Strada uso pubblico - requisiti
Pubblico
Lunedì, 19 Marzo, 2018 - 09:56
Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, (Sezione Seconda), sentenza n. 85 del 17 gennaio 2018, sull’uso pubblico di una strada.
La massima
Per considerare assoggettata ad uso pubblico una strada (privata), è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all’attuazione di un pubblico interesse, consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici, ecc.).
Deve poi essere verificato il requisito del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale, sicché sussiste il requisito della servitù di uso pubblico laddove la strada vicinale “possa essere percorsa indistintamente da tutti i cittadini per una molteplicità di usi e con una pluralità di mezzi e conseguentemente il Comune possa introdurre alcune limitazioni al traffico come per il resto della viabilità comunale” (cfr. Cons. di Stato, n.1266/2010).
Sotto altro profilo, è comunque richiesta l’esistenza di un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi anche nella stessa protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile; in proposito, è stato affermato che il requisito dell’uso pubblico “insorge dall’inserimento, ricollegabile alla volontà del proprietario e palesantesi nel mutamento della situazione dei luoghi, della strada nella rete viaria cittadina, come può accadere in occasione di convenzioni urbanistiche, di nuove edificazioni o di espropriazioni, e tale uso deve essere inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto di uso della strada, palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica (cfr. Cons. di Stato, cit., e, conforme, Cons. di Stato, n.2364/2008).
. 00085/2018 REG.PROV.COLL.
N. 02179/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2179 del 2005, proposto da:
omissis, rappresentato e difeso dagli avvocati Laura Clarizia, Emilio Ferraro, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Emilio Ferraro in Salerno, largo Dogana Regia,15 c/o studio avv. Brancaccio;
contro
Comune di Castellabate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Adriano Tortora, con domicilio eletto c/o Segreteria TAR;
nei confronti di
omissis, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
dell’ordinanza n.15356/05 intimante rimozione segnaletica qualificata abusiva;
dell’ordinanza n 16211/05 intimante rimozione di recinzione a delimitazione della proprietà.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Castellabate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2017 la dott.ssa Maria Abbruzzese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente impugna, con il ricorso all’esame, le ordinanze meglio in epigrafe individuate, con le quali il Responsabile dell’Area di Vigilanza del Comune di Castellabate intimava, rispettivamente, la rimozione di segnaletica verticale, dal ricorrente apposta su terreno di sua proprietà, e la rimozione della recinzione dello stesso fondo, sul presupposto dell’esistenza di una servitù di uso pubblico gravante sullo stesso, in una agli atti eventualmente presupposti (delibera di G.M. n.236/2004 e di C.C. n.203/1986 e comunicazione e rapporto della Polizia Municipale).
Il ricorrente esponeva in fatto quanto segue:
con atto per notar Cammarano del 24.3.1982 il sig. OMISSIS donava ai cinque figli Sabato, Nicola, Ercole, Mario e Giovanni (odierno ricorrente) altrettante quote di un fondo rustico sito in Castellabate, Contrada Alano - Cavafosse; a detto fondo si accedeva attraverso la stradina “vicinale” denominata “Cavafosse”, successivamente classificata comunale con delibera del Consiglio comunale n.203 del 16.12.1986, in cui si precisava che la strada “ha inizio dall’innesto sulla provinciale dell’Alano e termine a m. 50 oltre il ponte sul Vallone Cavafosse”, ossia a 125 m., dall’inizio della proprietà privata Conte; quanto all’interno del fondo rustico, nell’atto di donazione si precisava che “l’accesso pedonale e carrabile alle quote (…) resta assicurato a mezzo di stradina interna, larga tre metri, che parte da altra via (…) preesistente e si sviluppa nella porzione donata a Giovanni;
il ricorrente chiedeva allora al Comune di Castellabate autorizzazione alla delimitazione della porzione di terreno donatagli con istanza del 10.2.1999, mediante la realizzazione di un muretto di recinzione, che non intaccava i tre metri della stradina destinata alla circolazione interna; l’autorizzazione veniva rilasciata con nota prot. n.157 del 26.8.1999; il ricorrente, tuttavia, non realizzava la recinzione, invece apponendo un cartello indicante la proprietà privata e poi, previa comunicazione all’Amministrazione comunale, delimitava con paletti e filo metallico quella stessa parte del proprio fondo che l’Amministrazione aveva già autorizzato a recintare, anche in tale caso senza invadere la stradina di tre metri voluta dal donante e senza pregiudizio dei fondi finitimi;
con la prima delle ordinanza impugnate, il Responsabile dell’Area di Vigilanza del Comune disponeva, tuttavia, “il divieto di realizzare qualunque opera che renda difficoltoso il libero passaggio sulla strada”, nonché “il divieto di collocare, nella ridetta strada, eventuale segnaletica (…) ivi inclusi cartelli o segnali che inibiscano il passaggio”; con la successiva ordinanza veniva ingiunta la rimozione immediata della realizzata recinzione precaria.
Da qui il ricorso che deduce:
1) Violazione di legge (artt. 7 e ss. L. 7.8.1990, n.241 e s.m.i.) Eccesso di potere (violazione del giusto procedimento): le ordinanze non sono state precedute da comunicazione dia avvio del procedimento in violazione delle disposizioni epigrafate;
2) Violazione di legge (artt. 84 e 378, L. 20.3.1865, n.2248, alle F) – Violazione di legge (art. 15 D.lgs. 1.9.1917 n.1446) – Violazione del principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi (art. 1, L. 7.8.1990, n.241) – Violazione di legge (art. 841 C.C.) – Eccesso di potere (difetto dei presupposti - erroneità dell’istruttoria - sviamento) – Eccesso di potere (erroneità dell’istruttoria, contraddittorietà – illogicità - abnormità): le ordinanze sono illegittime perché fondate sull’erroneo presupposto del carattere vicinale della strada o, comunque, dell’esistenza di una servitù di passaggio pubblico sulla stessa; solo in tale caso l’Autorità avrebbe poteri di vigilanza e ripristino, come dispongono le norme epigrafate; ma la strada in questione non è vicinale e non è soggetta ad uso pubblico, il che è dimostrato dalla stessa autorizzazione rilasciata al ricorrente e finalizzata alla recinzione del fondo; la strada ricade in proprietà privata del ricorrente, come dimostrato dagli esibiti atti pubblici di acquisto e dallo stesso riconoscimento del Comune che, con delibera n.203 del 1986, classificò comunale solo il tratto che termina ben 125 metri prima dell’inizio dell’originaria proprietà Conte; la porzione di strada antistante la proprietà del ricorrente è invece stradina interna, larga tre metri e creata al servizio esclusivo dei fondi ricavati dalla donazione, dunque destinata a garantire il solo accesso pedonale e carrabile alle quote; neppure può ritenersi l’esistenza di uso pubblico sulla strada de qua, non sussistendo i requisiti richiesti per tale qualificazione; invero sulla strada non transitano persone diverse da quelle abitanti in immobili ubicati lungo la stessa, il passaggio è stato consentito occasionalmente per mera tolleranza e il ricorrente ha manifestato la volontà di circoscrivere la porzione della strada anche attraverso istanze formali; la stessa Amministrazione ha riconosciuto la proprietà esclusiva del ricorrente sulla strada; né rileva che l’Amministrazione abbia denominato il tratto stradale in questione, mai prima classificato, e pure l’eventuale classificazione non avrebbe valore ai fini della costituzione della servitù di uso pubblico; quanto alle opere di urbanizzazione primaria, la rete fognaria è stata realizzata su iniziativa e a spese dei proprietari dei fondi finitimi; anche la nota a firma degli altri proprietari dei fondi che costeggiano la strada, con la quale si manifestava la disponibilità a cedere all’Amministrazione comunale la relativa porzione di strada, dimostra che la stessa è rimasta di proprietà privata e dalla planimetria allegata si evince ancora che il tratto antistante la proprietà del ricorrente era ed è rimasto di sua esclusiva proprietà;
3) Violazione di legge (artt. 84 e 378 L. 20.3.1865, n.2248, all. F) – Violazione di legge (art. 15 D.lgs. 1.9.1918 n.1446) – Violazione del principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi (art. 1 L. 7.8.1990m n.241) – Violazione di elegge (art. 841 C.C.) - Eccesso di potere (difetto dei presupposti – erroneità dell’istruttoria – sviamento – Eccesso di potere - Difetto di motivazione - difetto e, comunque, erroneità dell’istruttoria, contraddittorietà, illogicità, abnormità): il ricorrente aveva delimitato il fondo senza intaccare la fruibilità del tratto di strada antistante che aveva mantenuto la originaria larghezza di 3 metri; in ogni caso, le iniziative del ricorrente non hanno compromesso il transito pedonale e veicolare; il vizio è più evidente laddove si consideri che la stessa Amministrazione aveva autorizzato il ricorrente a recintare la sua proprietà.
Concludeva per l’accoglimento del ricorso e dell’istanza cautelare.
Si costituiva il Comune di Castellabate chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorso era dichiarato perento con decreto, poi revocato su richiesta di parte.
Le parti depositavano memorie e documentazione,
All’esito della pubblica udienza del 21 dicembre 2017, il Collegio riservava la decisione in camera di consiglio.
DIRITTO
Il ricorso ha ad oggetto l’impugnazione degli atti con i quali il Comune di Castellabate ha inteso intimare al ricorrente la rimozione di segnaletica apposta su una strada che lo stesso Comune qualifica di uso pubblico e delle relative opere di recinzione.
Il ricorrente assume, al contrario, la pacifica piena proprietà della strada de qua (come sarebbe comprovata da atti pubblici) e l’insussistenza di alcuna “servitù di uso pubblico”; la strada sarebbe invece gravata, sì, di servitù di passaggio, ma al servizio esclusivo dei fondi già compresi nella proprietà indivisa del suo dante causa, e per la larghezza massima di tre metri, come indicato nei predetti atti di provenienza.
Osserva il Collegio che la vicenda in contestazione investe, evidentemente, questioni dominicali, di cui questo Giudice può, tuttavia, conoscere in via incidentale in ragione dell’impugnazione principale di atti autoritativi che tali assetti (proprietari) presuppongono (cfr., in termini, Cons. di Stato, V, n. 4791/2017).
E’ dunque anzitutto infondata l’eccezione spiegata da parte resistente di difetto di giurisdizione.
E’ del pari infondata l’ulteriore eccezione di difetto di legittimazione, pure spiegata dal Comune sull’assunto che, trattandosi, nella sostanza, di “negatoria servitutis” relativamente a strada che l’Amministrazione assume essere vicinale e derivata “ex collatione privatorum agrorum”, l’azione avrebbe dovuto essere intrapresa dalla maggioranza dei (com)proprietari frontisti.
Tuttavia, parte ricorrente deduce la piena proprietà (esclusiva) del tratto di strada in questione (e non, dunque, la ricadenza dello stesso in comunione con altri soggetti), il che fonda certamente la sua legittimazione al ricorso.
Quanto alla legittimità degli atti impugnati, la stessa dipende, dunque, dalla verifica della sussistenza di una servitù di uso pubblico sulla strada de qua.
Lo stesso Comune, invero, benché la strada risulti “denominata” e “classificata”, non insiste sulla proprietà della stessa, desumendo, dalle dette circostanze, elementi, invece, di carattere indiziario per fondare, quantomeno, la servitù di uso pubblico.
In ogni caso, la proprietà, alla stregua della valutazione solo incidentale rimessa a questo Giudice, a dispetto delle dette “denominazioni” e “classificazioni”, risulta saldamente in capo al ricorrente, in forza dell’esibito atto pubblico del 24.3.1982 (atto di donazione Conte, in produzione di parte ricorrente in data 13 dicembre 1982) che, in epoca storicamente definita (e non affatto “ab immemorabili”), determina in maniera inequivoca lo stato dei luoghi e il regime proprietario della “strada”.
In base al detto strumento, nel dividere tra i suoi cinque figli il fondo rustico in agro di Castellabate, alla contrada Alano-Cavafosse, OMISSIS si premurava di assicurare un “accesso pedonale e carrabile alle quote”, come donate a ciascun figlio, mediante una “stradina interna, larga metri tre, che parte da altra via condominiale e preesistente, e si sviluppa nella porzione donata a Giovanni, come risulta da tratteggio eseguito nel tipo allegato”.
Si tratta, appunto, del tratto di strada in contestazione, diverso e distinto dalla “altra via condominiale”, e interamente sviluppantesi nella “porzione donata a Giovanni”, gravata, in forza del citato strumento, di servitù di passaggio in favore dei condividenti.
Non può dunque sostenersi la tesi del Comune circa la sussistenza “ab immemorabili” di una servitù di uso pubblico, smentita dalla mera sussistenza di un atto pubblico che, viceversa, dà atto del possesso pacifico, pubblico ed ininterrotto, dell’unico fondo originario, che sino al 1982 (data del detto atto), neppure presentava la stradina de qua, non essendoci alcun bisogno di raggiungere le singole quote divise.
E’ dunque solo in epoca successiva al 1982 che può porsi un problema di eventuale “asservimento” all’uso pubblico (che, dunque, non potrebbe giammai essere “ab immemorabili”).
In proposito, e in via generale, la giurisprudenza ha fissato severe condizioni per ritenere inverato detto asservimento, anzitutto ritenendo che, per considerare assoggettata ad uso pubblico una strada (privata), è necessario che la stessa sia oggettivamente idonea all’attuazione di un pubblico interesse, consistente nella necessità di uso per le esigenze della circolazione o per raggiungere edifici di interesse collettivo (chiese, edifici pubblici, ecc.).
Deve poi essere verificato il requisito del passaggio esercitato da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale, sicché sussiste il requisito della servitù di uso pubblico laddove la strada vicinale “possa essere percorsa indistintamente da tutti i cittadini per una molteplicità di usi e con una pluralità di mezzi e conseguentemente il Comune possa introdurre alcune limitazioni al traffico come per il resto della viabilità comunale” (cfr. Cons. di Stato, n.1266/2010).
Sotto altro profilo, è comunque richiesta l’esistenza di un titolo valido a sorreggere l’affermazione del diritto di uso pubblico, che può identificarsi anche nella stessa protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile; in proposito, è stato affermato che il requisito dell’uso pubblico “insorge dall’inserimento, ricollegabile alla volontà del proprietario e palesantesi nel mutamento della situazione dei luoghi, della strada nella rete viaria cittadina, come può accadere in occasione di convenzioni urbanistiche, di nuove edificazioni o di espropriazioni, e tale uso deve essere inteso come comportamento della collettività contrassegnato dalla convinzione di esercitare il diritto di uso della strada, palesata da una situazione dei luoghi che non consente di distinguere la strada in questione da una qualsiasi altra strada della rete viaria pubblica (cfr. Cons. di Stato, cit., e, conforme, Cons. di Stato, n.2364/2008).
Per converso, non è configurabile l’assoggettamento di una via a servitù di passaggio pubblico in relazione ad un transito sporadico ed occasionale e neppure per il fatto solo che essa sia adibita al transito di persone diverse dai proprietari (cfr., ex pluris, TAR Marche, n.48/2016).
Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso in esame, osserva il Collegio che il Comune resistente non ha fornito idonea prova dell’asserito uso pubblico:
quanto alla sussistenza di un valido titolo, non essendo sostenibile la tesi dell’uso ab immemorabili (per quanto sopra detto), non è stato esibito alcun altro titolo tale da radicare la costituzione di una servitù di uso pubblico;
quanto all’uso, non è stato documentato il passaggio “pubblico” ulteriore rispetto a quello derivante dall’accesso alle proprietà frontiste conformemente al titolo di proprietà esibito dal ricorrente; neppure il passaggio della rituale “processione” lungo la strada può deporre a sostegno del detto uso pubblico, trattandosi di passaggio che, al contrario, ben può essere giustificato da ben diverse ragioni (di culto o di tradizione) da quelle vantate dal Comune;
quanto alla destinazione, la strada è funzionale unicamente ai detti accessi privati (al servizio dei fondi ricavati dalla divisione dell’unico predio originario) e non serve a collegare tra loro strade pubbliche né a raggiungere proprietà pubbliche (né è decisiva la circostanza che la stessa abbia termine con un corso d’acqua demaniale);
quanto allo stato dei luoghi, la “strada” non è munita di segnaletica orizzontale o verticale e le opere infrastrutturali ivi esistenti (rete fognaria, idrica e di illuminazione) sono state realizzate dai proprietari frontisti, come dedotto da parte ricorrente e non idoneamente confutato da parte resistente, che, del resto, neppure ha esibito documentazione volta appunto a dimostrare di aver “manutenuto” le dette opere.
Non può dunque fondatamente sostenersi l’esistenza di una servitù pubblica di passaggio, della quale, osserva ancora il Collegio, non è stata data neppure contezza della reale “consistenza”, posto che l’atto fondativo del “passaggio” originario, che rimonta, per quanto sopra detto, all’atto di donazione Conte, inequivocamente fa riferimento a una larghezza massima di tre metri, oltre la quale, in ogni caso, si riespandono integralmente le facoltà del proprietario, ivi compresa quella di recintare il fondo, purché senza intralcio per il passaggio verso i fondi dominanti.
Il ricorso va, per quanto precede, accolto, stante la fondatezza del secondo e terzo motivo (e l’assorbimento del primo, di carattere solo formale), con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nell’importo in dispositivo fissato a carico del Comune resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Condanna il Comune resistente al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente, che si liquidano in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge e rifusione del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Maria Abbruzzese, Presidente, Estensore
Paolo Severini, Consigliere
Rita Luce, Primo Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Maria Abbruzzese
IL SEGRETARIO