Cambio destinazione d'uso - TAR Lazio Roma 22 giugno 2017
Pubblico
Lunedì, 3 Luglio, 2017 - 18:13
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda Bis), sentenza n. 7341 del 22 giugno 2017, su cambio di destinazione d’uso
N. 07341/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01719/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1719 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
omissis., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Valeri e Alfredo Stoppa, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 11;
contro
Roma Capitale, in persona del sindaco p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Andrea Magnanelli, domiciliata in Roma, via Tempio di Giove, 21;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
omissis avvocati Maria Cristina Lenoci e Pasquale La Pesa, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Maria Cristina Lenoci in Roma, via Emanuele Gianturco, 1;
ad opponendum:
omissis, rappresentato e difeso dall'avvocato Luca Palatucci, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo A. Ponchielli, 6;
per l'annullamento
della nota prot. n. 96251/15 del 27.11.2015 avente ad oggetto "d.i.a. prot. n. 63080/2015 - Augusta 2002 s.r.l. - Piazza Augusto Imperatore, 3. Cambio di destinazione d'uso”;
nonché, in seguito alla proposizione di motivi aggiunti:
per l’annullamento della D.D. n. 134 del 28.1.2016 di ingiunzione del pagamento di sanzione pecuniaria e rimozione e demolizione delle opere per il cambio di destinazione d’uso abusivamente realizzato;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2017 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato a Roma Capitale il 2 febbraio 2016, la società ricorrente impugna il provvedimento del 27 novembre 2015 con cui l’amministrazione municipale, in seguito a un sopralluogo eseguito il 16 ottobre 2015, ha riscontrato che i locali oggetto della precedente determinazione dirigenziale numero 1080 del 15 giugno 2015 apparivano in stato immutato rispetto a quando era stato rilevato un cambio di destinazione d’uso in assenza di titolo abilitativo; pertanto, al fine di sanare l’abuso contestato, si riteneva necessario un accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 22 della legge regionale numero 15 del 2008 con il pagamento della prescritta sanzione, per cui la denuncia di inizio attività protocollo numero 63080 del 30 luglio 2015 andava ripresentata con relativa sanzione pecuniaria; veniva ritenuto necessario altresì il definitivo ripristino dei locali interessati dall’intervento abusivo.
L’amministrazione romana si costituiva il 22 febbraio 2016 per resistere al ricorso.
Sopravveniva la determinazione dirigenziale numero 134 del 28 gennaio 2016 con cui l’amministrazione municipale ingiungeva alla ricorrente il pagamento della somma di euro 20.000 a titolo di sanzione pecuniaria ex articolo 16 della legge regionale numero 15 del 2008 e la rimozione o la demolizione entro 60 giorni delle opere abusivamente realizzate, consistenti nel cambio di destinazione d’uso di 8 locali magazzino in 7 sale riunioni con diverse tramezzature interne, prive di areazione diretta, ma dotate di impianto di ventilazione e condizionamento, per una superficie totale di 380 m² circa.
Il provvedimento sanzionatorio veniva impugnato con ricorso per motivi aggiunti, notificati a Roma Capitale il 29 febbraio 2016 e depositati in segreteria il 2 marzo 2016.
Si costituiva in giudizio con atto di intervento ad adiuvandum l’associazione “Consiglio dei maestri venerabili di Roma”.
Interveniva ad opponendum il signor omissis.
Il Tribunale amministrativo regionale dapprima disponeva istruttoria, ordinando il deposito del verbale di sopralluogo del 7 agosto 2015, sospendendo, nelle more, gli atti impugnati e quindi, con ordinanza cautelare del 27 ottobre 2016, accoglieva la domanda sospensiva, nella parte in cui si ingiunge lo smantellamento delle opere abusive, escludendo dalla sospensione il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria per il mutamento di destinazione d’uso.
La società ricorrente deposita, nelle more della trattazione di merito, la prova del pagamento della sanzione pecuniaria di euro 20.000.
All’udienza pubblica del 14 giugno 2017, i ricorsi sono trattati e posti in decisione.
DIRITTO
La vicenda contenziosa inizia con un sopralluogo della polizia locale, in data 25 febbraio 2015, quando viene accertato, nell’edificio di proprietà della ricorrente, il cambio di destinazione d’uso di 8 locali magazzino in 7 sale riunioni.
Il mutamento di destinazione d’uso risultava in contrasto con il permesso di costruire rilasciato il 25 giugno 2009 per la ristrutturazione dell’ex cinema Belsito e il cambio di destinazione d’uso dell’immobile da cinematografo a centro polifunzionale per attività di conferenza, esposizione e presentazione libri, denominato “Casa Nathan”.
Quindi, con determinazione dirigenziale numero 1080 del 15 giugno 2015, l’amministrazione romana disponeva la sospensione dei lavori per violazione dell’articolo 16 della legge regionale numero 15 del 2008 contestando, appunto, il cambio di destinazione d’uso di 8 locali magazzino in 7 sale riunioni.
La società interessata presentava osservazioni ai sensi dell’articolo 10 bis della legge 241 del 1990, rappresentando l’assenza di opere edilizie in corso di esecuzione, la conformità degli spazi e delle tramezzature interne al permesso di costruire del 2009 e alle successive varianti in corso d’opera con denunce di inizio attività del 2012 e del 2013, l’utilizzo esclusivo dei locali al pianointerrato dell’immobile da parte dell’associazione denominata “Consiglio dei Maestri Venerabili del Grande Oriente d’Italia” quale propria sede, in ragione di contratto stipulato tra l’associazione e la proprietà; pertanto, ad avviso della società proprietaria, in virtù dell’articolo 32 della legge 383 del 2000 che prevede per le associazioni di promozione sociale la possibilità di stabilire la propria sede in qualsiasi edificio, indipendentemente dalla destinazione d’uso urbanistica, il cambio di destinazione d’uso contestato sarebbe lecito.
Oltre le predette osservazioni, la società ricorrente comunicava il ripristino spontaneo dello stato originario dei locali seminterrati e presentava, contestualmente, in data 30 luglio 2015, una denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22 del d.p.r. 380 del 2001, con il versamento degli oneri di urbanizzazione per circa EUR 38.000 per la riconversione funzionale dei locali seminterrati, da destinare a sale multimediali e sale riunioni, mediante l’utilizzazione di parte della superficie utile precedentemente destinata a servizi e non utilizzata in occasione della ristrutturazione di cui al permesso di costruire del 2009.
L’amministrazione romana disponeva allora un sopralluogo, eseguito dalla polizia municipale il 7 agosto 2015, constatando nei locali interrati, abusivamente utilizzati come sale riunioni, lo smontaggio di allestimenti ed arredi vari, con disconnessione dell’impianto di ventilazione e ricambio d’aria, al fine dell’utilizzazione degli stessi come magazzini.
La proprietà, quindi, il 3 settembre 2015 comunicava la fine dei lavori in relazione alla denuncia di inizio attività del 30 luglio 2015, con il riallestimento dei locali, l’installazione e il completamento dell’arredo, la riattivazione dell’impianto di ventilazione e ricambio d’aria nelle sale riunioni per il loro definitivo utilizzo a sale multimediali.
Il 16 ottobre 2015 veniva eseguito un nuovo sopralluogo e veniva constatato lo stato immutato dei locali rispetto al sopralluogo del 27 maggio 2015 in cui era stato rilevato il cambio di destinazione d’uso contestato.
Veniva quindi adottato il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo, la nota del 27 novembre 2015, con cui l’amministrazione di Roma Capitale comunicava la necessità di un accertamento di conformità con relativa sanzione per la sanatoria dell’abuso contestato, mediante ripresentazione della denuncia di inizio attività già inoltrata il 30 luglio 2015.
Il ricorso introduttivo è proposto per ottenere l’annullamento del suddetto provvedimento di cui la ricorrente deduce la illegittimità per 2 motivi.
Preliminarmente, peraltro, deve essere valutata la questione di inammissibilità del ricorso eccepita dall’amministrazione resistente, ad avviso della quale sarebbe stato impugnato un atto endoprocedimentale.
L’eccezione è infondata perché con la nota del 27 novembre 2015 l’amministrazione romana ha negato la validità della denuncia di inizio attività depositata dalla società ricorrente il 30 luglio 2015, mediante la quale era stata comunicata la modifica della destinazione d’uso dei locali seminterrati.
L’atto impugnato costituisce un vero e proprio provvedimento amministrativo costitutivo, negativo degli effetti ampliativi della denuncia di inizio attività.
Il provvedimento è prodromico alla successiva determinazione sanzionatoria, ma ciò non significa che esso non sia autonomamente lesivo della posizione soggettiva della ricorrente e, pertanto, non sia impugnabile.
Con il primo motivo di impugnazione, la società ricorrente deduce la violazione dell’articolo 23 del d.p.r. numero 380 del 2001; in difetto di alcun provvedimento inibitorio adottato entro il termine di 30 giorni dal deposito della denuncia di inizio attività, la pubblica amministrazione disporrebbe esclusivamente del potere di autotutela, per cui non potrebbe intervenire sui lavori eseguiti, se non nell’ambito di un procedimento di 2º grado, nelle modalità dettate dall’articolo 21 nonies della legge 241 del 1990; nella fattispecie l’amministrazione comunale avrebbe inibito gli effetti della denuncia di inizio attività dopo 4 mesi dalla sua presentazione, senza alcuna previa comunicazione di avvio del procedimento, senza contraddittorio con la parte privata interessata, in difetto di qualsiasi motivazione sull’interesse pubblico alla rimozione del titolo abilitativo oramai consolidatosi.
Il motivo è infondato.
È vero che dopo la scadenza del termine di 30 giorni dal deposito di una denuncia di inizio attività l’amministrazione comunale non può più esercitare il potere di verifica della legittimità degli interventi edilizi oggetto della denuncia, ai sensi dell’articolo 23, comma 6 del testo unico edilizia; si tratta di un termine perentorio, oltre la scadenza del quale l’amministrazione può comunque intervenire adottando provvedimenti inibitori e ripristinatori in presenza delle condizioni previste dall’articolo 21 nonies della legge numero 241 del 1990.
Nella fattispecie, peraltro, la norma richiamata dalla parte ricorrente non è applicabile.
Deve essere considerato che la denuncia di inizio attività disciplinata dall’articolo 23 del testo unico edilizia, prevista dall’articolo 22, al comma 3, come strumento alternativo al permesso di costruire per eseguire, tra le altre opere, gli interventi di ristrutturazione edilizia su immobili compresi nelle zone omogenee A che comportino mutamenti della destinazione d’uso, deve essere necessariamente presentata prima dell’inizio della trasformazione edilizia.
Nel caso in cui, invece, il privato intenda chiedere la sanatoria degli interventi eseguiti in assenza della denuncia di inizio attività prescritta dall’articolo 22, comma 3, il testo unico edilizia predispone un diverso strumento giuridico, l’accertamento di conformità disciplinato dall’articolo 36 dello stesso d.p.r. numero 380 del 2001.
L’accertamento di conformità può essere chiesto per interventi realizzati in assenza o in difformità di permesso di costruire oppure in assenza della denuncia di inizio attività alternativa al permesso di costruire.
Nella fattispecie, essendo stato eseguito un cambio di destinazione d’uso su immobile ricompreso nella zona omogenea A, la sanatoria dell’abuso avrebbe potuto essere ottenuta mediante la presentazione di una denuncia di inizio attività in sanatoria, disciplinata dall’articolo 36 che prevede il silenzio diniego qualora, entro 60 giorni, l’amministrazione comunale non si sia pronunciata sulla denuncia con adeguata motivazione.
Il meccanismo giuridico predisposto dalla ricorrente per tentare di ottenere la sanatoria senza ricorrere allo strumento dell’accertamento di conformità di cui all’articolo 36 del testo unico edilizia non può essere ritenuto valido, consistendo nella contemporanea presentazione di due atti contraddittori, una comunicazione di ripristino spontaneo dello stato originario e una denuncia di inizio attività per ritrasformare in senso contrario i locali.
Con i due atti depositati il 30 luglio 2015, in sostanza, la società proprietaria dei locali ha dichiarato, al contempo, che stava modificando la destinazione d’uso delle sale riunioni per ripristinarne il legittimo uso a magazzini e, contemporaneamente, stava intervenendo su questi stessi magazzini per cambiare la destinazione d’uso degli stessi in sale riunioni.
Si tratta di due dichiarazioni contraddittorie, che si elidono a vicenda e alle quali correttamente l’amministrazione resistente non ha riconosciuto validità giuridica.
Ne deriva l’infondatezza del primo motivo di impugnazione.
Con il 2º motivo, la ricorrente deduce l’eccesso di potere in cui sarebbe incorsa l’amministrazione per illogicità, avendo sostenuto che lo stato dei locali era rimasto immutato rispetto al primo sopralluogo, quando erano state rilevate le sale riunioni abusive, senza tener conto del fatto che la ricorrente aveva dapprima ripristinato la destinazione d’uso a magazzini e, successivamente, aveva nuovamente modificato la destinazione d’uso dei locali in sale riunioni; la prova di quanto affermato sarebbe rinvenibile nei vari sopralluoghi eseguiti dalla polizia municipale e in particolare, nel verbale del sopralluogo del 7 agosto 2015, là dove era stato constatato lo smontaggio di allestimenti ed arredi vari delle sale riunioni, con disconnessione anche degli impianti.
Le censure sono infondate per le ragioni precedentemente esposte.
Non è rilevante che la società proprietaria abbia successivamente smontato e rimontato l’arredo delle sale riunioni qualora, come nella fattispecie, il cambio di destinazione d’uso non sia stato legittimato mediante un valido accertamento di conformità.
Ne consegue l’infondatezza anche del 2º motivo, per cui il ricorso introduttivo deve essere respinto.
Con il ricorso per motivi aggiunti la società ricorrente impugna la determinazione dirigenziale numero 134 del 28 gennaio 2016 con cui, in riferimento alla ristrutturazione abusiva di cui si tratta, consistente nel cambio di destinazione d’uso di 8 magazzini in 7 sale riunioni, trattandosi di intervento su un immobile compreso nella zona omogenea A di cui al decreto ministeriale numero 1444 del 1968, viene applicata la sanzione pecuniaria di euro 20.000, corrispondente al doppio dell’incremento del valore di mercato dell’immobile conseguente all’esecuzione delle opere e viene contestualmente ingiunta la rimozione delle opere abusivamente realizzate.
Avverso il provvedimento impugnato, la ricorrente deduce 4 nuovi motivi, numerati dal 3º al 6º.
Con il 3º motivo (aggiunto) deduce l’illegittimità derivata del provvedimento ripristinatorio e sanzionatorio dai vizi già dedotti avverso il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo.
Il 3º motivo è infondato essendo stata accertata l’infondatezza dei vizi presupposti.
Con il 4º motivo (aggiunto) proposto in via subordinata, la ricorrente deduce la illegittimità del provvedimento per violazione delle norme sul procedimento amministrativo in quanto non sarebbero state tenute in considerazione le osservazioni della parte interessata, trascurando di considerare che la configurazione interna degli spazi e delle tramezzature era conforme all’originario titolo edilizio e ignorando che la sede dell’associazione di promozione sociale, ai sensi dell’articolo 32 della legge 383 del 2000, è compatibile con qualsiasi destinazione d’uso omogenea.
Le censure sono infondate perché la conformità urbanistica del cambio di destinazione d’uso non consente che esso sia eseguito in assenza di alcun titolo abilitativo, almeno negli immobili compresi nelle zone omogenee A, ma semmai permette la sanatoria dell’abuso formale mediante lo strumento dell’accertamento di conformità, disciplinato dall’articolo 36 del testo unico edilizia; le osservazioni presentate dalla ricorrente all’amministrazione comunale non intaccavano la legittimità del provvedimento impugnato, non essendo mai state oggetto di contestazione le tramezzature interne, né la distribuzione degli spazi interni, ma solo la destinazione d’uso abusivamente modificata, per cui nessun onere di motivazione poteva gravare al riguardo sull’amministrazione procedente.
Con il 5º motivo (aggiunto) proposto in ulteriore subordine, la ricorrente contesta la contraddittorietà del provvedimento impugnato che risulterebbe confuso laddove fa riferimento alla richiesta di un parere alla Sovrintendenza circa la riduzione in pristino o l’elevazione della sanzione pecuniaria, quindi dà atto che la Sovrintendenza non avrebbe trasmesso alcun parere e fa riferimento all’impossibilità di demolire le opere e ripristinare lo stato dei luoghi, perciò prescrivendo l’applicazione di una sanzione pecuniaria, quindi stabilisce una ulteriore sanzione pecuniaria per mancata demolizione pari ad euro 20.000 e infine cumula il pagamento della sanzione pecuniaria con la demolizione precedentemente dichiarata inattuabile.
Il motivo d’illegittimità sussiste.
Si deve premettere che il provvedimento non presenta una struttura sintattica esemplare, ma ciò dipende dal fatto che viene utilizzato un modulo prestampato; sarebbe certamente auspicabile che l’amministrazione comunale esprimesse le proprie determinazioni con maggiore chiarezza, ma la forma contorta del provvedimento non determina automaticamente l’illegittimità qualora il contenuto dispositivo e la motivazione siano, seppure con qualche sforzo, percepibili.
L’amministrazione romana, in sostanza, ha inteso irrogare una sanzione pecuniaria aggiuntiva rispetto all’ordine di ripristino della destinazione d’uso originaria in quanto il mutamento di destinazione d’uso abusivo è stato eseguito nella zona classificata come Città Storica.
Ciò che effettivamente non si comprende è il presupposto della sanzione pecuniaria che viene ricondotto alla impossibilità di demolizione o meglio di ripristino dell’intervento edilizio abusivo.
Effettivamente tale presupposto confligge insanabilmente con il successivo ordine di ripristino, per cui le ragioni della ricorrente sono, sotto il profilo dedotto, fondate.
Ne deriva che il ricorso per motivi aggiunti deve essere accolto e, di conseguenza, il provvedimento sanzionatorio impugnato deve essere annullato.
L’efficacia conformativa della sentenza, comunque, richiede che sia scrutinato anche il 6º ed ultimo motivo (aggiunto) dedotto.
Con il 6º motivo si lamenta la illegittimità delle sanzioni pecuniaria e demolitoria disposte perché il cambio di destinazione d’uso realizzato sarebbe intervenuto tra categorie omogenee.
Al riguardo, deve essere considerato che l’articolo 23 ter comma 1 del testo unico edilizia raggruppa in un’unica categoria funzionale, denominata produttiva e direzionale, entrambe le destinazioni d’uso oggetto della modifica, quella originaria a deposito e quella finale a sala riunioni.
Essendo stato eseguito un mutamento di destinazione d’uso interno alla stessa categoria funzionale, si tratta di una trasformazione urbanisticamente non rilevante.
Dal punto di vista urbanistico, quindi, non vi è dubbio che la nuova destinazione d’uso è compatibile con la disciplina urbanistica vigente.
Ciò non toglie che il mutamento di destinazione d’uso, in un immobile collocato nella “città storica” debba essere accompagnato da un idoneo titolo abilitativo.
Non si deve confondere, in estrema sintesi, la conformità urbanistica con la legittimità del titolo edilizio.
Qualora, come nella fattispecie, il mutamento di destinazione d’uso sia stato eseguito senza alcun titolo edilizio, è certamente percorribile il procedimento di regolarizzazione mediante accertamento di conformità.
Ma si tratta proprio del percorso indicato e prescritto dall’amministrazione resistente con il primo provvedimento impugnato, per cui il 6º motivo di impugnazione deve essere ritenuto infondato.
In conclusione, essendo stata accertata l’infondatezza del ricorso introduttivo, esso deve essere respinto.
Il ricorso per motivi aggiunti, invece, deve essere accolto, essendo fondato il 5º motivo di impugnazione.
Per l’effetto, deve essere annullato il provvedimento sanzionatorio impugnato con motivi aggiunti.
Le spese processuali, in ragione della reciproca soccombenza, devono essere compensate tra tutte le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, rigetta il ricorso introduttivo.
Accoglie il ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2017 con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Antonella Mangia, Consigliere
Antonio Andolfi, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonio Andolfi Elena Stanizzi
IL SEGRETARIO