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Occupazioni illegittime: non lasciare la palla a chi viene dopo!!

Pubblico
Sabato, 3 Febbraio, 2018 - 19:28

 

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), sentenza n. 500 del 25 gennaio 2018, sulle occupazioni illegittime 
 
Un solo passaggio della sentenza è, già solo, sufficiente, per comprendere appieno come la giurisprudenza amministrativa concepisca le occupazioni illegittime: “Nella fattispecie in esame, pur avendo proceduto all’occupazione poi divenuta "sine titulo" di un'area, la Comunità Montana e le amministrazioni interessate né hanno ottenuto il consenso dell’odierno appellante alla cessione bonaria né hanno restituito il bene ripristinando lo status quo ante; e né infine – come avrebbero dovuto - hanno proceduto all'acquisizione ai sensi dell'art. 42 bis t.u. espropriazioni di cui al d.P.R. n. 327 del 2001 (introdotto dall'art. 34, comma 1, d.l. 6 luglio 2011 n. 98, conv. in l. 15 luglio 2011 n. 111). Ancora una volta, come in altri casi, gli amministratori locali via via succedutesi, di fronte alla prospettiva di affrontare ad un notevole impegno finanziario per un obiettivo “politico-sociale” già raggiunto con l’illegittima spoliazione del privato con i beni del privato, hanno preferito lasciare ai successori la relativa problematica. In sostanza, deve essere valutata in maniera estremamente negativa la posizione dell’ex-Comunità Montana, che, in spregio ad ogni regola di diritto e di civiltà giuridica, fin dal 1994 ha occupato – senza mai sborsare direttamente né una lira e né un euro - i terreni già di proprietà della defunta dante causa dell’odierno appellante”.
 
Massima 
 
Se sull’area occupata senza un legittimo titolo sono state realizzate opere che la stessa amministrazione continua ad utilizzare per finalità di sicuro interesse pubblico, si è in presenza di un illecito a carattere permanente, il quale perdura fino a quando non venga o rimosso il manufatto (cfr. Cass. Civile sez. I 02/12/2013 n. 26965, Consiglio di Stato Sez. IV 16/05/2013 n. 2679). In tali ipotesi naturalmente non è possibile ritenere applicabile il termine di prescrizione se non dal momento di cessazione dell'illecito vale a dire dalla restituzione dell’immobile da parte della P.A., ovvero dalla formazione di un altro titolo legittimo che determini il trasferimento della proprietà.
 
Una volta esclusa l’”accessione invertita”, l'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica, non elide affatto il diritto di proprietà del privato sul bene illegittimamente occupato, per cui egli potrebbe domandare sia il risarcimento che la restituzione del fondo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290; Cons. Stato, 7 aprile 2010, n. 1983; Consiglio di Stato sez. IV 2 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sez. IV 29 agosto 2012 n. 4650). Nell'attuale quadro normativo, l'Amministrazione ha infatti l'obbligo giuridico di far venir meno, in ogni caso, l'occupazione "sine titulo" e, quindi deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto attraverso l’emanazione di legittimi provvedimenti ablatori, o di contratti di acquisto delle relative aree, ovvero di provvedimenti di acquisizione ex art. 42-bis, t.u. n. 327 del 2001.
 
La P.A. ha due sole alternative: o restituisce i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo “status quo ante”; oppure si attiva per acquisire un legittimo titolo di acquisto dell'area da parte del suo legittimo proprietario (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 02 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sez. VI 01 dicembre 2011 n. 6351).
 
N. 00500/2018REG.PROV.COLL.
N. 04775/2016 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4775 del 2016, proposto da: 
omissis rappresentato e difeso da sé medesimo ex art. 86 c.p.c. e dall’avv. Francesco Matteo Pugliese, ed elettivamente domiciliato presso l’avv. Gianluigi Matteo Pugliese (Studio Ughi e Nunziante) in Roma, via XX Settembre, 1; 
contro
Comunità Montana Alto Agri, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Vincenzo Savino, con domicilio eletto presso lo studio Arturo Cancrini in Roma, piazza San Bernardo 101; 
Regione Basilicata, Comune di Moliterno non costituiti in giudizio; 
per l’ottemperanza
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. IV n. 01105/2014, depositata in data 10.3.2014, pronunciata su ricorso in appello n. 4012/2011.
 
 
Visto il ricorso in ottemperanza con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Comunità Montana Alto Agri in liquidazione;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2018 il Cons. Silvia Martino;
Uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati Mobilio, G.L. Pugliese (su delega di Matteo Pugliese) e Savino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
 
FATTO e DIRITTO
1. L’avv. omissis agisce per l’ottemperanza della sentenza di questo Consiglio n.1105/2014 del 10.3.2014.
Essa concerne l’occupazione d’urgenza un terreno di mq. 24234 nel Comune di Moliterno (PZ) per la realizzazione di una discarica.
Alla dichiarazione di pubblica utilità di cui alla deliberazione n. 127/94 non era tuttavia seguito il decreto di esproprio, nel quinquennio di legittima occupazione.
A seguito dell’ultimazione dei lavori in data 15.04.1996, l’utilizzo della discarica era iniziato a partire dal 15.06.1996.
In primo grado, il TAR Basilicata aveva rigettato l’impugnativa proposta sul duplice rilievo per cui:
- essendo stata realizzata l’opera si era verificata l’ “occupazione acquisitiva“, con la conseguente impossibilità di restituzione del suolo, ormai irreversibilmente trasformato;
- era anche maturata la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni subiti a causa della perdita dei suoli per la scadenza del termine quinquennale per il suo esercizio sia «che si voglia farlo decorrere dalla scadenza del periodo di occupazione legittima (maggio 1999), sia che lo si voglia far decorrere dalla data di irreversibile trasformazione dei suoli».
L’appello dell’avv. omissis è stato ritenuto in parte fondato, con la sentenza di cui in epigrafe, alla stregua delle considerazioni che possono essere così sintetizzate.
Dopo la pronuncia della Corte Europea dei diritti dell'uomo della nota sentenza del 30 maggio 2000 Belvedere Alberghiera s.r.l. e la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'articolo 43 del d.P.R. 8 giugno 2001 numero 327 da parte della Corte Costituzionale (sentenza 8 ottobre 2010 n. 293), il modello dell’ “accessione invertita” non può essere più applicato al caso in esame in quanto, dopo le ricordate pronunce, l’irreversibile trasformazione del bene illegittimamente occupato è stato ricostruito in termini di illecito di natura permanente, come tale non soggetto alla prescrizione quinquennale.
Per quanto riguarda il profilo “risarcitorio” della vicenda la Sezione ha poi evidenziato che:
- se sull’area occupata senza un legittimo titolo sono state realizzate opere che la stessa amministrazione continua ad utilizzare per finalità di sicuro interesse pubblico, si è in presenza di un illecito a carattere permanente, il quale perdura fino a quando non venga o rimosso il manufatto (cfr. Cass. Civile sez. I 02/12/2013 n. 26965, Consiglio di Stato Sez. IV 16/05/2013 n. 2679);
- in tali ipotesi naturalmente non è possibile ritenere applicabile il termine di prescrizione se non dal momento di cessazione dell'illecito vale a dire dalla restituzione dell’immobile da parte della P.A., ovvero dalla formazione di un altro titolo legittimo che determini il trasferimento della proprietà.
La Sezione ha tuttavia precisato che «L’accoglimento di tale censura però, facendo venir meno il titolo di acquisizione in capo al Consorzio del terreno, comporta delle conseguenze complesse conseguenti al superamento - alla stregua della convenzione europea e, in particolare, del Protocollo addizionale n.1- dell'interpretazione che faceva derivare dalla costruzione dell'opera pubblica e dall'irreversibile trasformazione effetti sulla titolarità legale del bene.
Pertanto, una volta esclusa l’”accessione invertita”, l'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica, non elide affatto il diritto di proprietà del privato sul bene illegittimamente occupato, per cui egli potrebbe domandare sia il risarcimento che la restituzione del fondo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290; Cons. Stato, 7 aprile 2010, n. 1983; Consiglio di Stato sez. IV 2 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sez. IV 29 agosto 2012 n. 4650).
Nell'attuale quadro normativo, l'Amministrazione ha infatti l'obbligo giuridico di far venir meno, in ogni caso, l'occupazione "sine titulo" e, quindi deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto attraverso l’emanazione di legittimi provvedimenti ablatori, o di contratti di acquisto delle relative aree, ovvero di provvedimenti di acquisizione ex art. 42-bis, t.u. n. 327 del 2001.
La P.A. in sostanza ha perciò due sole alternative: o restituisce i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo “status quo ante”; oppure si attiva per acquisire un legittimo titolo di acquisto dell'area da parte del suo legittimo proprietario (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 02 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sez. VI 01 dicembre 2011 n. 6351).
Nella fattispecie in esame, pur avendo proceduto all’occupazione poi divenuta "sine titulo" di un'area, la Comunità Montana e le amministrazioni interessate né hanno ottenuto il consenso dell’odierno appellante alla cessione bonaria né hanno restituito il bene ripristinando lo status quo ante; e né infine – come avrebbero dovuto - hanno proceduto all'acquisizione ai sensi dell'art. 42 bis t.u. espropriazioni di cui al d.P.R. n. 327 del 2001 (introdotto dall'art. 34, comma 1, d.l. 6 luglio 2011 n. 98, conv. in l. 15 luglio 2011 n. 111). Ancora una volta, come in altri casi, gli amministratori locali via via succedutesi, di fronte alla prospettiva di affrontare ad un notevole impegno finanziario per un obiettivo “politico-sociale” già raggiunto con l’illegittima spoliazione del privato con i beni del privato, hanno preferito lasciare ai successori la relativa problematica.
In sostanza, deve essere valutata in maniera estremamente negativa la posizione dell’ex-Comunità Montana, che, in spregio ad ogni regola di diritto e di civiltà giuridica, fin dal 1994 ha occupato – senza mai sborsare direttamente né una lira e né un euro - i terreni già di proprietà della defunta dante causa dell’odierno appellante».
E’ stato quindi escluso che, nel caso in esame, si fosse verificata un’ipotesi di “occupazione acquisitiva”, con la conseguenza che «l’ "autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico”—vale a dire o la Gestione Liquidatoria della Comunità Montana, ovvero in difetto il Comune capofila del servizio in solido con i Comuni che la componevano - dovrà esercitare la “facultas agendi” normativamente prevista dall'art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001 e procedere all’immediata acquisizione ovvero non procedervi, e restituire il terreno maltolto, previa la necessaria integrale bonifica allo status quo ante e con la connessa reintegra risarcitoria di tutti i danni a ciò connessi».
La sentenza d’appello ha altresì escluso che fosse maturata la prescrizione del diritto al risarcimento dell’appellante «non essendo mai iniziato la decorrenza del termine a quo».
La Sezione ha poi ritenuto non opportuno «allo stato, procedere alla definizione del risarcimento dei danni connessi alla perdita del terreno del quale» l’odierno appellato «è stato illegittimamente spogliato né nella misura richiesta né in via equitativa, in difetto un provvedimento di cui all’art. 42-bis cit. (che come è noto prevede una precisa modalità di reintegro di tutti i diritti patrimoniali del proprietario illegittimamente spossessato), ovvero di un accordo transattivo.
In conseguenza la liquidazione dei danni dovrà essere effettuata tenendo conto della necessità di una previa definizione della situazione proprietaria dell’area».
L’avv. omissis rappresenta di avere notificato la sentenza sin dal 23.4.2014 alla Comunità Montana (oggi in liquidazione), oltre che, successivamente, alla Regione Basilicata e al Comune di Moliterno.
Nell’inerzia delle intimate amministrazioni ha quindi proposto il presente ricorso in ottemperanza con cui ha chiesto che questo Consiglio disponga ogni opportuno provvedimento per l’esecuzione della sentenza in epigrafe (anche attraverso la nomina di un commissario ad acta e l’irrogazione di astreintes, ai sensi dellart. 114, comma 4, lett. e) c.p.a.), ed in particolare quantifichi i danni subiti a causa dell’occupazione sine titulo, così come determinato nella perizia di parte, contestualmente versata in atti.
Si è costituita, per resistere, la Comunità Montana Alto Agri in Liquidazione.
In via preliminare, ha reiterato l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno oltre a sollevare dubbi sulla natura e/o sostanza decisoria della sentenza da ottemperare.
Nel merito, ha contestato di essere rimasta inadempiente in quanto il Commissario liquidatore si è prontamente attivato per definire in via transattiva la questione, all’uopo avvalendosi anche della collaborazione dell’Agenzia delle Entrate per la stima del compendio immobiliare.
Poiché non è stato possibile raggiungere un accordo, ha quindi disposto, con delibera n. 82 del 18.7.206 (depositata in atti) l’acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42 – bis del t.u. espropri nei confronti degli intestatari catastali (tra cui l’odierno ricorrente) dei terreni in questione.
L’avv. omissis ha depositato una memoria conclusionale in cui, sostanzialmente contesta la quantificazione delle poste indennitarie di cui al suddetto decreto, sia per quanto riguarda il valore venale delle aree, sia per quanto concerne l’omessa valutazione del deprezzamento della proprietà residua.
Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla camera di consiglio del 16.1.2018.
2. Può prescindersi dall’esame delle eccezioni preliminari sollevate dalla Comunità Montana resistente in quanto il ricorso deve essere respinto.
Come risulta dagli atti depositati in giudizio, detto Ente, con decreto n. 82 del 18.7.2016, ha disposto l’acquisizione coattiva sanante ex art. 42 bis d.P.R. n. 327/01 al proprio patrimonio indisponibile dell’area di proprietà (anche) del ricorrente, liquidando altresì l’indennità spettante.
L’intervenuta adozione di tal decreto si pone in esecuzione della sentenza in epigrafe nella parte in cui ha sancito l’obbligo di adottare il provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42 – bis del d.P.R. n. 327/2001 sia pure in alternativa ad un accordo transattivo ovvero alla restituzione del terreno previa bonifica e connessa reintegra risarcitoria.
Vero è che l’avv. omissis non ritiene tale provvedimento pienamente satisfattivo nella parte in cui l’amministrazione ha proceduto alla liquidazione delle somme dovute.
Tuttavia - come esplicitamente prospettato dal Collegio alla parte nel corso della camera di consiglio del 16.1.2018 – la domanda volta a contestare il valore del fondo cui ragguagliare l’indennizzo e comunque a conseguire il danno discendente dal deprezzamento delle aree residue, esula dalla giurisdizione amministrativa.
Al riguardo, è sufficiente rinviare agli arresti della Corte di Cassazione (SS.UU., sentenza n. 15283 del 2016; id., ordinanza 29 ottobre 2015, n. 22096) e della giurisprudenza amministrativa (da ultimo, Cons. St., sez. IV, n. 4550/2017) che affermano che il ristoro previsto dal cit. art. 42 – bis configura un indennizzo da atto lecito, sicché le controversie inerenti alla sua quantificazione sono devolute alla giurisdizione ordinaria ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. g) c.p.a..
Vero è che si potrebbero porre problemi di interferenza con il giudicato laddove il provvedimento ex art. 42 – bis del testo unico espropri si innesti su una precedente decisione del giudice amministrativo che abbia specificamente dettato, ad esempio, i criteri per quantificare il valore venale del fondo (dato, questo, cui si rapportano sia le poste risarcitorie da occupazione illegittima sia quelle indennitarie in ipotesi di emissione del provvedimento di acquisizione sanante).
In simili ipotesi, «laddove si lamenti che l’amministrazione, nell’emettere il provvedimento ex art. 42 bis del Testo Unico si sia discostata dalla specifica indicazione valoriale scolpita nella decisione giudiziale, effettivamente si potrebbe in teoria sostenere che la successiva vicenda processuale concerna il doveroso controllo in sede di ottemperanza di decisioni regiudicate nell’ambito delle quali erano state indicate dal Giudice della cognizione le coordinate cui l’amministrazione intimata avrebbe dovuto attenersi anche laddove avesse ritenuto di emettere il provvedimento ex art. 42 bis del TU Espropriazione» (Cons. St., sez. IV^, sentenza n. 1910/2016).
Tuttavia, nel caso di specie, ciò non è avvenuto poiché la pronuncia n.1105/2014 si è limitata a disporre la cessazione dell’occupazione illecita (mediante acquisizione, accordo o restituzione), senza in alcun modo affrontare la questione della determinazione del valore venale del terreno o, comunque, delle poste risarcitorie.
Il difetto di giurisdizione riguarda poi anche la questione connessa all’omessa liquidazione del danno da deprezzamento sulle aree residue.
Infatti, secondo l’insegnamento della Cassazione civile (cfr., da ultimo, Sez. Un., 23.1.2017, n. 1643) «in presenza di un'unica vicenda espropriativa, non sono concepibili due distinti crediti, l'uno a titolo di indennità di espropriazione e l'altro a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento che abbiano subito le parti residue del bene espropriato, tenuto conto che questa seconda voce è da considerare ricompresa nella prima che, per definizione, riguarda l'intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo per effetto del provvedimento ablativo».
3. In definitiva, per quanto testé argomentato, il ricorso deve essere respinto.
Sembra tuttavia equo, in ragione dell’andamento del processo, compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio e gli onorari di difesa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, di cui in premessa, lo respinge.
Spese compensate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Carlo Schilardi, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere, Estensore
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Silvia Martino Antonino Anastasi
 
 
 
 
 
IL SEGRETARIO
 

 

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