Il TAR Latina riapre il tema della riedizione in sanatoria del procedimento espropriativo?
Pubblico
Martedì, 12 Gennaio, 2016 - 01:00
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina (Sezione Prima), sentenza n. 1 del 7 gennaio 2016, sulle forme per apprensione di un immobile alla PA
E’ oramai consolidato l’indirizzo, seguito anche da questo Tribunale (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 13 ottobre 2015, n. 657; id., 12 maggio 2015, n. 383), secondo il quale l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venir meno l’obbligo della P.A. di restituire al privato il bene appreso in maniera illegittima.
La realizzazione sull’area occupata dell’opera pubblica è un fatto e tale resta: la perdita della proprietà da parte del privato e l’acquisto in capo alla P.A. possono conseguire soltanto all’adozione di un provvedimento formale, nel rispetto del principio di legalità e di preminenza del diritto (C.d.S., A.P., 29 aprile 2005, n. 2).
La giurisprudenza ha precisato che dal principio, ormai consolidato, per cui la realizzazione di un’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato non è in grado di per sé di determinare il trasferimento della proprietà dell’immobile a favore della P.A., si desume che anche la richiesta di risarcimento formulata dal privato e volta ad ottenere il mero controvalore del fondo, compromesso dall’opera pubblica, pur interpretata quale manifestazione della volontà di rinunciare alla proprietà del terreno, non vale a determinare in capo al privato la perdita della proprietà di questo (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 16 settembre 2014, n. 1111).
tre sono le strade che, secondo la giurisprudenza (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4970), la P.A. può seguire in casi come quello qui in esame per pervenire alla legittima apprensione del bene:
a) il contratto, mediante l’acquisizione del consenso della controparte;
b) il provvedimento, da intendere come riedizione del procedimento espropriativo, con le garanzie conseguenti;
c) il procedimento di sanatoria, già disciplinato dall’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001 ed ora, dopo la declaratoria di incostituzionalità del medesimo, nuovamente disciplinato dall’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 cit., introdotto dall’art. 34, comma 1, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito con l. 15 luglio 2011, n. 111).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
sezione staccata di Latina (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 776 del 2009, proposto dalla società
C….P.S. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. …. rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Ciccarese e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Latina, via A. Doria, n. 9
contro
Comune di Latina, in persona del Commissario straordinario pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Di Leginio e con domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura Comunale, in Latina, via IV Novembre, n. 25
a) in via principale:
per l’accertamento
dell’illegittimo protrarsi dell’occupazione dei terreni di proprietà della società ricorrente interessati dal compimento di lavori urbanizzativi in Latina, località Capograssa, via de’ Volsci – Quartiere di ridimensionamento R/1 e dell’intervenuta loro trasformazione irreversibile, per effetto dei suddetti lavori, in assenza del decreto di esproprio
e per la condanna
del Comune al risarcimento del danno conseguente all’occupazione abusiva ed alla trasformazione irreversibile delle aree interessate, con interessi e rivalutazione monetaria, facendo obbligo al citato Comune di adottare l’atto formale di trasferimento previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001 entro un termine fissato dall’adito Tribunale
b) in subordine:
per l’accertamento
dell’avvenuto acquisto della proprietà delle aree (pari a mq. 3.976) in favore del Comune di Latina a far data dal 31 gennaio 1992, per effetto delle trasformazione irreversibile delle stesse
e per la condanna
del Comune al risarcimento dei danni in favore della società ricorrente, con interessi e rivalutazione monetaria.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Viste la memoria di costituzione e difensiva e la documentazione del Comune di Latina;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore nell’udienza pubblica del 19 novembre 2015 il dott. Pietro De Berardinis;
Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue
FATTO
La società ricorrente, Costruzioni Immobiliari Pontine Seconda S.r.l. (d’ora in poi: C.I.P. Seconda S.r.l.), espone di aver acquistato, con atto del 13 settembre 1990, dalla Edilprogrammi S.r.l. il lotto di terreno ubicato in Latina, loc. Capograssa, avente superficie di mq. 11.890 e distinto in catasto al fg. n. 148, part.lle nn. 22, 911, 912 e 929.
Il lotto compravenduto, nelle previsioni del P.P.E. del comprensorio R/1, faceva parte di un insieme di maggiori superfici di proprietà di terzi, con destinazione ad “edilizia isolata”, “verde pubblico” e “viabilità”.
L’esponente precisa che il Comune di Latina, con deliberazione n. 174 del 21 dicembre 1985 aveva approvato il progetto urbanizzativo del comprensorio R/1 e che, per l’esecuzione di tale progetto, la Giunta Comunale autorizzò, con deliberazione n. 1498/23 del 23 giugno 1988, l’occupazione in via d’urgenza (per un periodo di cinque anni dall’immissione nel possesso) delle aree e degli immobili indicati nel piano particellare di esproprio. Aggiunge che, peraltro, il lotto da essa acquistato, pur se ricompreso nel procedimento espropriativo attivato, al momento dell’acquisto non era stato ancora interessato, al contrario di superfici limitrofe, dai lavori di realizzazione del progetto urbanizzativo de quo.
In ogni caso, il Comune di Latina, pur avendo eseguito l’opera pubblica, non avrebbe mai emanato, decorso il quinquennio di occupazione legittima, il decreto di esproprio. A tal riguardo, l’esponente precisa, onde circoscrivere la propria iniziativa giudiziale, che:
a) la superficie occupata sarebbe di mq. 3.976, cioè inferiore a quella prevista dal piano di esproprio (che l’avrebbe determinata in mq. 4.480);
b) l’irreversibile trasformazione dell’area si sarebbe determinata in epoca certamente non anteriore al 31 gennaio 1992, data cui è ricollegabile l’ultimazione dell’opera pubblica.
Tali circostanze sarebbero state accertate dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta nell’ambito del giudizio risarcitorio promosso dalla ricorrente dinanzi al G.O., peraltro conclusosi con declaratoria del difetto di giurisdizione dello stesso G.O., in favore della giurisdizione del G.A..
Tanto premesso, con il ricorso in epigrafe la C.I.P. Seconda S.r.l. agisce:
1) in via principale: per l’accertamento dell’illegittimo protrarsi dell’occupazione dei terreni di sua proprietà e dell’intervenuta loro trasformazione irreversibile, in mancanza del decreto di esproprio, nonché per la condanna del Comune di Latina al risarcimento del danno conseguente alle ora viste occupazione abusiva e trasformazione irreversibile dei predetti terreni, più interessi e rivalutazione monetaria, con contestuale imposizione al medesimo Comune dell’obbligo di adottare l’atto formale di trasferimento previsto dall’art. 43 (ora art. 42-bis) del d.P.R. n. 327/2001 entro un termine fissato dall’adito Tribunale;
b) in via subordinata: per l’accertamento dell’avvenuto acquisto della proprietà dei succitati terreni in favore del Comune di Latina a far data dal 31 gennaio 1992, in conseguenza della trasformazione irreversibile degli stessi, e per la condanna del Comune al risarcimento dei danni, con gli interessi e la rivalutazione monetaria.
A supporto del gravame, la ricorrente osserva che la fattispecie descritta dovrebbe inquadrarsi nella cd. occupazione appropriativa od acquisitiva, con conseguente applicazione della relativa disciplina, in specie di quella introdotta dall’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001. Anche ove si restasse ancorati alla tesi del passaggio di proprietà in capo alla P.A. dei terreni illegittimamente occupati, in forza della trasformazione irreversibile di essi, resterebbe comunque fermo il diritto al risarcimento del danno in favore della ricorrente stessa, avendo questa acquistato il bene in epoca anteriore alla suindicata trasformazione irreversibile. Né si potrebbe invocare la prescrizione del diritto al risarcimento, alla luce delle istanze di pagamento rivolte dalla ricorrente al Comune di Latina, del riconoscimento del debito espresso da quest’ultimo e del già ricordato promovimento del giudizio risarcitorio dinanzi al G.O., che, seppur conclusosi con sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione, avrebbe tuttavia prodotto gli effetti interruttivi ex art. 2945, secondo comma, c.c..
Si è costituito in giudizio il Comune di Latina, depositando memoria difensiva con documentazione allegata ed eccependo:
a) l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva della società ricorrente, poiché al momento dell’acquisto, da parte della stessa, del lotto di terreno in discorso, le particelle interessate dall’acquisizione effettuata dal Comune sarebbero già state irreversibilmente trasformate in viabilità pubblica;
b) la prescrizione del diritto al risarcimento del danno vantato dalla ricorrente;
c) l’eccessiva quantificazione delle pretese risarcitorie da parte della ricorrente, in quanto, anzitutto, il Comune di Latina avrebbe occupato solo le part.lle nn. 22, 912 e 911 (e quest’ultima solamente in minima parte), mentre la part. n. 929 non risulterebbe interessata da alcuna vicenda espropriativa; il valore dei terreni in esame dovrebbe, poi, essere conteggiato tenendo conto della loro destinazione dapprima a viabilità di accesso privata, e poi a viabilità ad uso pubblico, nonché dello svuotamento di volumetria dei terreni stessi, per effetto della realizzazione di tutta la volumetria assentita, con il corollario che siffatti terreni non avrebbero il requisito dell’edificabilità di fatto e dovrebbero essere valutati alla stregua di terreni agricoli.
All’udienza pubblica del 19 novembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Formano oggetto del ricorso indicato in epigrafe le domande:
- in via principale, di accertamento dell’illegittimità della occupazione dei terreni di proprietà della C.I.P. Seconda S.r.l. da parte del Comune di Latina, di condanna di detto Comune ad adottare l’atto di acquisizione al proprio patrimonio dei predetti terreni (“acquisizione sanante”) ex art. 43 (ora art. 42-bis) del d.P.R. n. 327/2001, e di condanna dello stesso al risarcimento del danno, oltre interessi e rivalutazione monetaria;
- in subordine, di accertamento dell’avvenuto passaggio di proprietà dei terreni occupati in capo al Comune di Latina, per effetto della loro irreversibile trasformazione, e di condanna del Comune al conseguente risarcimento del danno in favore della ricorrente.
Il Collegio deve prioritariamente esaminare le eccezioni preliminari, di rito e di merito, avanzate dal Comune di Latina, in specie: quella di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva della società ricorrente e quella di prescrizione del diritto al risarcimento del danno.
Sostiene, infatti, la difesa comunale – con una dettagliata ricostruzione della vicenda – che, nel caso ora in esame, la trasformazione irreversibile dei terreni occupati dalla P.A. sarebbe avvenuta al più tardi entro il 29 dicembre 1989 e, comunque, in epoca antecedente all’acquisto dei terreni stessi da parte della ricorrente (risalente, come detto, al 13 settembre 1990); la C.I.P. Seconda S.r.l., pertanto, non avrebbe subito danni, in quanto la situazione di fatto (destinazione dell’area occupata a viabilità pubblica) sarebbe stata già ampiamente stratificata e conosciuta alle parti.
Aggiunge, poi, senza ulteriormente argomentare, che il diritto al risarcimento del danno fatto valere dalla C.I.P. Seconda S.r.l. si sarebbe prescritto.
Le suesposte eccezioni sono ambedue destituite di fondamento.
In primo luogo, è oramai consolidato l’indirizzo, seguito anche da questo Tribunale (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 13 ottobre 2015, n. 657; id., 12 maggio 2015, n. 383), secondo il quale l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venir meno l’obbligo della P.A. di restituire al privato il bene appreso in maniera illegittima. Deve, infatti, ritenersi superata l’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica effetti preclusivi e/o limitativi della tutela in forma specifica del privato operata in relazione al diritto comune europeo: tanto è vero che il proprietario del terreno illegittimamente occupato dalla P.A., una volta ottenuta la declaratoria dell’illegittimità dell’occupazione e l’annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare sia la restituzione del fondo, sia la sua riduzione in pristino, ma non anche il risarcimento del danno, dal momento che la proprietà del terreno è rimasta sin dall’origine in capo a lui, cosicché nessun danno si può profilare in riferimento alla sua perdita (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. IV 27 gennaio 2014, n. 359; T.A.R. Campania, Napoli, Sez, V, 7 luglio 2014, n. 3768; T.A.R. Sardegna, Sez. II, 11 gennaio 2014, n. 15).
In definitiva, quindi, la realizzazione sull’area occupata dell’opera pubblica è un fatto e tale resta: la perdita della proprietà da parte del privato e l’acquisto in capo alla P.A. possono conseguire soltanto all’adozione di un provvedimento formale, nel rispetto del principio di legalità e di preminenza del diritto (C.d.S., A.P., 29 aprile 2005, n. 2).
In contrario, non potrebbe obiettarsi che, se la ricorrente chiede il risarcimento del danno da perdita della proprietà del fondo (per l’irreversibile trasformazione di questo), detta domanda equivarrebbe a rinuncia alla proprietà del fondo illegittimamente occupato, e cagionerebbe in capo alla ricorrente la perdita della proprietà dello stesso.
La giurisprudenza ha infatti precisato che dal principio, ormai consolidato, per cui la realizzazione di un’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato non è in grado di per sé di determinare il trasferimento della proprietà dell’immobile a favore della P.A., si desume che anche la richiesta di risarcimento formulata dal privato e volta ad ottenere il mero controvalore del fondo, compromesso dall’opera pubblica, pur interpretata quale manifestazione della volontà di rinunciare alla proprietà del terreno, non vale a determinare in capo al privato la perdita della proprietà di questo (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 16 settembre 2014, n. 1111).
Invero, nell’ipotesi dell’utilizzazione senza titolo di un dato bene per scopi di pubblico interesse, il trasferimento della proprietà del predetto bene non può collegarsi all’unilaterale volontà del privato di rinunciare al proprio diritto, anche laddove si consideri siffatta volontà implicita nella richiesta di liquidazione del danno commisurato alla perdita definitiva della disponibilità del bene in questione (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 19 agosto 2011, n. 2102). Infatti, tre sono le strade che, secondo la giurisprudenza (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4970), la P.A. può seguire in casi come quello qui in esame per pervenire alla legittima apprensione del bene:
a) il contratto, mediante l’acquisizione del consenso della controparte;
b) il provvedimento, da intendere come riedizione del procedimento espropriativo, con le garanzie conseguenti;
c) il procedimento di sanatoria, già disciplinato dall’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001 ed ora, dopo la declaratoria di incostituzionalità del medesimo, nuovamente disciplinato dall’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 cit., introdotto dall’art. 34, comma 1, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito con l. 15 luglio 2011, n. 111).
In secondo luogo, si osserva come il comportamento tenuto dalla P.A., che abbia emesso una valida dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione di urgenza, senza, tuttavia, emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei termini previsti dalla legge, debba configurarsi quale illecito permanente, e non già quale illecito istantaneo ad effetti permanenti (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, nn. 657 e 383 del 2015, citt.; id., 22 aprile 2013, n. 343; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 14 aprile 2011, n. 3260).
Da quanto esposto discende la piena legittimazione ad agire dell’odierna ricorrente, per l’irrilevanza della trasformazione irreversibile del fondo, che costituisce un mero fatto, non idoneo ad assurgere a titolo di acquisto della proprietà, cosicché non ha alcuna rilevanza stabilire se tale trasformazione abbia avuto luogo prima, o dopo, l’acquisto del fondo da parte della ricorrente. Discende, altresì, la sussistenza dell’interesse ad agire in capo alla C.I.P. Seconda S.r.l., poiché la natura permanente del fatto illecito ascrivibile alla P.A. comporta la persistenza di una lesione degli interessi della società: per questo verso, poi, si dimostra l’infondatezza, altresì, dell’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno.
Nel vigore del comportamento illecito della P.A., infatti, non decorre nessuna prescrizione, giacché in tale caso manca l’effetto traslativo della proprietà, per l’assenza del provvedimento di esproprio, sicché il soggetto privato del possesso può agire avverso l’Ente espropriante, senza dover sottostare al termine quinquennale di prescrizione, decorrente dalla trasformazione irreversibile del bene (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, nn. 383 e 657 del 2015, citt.).
Esaurita la trattazione delle eccezioni preliminari formulate dalla difesa comunale e venendo adesso all’esame del merito del ricorso, osserva il Collegio che lo stesso è in parte fondato, nei termini che di seguito si rappresentano.
In proposito, peraltro, si devono premettere le seguenti due considerazioni:
a) la domanda della società ricorrente di condanna del Comune all’emanazione del provvedimento di cd. acquisizione sanante ex art. 43 del d.P.R. n. 327/2001 va qualificata – dopo la declaratoria di illegittimità costituzionale di tale disposizione – come domanda di condanna della P.A. ad adottare il provvedimento introdotto dall’art. 42-bis del medesimo Testo Unico delle espropriazioni (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, n. 343/2013, cit.);
b) che nel caso di specie si versi in un’ipotesi di illecito protrarsi dell’occupazione dei terreni della società ricorrente oltre i termini di legge e senza l’emissione del decreto di esproprio di detti terreni (cd. occupazione appropriativa o acquisitiva), si ricava dalla stessa ricostruzione dei fatti operata dal Comune di Latina nelle sue difese. Tale circostanza può considerarsi, quindi, non contestata ed anzi pacificamente ammessa dall’Amministrazione resistente e, pertanto, può essere posta a fondamento della presente decisione, ai sensi dell’art. 64, comma 2, c.p.a..
Tanto premesso, il Collegio ritiene di dover qualificare la domanda formulata in via principale dalla ricorrente quale domanda di condanna del Comune a far cessare la situazione di antigiuridicità dallo stesso generata con l’illecito protrarsi dell’occupazione dei terreni di proprietà della C.I.P. Seconda S.r.l. oltre i termini di legge e senza definizione del procedimento espropriativo.
Tale conclusione, ad avviso del Collegio, non si pone in contrasto con il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., in considerazione del potere del giudice di qualificazione dell’azione proposta (art. 32, comma 2, primo periodo, c.p.a.).
Si rammenta sul punto che, secondo la giurisprudenza (Cass. civ., Sez. II, 10 aprile 2015, n. 7269), il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato – la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione – comporta unicamente il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda; tale principio deve, quindi, ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (il petitum e la causa petendi), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, neppure implicitamente o virtualmente, nella domanda.
Orbene, nel caso in esame ciò che la ricorrente chiede è, in sostanza, la cessazione della situazione antigiuridica consistente nell’occupazione sine titulo, da parte del Comune di Latina, dei terreni di sua proprietà, con l’adozione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 cit. (pretesa principale). La sopra ricordata qualificazione della domanda ad opera del Collegio appare, pertanto, pienamente rispettosa del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c..
Sulla base di quanto ora esposto, è fondata e da accogliere la domanda – formulata in via principale dalla società – di condanna del Comune intimato a determinarsi ai sensi dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001 (la cui conformità alla Costituzione è stata sancita dalla Corte costituzionale con sentenza n. 71 del 30 aprile 2015): ciò, tuttavia, unicamente nel senso della condanna del Comune di Latina a decidere se esercitare o meno il potere previsto da tale disposizione e, cioè, a decidere se procedere o no alla cd. acquisizione sanante, non retroattiva, dei terreni di proprietà della C.I.P. Seconda S.r.l. illegittimamente occupati dalla P.A. (v. nello stesso senso, in una fattispecie analoga, T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, n. 657/2015, cit.).
Detta decisione dovrà essere assunta dal Comune di Latina entro un termine massimo che si ritiene opportuno stabilire in sessanta (60) giorni a decorrere dalla comunicazione in via amministrativa o – se anteriore – dalla notificazione a cura di parte della presente pronuncia.
Vero è che, secondo la più recente giurisprudenza, ad un siffatto esito processuale l’interessata può arrivare attivando il rito speciale del silenzio ex artt. 31 e 117 c.p.a., ove ne sussistano le condizioni (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 15 settembre 2014, n. 4696; T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 29 maggio 2015, n. 506).
Reputa, tuttavia, il Collegio che, nel caso di specie, lo stesso esito processuale possa essere ottenuto dall’attrice prescindendo dall’attivazione del meccanismo di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a., vertendosi in materia di giurisdizione esclusiva (art. 133, comma 1, lett. g), c.p.a.) e potendo, quindi, applicarsi l’art. 30, comma 1, c.p.a., secondo cui l’azione di condanna può essere proposta contestualmente ad altra azione o, “nei soli casi di giurisdizione esclusiva” e nei casi di cui all’art. 30 c.p.a. cit., “anche in via autonoma”; del resto, l’art. 42-bis cit. non contempla un avvio del procedimento ad istanza di parte (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, n. 657/2015, cit.).
La suesposta conclusione è, altresì, supportata dal principio di atipicità delle pronunce di condanna di cui all’art. 34, comma 1, lett. c), c.p.a. (cfr. T.A.R. Basilicata, Sez. I, 10 luglio 2015, n. 412, con la giurisprudenza ivi richiamata).
Peraltro, è la già citata sentenza n. 71/2015 della Corte costituzionale a rammentare (al parag. 6.6.3) la pluralità dei rimedi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa nella materia ora in esame per reagire all’inerzia della P.A. autrice dell’illecito: rimedi consistenti, da una parte, nel porre a carico del proprietario l’onere di esperire il procedimento di messa in mora, per poi impugnare l’eventuale silenzio rifiuto della P.A., dall’altra, nel riconoscere al giudice amministrativo il potere di assegnare all’Amministrazione un termine per scegliere tra l’emanazione del provvedimento ex art. 42-bis cit. e la restituzione dell’immobile.
Il Collegio ritiene, nondimeno, di dover unire all’accoglimento – negli stretti limiti appena delineati – della suindicata azione di condanna, le seguenti avvertenze:
1) che l’accoglimento della domanda si limita all’accertamento dell’illecito commesso dal Comune di Latina e dell’illegittimità dell’occupazione dei terreni, e, quindi, alla condanna del citato Comune a far cessare la suddetta illiceità adeguando lo stato di fatto a quello di diritto, ove lo ritenga tramite l’adozione del provvedimento di acquisizione ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001;
2) che resta in ogni caso fermo il carattere discrezionale della valutazione rimessa al Comune circa la possibilità di procedere ai sensi dell’art. 42-bis cit., non dovendosi confondere la discrezionalità amministrativa attribuita in materia alla P.A. con l’obbligo di far cessare il comportamento illecito ascrivibile alla stessa Amministrazione comunale;
3) che alla stregua di quanto appena esposto, essendo il Comune di Latina obbligato esclusivamente a valutare se esercitare o meno il potere ex art. 42-bis cit. (nonché ad esprimere detta valutazione in un provvedimento espresso), è chiaro che, ove il Comune decida di non esercitare il suddetto potere, sarà, comunque, obbligato a restituire i terreni all’odierna ricorrente, in conseguenza dell’obbligo di far cessare la situazione antigiuridica da esso stesso generata;
4) che l’eventuale inerzia serbata dal Comune di Latina oltre il termine di sessanta giorni poc’anzi stabilito integrerà comportamento contro cui la società ricorrente potrà reagire, attivando il giudizio di ottemperanza ex artt. 112 e ss. c.p.a..
Venendo alle altre domande contenute nel ricorso, si osserva che, in via principale, la ricorrente si è limitata a formulare (unitamente alla domanda di condanna del Comune all’adozione dell’atto di cd. acquisizione sanante) una generica domanda di risarcimento del danno.
Il Collegio reputa, tuttavia, che la citata generica domanda di risarcimento del danno comprendesse sia il danno da perdita della proprietà, sia il danno da occupazione illegittima. Ciò, giacché nel caso dell’acquisizione del bene da parte del Comune intimato mediante lo strumento di cui all’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 cit. non è necessario precisare che la domanda di risarcimento del danno riguarda, oltre la perdita della proprietà, anche il danno per l’occupazione illegittima; infatti, tale danno è già previsto dal comma 3 del citato art. 42-bis, che ne impone alla P.A. il pagamento – unitamente agli importi per il pregiudizio patrimoniale e per quello non patrimoniale –, stabilendone pure il criterio forfettario di liquidazione, pari all’interesse del 5% annuo sul valore venale del terreno, se dagli atti del procedimento non risulti la prova di una diversa entità del danno stesso (v. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, n. 657/2015, cit.).
Tanto premesso, si deve in primo luogo analizzare la domanda di condanna del Comune di Latina al risarcimento del danno, sub specie di pregiudizio patito dalla ricorrente per la perdita della proprietà dei terreni illegittimamente occupati e trasformati dal Comune.
La suddetta domanda non può essere accolta: infatti, si è già ampiamente richiamato l’insegnamento della giurisprudenza consolidata (cfr., da ultimo, C.d.S., Sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2482), per cui l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venir meno l’obbligo della P.A. procedente di restituire al privato il bene da essa illegittimamente occupato. Nella fattispecie all’esame, dunque, la permanenza del diritto dominicale in capo alla C.I.P. Seconda S.r.l. impedisce di risarcirle il danno per la perdita della proprietà: danno che, in realtà, non si è prodotto (T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, n. 383/2015, cit.; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 4 luglio 2013, n. 1092).
Anche sotto il profilo appena analizzato, peraltro, si reputa necessaria una precisazione.
Infatti, ove il Comune di Latina, obbligato in base al dictum della presente decisione a far cessare la situazione antigiuridica da esso generata, decida di farlo con l’adozione dell’atto di acquisizione ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, dovrà provvedere, ai sensi dei commi 1, 3 e 4 dell’art. 42-bis cit., a liquidare alla società una somma (pari al valore venale del bene acquisito) a titolo di “indennizzo” per il pregiudizio patrimoniale cagionatole, nonché un’ulteriore somma (che l’art. 42-bis, comma 1, cit. liquida, forfettariamente, in misura del dieci per cento del valore venale del bene stesso) a titolo di “indennizzo” per il pregiudizio non patrimoniale.
Nonostante la diversità del titolo (indennizzo, anziché risarcimento) e della disciplina (esclusione di ogni rivalutazione, perché l’indennizzo viene commisurato al valore dell’immobile al momento del trasferimento della proprietà) è, dunque, evidente che qualora la P.A. decida di sottrarre la proprietà dei terreni alla C.I.P. Seconda S.r.l. avvalendosi dell’art. 42-bis cit., dovrà, ad ogni modo, ristorarla corrispondendole il controvalore economico degli stessi ed anzi ristorandola, altresì, del pregiudizio non patrimoniale.
Tornando ora al petitum del ricorso, è invece fondata e da accogliere la domanda di risarcimento del danno da occupazione illegittima delle aree, avente ad oggetto il permanere dell’occupazione delle stesse da parte del Comune di Latina pur dopo il venir meno della loro occupazione legittima ed in difetto dell’adozione di un valido decreto di esproprio.
A tal proposito occorre richiamare, infatti, la più recente giurisprudenza (T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, n. 383/2015, cit.; T.A.R. Toscana, Sez, I, 14 gennaio 2013, n. 20), secondo cui, una volta attivata la procedura espropriativa con l’occupazione d’urgenza dei fondi e la realizzazione delle opere, ove non sia emesso il decreto di esproprio (o in caso di tardività di questo), l’Autorità espropriante, alla scadenza del periodo di occupazione legittima, pone in essere un illecito permanente, che impedisce il maturarsi della prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte del proprietario e, come già visto, senza alcuna traslazione della proprietà in capo a tale Autorità.
Invero, se non può essere risarcito il danno da perdita della proprietà, in quanto il diritto dominicale permane in capo al soggetto non legittimamente espropriato, il risarcimento del danno deve operare in riferimento all’illegittima occupazione del bene (illecito permanente), dovendo coprire le voci di danno da questa azione derivanti, dal suo perfezionamento fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 29 agosto 2011, n. 4833; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, n. 1092/2013, cit.).
Per quanto riguarda la quantificazione del risarcimento del danno da occupazione illegittima, reputa il Collegio di utilizzare il poc’anzi ricordato criterio forfettario di liquidazione di cui all’art. 42-bis, comma 3, del d.P.R. n. 327 cit. (il saggio di interesse annuo del 5% sul valore venale del terreno da acquisire, calcolato al momento del passaggio della proprietà): ciò, non avendo la ricorrente fornito la prova di una maggiore entità del danno in questione, secondo quanto prescrive il citato comma 3 dell’art. 42-bis. Al riguardo infatti, non è utilizzabile la relazione del C.T.U. nominato nel giudizio promosso dinanzi al Tribunale Civile di Latina (conclusosi, come già ricordato, con la declaratoria del difetto di giurisdizione dell’adito G.O.) – prodotta dalla società come all. 4 al ricorso –, giacché la quantificazione del danno ivi contenuta si mostra riferita esclusivamente al danno da perdita della proprietà.
Occorre ancora precisare che, ai fini della quantificazione del danno in esame, per valore venale del terreno al momento del passaggio della proprietà può intendersi, ove la P.A. decida di non utilizzare lo strumento ex art. 42-bis cit., il valore attuale dei terreni di cui si discute.
Va da sé che, qualora il Comune si determini ad adottare l’atto di acquisizione ex art. 42-bis cit., la predetta quantificazione del danno da occupazione illegittima resterà assorbita nella liquidazione di esso ad opera dell’atto di acquisizione, alla stregua dello stesso comma 3 dell’art. 42-bis.
In ogni caso, il succitato valore venale dei terreni in parola dovrà essere stabilito mediante richiesta della relativa stima alla competente Agenzia del Territorio.
In definitiva, pertanto, il Collegio:
a) accoglie la domanda proposta dalla ricorrente, intesa come domanda di condanna del Comune di Latina a far cessare la situazione di antigiuridicità (illecita occupazione delle aree di proprietà della C.I.P. Seconda S.r.l.) da esso stesso generata, in via principale tramite la decisione se adottare o no il provvedimento di cd. acquisizione sanante ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, con l’avviso che, ove il Comune decida di non adottare tale provvedimento, sarà comunque tenuto alla restituzione di detti terreni alla società;
b) assegna al suindicato Comune un termine di sessanta (60) giorni a decorrere dalla comunicazione amministrativa o, se anteriore, dalla notifica a cura di parte della presente sentenza, per adottare con provvedimento espresso la decisione di cui al punto precedente;
c) respinge la domanda di risarcimento del danno da perdita della proprietà;
d) accoglie nei termini esposti la domanda di risarcimento del danno da occupazione illegittima.
Le spese seguono la soccombenza (evidenziandosi in proposito come le domande di parte ricorrente con esito favorevole eccedano quelle respinte) e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione staccata di Latina (Sezione I^), così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, nei limiti di cui in motivazione.
Condanna il Comune di Latina al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese e degli onorari di causa, che liquida in via forfettaria in € 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Latina, nella Camera di consiglio del giorno 19 novembre 2015, con l’intervento dei magistrati:
Carlo Taglienti, Presidente
Roberto Maria Bucchi, Consigliere
Pietro De Berardinis, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)