Motivazione art.42-bis - TAR Toscana, sez. I, sent. n. 662 del 23.04.2015
Pubblico
Mercoledì, 24 Giugno, 2015 - 02:00
Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, (Sezione Prima), sentenza n.662 del 23 aprile 2015, sulla motivazione provvedimento 42-bis
N. 00662/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01251/2011 REG.RIC.
N. 00413/2012 REG.RIC.
N. 01878/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1251 del 2011, proposto da:
Franco Casini, rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Lo Manto e Roberta Toppetta, con domicilio eletto presso il primo in Firenze, Via Masaccio 219;
contro
il Comune di Figline e Incisa Valdarno in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Marian Bonfà, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, Via Masaccio 183;
nei confronti di
Germana Ermini, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Pettini e Pietro Rizzo, con domicilio eletto presso il loro studio in Firenze, Via Landucci 17;
sul ricorso numero di registro generale 413 del 2012, proposto da:
Franco Casini, rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Lo Manto e Roberta Toppetta, con domicilio eletto presso il primo in Firenze, Via Masaccio 219;
contro
il Comune di Figline e Incisa Valdarno in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Marian Bonfà, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, Via Masaccio 183;
nei confronti di
Germana Ermini, non costituita in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 1878 del 2013, proposto da:
Franco Casini, rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Lo Manto e Roberta Toppetta, con domicilio eletto presso il primo in Firenze, Via Masaccio 219;
contro
il Comune di Figline e Incisa Valdarno in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Marian Bonfà, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, Via Masaccio 183;
nei confronti di
Germana Ermini, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Pettini e Pietro Rizzo, con domicilio eletto presso il loro studio in Firenze, Via Landucci 17;
quanto al ricorso n. 1251 del 2011:
- per l'annullamento della delibera C.C. di Figline Valdarno 14.1.2011, n. 2, avente ad oggetto "Variante di revisione, modifica ed aggiornamento del R.U. ai sensi degli artt. 15,16 e 17 della L.R. 1/2005, coordinata con le procedure di VIA ai sensi dell'art. 8 L.R. 10/2010 - Esame delle osservazioni - Approvazione" (pubblicata ex art. 17, comma 7, L.R. 1/2005, sul B.U.R.T. del 23.03.2011, n. 12), nonché di ogni atto presupposto, connesso e conseguente;
quanto al ricorso n. 413 del 2012:
- per l'accertamento dell’illegittima occupazione, da parte del Comune di Figline Valdarno, dell'area di proprietà del ricorrente rappresentata al NCEU del suddetto Comune al foglio di mappa 21 particella n. 187
e per la condanna del suddetto Comune:
- alla restituzione al ricorrente del terreno di cui sopra, previa rimessione in pristino dello stesso a cura e spese dell'Amministrazione;
- al risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione;
giusta motivi aggiunti depositati il 19.11.2014, per l’annullamento :
a) della delibera C.C. di Figline e Incisa Valdarno 30.8.14 n.33;
b) del decreto del Dirigente del Servizio Affari Generali, Appalti e Contratti del suddetto Comune 15.9.14, n. 2;
c) della nota 8.9.14, prot. 24868, a firma del Responsabile dei Servizi Affari Legali;
d) della nota 8.8.13, prot. 3951, a firma congiunta del Responsabile del Servizio di Polizia Municipale e del Responsabile del Servizio Lavori Pubblici, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente e segnatamente, per quanto occorrer possa:
e) della delibera G.C. 3.10.13 n. 69;
f) della determina Servizio Affari Generali e Appalti e Contratti 11.3.14, n. 52;.
quanto al ricorso n. 1878 del 2013:
- per l'annullamento della delibera G.C. di Figline Valdarno 03.10.2013, n. 69, avente ad oggetto "Rampa pedonale di Via G. Verdi - Revoca in autotutela deliberazione G.C. n. 6 del 26.01.2009" notificata al ricorrente tramite raccomandata A/R il 14.10.2013, nonché di ogni atto presupposto, connesso e conseguente ed in particolare della relazione a firma del Responsabile LL.PP. e del Comandante della Polizia Municipale del Comune di Figline Valdarno 8.8.2013, prot. 3951, e della nota 19.9.2013, n. 4520, a firma del Responsabile LL.PP. del suddetto Comune.
Visti i ricorsi, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Figline e Incisa Valdarno e di Germana Ermini;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 marzo 2015 il dott. Alessandro Cacciari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Comune di Figline e Incisa Valdarno, nell’ambito di una procedura espropriativa, ha realizzato una rampa pedonale per consentire il passaggio di persone con difficoltà deambulatorie da via Torino a via Verdi, che fino ad allora erano collegate solo da un passaggio pedonale sopraelevato. La rampa è stata costruita su un’area di proprietà del sig. Franco Casini.
A seguito dell’approvazione del progetto e della relativa dichiarazione di pubblica utilità, con ordinanza sindacale 7 maggio 1991 è stata disposta l’occupazione in via di urgenza del fondo per cinque anni, e l’immissione in possesso è avvenuta il 31 maggio 1991. L’opera è stata realizzata ma il provvedimento di esproprio non è stato emanato, e nel mentre sono scaduti i termini della dichiarazione di pubblica utilità e per l’occupazione del fondo.
A fronte delle richieste di restituzione del terreno l’Amministrazione, con delibera giuntale 26 gennaio 2009, n. 6, ritenendo che la rampa non fosse conforme alla normativa sull’abbattimento delle barriere architettoniche, ne ha deciso la demolizione autorizzando la stipulazione di un atto transattivo con il sig. Franco Casini per la retrocessione dell’area. Tale deliberazione è stata impugnata dalla sig.ra Germana Ermini con ricorso rubricato sub R.g. n. 627/2009 e deciso con sentenza 13 novembre 2014, n. 1781, che l’ha dichiarato inammissibile. La sentenza non è stata appellata ed è quindi divenuta definitiva.
L’atto transattivo non è però stato stipulato e il sig. Casini ha quindi proposto ricorso per la restituzione del terreno, notificato il 22 febbraio 2012 e depositato il 17 marzo 2012, rubricato sub R.g. n. 413/2012, chiedendo altresì il risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima occupazione del fondo nella misura del 5% annuo sul valore venale dell’immobile da calcolare considerando la natura edificatoria dell’area, o nella misura degli interessi moratori sul valore del bene assumendo quale capitale di riferimento il valore di mercato dell’area in ogni anno del periodo di occupazione considerato, oltre interessi e rivalutazione fino al saldo.
Si è costituito il Comune di Figline e Incisa Valdarno eccependo che sarebbe avvenuta a suo favore l’usucapione ventennale, poiché l’immissione in possesso risalirebbe al 1991 mentre il ricorso è stato notificato nell’anno 2012 dopo il decorso di venti anni, e replicando nel merito alle deduzioni del ricorrente.
2. Con altro ricorso rubricato sub R.g. n. 1251/2011 il sig. Franco Casini aveva impugnato la deliberazione consiliare 14 gennaio 2011, n. 2, avente ad oggetto l’approvazione di una variante al Regolamento Urbanistico, nella parte in cui prevedeva che il tratto della via Verdi sul quale insiste la rampa venisse inserito fra le strade pubbliche già realizzate. Con quest’ultimo gravame ha dedotto che tale classificazione contrasterebbe con la proprietà privata della strada, accertata con sentenza del Tribunale di Firenze 14 giugno 2002, n. 1968, intercorsa tra il ricorrente medesimo (ed altri condomini) e il Comune di Figline e Incisa Valdarno e divenuta definitiva. Il ricorrente lamenta inoltre illogicità delle controdeduzioni comunali all’osservazione che ha presentato nel corso del procedimento di formazione dello strumento urbanistico.
Si sono costituiti il Comune di Figline e Incisa Valdarno e la sig.ra Germana Ermini, replicando alle deduzioni del ricorrente e chiedendo il rigetto del ricorso.
3. Successivamente, con delibera giuntale 3 ottobre 2013, n. 69, il Comune intimato ha revocato la precedente deliberazione di Giunta n. 6/2009 con cui era stata autorizzata la stipulazione dell’atto transattivo con il sig. Casini, dando mandato agli uffici comunali di provvedere all’acquisizione dell’area su cui insiste la rampa ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, in quanto essa avrebbe un’effettiva utilità pubblica consentendo il collegamento fra il marciapiede sopraelevato di via Torino e via Roma, abbreviando così il percorso verso importanti centri di aggregazione. La rampa, secondo l’Amministrazione, sarebbe agevolmente utilizzabile dai passeggini per bambini e da persone che hanno difficoltà a percorrere la scalinata, e le difformità rispetto alla normativa per l’abbattimento delle barriere architettoniche potrebbero essere risolte attraverso opere non eccessivamente costose.
Contro tale ultima deliberazione il sig. Casini ha proposto ricorso rubricato sub R.g. n. 1878/2013. Premesso che la decisione di demolire la rampa era stata assunta poiché essa termina al centro della carreggiata, senza continuità con il resto del percorso per raggiungere la via Roma, egli lamenta con primo motivo che il provvedimento impugnato non darebbe conto del motivo per cui tale aspetto tecnico non sia ostativo alla conservazione dell’opera. La via Verdi risulterebbe comunque inidonea al transito di persone disabili poiché misura circa 5,5 metri ed è dotata di un solo piccolo marciapiede che non supera il mezzo metro di lunghezza, e non consentirebbe quindi il transito di alcun tipo di carrozzina.
Con secondo motivo deduce che la motivazione assunta dall’Amministrazione per mantenere in essere l’opera sarebbe inidonea, poiché già la gradinata che collega le vie Torino e Verdi consentirebbe il passaggio sia di pedoni che di passeggini e le opere di adeguamento indicate nella relazione tecnica fatta propria dalla delibera in questione non apparirebbero esaustive.
Con terzo motivo lamenta che l’utilità funzionale della rampa risulterebbe marginale poiché tutta la via Torino non ha attraversamento intermedio; il suo marciapiede é sopraelevato rispetto alla sede stradale di circa cm. 40 ed è delimitato per la sua estensione da un parapetto di metallo, sicché i pedoni provenienti dalla via Verdi non potrebbero attraversare via Torino in prossimità della rampa medesima.
Si sono costituiti il Comune di Figline e Incisa Valdarno e la sig.ra Germana Ermini chiedendo il rigetto del ricorso.
4. Con delibera del Consiglio Comunale 30 agosto 2014, n. 33, e decreto del Servizio comunale “Affari generali, appalti e contratti” 15 settembre 2014, n. 2, è stata disposta l’acquisizione al patrimonio indisponibile comunale, ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327, del terreno del sig. Casini su cui insiste l’opera in questione. Tali provvedimenti sono stati impugnati con ricorso per motivi aggiunti proposto nel gravame sub R.g. n. 413/2012, notificati il 7 novembre 2014 e depositaio il 19 novembre 2014.
Con primo motivo il ricorrente lamenta che l’istituto utilizzato dall’Amministrazione per l’acquisizione dell’area contrasterebbe sia con la Costituzione italiana che con la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, e propone la relativa questione di costituzionalità chiedendo, in alternativa, la sospensione impropria del giudizio essendo la questione già stata proposta in altro processo.
Con secondo motivo deduce che nei provvedimenti impugnati l’Amministrazione non avrebbe dato conto dell’attuale utilizzo dell’opera, presupposto necessario per disporne l’acquisizione sanante. La rampa risulterebbe inutilizzabile quale opera di abbattimento delle barriere architettoniche e si troverebbe in stato di abbandono; essendo stata costruita con una pendenza maggiore rispetto a quella stabilita dalla normativa tecnica applicabile nel caso di specie, vale a dire l’art. 8.1.11 del decreto del Ministero dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236, al fine del suo utilizzo legittimo si imporrebbe l’acquisizione di una porzione più ampia di terreno per realizzare un piano intermedio ed abbassarne così la pendenza. Ma rispetto a tale nuova acquisizione non esiterebbero i presupposti di cui all’art. 42 bis, d.P.R. n. 327, poiché l’istituto ivi previsto non costituirebbe una modalità di ablazione alternativa al procedimento di esproprio ma sarebbe un potere volto esclusivamente a sanare espropri che di fatto sono già intervenuti. L’acquisizione della sola area attualmente occupata dal manufatto risulterebbe quindi inutile poiché non consentirebbe l’utilizzo legittimo della rampa.
Con terzo e quarto motivo si duole che i provvedimenti impugnati non diano conto delle ragioni d’interesse pubblico che giustificherebbero l’acquisizione del fondo, poiché l’Amministrazione si sarebbe limitata ad evidenziare la mera opportunità di mantenere la rampa nella sua disponibilità. Non sarebbe poi stata effettuata la necessaria comparazione tra l’interesse pubblico al mantenimento dell’opera e quello privato alla restituzione del fondo.
Con quinto motivo deduce che le ragioni di interesse pubblico invocate dall’Amministrazione per l’acquisto dell’area sarebbero inidonee a sorreggere il provvedimento impugnato, poiché non sussisterebbe alcuna utilità funzionale della rampa.
Con sesto motivo lamenta che il Comune intimato non avrebbe indicato il motivo per cui sarebbero superati gli aspetti tecnici in base ai quali esso stesso, con precedente delibera 6/2009, aveva deciso di demolire il manufatto.
Con settimo motivo lamenta che sarebbe errata la quantificazione della somma che l’Amministrazione ha previsto di erogare a titolo di indennità per l’acquisizione del terreno.
Si è costituito il Comune di Figline e Incisa Valdarno rinnovando l’eccezione di usucapione ventennale precedentemente sollevata e sottolineando che alcun valido atto interruttivo sarebbe stato posto in essere dal ricorrente, almeno fino alla domanda giudiziale per la restituzione dell’area proposta con ricorso sub R.g. n. 413/2012. Ricorda che diverse sentenze del Consiglio di Stato hanno statuito che l’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 è conforme alla normativa convenzionale e costituzionalmente legittimo. Il ricorso sarebbe poi inammissibile nella parte in cui contesta la stima dell’indennità offerta poiché la relativa controversia rientrerebbe nella competenza del Giudice Ordinario. Eccepisce poi l’irricevibilità delle contestazioni avverso la relazione 8 agosto 2013, n. 3951, con cui il Comune aveva motivato l’esistenza dell’interesse pubblico al mantenimento della rampa. Nel merito, replica puntualmente alle deduzioni del ricorrente.
All’udienza del 25 marzo 2011 le cause sono state trattenute in decisione.
5. I ricorsi devono essere riuniti per ragioni di connessione, e la trattazione deve prendere le mosse dal ricorso per motivi aggiunti proposto nel ricorso sub R.g. n. 413/2012 verificando preliminarmente le eccezioni formulate dalla difesa comunale.
5.1 Deve essere respinta l’eccezione di usucapione.
Questo istituto costituisce una modalità di acquisizione del diritto di proprietà che la giurisprudenza, pur con opinioni dissenzienti (C.d.S. IV, 3 luglio 2014 n. 3346), in maggioranza ritiene operante anche nell’ambito dei rapporti tra pubblica amministrazione e privati (C.G.A. 14 gennaio 2013, n. 9).
Il Collegio non ritiene che vi siano ragioni per discostarsi dall’orientamento maggioritario perché tale modalità di acquisto è prevista dal codice civile che costituisce diritto comune, e non vi è quindi ragione di escluderne l’applicabilità ai rapporti suddetti laddove, a seguito della scadenza dei termini di validità della dichiarazione di pubblica utilità e del provvedimento autorizzativo dell’occupazione d’urgenza, venga meno il potere ablatorio dell’amministrazione e la vicenda acquisisca il carattere della fattualità. In tale ipotesi i rapporti tra autorità espropriante e privato escono dall’ambito pubblicistico per rientrare in quello del diritto comune. La vicenda, a quel punto, non può non essere regolata (appunto) dal diritto comune in cui trova posto anche l’istituto dell’usucapione. Laddove l’acquisto a tale titolo venga dedotto in via di eccezione riconvenzionale dall’Amministrazione chiamata in giudizio nel’ambito di una procedura espropriativa che non si è conclusa con il provvedimento di esproprio, non viene meno la giurisdizione del Giudice Amministrativo (C.d.S. IV, 18 novembre 2014 n. 5665). Se è vero infatti che rientrano nella sua giurisdizione esclusiva, ex art. 133, comma 1 lett. g), c.p.a., le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere esplicato in materia di espropriazione per pubblica utilità egli tuttavia, a norma dell'art. 8 c.p.a., ha anche il potere di pronunciarsi in via incidentale sulle questioni pregiudiziali, ancorché veicolate in via di eccezione, attinenti a diritti (con esclusione, in ogni caso, dell'incidente di falso e delle questioni sullo stato e capacità delle persone), al solo fine di risolvere la singola vertenza.
L’operatività dell’usucapione presuppone che il detentore del bene inizi a esercitare sul medesimo le facoltà proprietarie, ossia ad esercitare su di esso un potere di fatto corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà mediante interversione del possesso, trasformando quindi la mera detenzione in possesso uti dominus.
Deve escludersi che tanto accada durante il periodo di occupazione legittima del bene disposta dall’autorità espropriante al fine della sollecita realizzazione dell’opera.
In tale periodo, infatti, l’esistenza stessa di un provvedimento che autorizza l’occupazione di un bene altrui implica che l’autorità espropriante si trovi in una situazione di mera detenzione del terreno oggetto di trasformazione, poiché con l’emanazione del provvedimento autorizzatorio all’occupazione essa riconosce l’esistenza di un altrui diritto dominicale sul terreno. In tale fase l’autorità espropriante non esercita un potere di fatto corrispondente al diritto di proprietà, ma detiene il bene riconoscendo l’altrui diritto dominicale e pertanto tale periodo non è computabile ai fini della decorrenza del periodo utile per l’usucapione.
La detenzione del terreno si trasforma in possesso corrispondente all’esercizio del diritto dominicale nel momento in cui l’autorità espropriante inizia a comportarsi uti dominus del terreno occupato, omettendone la restituzione e continuando ad utilizzarlo. Questi comportamenti possono qualificarsi come atti di opposizione nei confronti del proprietario-possessore ai sensi dell’art. 1141, comma secondo, c.c. e come tali sono idonei a trasformare l'originaria detenzione in possesso. Ne segue che solo dal momento di scadenza del periodo di legittima occupazione inizia a decorrere il termine utile per l’acquisto a titolo di usucapione del terreno occupato al fine della realizzazione di un’opera pubblica (C.d.S. IV, 18 novembre 2014 n. 5665).
Nel caso di specie, l’occupazione è iniziata il 31 maggio 1991 e la circostanza non è contestata. L’ordinanza sindacale autorizzatoria all’occupazione prevedeva una durata della stessa di cinque anni, e pertanto il periodo di legittima apprensione/detenzione del bene è scaduto il 31 maggio 1996. Il ricorso per la restituzione è stato notificato il 22 febbraio 2012 e quindi prima che scadessero i termini per l’usucapione ventennale.
È superfluo aggiungere che l’unica forma di usucapione realizzabile nell’ambito di una procedura espropriativa non conclusa con il decreto di esproprio é quella ventennale, poiché la buona fede (soggettiva) dell’autorità espropriante deve ritenersi esclusa dall’emanazione del provvedimento autorizzatorio all’occupazione, il quale dimostra che l’autorità era ben conscia di occupare un terreno appartenente ad un terzo proprietario.
5.2 Deve essere respinta anche l’eccezione con cui la difesa comunale contesta la tardività delle censure mosse avverso la relazione comunale 8 agosto 2013, prot. 3951, per l’assorbente ragione che, come correttamente replica la difesa del ricorrente, essa non costituisce atto di carattere provvedimentale. Trattasi invece di un mero atto di giudizio che al momento della sua emanazione non aveva carattere lesivo, acquisito unicamente con la sua assunzione a presupposto del provvedimento di acquisizione sanante odiernamente impugnato, il quale (solo) si presenta suscettibile di incidere sulle posizioni giuridiche del ricorrente.
5.3 Nel merito il ricorso per motivi aggiunti si presenta fondato, per le ragioni che seguono.
L’art. 42 bis del d.P.R. n. 327, al fine di consentire l’acquisizione da parte dell’autorità espropriante di un bene immobile utilizzato senza titolo per scopi di interesse pubblico, al comma 1 impone all’autorità medesima di valutare gli interessi in conflitto effettuando una comparazione ed un bilanciamento tra l’interesse pubblico all’utilizzazione dell’opera da parte della collettività ed il sacrificio imposto al privato, in violazione del giusto procedimento ablatorio.
Il provvedimento di acquisizione odiernamente impugnato individua l’interesse pubblico all’utilizzazione della rampa nell’abbreviazione del percorso verso centri di aggregazione importanti, quale l’oratorio e la stazione ferroviaria, ma non prende in alcuna considerazione l’interesse del ricorrente alla restituzione dell’area. In tal modo viene obliterata la sua posizione che è stata illegittimamente incisa dall’Amministrazione espropriante, mentre avrebbe dovuto essere tenuta nella dovuta considerazione e comparata con l’interesse pubblico all’utilizzazione della rampa. La comparazione dell’interesse pubblico con quello privato è tanto più importante, nel caso di specie, poiché il potere di acquisizione sanante si configura quale eccezionale e previsto dalla legge al fine di (appunto) sanare situazioni in cui il potere ablatorio è stato malamente esercitato, sicché solo un effettivo e prevalente interesse pubblico può giustificare il sacrificio imposto al privato. Tale dimostrazione di effettività e superiorità rispetto all’interesse privato deve essere fornita dall’Amministrazione, ma risulta assente nel provvedimento impugnato.
Inoltre la stessa relazione prot. 3951/2013 afferma che presupposto per il regolare e legale utilizzo dell’opera è il suo allungamento al fine di diminuirne il dislivello, e nel progetto tecnico allegato, esplicitamente definito quale preliminare, è in effetti prevista l’espropriazione di un’ulteriore porzione del terreno in proprietà del ricorrente. Nel caso di specie quindi il Comune intimato, oltre a non valutare la sua posizione nell’operazione di acquisizione sanante, ha anche erroneamente considerato i presupposti per l’applicazione del potere ablatorio previsto dall’art. 42 bis del d.P.R. n. 327, in quanto questo si riferisce all’acquisizione di un bene immobile modificato ed utilizzato per realizzare un’opera di interesse pubblico ma non consente all’Amministrazione di estendere il potere medesimo a porzioni di terreno non utilizzate. Il potere in questione ha infatti carattere eccezionale e straordinario, e pertanto la sua applicazione non può che essere rigorosamente circoscritta nei limiti spaziali definiti dalla norma che lo prevede, ossia il bene immobile utilizzato per scopi di pubblico interesse modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio (o dichiarativo della pubblica utilità). La norma non consente all’autorità espropriante di estendere il proprio, si ripete eccezionale e straordinario, potere ablatorio oltre i limiti del bene modificato senza titolo, come pretenderebbe l’Amministrazione intimata.
Il ricorso per motivi aggiunti in esame coglie quindi nel segno e pertanto deve essere accolto per le ragioni sopredescritte, con assorbimento delle ulteriori censure poiché il loro eventuale accoglimento non determinerebbe una maggiore utilità a favore del ricorrente ed irrilevanza della questione di legittimità costituzionale proposta.
L’annullamento dell’atto di acquisizione sanante comporta l’obbligo di restituzione del terreno, previa remissione in pristino, a carico del Comune intimato, in accoglimento del ricorso principale sub R.g. n. 413/2012. Secondo la giurisprudenza ormai consolidata, il venir meno o l’assenza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà dal privato all’autorità espropriante comporta l’obbligo a carico di quest’ultima di restituire il fondo illecitamente ablato, con rimessione in pristino (Cass. civ. II, 14 gennaio 2013 n. 705; C.d.S. IV, 29 agosto 2012 n. 4650).
Ne segue l’improcedibilità per difetto di interesse del ricorso sub R.g. 1878/2013 rivolto avverso la delibera giuntale n. 69/2013, con cui il Comune intimato ha revocato la delibera di Giunta 6/2009 la quale autorizzava la stipulazione dell’atto transattivo con il ricorrente.
5.4 Il ricorso R.g. n. 1251/2011 è rivolto avverso la deliberazione consiliare 14 gennaio 2011, n. 2, avente ad oggetto l’approvazione della variante di revisione al Regolamento Urbanistico che ha inserito il tratto della v. Verdi sul quale insiste la rampa fra le strade pubbliche già realizzate. Anche questo gravame è fondato sia perché, con sentenza definitiva del Giudice Ordinario, è stata accertata la proprietà privata dell’intera strada, sia perché (e la circostanza è assorbente) la decisione di inserire tra le strade pubbliche detto tratto, come emerge dalla motivazione con cui è stata respinta l’osservazione presentata dal ricorrente nel procedimento di formazione dello strumento urbanistico, era legata al mantenimento della rampa pedonale illecitamente realizzata. L’Amministrazione non poteva, e non può, appropriarsi di questa poiché è stata edificata in assenza di valido titolo ablatorio e, pertanto, il rigetto dell’osservazione del ricorrente appare illegittimo e deve essere annullato.
Non basta a fondare detto rigetto la circostanza che l’accoglimento dell’osservazione ridurrebbe l’ampiezza della via Verdi nel tratto finale poiché essendo una strada privata, la disciplina della circolazione locale deve essere rimessa agli accordi tra i privati frontisti come correttamente dedotto nel gravame.
Colgono quindi nel segno entrambi i motivi di gravame e pertanto il ricorso deve essere accolto, con annullamento dei provvedimenti impugnati.
5.5 Il ricorrente, nel gravame sub R.g. n. 413/2012, chiede anche il risarcimento dei danni cagionati dall’illegittima occupazione del proprio fondo.
Sulla domanda deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione relativamente al periodo di occupazione legittima, decorrente dalla data di immissione in possesso fino alla scadenza del titolo autorizzativo all’occupazione medesima, poiché in tale fase l’operato dell’Amministrazione è stato assistito da un valido titolo e, di conseguenza, il ricorrente vanta un diritto non al risarcimento, bensì all’indennizzo di cui all’art. 50, comma 1, d.P.R. n. 327 su cui insiste la giurisdizione del Giudice Ordinario, ai sensi dell’art. 53, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 327. Questo capo di domanda viene quindi dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione e le parti sono rimesse al Giudice Ordinario, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 11 c.p.a.
La giurisdizione di questo Tribunale Amministrativo insiste invece in ordine alla pretesa risarcitoria relativamente ai danni che il ricorrente può vantare nel periodo successivo al 31 maggio 1996.
La domanda non è fondata.
Il ricorrente chiede la liquidazione dei danni in via equitativa, da calcolare in base ad una percentuale annua sul valore venale degli immobili o agli interessi moratori applicabili al medesimo.
L’occupazione del terreno, per nozione di comune esperienza, cagiona danni al proprietario del medesimo e al fine di individuarne il quantum in assenza di prova specifica, la giurisprudenza fa ricorso a tali tecniche di determinazione equitativa. La liquidazione equitativa, tuttavia, richiede che il danno sia dimostrato sotto il profilo della sua sussistenza (“an”). Tanto non avviene nel caso di specie poiché anzitutto, l’area di cui si tratta ha dimensioni molto ridotte, pari a metri quadrati 25, tale da suscitare ragionevoli dubbi sulla circostanza che qualche operazione economicamente apprezzabile avrebbe potuto essere posta in atto dal ricorrente in assenza dell’illecita occupazione perpetrata dall’Amministrazione.
È decisiva peraltro, al riguardo, la lettura dell’osservazione presentata dal ricorrente medesimo nella procedura di formazione della variante di revisione al Regolamento Urbanistico Comunale, nella quale egli esplicita l’intenzione di utilizzare l’area in questione per realizzare una recinzione lungo la proprietà e sistemare il cancello carrabile per l’accesso ai posti auto. Trattasi di una operazione dalla quale verosimilmente non sarebbe stata tratta alcuna utilità economica, né il ricorrente dimostra in altro modo, nemmeno con presunzione, quale sia il danno rilevante che avrebbe subìto a causa dell’illecita occupazione di un’area che, si ricorda, ha dimensione irrisorua, non superiore a 25 m². La domanda risarcitoria deve quindi essere respinta.
6. In conclusione, devono essere accolti i ricorsi RR.gg. nn. 413/2012 e 1251/2011 mentre deve essere dichiarato improcedibile il ricorso R.g. n. 1878/2013. A fini conformativi il Comune intimato dovrà, a richiesta del ricorrente, demolire la rampa realizzata e restituire il fondo su cui la stessa è stata realizzata nello status quo ante.
La domanda risarcitoria deve essere dichiarata in parte inammissibile per difetto di giurisdizione e per il resto deve essere respinta.
Quanto alle spese processuali, in applicazione della regola della soccombenza il Comune di Figline e Incisa Valdarno è condannato al loro pagamento nella misura di € 4.000,00 (quattromila/00), cui devono essere aggiunti gli accessori di legge. Le spese vengono invece compensate nei confronti della controinteressata Germana Ermini in ragione della particolarità della sua posizione, non avendo la stessa concorso alla produzione dei provvedimenti di cui è causa.
La restituzione del contributo unificato pagato dal ricorrente al fine dell’attivazione dei ricorsi consegue obbligatoriamente ex art. 13, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, e pertanto sulla relativa domanda questo Giudice non è abilitato a pronunciarsi (C.d.S. V, 2 maggio 2013 n. 2388)
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li riunisce; accoglie il ricorso R.g. n. 413/2012 e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati e ordina al Comune di Figline e Incisa Valdarno di restituire al ricorrente il fondo, previa remissione in pristino; dichiara improcedibile il ricorso R.g. n. 1878/2013 ed accoglie il ricorso R.g. n. 1251/2011 e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. Dichiara la domanda risarcitoria in parte inammissibile rimettendo le parti al Giudice Ordinario e per il resto la respinge, nei sensi e termini di cui in motivazione.
Condanna il Comune di Figline e Incisa Valdarno al pagamento delle spese processuali nella misura di € 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge; spese compensate nei confronti della controinteressata Germana Ermini.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:
Armando Pozzi,Presidente
Gianluca Bellucci,Consigliere
Alessandro Cacciari,Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE