Silenzio rigetto su DIA
Pubblico
Martedì, 14 Febbraio, 2017 - 18:06
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, (Sezione Seconda Bis), sentenza n. 2393 del 14.02.2017, sul silenzio rigetto su DIA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3274 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Cimmino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Trieste, 95;
contro
Comune di Roma, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Sergio Siracusa, domiciliato in Roma, via Tempio di Giove, 21;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
sul ricorso numero di registro generale 9791 del 2010, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Cimmino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Trieste, 95;
contro
Comune di Roma, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Sergio Siracusa, domiciliato in Roma, via Tempio di Giove, 21;
nei confronti di
OMISSIS non costituito in giudizio;
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 3274 del 2010:
del silenzio rigetto sulla d.i.a. del 3.12.2009;
nonché, in seguito alla proposizione di motivi aggiunti:
dei provvedimenti consequenziali adottati dal Comune resistente;
quanto al ricorso n. 9791 del 2010:
del provvedimento dirigenziale prot. CA-62358 del 5.8.2010;
nonché, in seguito alla proposizione di motivi aggiunti:
del provvedimento n. 430 del 28.2.2011;
Visti i ricorsi, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Roma e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2017 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso numero 3274 del 2010, notificato al Comune di Roma e al Ministero per i Beni e le Attività culturali il 30 marzo 2010, il ricorrente chiede l’annullamento del silenzio rigetto formatosi a seguito della presentazione di una istanza, numero di protocollo 91699, avente ad oggetto la denuncia di inizio attività in sanatoria ex articolo 37 del d.p.r. numero 380 del 2001 e articolo 22 della legge regionale Lazio numero 15 del 2008 su un immobile non vincolato, relativamente alla demolizione, realizzata da precedente proprietario, in epoca risalente agli anni 60, di una latrina esterna, costituente superfetazione dell’immobile stesso; inoltre, avente ad oggetto una denuncia di inizio attività di cui all’articolo 22 del d.p.r. numero 380 del 2001, per opere interne all’appartamento di sua proprietà; inoltre ancora, avente ad oggetto opere esterne all’appartamento di sua proprietà, soggette a denuncia di inizio attività ex articolo 24, comma 21, delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale di Roma.
Il ricorrente espone di essere proprietario di un appartamento sito in Roma, via della Lungaretta, numero 62, al piano 2º, interno 2, contraddistinto in catasto al foglio numero 497, particella 580, subalterno 2, ricadente nella zona A di piano regolatore generale, tessuto T 1, non soggetto a vincoli.
Tale appartamento risulta inserito nel complesso edilizio dell’ospedale S. Gallicano, soprastante i locali di pertinenza dell’antica farmacia ospedaliera ed era originariamente parte integrante dell’ospedale, fondato nel 1725.
Il ricorrente espone che, in seguito al trasferimento della farmacia in altra sede, nel 1922, i locali di cui è attualmente proprietario gli vennero dati in locazione da parte dell’ente proprietario dell’immobile.
Quindi, con contratto in data 23 febbraio 2005, il ricorrente acquistò la proprietà dell’appartamento.
La denuncia di inizio attività controversa veniva presentata per esigenze di manutenzione straordinaria e di restauro dell’appartamento; nell’occasione, preso atto di una difformità tra la piantina allegata all’atto di acquisto e quella catastale, avvedendosi della presenza, nella piantina catastale, di una latrina esterna collegata all’immobile principale e non più esistente, il ricorrente chiedeva, nell’ambito della stessa denuncia di inizio attività presentata per le opere di manutenzione dell’appartamento, l’accertamento di conformità della demolizione della suddetta latrina, a suo tempo eseguita dai precedenti proprietari dell’immobile.
In conformità alla normativa regolamentare di attuazione del piano regolatore generale, il ricorrente chiedeva il parere prescritto dall’articolo 24 delle norme tecniche di attuazione alla Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio del Comune di Roma; quindi, non essendo stato reso il richiesto parere, alla scadenza del termine di 45 giorni prescritto dalla regolamentazione, presentava la denuncia di inizio attività sopra indicata al Comune di Roma, allegando le ricevute postali della richiesta di parere alla Sovrintendenza e la relazione tecnica necessaria.
Il ricorrente precisa che la denuncia di inizio attività comprendeva 3 distinte istanze: la prima, riferita a opere interne di demolizione e ricostruzione di tramezzature, demolizione e rifacimento degli intonaci, sostituzione di pavimenti e rivestimenti, rifacimento degli impianti idrico, sanitario, elettrico e di riscaldamento, raffrescamento e tinteggiature interne, restauro e sostituzione di porte e finestre, opere di finitura, posa di una guaina di impermeabilizzazione tra le pianelle e le tegole del tetto, apertura di una nuova botola di accesso al sottotetto, eliminazione dei cassoni in amianto all’interno del sottotetto; la 2ª denuncia era riferita alle seguenti opere esterne: ripristino della impermeabilizzazione e delle tegole rotte sul tetto, sostituzione del lucernaio esistente, sostituzione di canali di gronda, tinteggiatura del prospetto su via della Lungaretta, rifacimento dell’inferriata esistente sul terrazzino, già realizzata nel 1923; la 3ª richiesta era relativa, invece, all’accertamento di conformità della demolizione della latrina, eseguita nei primi anni 60, costituente superfetazione dell’immobile principale.
Non essendo stato adottato dall’Amministrazione alcun provvedimento sull’istanza del ricorrente, lo stesso ne impugna il silenzio per i seguenti motivi:
Con il primo motivo, deduce la illegittimità del silenzio rigetto, formatosi in conseguenza del decorso del termine di 60 giorni sulla istanza di accertamento di conformità della demolizione della latrina, per carenza di motivazione.
Con il 2º motivo, deduce la illegittimità del provvedimento tacito di diniego perché la latrina, realizzata su staffe di ferro all’esterno dell’immobile principale nel corso di lavori eseguiti negli anni 20, come risulterebbe da riproduzioni fotografiche allegate, rappresenterebbe una superfetazione dell’immobile stesso, in quanto tale vietata dal regolamento edilizio comunale almeno dal 1949 e la cui demolizione sarebbe coerente con l’obiettivo di eliminazione delle superfetazioni stabilito dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale di Roma approvate con delibera del consiglio comunale numero 18 del 2008.
Con il 3º motivo, il ricorrente deduce la illegittimità, per violazione della legge statale e del riparto di competenze tra potestà legislativa statale e potestà legislativa regionale, dell’articolo 22 della legge regionale Lazio numero 15 del 2008, nella parte in cui attribuisce al silenzio sulle denunce di inizio attività il significato di rigetto tacito.
Per mero tuziorismo difensivo, il ricorrente deduce un ulteriore motivo, il 4º del ricorso introduttivo, mediante il quale impugna il silenzio dell’amministrazione comunale qualora si dovesse interpretare come rigetto tacito anche delle ulteriori opere indicate nella denuncia di inizio attività costituenti manutenzione ordinaria e straordinaria, distinte dalla domanda di accertamento di conformità in sanatoria, trattandosi di opere per le quali il silenzio dell’amministrazione consente per legge lo svolgimento dei relativi lavori.
Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali si costituisce il 20 aprile 2010 per resistere al ricorso.
Nello stesso giorno si costituisce anche il comune di Roma che eccepisce l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, relativamente alle istanze, contenute nella denuncia di inizio attività nella parte prima e nella parte seconda, rispettivamente riguardanti la realizzazione di opere interne e di opere esterne; per quanto riferito, invece, alla terza parte della denuncia di inizio attività, il Comune eccepisce l’inesistenza del silenzio rigetto, essendosi formato piuttosto il silenzio diniego che non sarebbe impugnabile con la domanda di annullamento; nel merito, comunque, ad avviso del Comune, le censure sarebbero infondate, non essendo necessaria alcuna motivazione per il rigetto tacito dell’istanza e perché l’intervento edilizio di cui si tratta non sarebbe assentibile, non essendo stato depositato agli atti il titolo edilizio di mutamento della destinazione d’uso da locali pertinenti la farmacia dell’ospedale a locali ad uso residenziale; sarebbe carente, inoltre, tutta la documentazione allegata alla denuncia di inizio attività indispensabile per il completamento dell’istruttoria e l’accertamento di conformità, con riferimento agli elaborati grafici di sostituzione dei lucernari esistenti, dei canali di gronda, del rifacimento dell’inferriata sul terrazzino, della sostituzione di porte e finestre, della eliminazione dei cassoni del sottotetto, dell’apertura di una nuova botola nel sottotetto, oltre a particolari degli interventi sulla copertura e sui prospetti interessati dalla tinteggiatura; trattandosi di opere di manutenzione ordinaria di rilevanza esterna sarebbe necessario redigere i prescritti elaborati, di cui all’articolo 24, comma 21, delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale.
Con istanza depositata il 18 maggio 2010, la difesa di parte ricorrente chiede il mutamento del rito.
Alla camera di consiglio del 20 maggio 2010, la Sezione giudicante, considerato che il ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione con valore di provvedimento negativo va ritualmente trattato in udienza pubblica, nelle forme del rito ordinario, dispone la cancellazione del ricorso dal ruolo delle camere di consiglio, per fissarlo successivamente a ruolo di udienza pubblica, previa istanza di prelievo.
Domanda di prelievo che viene puntualmente presentata dalla parte ricorrente il 19 luglio 2010.
Il giorno successivo, 20 luglio 2010, il ricorrente deposita un primo ricorso per motivi aggiunti, notificato alle amministrazioni resistenti il 17 luglio 2010.
Mediante tale gravame, il ricorrente impugna la nota del primo municipio di Roma in data 18 maggio 2010, allegata alla memoria della difesa comunale, nei limiti in cui sia da interpretare come motivazione postuma del provvedimento di rigetto.
Con il primo motivo aggiunto, il ricorrente precisa di non aver mai ritenuto che il silenzio diniego tacito si estendesse anche alle opere interne ed esterne indicate nella denuncia di inizio attività non soggette ad accertamento di sanatoria; l’amministrazione, comunque, avrebbe violato le regole del procedimento amministrativo, non avendo adottato alcun atto impeditivo degli effetti della denuncia di inizio attività presentate, né avendo avviato un procedimento di annullamento in contraddittorio con il privato interessato.
Con il 2º motivo aggiunto, il ricorrente contesta l’affermazione dell’amministrazione comunale secondo cui non risulterebbe il titolo edilizio relativo alla variazione della destinazione d’uso da locali pertinenti la farmacia dell’ospedale S. Gallicano a locali ad uso residenziale; al riguardo, il ricorrente ricostruisce la storia del complesso edilizio, allegando cospicua documentazione, per dimostrare che l’appartamento sito al 2º piano dell’edificio è utilizzato come abitazione da sempre, essendo stato adibito a residenza del maestro censore della farmacia e della sua famiglia, a differenza dei locali posti al primo piano adibiti a laboratorio farmaceutico; inoltre, seppure l’immobile avesse mai avuto destinazione diversa da quella abitativa, essa sarebbe stata allo stesso sottratta con il passaggio di proprietà degli immobili ospedalieri trasferiti ai comuni ex lege numero 833 del 1978 e poi alle unità sanitarie locali in virtù del decreto legislativo 502 del 1992 e della legge regionale Lazio numero 18 del 1994, tenuto anche conto dell’articolo 31 della legge regionale numero 58 del 1983 che consentiva la sottrazione alla destinazione sanitaria per tali immobili mediante delibera della competente unità sanitaria locale, nella fattispecie adottata, avendo l’azienda sanitaria locale messo a reddito l’appartamento mediante la stipulazione di contratto di locazione sin dal 1972; perfino al catasto, l’immobile risulta censito come abitazione di tipo popolare, appartenente alla categoria catastale A 4.
Con il 3º motivo aggiunto, il ricorrente impugna la affermazione dell’amministrazione comunale secondo cui l’intervento di demolizione della latrina sarebbe risultato parziale; il ricorrente rende noto di aver rimosso le piccole travi esterne cui si riferiva l’amministrazione, a completamento dell’intervento, ma, per prudenza difensiva, ribadisce quanto già dedotto nel ricorso introduttivo riguardo la eliminazione della superfetazione.
Con il 4º motivo aggiunto, il ricorrente deduce la illegittimità, per eccesso di potere, sotto svariati profili, delle eccezioni comunali sulla assenza di documentazione allegata alla denuncia di inizio attività con riferimento a tutte le opere elencate; comunica di aver rinunciato ad eseguire tutte le suddette opere esterne, precisando che la sostituzione del lucernario era riferita ad un unico elemento già esistente, che la sostituzione dei cassoni d’amianto è prescritta dal decreto legislativo numero 81 del 2008 ed è stata eseguita da impresa specializzata nel settore, che la sostituzione delle finestre, unico intervento esterno realizzato, è conforme ai criteri di cui alla Carta della qualità comunale, trattandosi di finestre perfettamente corrispondenti a quelle vecchie, sia per materiale che per forma e dimensioni.
Con il 5º motivo aggiunto il ricorrente contesta la mancanza del parere della Sovrintendenza comunale, essendo stato regolarmente richiesto tale parere e considerato che l’articolo 24, comma 12, delle norme di attuazione prevede che si prescinda dal parere medesimo qualora non reso.
Con il 6º motivo aggiunto, quindi, il ricorrente contesta l’affermazione comunale circa la sussistenza di un terrazzo abusivo di circa 6 m² non presente nell’impianto catastale, con annessa portafinestra di accesso al terrazzo e deduce che il terrazzino era già presente nel 1939, come da documentazione allegata.
Con il 7º motivo, infine, il ricorrente ribadisce, nei confronti dell’atto impugnato con i motivi aggiunti, i vizi di legittimità dedotti con il ricorso introduttivo, deducendone la conseguente illegittimità derivata.
Il ricorrente conclude chiedendo l’annullamento degli atti impugnati e l’accertamento della legittimità delle istanze proposte e degli interventi richiesti.
Nelle more della trattazione dei ricorsi, sopraggiunge il provvedimento di sospensione immediata dei lavori adottato nei confronti del ricorrente dall’amministrazione di Roma Capitale con determinazione dirigenziale numero 430 del 28 febbraio 2011, motivato con la constatata violazione urbanistico edilizia per opere prive del prescritto permesso; in esito a un accertamento eseguito presso la proprietà del ricorrente, sarebbero stati rilevati interventi edilizi privi di tale permesso.
Avverso la suddetta determinazione dirigenziale, il ricorrente notifica alle amministrazioni resistenti un 2º ricorso per motivi aggiunti, depositato il 6 maggio 2011.
Il ricorrente premette di aver impugnato con il connesso ricorso numero di registro generale 9710 del 2010 un provvedimento adottato dall’amministrazione comunale nei suoi confronti in relazione a una comunicazione di inizio lavori asseverata presentata per il rifacimento del pavimento del sottotetto, separato dall’appartamento di abitazione, provvedimento adottato a distanza di 3 mesi dalla comunicazione di inizio lavori e ostativo agli stessi in quanto le opere riguarderebbero parti strutturali dell’edificio.
Il ricorrente, quindi, chiede la riunione dei ricorsi connessi.
Con il 2º ricorso per motivi aggiunti, comunque, impugna la determinazione dirigenziale di sospensione dei lavori numero 430 del 28 febbraio 2011 e gli atti ad essa allegati, nota numero di protocollo CA 41006 del 18 maggio 2010 e nota numero di protocollo CA 62340 del 5 agosto 2010.
Con la nota del 18 maggio 2010, l’amministrazione romana comunica di aver accertato i seguenti abusi edilizi presso l’abitazione del ricorrente: mancanza del titolo edilizio relativo alla variazione della destinazione d’uso, presenza di un terrazzo di 6 m² non riportato nella piantina catastale, realizzazione di una portafinestra per accedere al terrazzo, demolizione parziale della latrina esterna, mancanza del parere della Sovrintendenza, mancanza nel grafico catastale del lucernario da sostituire, intervento sulla tinteggiatura esterna in contrasto con il punto 6. 2 della guida della Carta delle qualità, presentazione di un’unica denuncia di inizio attività per opere interne ed esterne.
Con la nota del 2 agosto 2010, invece, l’amministrazione comunica di aver accertato, in seguito a un sopralluogo eseguito presso l’unità immobiliare, che il lucernaio non farebbe parte dell’unità immobiliare al piano 2º ma riguarderebbe altra unità immobiliare sovrastante con accesso indipendente, attualmente in uso a deposito, non identificata al catasto e priva di titolo edilizio, con accesso al sottotetto attraverso una scala in ferro esterna; risulterebbe inoltre in corso di realizzazione un camino con seduta non rappresentato nella denuncia di inizio attività e anche una fioriera esterna nel terrazzo che affaccia verso il cortile interno.
Avverso il provvedimento impugnato e gli atti ad esso allegati, il ricorrente deduce i seguenti motivi:
1° motivo: travisamento dei fatti ed illegittimità derivata, per gli stessi motivi già dedotti con le censure precedentemente proposte; la destinazione d’uso abitativa risulterebbe da documentazione allegata agli atti; il terrazzo ad uso esclusivo dell’appartamento sarebbe già presente nella scheda catastale del 1939; riguardo la sostituzione del lucernario, il ricorrente conferma di aver rinunciato a tale intervento; terrazzino esterno, sottotetto e portafinestra di accesso al terrazzo risalirebbero a tempo immemorabile e di certo anteriore ai primi anni 20, come da documentazione allegata, per cui sarebbe da escludere qualsiasi abuso trattandosi di interventi precedenti l’entrata in vigore della legge numero 1150 del 1942.
2º motivo: violazione della Carta della qualità del municipio di Roma centro storico, con riferimento alla eliminazione della superfetazione costituita dalla latrina esterna.
3º motivo: non necessità del parere della Sovrintendenza, qualora ritualmente richiesto, fermo restando che il ricorrente ha rinunciato alla quasi totalità delle opere esterne, in particolare non ha eseguito la tinteggiatura esterna di una parte dell’immobile.
4º motivo: non necessità di due distinte denunce di inizio attività per i lavori rispettivamente riferiti alle opere interne e alle opere esterne, trattandosi di interventi correlati e connessi.
5º motivo: la realizzazione di un camino con seduta e di una fioriera esterna non rappresentate nella denuncia di inizio attività rientrerebbero, quanto al camino, nella manutenzione ordinaria già indicata nella denuncia di inizio attività, essendo preesistente la canna fumaria e, quanto alla fioriera esterna, in un mero ornamento non richiedente titoli abilitativi.
6º motivo: illegittimità derivata del provvedimento impugnato con i secondi motivi aggiunti in quanto fondato su atti illegittimi per le ragioni già dedotte con i ricorsi connessi.
In prossimità dell’udienza di trattazione dei ricorsi, le parti presentano documentazione e memorie difensive.
Lo stesso ricorrente, con distinto ricorso numero 9791 del 2010, notificato al Comune di Roma e a un privato controinteressato il 12 novembre 2010, impugna il provvedimento dirigenziale del 5 agosto 2010 di diffida alla realizzazione delle opere in relazione a una comunicazione di inizio lavori eseguita ai sensi dell’articolo 5 del decreto-legge numero 40 del 2010.
Nel corso dei lavori di ristrutturazione dell’appartamento per i quali è pendente il contenzioso di cui al connesso ricorso numero 3274 del 2010, integrato con motivi aggiunti, il ricorrente, rilevate infiltrazioni provenienti dal sottotetto sovrastante il suo appartamento, presentava una comunicazione di inizio lavori per la asportazione del materiale esistente sulla pavimentazione della soffitta, la demolizione della pavimentazione della predetta soffitta, l’asportazione del materiale di risulta, la realizzazione del massetto di sottofondo e la successiva posa in opera del pavimento.
La comunicazione veniva presentata il 15 giugno 2010; a lavori ultimati, sopraggiungeva il provvedimento impugnato, con il quale l’amministrazione comunale comunicava la non conformità alla normativa vigente dei lavori in quanto concernenti parti strutturali dell’edificio.
Con il proposto ricorso, il ricorrente deduce la illegittimità della diffida in quanto (primo motivo) non si tratterebbe di intervento su parti strutturali dell’edificio, essendo il solaio costituito da una struttura portante di travi in castagno su cui poggia un tavolato in legno; essa non sarebbe toccata dai lavori limitati alla rimozione del precedente pavimento, poggiante sulla struttura, con la ricostruzione del massetto e la posa in opera di un nuovo pavimento; l’Amministrazione comunale (2º motivo) avrebbe travisato la relazione tecnica allegata alla comunicazione di inizio lavori nella quale non è menzionata alcuna parte strutturale del solaio; il provvedimento sarebbe viziato da difetto di motivazione e denuncerebbe svariati profili di eccesso di potere; inoltre (3º motivo) sarebbero violati i principi della buona amministrazione e del giusto procedimento, essendo stato adottato un provvedimento successivamente all’esecuzione dei lavori, trattandosi oltretutto di attività edilizia libera, per cui non sussisterebbe neppure il potere inibitorio previsto dalla legge per la denuncia di inizio attività.
Sopraggiunge il provvedimento numero 430 del 28 febbraio 2011 con cui l’Amministrazione romana determina l’immediata sospensione dei lavori e diffida dall’esecuzione di qualsiasi altra opera successiva, a seguito della asserita costatazione di violazione urbanistico edilizia indicata nella comunicazione dell’11 febbraio 2011, a sua volta riferita alla nota del 5 agosto 2010 impugnata con il ricorso introduttivo, nella quale si sosteneva che gli interventi di manutenzione straordinaria del solaio non rientrano nella categoria di attività edilizia libera qualora riguardino anche parti strutturali dell’edificio.
Con ricorso per motivi aggiunti, notificato al Comune di Roma il 12 maggio 2011, il ricorrente chiede l’annullamento anche della determinazione dirigenziale di sospensione dei lavori del 28 febbraio 2011, comunicata in data 10 marzo 2011 e degli atti ad essa allegati, facendo presente che tali provvedimenti sono stati già impugnati con il 2º ricorso per motivi aggiunti al ricorso numero di registro generale 3274 del 2010, al quale il ricorrente chiede la riunione.
Con quest’ultimo ricorso per motivi aggiunti, quindi, il ricorrente chiede l’annullamento, per illegittimità derivata, anche degli atti ivi impugnati.
Il ricorrente deposita quindi documentazione, tra cui un certificato di collaudo finale attestante che non sono state realizzate le opere, già indicate nella originaria denuncia di inizio attività, di sostituzione del lucernario esistente, sostituzione dei canali di gronda, apertura di una nuova botola di accesso al sottotetto e tinteggiatura esterna.
All’udienza pubblica del 1 febbraio 2017 i ricorsi sono trattati e posti in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente deve essere disposta la riunione del ricorso numero 9791 del 2010 al ricorso numero 3274 del 2010, per connessione oggettiva e soggettiva.
Sempre in via preliminare, deve essere estromessa dal processo l’Amministrazione dei Beni e delle attività culturali, per difetto di legittimazione passiva, non essendo stato impugnato alcun provvedimento di tale amministrazione.
Anche il privato chiamato in giudizio con il ricorso numero 9791 del 2010 deve essere estromesso dal processo, per difetto di legittimazione passiva, non essendo lo stesso risultato titolare di alcuna posizione soggettiva qualificata contrapposta a quella del ricorrente.
Nel merito, la decisione deve iniziare dall’esame del ricorso introduttivo numero 3274 del 2010, proposto avverso il silenzio dell’Amministrazione comunale resistente su una denuncia di inizio attività presentata dal ricorrente, comprendente un accertamento di conformità ex articolo 37 del testo unico dell’edilizia numero 380 del 2001 ed ex articolo 22 della legge regionale Lazio numero 15 del 2008, oltre ad altri interventi edilizi riferiti a opere interne ed esterne all’appartamento di proprietà del ricorrente.
In sostanza, la denuncia di inizio attività che ha dato origine alla controversia costituiva un atto complesso, comprendente 3 distinte istanze: la prima, per l’esecuzione di opere interne di manutenzione straordinaria e restauro e risanamento conservativo dell’appartamento; la 2ª, riferita all’esecuzione di alcune opere edilizie esterne; la 3ª costituente un vero e proprio accertamento di conformità per la demolizione di una latrina esterna all’edificio eseguita in assenza di titolo abilitativo.
Essendo diversa la natura giuridica delle domande presentate, si deve ritenere applicabile a ciascuna di esse il proprio regime giuridico.
Quindi, alle prime due denunce è riconducibile la disciplina di cui all’articolo 22 del testo unico sull’edilizia che consente la realizzazione di interventi subordinati a denuncia di inizio attività, tra l’altro, per opere di manutenzione straordinaria, anche riguardanti parti strutturali dell’edificio, opere di restauro e risanamento conservativo e interventi di ristrutturazione edilizia, entro certi limiti.
Invece, si deve ritenere che alla denuncia di inizio attività in sanatoria, presentata congiuntamente alle prime due ma funzionalmente distinta da esse, sia applicabile la disciplina dettata dall’articolo 37 del testo unico dell’edilizia e dall’articolo 22 della legge regionale numero 15 del 2008.
La differenza è che, nel caso di denuncia di inizio attività per lavori ancora da eseguire, il silenzio dell’amministrazione equivale a mancato esercizio del potere inibitorio e, di conseguenza, abilita il denunciante ad eseguire le opere oggetto della dichiarazione.
Invece, nel caso di denuncia di inizio attività in sanatoria, per l’accertamento di conformità urbanistica delle opere già eseguite, il silenzio dell’Amministrazione assume il significato di rigetto della domanda di accertamento della conformità.
Ne deriva che il ricorrente non ha alcun interesse a impugnare il silenzio serbato dall’amministrazione comunale sulla parte della propria denuncia di inizio attività non relativa alla sanatoria per conformità urbanistica della demolizione della latrina esterna.
Al riguardo, basta confermare il condivisibile e costante orientamento della giurisprudenza per cui (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 839) la denuncia d'inizio attività (d.i.a.) è un atto soggettivamente e oggettivamente privato, alla cui presentazione può seguire da parte della Pubblica amministrazione un silenzio di tipo significativo che produce l'effetto di precludere all'Amministrazione l'esercizio del potere inibitorio.
Pertanto (T.A.R. Latina, 20 maggio 2016, n. 332) il mancato esercizio, nei termini normativamente previsti, del potere inibitorio da parte dell'Amministrazione, diretto a impedire al privato di intraprendere l'attività oggetto della denuncia di inizio di attività, dà luogo alla formazione di un atto tacito di diniego del provvedimento inibitorio, avverso il quale la stessa può porre rimedio esercitando il generale potere discrezionale di autotutela ai sensi degli artt. 21 quinques e 21 nonies l. n. 241 del 1990.
Potere, nella fattispecie, non esercitato nelle forme prescritte dalla legge, per cui si deve ritenere che il ricorrente abbia lecitamente eseguito i lavori indicati nella D.I.A., distinti dalla domanda di accertamento di conformità.
Ne deriva l’inammissibilità, per difetto di interesse, del 4º motivo proposto con il ricorso introduttivo, peraltro in via dichiaratamente prudenziale, con cui il ricorrente contestava la legittimità del silenzio rigetto, qualora inteso come diniego di autorizzazione anche allo svolgimento dei lavori estranei alla domanda di accertamento di conformità in sanatoria.
Invece, il ricorrente ha interesse a impugnare il silenzio rigetto formatosi sulla denuncia di inizio attività in sanatoria presentata per la regolarizzazione della demolizione della latrina esterna.
Con il primo motivo, il ricorrente deduce il difetto di motivazione di tale provvedimento tacito.
Il motivo è infondato perché (T.A.R. Napoli, sez. III, 22 agosto 2016, n. 4088) pur nel sistema introdotto dagli artt. 2 e 3, l. n. 241 del 1990, il silenzio serbato dall'Amministrazione sull'istanza di accertamento di conformità urbanistica di cui all'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, ha natura di atto tacito di reiezione dell'istanza (e quindi di silenzio - significativo e non di silenzio - rifiuto). Pertanto, una volta decorso il termine di 60 giorni, si forma il silenzio - diniego, che può essere impugnato dall'interessato in sede giurisdizionale nel prescritto termine decadenziale di sessanta giorni, alla stessa stregua di un comune provvedimento, senza che possano ravvisarsi in esso i vizi formali propri degli atti, quali i difetti di procedura o la mancanza di motivazione, con la conseguenza che il predetto provvedimento, in quanto tacito, è già di per sé privo di motivazione ed impugnabile non per difetto di motivazione, bensì per il suo contenuto di rigetto. Pertanto, l'ordinamento, a seguito della presentazione dell'istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, non prevede alcun obbligo dell'Amministrazione di pronunciarsi con un provvedimento espresso, qualificando il silenzio serbato sulla predetta istanza come rifiuto della stessa.
Con il 2º motivo, quindi, il ricorrente deduce la illegittimità del silenzio rigetto sostenendo che l’eliminazione della latrina non avrebbe dovuto essere vietata dall’amministrazione, per ragioni sostanziali.
Il motivo è fondato, essendo stato provato dal ricorrente, con allegazione di rilevante documentazione, che la latrina per cui è causa costituiva una superfetazione dell’immobile, provvisto di bagno interno, presentandosi come un elemento estraneo e incongruo rispetto alla originaria conformazione dell’edificio storico.
Legittimamente, dunque, i precedenti proprietari dell’edificio, conformemente alla regolamentazione urbanistica ed edilizia del Comune di Roma, hanno proceduto, pur senza una espressa autorizzazione amministrativa, all’eliminazione della superfetazione architettonica.
Ne deriva che il Comune resistente avrebbe dovuto pronunciarsi favorevolmente sulla richiesta di accertamento di conformità urbanistico-ediliziapresentata dal ricorrente per tale intervento.
Di conseguenza, il ricorso introduttivo deve essere accolto, con assorbimento del 3º motivo, e, per l’effetto, deve essere dichiarata la illegittimità del silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione sulla denuncia di inizio attività in sanatoria presentata dal ricorrente.
Deve essere anche accolta la domanda di accertamento della legittimità degli interventi edilizi eseguiti in conformità alle restanti parti della denuncia di inizio attività a suo tempo presentata dal ricorrente per l’esecuzione delle opere interne ed esterne ivi descritte, non essendo stato adottato alcun provvedimento inibitorio, da parte dell’Amministrazione resistente, nel termine di 30 giorni stabilito dalla legge.
Con il primo ricorso per motivi aggiunti, peraltro, il ricorrente impugna la nota dell’amministrazione municipale romana del 18 maggio 2010, per il caso fosse da interpretare come motivazione postuma del provvedimento tacito di rigetto.
Il ricorso per motivi aggiunti è inammissibile per carenza di interesse, non essendo necessario impugnare l’atto di motivazione, seppure successivo alla formazione del silenzio rigetto, qualora sia stata accertata, come nella fattispecie concreta, l’illegittimità del provvedimento tacito di diniego.
Con il 2º ricorso per motivi aggiunti, successivamente proposto, il ricorrente impugna il provvedimento di sospensione dei lavori adottato dall’Amministrazione comunale con determinazione dirigenziale numero 430 del 2011, riferito in parte agli interventi edilizi oggetto della denuncia di inizio attività già esaminata, nella restante parte ad interventi oggetto di altra comunicazione di inizio lavori, presentata il 15 giugno 2010 e oggetto di un provvedimento inibitorio impugnato con il connesso ricorso numero 9791 del 2010.
Prescindendo dalla fondatezza di quest’ultima impugnazione, il 2º ricorso per motivi aggiunti è improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse.
Infatti (T.A.R. Marche, 23 agosto 2016, n. 494) nel sistema vigente, l'efficacia dell'ordinanza di sospensione lavori è temporalmente limitata, spirando al decorso del quarantacinquesimo giorno dalla sua adozione e ciò sia che venga soppiantata dal provvedimento definitivo di demolizione, sia che quest'ultimo non venga adottato, atteso che in ambedue i casi l'ordinanza di sospensione dei lavori consuma la sua efficacia e l'eventuale sua impugnazione diviene improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse a motivo della postuma perdita di effetti dell'ordinanza stessa.
Passando all’esame del ricorso numero 9791 del 2010, si deve rilevare che l’impugnazione proposta con il gravame introduttivo ha ad oggetto la diffida alla realizzazione delle opere adottata dall’Amministrazione comunale nei confronti del ricorrente per una comunicazione di inizio lavori eseguita ai sensi dell’articolo 5 del decreto-legge numero 40 del 2010.
Com’è noto, la disposizione legislativa richiamata ha sostituito l’articolo 6 del testo unico dell’edilizia numero 380 del 2001, disciplinando diversamente l’attività edilizia libera.
In base alla nuova formulazione dell’articolo 6 del testo unico (comma 2) è consentita, previa comunicazione di inizio lavori, l’esecuzione, tra l’altro, di interventi di manutenzione straordinaria che non riguardino le parti strutturali dell’edificio purché (comma 4) l’interessato, unitamente alla comunicazione di inizio lavori, trasmetta all’amministrazione comunale una relazione tecnica di data certa correlata degli opportuni elaborati progettuali, a firma di un tecnico abilitato che asseveri che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti e che per essi la normativa statale regionale non preveda il rilascio di alcun titolo abilitativo.
La comunicazione di inizio lavori asseverata presentata dal ricorrente aveva ad oggetto il rifacimento della pavimentazione di una soffitta sovrastante il suo appartamento.
Con il provvedimento impugnato, adottato con determinazione dirigenziale del 5 agosto 2010, l’Amministrazione comunale diffidava l’interessato dall’esecuzione delle opere, trattandosi, ad avviso dell’Amministrazione, di intervento sulle parti strutturali dell’edificio.
Con il primo motivo, il ricorrente deduce la illegittimità del provvedimento inibitorio in quanto non si tratterebbe di intervento su parti strutturali dell’edificio.
Il motivo è fondato e assorbente le ulteriori censure dedotte avverso il provvedimento impugnato.
Infatti, il ricorrente ha dimostrato, allegando tutta la documentazione necessaria, di aver eseguito la rimozione delle parti deteriorate della pavimentazione della soffitta senza intervenire sulla struttura portante della stessa, costituita da un tavolato in legno poggiante su travi in castagno; l’intervento, in sostanza, si è risolto nella demolizione della parte deteriorata della precedente pavimentazione e nella ricostruzione di un massetto, senza ulteriore pavimentazione.
Ne deriva la illegittimità del provvedimento inibitorio adottato in difetto dei presupposti di legge, non essendo stata eseguita alcuna opera sulle parti strutturali dell’edificio.
Pertanto, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato il provvedimento impugnato.
Con l’ultimo ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente chiede l’annullamento anche della determinazione dirigenziale di sospensione dei lavori del 28 febbraio 2011, nella parte in cui è riferita alle opere oggetto della comunicazione di inizio lavori relativa al rifacimento della pavimentazione della soffitta.
Anche quest’ultimo ricorso per motivi aggiunti è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, per le stesse ragioni per cui è stato ritenuto improcedibile il 2º ricorso per motivi aggiunti proposto nell’ambito del contenzioso introdotto dal ricorso numero 3274 del 2010, trattandosi di provvedimento di sospensione dei lavori che ha oramai esaurito qualsiasi effetto giuridico.
In conclusione, il ricorso introduttivo numero 3274 del 2010 deve essere accolto, nella parte in cui è stato impugnato il silenzio rigetto dell’Amministrazione comunale sulla denuncia di inizio attività in sanatoria presentata dal ricorrente in data 3 dicembre 2009 e, per l’effetto, deve essere annullato il provvedimento tacito negativo.
In accoglimento dello stesso ricorso, deve essere accolta la domanda di accertamento della liceità della esecuzione di tutti i lavori oggetto della suddetta denuncia di inizio attività.
Il primo ricorso per motivi aggiunti al ricorso numero 3274 del 2010 deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di interesse.
Il secondo ricorso per motivi aggiunti al ricorso numero 3274 del 2010 deve essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse.
Il ricorso numero 9791 del 2010 deve essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato il provvedimento inibitorio impugnato.
Il ricorso per motivi aggiunti al ricorso numero 9791 del 2010 deve essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse.
Le spese processuali sostenute dal ricorrente per la difesa in giudizio devono essere poste a carico dell’Amministrazione resistente, in applicazione del criterio della soccombenza e nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti:
Riunisce il ricorso numero 9791 del 2010 al ricorso numero 3274 del 2010.
Estromette dal processo, per difetto di legittimazione passiva, il Ministero per i Beni e le Attività culturali e il privato evocato in giudizio nella qualità di controinteressato.
Accoglie il ricorso numero 3274 del 2010 e, per l’effetto, annulla il provvedimento tacito di rigetto impugnato e accerta la liceità dell’esecuzione dei lavori descritti nella denuncia di inizio attività presentata il 3 dicembre 2009.
Dichiara inammissibili i primi motivi aggiunti al ricorso numero 3274 del 2010.
Dichiara improcedibili i secondi motivi aggiunti al ricorso numero 3274 del 2010.
Accoglie il ricorso numero 9791 del 2010 e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Dichiara improcedibili i motivi aggiunti al ricorso numero 9791 del 2010.
Condanna l’Amministrazione resistente a rimborsare al ricorrente le spese processuali, liquidate nella somma complessiva di euro 3.000,00 (tremila) oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2017 con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Antonella Mangia, Consigliere
Antonio Andolfi, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonio Andolfi Elena Stanizzi
IL SEGRETARIO