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Decreto esproprio, notifica, urgenza - MASSIMATA - Tar Lazio, 17 dicembre 2018

Pubblico
Venerdì, 28 Dicembre, 2018 - 22:36

 

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda), sentenza n. 1255 del 17 dicembre 2018, sul decreto di esproprio, sulle notifiche del decreto, sul concetto di urgenza

MASSIMA 

Le valutazioni sull’urgenza effettuate dalla P.A., specialmente se relative a profili di discrezionalità tecnica, come nel caso di specie, non sono sindacabili dal giudice amministrativo, salvo che in ipotesi di palese illogicità e/o irragionevolezza.

La contestazione del procedimento di determinazione delle indennità esula dalla competenza del giudice amministrativo in quanto si risolve in una controversia vertente sulla quantificazione dell’indennità di esproprio che deve essere fatta valere innanzi alla Corte d’Appello, funzionalmente competente in materia (cfr. Cass. civ. SS.UU. n. 15283 del 25.7.2017).

E’, infatti, del tutto ininfluente il fatto che la notifica sia stata fatta a mezzo del messo comunale anziché a mezzo dell’ufficiale giudiziario in quanto è indubbio che nella data di notifica i ricorrenti abbiano avuto piena conoscenza dell’atto e, inoltre, non sono state evidenziate ragioni, in ipotesi derivanti dal tipo di notifica, che abbiano potuto pregiudicare il loro diritto di difesa.

Secondo la consolidata giurisprudenza, il vizio della notifica di un decreto di esproprio non incide sulla legittimità del provvedimento quanto piuttosto sull’opponibilità dello stesso al destinatario e – specialmente – sulla effettiva decorrenza dei termini posti a disposizione dell’inciso per esercitare le sue facoltà in sede non tanto procedimentale quanto piuttosto processuale (ad esempio opposizione alla stima). In sostanza, la mancata rituale notifica del decreto di esproprio al proprietario effettivo comporta soltanto che quest’ultimo non sia soggetto al termine di decadenza per l’opposizione alla stima (impedendone il decorso), ma non costituisce, in particolare, motivo di carenza del potere espropriativo che legittimi il proprietario stesso ad invocare l’illiceità dell’occupazione del fondo al fine di ottenere il risarcimento del danno corrispondente al valore del bene (cfr. in termini Consiglio di Stato, IV, 11.4.2007, n. 1668).

SENTENZA 

N. 12255/2018 REG.PROV.COLL.

N. 11347/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11347 del 2006, proposto dalla società I.c.m.t. Industriali Costruzioni Meccaniche Tor Cervara a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, OMISSIS, rappresentati e difesi dagli avvocati Ugo Petronio e Attilio Serafini, con domicilio eletto presso lo studio degli stessi in Roma, via Ruggero Fauro, 43; 

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Umberto Garofoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Avvocatura civica in Roma, via del Tempio di Giove 21; 

per l'annullamento

- del provvedimento Dirigenziale – Dipartimento IX Ufficio Espropri – n. 38 del 6 settembre 2006, notificato il 29 settembre 2006, che ha decretato l’espropriazione definitiva in favore del Comune di Roma degli immobili occorrenti per l’opera di allargamento della via Tiburtina da km. 9,300 a km. 15,800 e meglio indicati nel piano particellare e nella planimetria catastale;

nonché di ogni atto presupposto e consequenziale tra cui, in particolare, le Deliberazioni della Giunta comunale n. 263 del 5 maggio 2004 e n. 533 del 19 ottobre 2005 (approvazione del progetto definitivo); la determinazione in via di urgenza dell’indennità da corrispondere agli aventi diritto; il decreto dirigenziale n. 23 del 2 maggio 2006;

e per il risarcimento del danno nella misura pari al valore venale dei beni espropriati, da determinare secondo i criteri di mercato e all’esito della Consulenza che il Tribunale adito vorrà disporre.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Roma e di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2018 la dott.ssa Marina Perrelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti hanno impugnato gli atti indicati in epigrafe deducendone l’illegittimità per violazione e falsa applicazione di legge (art. 7 della legge n. 241/1990; artt. 8, 11, 16, 20, 22, 23 e ss. del D.P.R. n. 327/2001; artt. 10 e 11 della legge n. 865/1971) e per eccesso di potere sotto molteplici profili tra cui l’incompetenza dell’autorità notificante ed il principio di buon andamento della P.A., concludendo per il loro annullamento e per la condanna di Roma Capitale al risarcimento dei danni subiti a causa dell’attività amministrativa illegittima.

2. Roma Capitale, costituita in giudizio, ha ribadito la legittimità del proprio operato, concludendo per la reiezione del ricorso.

3. Alla pubblica udienza del 24 ottobre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

4. Il ricorso non è fondato e va respinto per le seguenti ragioni.

5. Dalla documentazione allegata si evince: a) che, a seguito del trasferimento (2001) della proprietà da parte dell’ANAS del tratto della via Tiburtina dopo il Gran Raccordo Anulare e fino al confine del territorio comunale, il Comune di Roma ha deciso l’allargamento della sede stradale interessata da molteplici insediamenti produttivi, oltre che dal traffico automobilistico locale e dei pendolari; b) che dopo la costituzione (2002) di apposita Commissione interdipartimentale, con delibera del Consiglio Comunale n. 236 del 13 dicembre 2004 è stato approvato il progetto preliminare dell’intero intervento; c) che la necessaria variante urbanistica adottata ha ottenuto l’approvazione della Giunta Regionale con deliberazione n. 708 del 4 agosto 2005, pubblicata ai sensi di legge e senza che intervenissero osservazioni da parte di privati; d) che l’11 luglio 2005 è stato affisso l’avviso di avvio del procedimento di esproprio all’Albo pretorio e pubblicato su tre quotidiani a diffusione nazionale, con ripetizione il successivo giorno 12 nella cronaca locale di uno degli stessi, ed è stata messa a disposizione del pubblico tutta la documentazione depositata presso l’Albo delle Espropriazioni; e) che tra le intervenute 44 osservazioni non ve ne sono di proposte dagli odierni ricorrenti; f) che con deliberazione di Giunta Comunale n. 533 del 19 ottobre 2005 è stato approvato il progetto definitivo dell’opera, esecutivo dal successivo 7 novembre, che implica la dichiarazione di pubblica utilità, e con determinazione dirigenziale n. 35 del 16 gennaio 2006 è stato disposto l’accesso alle aree di proprietà dei ricorrenti per le rilevazioni tecniche e per la redazione dei verbali di consistenza; g) che l’8 giugno 2006 è stato emesso il decreto dirigenziale n. 25 di esproprio di aree occorrenti tra cui, inserite nel piano particellare, le due (nn. 1 e 86) intestate alla ricorrente I.C.M.T., l’unica (n. 7) singolarmente intestata al ricorrente OMISSIS e 4 (nn. 4, 22, 70 e 83), tra i cui intestatari figura anche il ricorrent eOMISSIS; h) che avverso il predetto secreto è stato proposto ricorso al TAR Lazio con numero di R.G. n. 9310/06 (anch’esso trattenuto in decisione alla medesima udienza); i) che con decreto dirigenziale n. 38 del 6 settembre 2006 è stato disposto in modo definitivo l’esproprio a favore del Comune di Roma degli immobili occorrenti alla realizzazione dell’opera viaria in questione, con variazione del piano particellare che è composto non più da 87 (decreto b. 25/2006, citato), ma da 107 ditte: tra di esse quelle intestate alla I.C.M.T. aumentano di una unità e seguono un diverso ordine (nn. 4 per mq. 80; 100 per mq. 2401 e 106 per mq. 4), mentre quelle intestate al ricorrente OMISSIS, persona fisica, subiscono solo la variazione del numero d’ordine (nn. 15, 24, 36, 68 e 69).

6. Tanto premesso, occorre passare all’esame delle censure articolate da parte ricorrente, non senza evidenziare che i primi quattro motivi coincidono con quelli sollevati nel ricorso recante il numero R.G. 9310/2006.

7. Con il primo motivo parte ricorrente deduce l’illegittimità della procedura posta in essere per omesso avviso di avvio di procedimento ovvero per errata modalità dello stesso, in quanto sarebbe stata erroneamente utilizzata la forma dell’avviso pubblico, prevista dalla legge qualora il numero dei destinatari si superiore a cinquanta.

Prima che in diritto il vizio dedotto è infondato in fatto poiché il numero delle ditte elencate nel decreto di esproprio n.25/2006 è pari ad 87 e tra le 7 ditte intestate ai ricorrenti vi è identità di intestatario solo per quelle riferite alla società, mentre quelle intestate alla persona fisica hanno sempre intestatari diversi, risultando solo una in piena proprietà del ricorrente OMISSIS e le rimanenti in comproprietà con diversi soggetti.

La differente composizione della titolarità determina, quindi, una diversità delle ditte ai fini del loro conteggio in quanto autonome le une dalle altre, con conseguente superamento del limite delle 50 unità.

Per altro verso va evidenziato che i ricorrenti non hanno assolto all’onere di provare il loro assunto ed in mancanza di tale prova, nonché alla luce delle suesposte considerazioni, il vizio denunziato risulta privo di fondamento.

8. La seconda censura attiene alla destinazione urbanistica delle aree interessate dall’esproprio in quanto non risulterebbe che la realizzazione dell’opera fosse prevista dallo strumento urbanistico generale, né che il vincolo preordinato all’esproprio fosse stato disposto in conferenza di servizi o secondo le altre modalità di cui agli artt. 9 e 10 del D.P.R. n. 327/01.

Anche tale censura è infondata in quanto dalla documentazione allegata emerge che l’area interessata dall’allargamento della via Tiburtina dal km. 9.300 al km. 15,800 è stata oggetto di apposita variante urbanistica adottata e pubblicata, non fatta oggetto di osservazioni da parte dei ricorrenti ed approvata dalla Regione Lazio nel 2005. Ne discende che l’opera oggetto di causa è prevista dallo strumento urbanistico generale del Comune di Roma, con vincolo sicuramente non temporalmente scaduto.

9. Con il terzo ed il quarto motivo i ricorrenti contestano la determinazione dell’indennità di esproprio, come quantificata in via di urgenza in € 4,14 a mq. per le aree agricole ed in € 3,90 a mq. per le aree fabbricabili, sia sotto il profilo del procedimento seguito ai sensi dell’art. 22 del D.P.R. n. 327/2001, sia per l’irrazionalità del quantum stabilito.

Anche tali censure sono prive di fondamento.

Occorre, in primo luogo, evidenziare come le valutazioni sull’urgenza effettuate dalla P.A., specialmente se relative a profili di discrezionalità tecnica, come nel caso di specie, non sono sindacabili dal giudice amministrativo, salvo che in ipotesi di palese illogicità e/o irragionevolezza. Al riguardo non coglie nel segno la prospettazione di parte ricorrente laddove ritiene che l’urgenza sarebbe smentita dai tempi lunghi dell’amministrazione capitolina che, al contrario, in un arco temporale inferiore a quattro anni ha completato l’iter dalla progettazione (preliminare e definitiva), la variante urbanistica ed la decretazione dell’esproprio: tale percorso è, infatti, notoriamente gravoso (pubblicazioni, osservazioni, adozioni) per i tempi procedimentali legali e per il coinvolgimento di altre amministrazioni (la Regione Lazio e l’allora Ufficio Tecnico erariale).

Peraltro, la contestazione del procedimento di determinazione delle indennità esula dalla competenza del giudice adito in quanto si risolve in una controversia vertente sulla quantificazione dell’indennità di esproprio che avrebbe dovuto essere fatta valere innanzi alla Corte d’Appello, funzionalmente competente in materia (cfr. Cass. civ. SS.UU. n. 15283 del 25.7.2017).

10. Con il quinto motivo si sostiene l’illegittimità del decreto gravato per incompetenza del messo comunale ad eseguirne la notifica che avrebbe, invece, dovuto aver luogo per mezzo di Ufficiale giudiziario.

L’assunto non va condiviso.

E’, infatti, del tutto ininfluente il fatto che la notifica sia stata fatta a mezzo del messo comunale anziché a mezzo dell’ufficiale giudiziario in quanto è indubbio che nella data di notifica i ricorrenti abbiano avuto piena conoscenza dell’atto e, inoltre, non sono state evidenziate ragioni, in ipotesi derivanti dal tipo di notifica, che abbiano potuto pregiudicare il loro diritto di difesa.

Secondo la consolidata giurisprudenza, il vizio della notifica di un decreto di esproprio non incide sulla legittimità del provvedimento quanto piuttosto sull’opponibilità dello stesso al destinatario e – specialmente – sulla effettiva decorrenza dei termini posti a disposizione dell’inciso per esercitare le sue facoltà in sede non tanto procedimentale quanto piuttosto processuale (ad esempio opposizione alla stima). In sostanza, la mancata rituale notifica del decreto di esproprio al proprietario effettivo comporta soltanto che quest’ultimo non sia soggetto al termine di decadenza per l’opposizione alla stima (impedendone il decorso), ma non costituisce, in particolare, motivo di carenza del potere espropriativo che legittimi il proprietario stesso ad invocare l’illiceità dell’occupazione del fondo al fine di ottenere il risarcimento del danno corrispondente al valore del bene (cfr. in termini Consiglio di Stato, IV, 11.4.2007, n. 1668).

11. Con gli ultimi due motivi si deducono vizi del procedimento relativi, da un lato, ad una mancanza delle garanzie partecipative in ordine alla ostensione del progetto, con ricaduta sulla stessa dichiarazione di pubblica utilità e, quindi, sull’intera procedura di esproprio, e dall’altro lato all’identificazione dei beni espropriati, avvenuta unicamente attraverso i dati catastali.

Le censure non appaiono fondate.

Quanto alla prima doglianza si è già ampiamente dimostrato che la partecipazione al procedimento è stata garantita in tutti i modi previsti dalla legge in ipotesi di un numero di espropriati superiore a 50, come dimostrano anche le numerose osservazioni pervenute da parte di altri soggetti incisi dal provvedimento e non anche da parte dei ricorrenti.

Quanto alla seconda doglianza si osserva che le schede relative alle ditte enumerate nel piano particellare, compreso nel corpo del decreto n. 38/2006, sono molto dettagliate ed i ricorrenti non hanno fornito alcun principio di prova circa la loro discordanza con le situazioni di fatto e di diritto in cui versano gli immobili per i quali vantano interesse alla contestazione.

12. Per tutte le suesposte ragioni il ricorso deve essere rigettato, così come la domanda di risarcimento danni che, oltre ad essere generica ed indeterminata, è altresì non provata né sotto il profilo dell’an, né sotto il profilo del quantum.

13. Le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna i ricorrenti, in solido tra di loro, alla rifusione in favore di Roma Capitale delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (duemila/00), oltre IVA, CPA e rimborso come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Emanuela Loria, Consigliere

Marina Perrelli, Consigliere, Estensore

 

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Marina Perrelli Antonino Savo Amodio

IL SEGRETARIO

 

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