamento in base al quale la vicinitas non è sufficiente a radicare l’interesse a ricorrere, dovendo sempre il ricorrente fornire la prova concreta del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica, si osserva che esso consente di riconoscere la diversità di presupposti e di ratio delle due condizioni dell’azione, ancorando la legittimazione allo stabile collegamento e l’interesse all’utilità concreta cui aspira il ricorrente, nel rispetto dei connotati di concretezza e personalità che caratterizzano l’interesse a ricorrere.
Inoltre tale orientamento si fonda sulle condizioni dell’azione nel c.p.a. e prescinde dall’art. 10 della legge n. 765 del 1967, che è stato abrogato senza riproduzione nel d.P.R. n. 380/2001, sicché sembra avere un più solido fondamento normativo rispetto all’altra tesi.
Nondimeno detto orientamento:
- rende l’interesse a ricorrere, che sconterebbe una declinazione ogni volta diversa a seconda del caso concreto, maggiormente aleatorio, così riverberandosi negativamente anche sulla certezza dei presupposti di accesso alla tutela;
- potrebbe inutilmente aggravare l’accesso alla giustizia in tutti i casi in cui la vicinitas rende di per sé evidente la sussistenza dell’interesse a ricorrere.
Con riferimento alla seconda declinazione del secondo orientamento (solo alcuni casi richiedono l’allegazione di un pregiudizio specifico, che si aggiunga al requisito della vicinitas) si rileva che:
- pare cogliere con maggiore precisione le varie casistiche di accesso alla tutela giurisdizionale nel settore di riferimento distinguendo la maggior parte delle cause, nelle quali la vicinitas è indice di un interesse concreto, dalle rimanenti domande di tutela, rispetto alle quali l’anelata utilità non pare ancorata in modo evidente allo stabile collegamento con il luogo dell’iniziativa edilizia;
- lascia l’accertamento di una condizione dell’azione (rilevabile d’ufficio) alla dinamica fra le parti che caratterizza le presunzioni semplici.
41. Così illustrati per sommi capi gli orientamenti che si confrontano sulla questione in esame, questo CGARS ritiene di aderire seppur con una precisazione di chiusura, al primo orientamento, in quanto si pone in linea di continuità con la condizione dell’azione costituita dall’interesse a ricorrere, così come si è evoluta nell’ambito del processo amministrativo, oltre a costituire, per i motivi già detti, un viatico sicuro per l’accesso alla tutela giurisdizionale.
E’ utile, per giustificare detta posizione, riferirsi alla sopra illustrata nozione di interesse a ricorrere quale interesse concreto, attuale e personale a conseguire un’utilità dall’iniziativa giursdizionale.
Detta utilità non può che misurarsi sulla situazione giuridica soggettiva lesa.
Nel caso di specie detta situazione, da qualificare in termini di interesse legittimo (dal momento che l’annullamento della concessione edilizia chiama in causa un potere pubblico), si innesta su quello stabile collegamento con il luogo dell’intervento edilizio che generalmente è assicurato dalla titolarità di un diritto reale, specie di proprietà, su un immobile sito nelle vicinanze.
Se l’interesse legittimo si impernia sulla situazione giuridica di base, esso riflette nel contempo il rapporto di diritto pubblico che si stabilisce con l’Amministrazione.
Il diritto di proprietà ne costituisce il presupposto ma l’interesse legittimo, chiamando in causa il rapporto con il potere pubblico, contiene in sé ulteriori pretese, che non si esauriscono nelle prerogative del diritto domenicale.
Il proprietario di un immobile vanta infatti una posizione qualificata in quanto titolare del diritto di proprietà (che quindi è legittimato a tutelare) ma anche in quanto titolare di un interesse legittimo che da quel diritto consegue (a determinate condizioni, nel caso di specie enucleate sulla base della nozione di vicinitas) e che lo legittima a far valere ulteriori prerogative, collegate all’uso (legittimo) del potere pubblico di governo del territorio. Che, altrimenti, verrebbe meno la stessa nozione di interesse legittimo, così “schiacciando” la posizione del privato nella sola titolarità del diritto reale.
Quanto sopra si apprezza rispetto alla regola sulle distanze fra costruzioni, che viene in evidenza nella presente controversia, distinguendo le distanze legali previste dal regolamento edilizio a fini pubblicistici da quelle previste dal codice civile a fini privatistici.
La ratio sottesa alla vigente normativa codicistica sull'apertura e la tutela delle vedute è mutuata dal codice civile del 1865, che ha predeterminato un contemperamento legale tra gli interessi confliggenti dei proprietari di fondi contigui, nel quadro di un armonico assetto dei rapporti di vicinato.
Il legislatore ha tenuto presente che il conflitto si pone essenzialmente tra due situazione giuridiche soggettive determinate, facenti capo ad altrettanti soggetti di diritto, l'interesse del proprietario del muro di ricevere luce, aria e amenità all'interno della sua costruzione, anche mediante la possibilità di spaziare con lo sguardo al di fuori di questa, e l'interesse del vicino di impedire che l'esercizio delle facoltà altrui incida sull’esclusività del suo dominio cagionando la lesione o la messa in pericolo della sua sfera di sicurezza e riservatezza.
La normativa compone proprio il contrasto immanente alle reciproche interferenze che derivano dall'uso normale di beni immobili contigui appartenenti a soggetti determinati, conformando il diritto di proprietà in modo da tutelare gli specifici interessi contrapposti.
Le distanze fissate dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 sono invece coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile.
La funzione della norma è infatti quella di assicurare che fra edifici frontistanti non si creino intercapedini dannose per la salubrità, tali da non permettere un adeguato afflusso di aria e di luce, vale a dire che la distanza minima fissata dall'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 di dieci metri dalle pareti finestrate è volta alla salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico sanitarie, al fine di evitare malsane intercapedini tra edifici tali da compromettere i profili di salubrità degli stessi, quanto ad areazione luminosità ed altro, e trattasi di una norma che in ragione delle prevalenti esigenze di interesse pubblico ad essa sottese ha carattere cogente e tassativo, prevalendo sulle disposizioni regolamentari degli enti locali che dispongano in maniera riduttiva (Cons. St., sez. IV, 4 marzo 2021, n. 1841).
Il titolare del diritto reale, quindi, può far valere le prerogative che il codice civile riconosce al titolare ma è nel contempo titolare dell’interesse legittimo a che il potere pubblico del governo del territorio si esplichi nel rispetto della disciplina di settore.
L’interesse a ricorrere, e l’utilità che ne costituisce il portato, risente della diversa posizione del privato nell’ambito del rapporto di diritto pubblico, rispetto alla posizione del medesimo nel confronto con il vicino, nella relazione che tipicamente si instaura fra due proprietari di fondi finitimi.
Quell’utilità si apprezza rispetto alla specificità degli interessi chiamati in causa dalla domanda giudiziale e quindi, nel caso di specie, rispetto alla nozione di governo del territorio, che possiede una dimensione non parcellizzata. La prospettiva verso cui si dispiega non è infatti quella del rapporto fra due soggetti determinati ma quella più generale dell’assetto di una determinata area, che, per natura, non ha riguardo a specifici rapporti fra interessi particolari e soggetti che ne sono portatore ma all’assetto complessivo di una porzione di territorio. Che, anzi, tale connotato, cioè la localizzazione del medesimo in un’area che non può riguardare in modo parcellizzato due soggetti, costituisce l’aspetto peculiare di detto interesse pubblico.
L’utilità perseguita con la domanda di annullamento di un titolo edilizio quindi non si riduce a quanto ottenibile dal vicino a vantaggio del diritto domenicale in quanto tale ma chiama in causa il vantaggio personale ottenibile da un corretto governo del territorio.
In tale prospettiva la circostanza che la regola in tesi violata (che costituisce la ragione della domanda di tutela) riguardi una parte di immobile del vicino che non si interfaccia con la costruzione del ricorrente, non appare dirimente, se è apprezzabile l’interesse a conseguire l’utilità (personale) derivante da un corretto governo del territorio, nei limiti in cui si espande la vicinitas.
Il requisito della vicinitas infatti circoscrive e differenzia gli interessi qualificati in quanto facenti parte di una comunità identificata in base ad un prevalente criterio territoriale, rispetto ai quali si misura l’attività conformativa dell’Amministrazione, delimitando al contempo lo specifico ambito geografico in cui quelle posizioni si realizzano e possono aspirare a essere tutelate.
Nella zona rispetto alla quale sussiste uno stabile collegamento nel senso sopra delineato, pertanto, ogni edificazione “illegittima” è potenzialmente idonea a incidere sull'equilibrio urbanistico e sull'ordinato sviluppo del territorio (Cons. St., sez. VI, 29 marzo 2019 n. 2100) e ciò non in quanto la materia sia sottoposta a una giurisdizione di diritto oggettivo, ma in quanto l’utilità perseguita non è quella derivante dal diritto di proprietà ma quella che scaturisce dall’interesse legittimo ad un corretto governo del territorio.
Ne deriva che nella maggior parte dei casi alla vicinitas consegue l’evidenza non solo della legittimazione a ricorrere ma anche dell’interesse.
41.1. Questo CGARS non può peraltro negare in via generale (e preventiva) che non possano ricorrere casi controversi rispetto ai quali la nozione di vicinitas non sia idonea a evidenziare di per sé la sussistenza dell’interesse a ricorrere. Sono i casi in cui le eccezioni di parte e il rilievo d’ufficio ex art. 73 c.p.a. possono far risaltare la mancata evidenza dell’interesse a ricorrere sulla base della sola vicinitas, così attualizzando l’onere del ricorrente di indicare la sussistenza dei presupposti dell’interesse a ricorrere, pena l’inammissibilità della domanda di tutela.
In riferimento a questi casi si ritiene di richiamare l’evoluzione di recente formatosi quale diramazione del secondo orientamento sopra richiamato, che richiede che (solo in tali casi) il ricorrente sia onerato di dimostrare uno specifico pregiudizio, che non risulta evidente sulla base della sola vicinitas.
Rispetto a tale evenienza si formulano due considerazioni, l’una tesa a restringerne l’ambito di rilevanza e l’altra volta a individuarne le modalità processuali di gestione.
Quanto al prima aspetto, si ritiene che detta evenienza, cioè il verificarsi di casi nei quali la sussistenza della vicinitas non evidenzia la sussistenza dell’interesse a ricorrere, con conseguente attualizzazione dell’onere del ricorrente di fornirne la dimostrazione, non si configuri tutte le volte in cui, indipendentemente dalla violazione commessa, è apprezzabile il risultato ottenibile a seguito dell’accertamento della violazione.
In tale prospettiva il criterio della vicinitas non si apprezza solo al fine di individuare la prossimità della posizione del ricorrente rispetto al luogo in cui si è verificata la (asserita) violazione, quindi nella prospettiva della lesione subita, così andando a rinvenire, come illustrato con riferimento al secondo orientamento richiamato, il vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla sfera giuridica del ricorrente, quali il deprezzamento del valore del bene o la concreta compromissione del diritto alla salute e all'ambiente.
Piuttosto merita di essere valorizzato il profilo dell’interesse a ricorrere riguardante l’utilità conseguibile con l’esercizio dell’azione, così apprezzando anche il luogo sul quale si riverberano gli effetti dell’accertamento di quella violazione.
In tale prospettiva, nei casi in cui la regola violata non attiene specificamente ai rapporti fra il ricorrente e il vicino confinante, non si pone un problema di carenza di interesse a ricorrere tutte le volta in cui il risultato concreto cui aspira l’iniziativa giudiziaria è comunque vantaggioso per il ricorrente.
E’ il caso, ad esempio, in cui la regola violata, indipendentemente dal luogo nel quale si è concretizzata, comporti la demolizione dell’intera opera costruita dal vicino.
Nondimeno, nelle (rare e residuali) occasioni in cui la vicinitas non evidenzia l’interesse a ricorrere, onerando l’interessato dell’allegazione di un (ulteriore) pregiudizio specifico, si ritiene che la dinamica processuale che ne deriva non possa essere risolta sulla base dell’istituto della presunzione.
Le presunzioni costituiscono prove indiziarie o critiche del fatto, agendo, in particolare per quanto attiene alle presunzioni semplici, sulla regola di cui all’art. 2697 c.c. attraverso l’inversione dell’onere della prova. Esse costituiscono uno dei meccanismi con cui il legislatore ripartisce il rischio della mancata prova. In tal senso esse scontano, per quanto di rilievo in questa sede, il particolare atteggiarsi dell’interesse a ricorrere.
Questo, appartenendo alla categoria delle condizioni dell’azione, oltre a dover sussistere a far tempo dalla proposizione della domanda e fino alla decisione, ricorre, nella normalità dei casi, se viene esibito il pregiudizio subito e l’utilità anelata, non ponendosi un problema di prova (nel cui ambito agiscono le presunzioni) ma di mera allegazione.
Inoltre è onere del ricorrente rappresentare la sussistenza di detta condizione e subire le conseguenze del mancato assolvimento dell’onere, non potendosi ammettere una diversa ripartizione del rischio della mancata prova.
Piuttosto, sono i già richiamati istituti processuali delle eccezioni di parte e del rilievo d’ufficio ex art. 73 c.p.a. ad attualizzare l’onere del ricorrente di indicare la sussistenza degli specifici presupposti dell’interesse a ricorrere, pena l’inammissibilità della domanda di tutela.
42. Detto ciò sull’inquadramento della tematica giuridica, nel caso di specie la risoluzione della questione della sufficienza o meno della vicinitas (intesa come criterio presuntivo della sussistenza sia della legittimazione che dell’interesse a ricorrere), al fine attestare l’interesse a ricorrere è dirimente, atteso che gli appellanti, in seguito alla sollevazione da parte di controparte del tema della mancanza di interesse di questi rispetto a una violazione che non vede coinvolto l’immobile di loro proprietà, non hanno evidenziato uno specifico interesse, in termini di pregiudizio o di utilità, limitandosi a richiamare l’orientamento giurisprudenziale che ritiene a tal fine sufficiente la vicinitas.
43. Si sottopongono, pertanto, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., le seguenti questioni:
a) se la vicinitas, sulla base dell’orientamento maggioritario sopra illustrato, è di per sè idonea non solo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, ma a evidenziare il profilo dell’interesse all’impugnazione;
b) se, viceversa, la vicinitas è idonea a dimostrare la sola condizione della legittimazione a ricorrere, e per l’effetto è necessario che il ricorrente dimostri lo specifico pregiudizio che l’iniziativa edilizia (posta in essere in violazione delle regole di settore) gli provoca;
c) in questo secondo caso (ai fini di un completo discernimento della questione), se tale dimostrazione deve essere sempre resa o solo nell’evenienza che la vicinitas non renda evidente lo specifico vulnus patito dal ricorrente;
d) nel caso in cui l’Adunanza plenaria aderisca all’impostazione di cui ai punti b) o c) come si debba apprezzare l’interesse ad agire nelle cause in cui si lamenta una violazione delle distanze (fra costruzioni) imposte dalla legge urbanistica:
- se il solo interesse deducibile sia la lesione della distanza tra l’immobile del ricorrente e quello confinante, o anche la lesione della distanza tra l’immobile confinante e una terza costruzione, non confinate con quella del ricorrente, o, in termini più generali, se rilevino anche le distanze fra due immobili di cui nessuno confinante ma comunque nel raggio visivo del ricorrente legittimato ad agire sulla base del requisito della vicinitas;
- se, a tal fine, rilevi la conseguenza evincibile di detta violazione, in termini di demolizione dell’intera opera del vicino, indipendentemente dal luogo interessato dalla violazione dedotta.
44. In conclusione, l’appello deve essere accolto in parte quanto alle questioni di rito, mentre nel merito deve essere in parte respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado, e per la restante parte va rimesso all’Adunanza plenaria, come sopra indicato.
Atteso che sarà l’Adunanza plenaria a valutare se limitarsi a enunciare il principio di diritto e restituire gli atti a questo CGARS o se decidere l’intera controversia, ogni ulteriore determinazione, anche relativa alla domanda risarcitoria, così come ogni statuizione sulle spese, viene rinviata al definitivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,
parzialmente e non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte in rito mentre nel merito in parte lo respinge e in parte ne dispone il deferimento all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 99 c.p.a., in relazione alle seguenti questioni di diritto:
a) se la vicinitas, sulla base dell’orientamento maggioritario sopra illustrato, è di per sè idonea non solo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, ma a evidenziare il profilo dell’interesse all’impugnazione;
b) se, viceversa, la vicinitas è idonea a dimostrare la sola condizione della legittimazione a ricorrere, e per l’effetto è necessario che il ricorrente dimostri lo specifico pregiudizio che l’iniziativa edilizia (posta in essere in violazione delle regole di settore) gli provoca;
c) in questo secondo caso (ai fini di un completo discernimento della questione), se tale dimostrazione deve essere sempre resa o solo nell’evenienza che la vicinitas non renda evidente lo specifico vulnus patito dal ricorrente;
d) nel caso in cui l’Adunanza plenaria aderisca all’impostazione di cui ai punti b) o c) come si debba apprezzare l’interesse ad agire nelle cause in cui si lamenta una violazione delle distanze (fra costruzioni) imposte dalla legge urbanistica:
- se il solo interesse deducibile sia la lesione della distanza tra l’immobile del ricorrente e quello confinante, o anche la lesione della distanza tra l’immobile confinante e una terza costruzione, non confinate con quella del ricorrente, o, in termini più generali, se rilevino anche le distanze fra due immobili di cui nessuno confinante ma comunque nel raggio visivo del ricorrente legittimato ad agire sulla base del requisito della vicinitas;
- se, a tal fine, rilevi la conseguenza evincibile di detta violazione, in termini di demolizione dell’intera opera del vicino, indipendentemente dal luogo interessato dalla violazione dedotta.
Ogni ulteriore determinazione, compresa quella sulle spese, è rinviata al definitivo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche citate nella pronuncia.
Così deciso dal C.G.A.R.S. con sede in Palermo nelle camere di consiglio dei giorni 16 giugno 2021 e 6 luglio 2021, tenutesi da remoto e in modalità telematica e con la contemporanea e continua presenza dei magistrati:
Rosanna De Nictolis, Presidente
Raffaele Prosperi, Consigliere
Sara Raffaella Molinaro, Consigliere, Estensore
Maria Immordino, Consigliere
Antonino Caleca, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Sara Raffaella Molinaro
Rosanna De Nictolis
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.