Piani PIP
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), sentenza n. 2953 del 19 aprile 2022, sui piani PIP
MASSIMA
I Piani per gli insediamenti produttivi (P.I.P.) costituiscono uno dei primi esempi codificati di strumento urbanistico la cui attuazione è rimessa in larga parte allo strumento convenzionale accessivo; attraverso gli stessi, previsti dall’art. 27, l. n. 865 del 1971, i Comuni dotati di piano regolatore o di programma di fabbricazione, oltre ad imprimere un regime giuridico lato sensu “produttivo” ad una determinata zona, garantiscono l’accesso alle aree ivi comprese ad operatori economici che le devono utilizzare in funzione dello stesso, prevedendo che all’atto della concessione dei lotti, in proprietà o in superficie, nella percentuale normativamente data, venga siglata una convenzione finalizzata allo scopo.
L’inadempimento agli obblighi assunti con la convenzione, riconducibile al modello della concessione-contratto, può comportare il ricorso ai normali rimedi civilistici, giusta il rinvio contenuto al riguardo nell’art. 11, comma 2, della l.n.241 del 1990, laddove si afferma che «si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili». E’ altresì possibile che ne consegua l’irrogazione di sanzioni, per lo più di natura pecuniaria. La decadenza, espressamente prevista quale sanzione con riferimento alle convenzioni accessive ai Piani per l’edilizia economica e popolare (P.E.E.P., di cui all’art. 35 della l.n. 865 del 1971), in quanto tuttavia riferita al diritto di superficie, non alla proprietà, in ragione della sua particolare afflittività può essere irrigata solo se prevista nel modello di convenzione approvato dal Consiglio comunale unitamente all’atto di pianificazione, e per quegli obblighi che siano individuati come strettamente funzionali all’obiettivo di politica, anche economica, sotteso all’atto di governo del territorio
SENTENZA
N. 02953/2022REG.PROV.COLL.
N. 00891/2013 REG.RIC.
N. 01335/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 891 del 2013, proposto dalla Società Eco Progress, società cooperativa a mutualità prevalente, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Sergio Perongini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco De Santis in Roma, viale Cortina D’Ampezzo, n. 269;
contro
il Comune di Eboli, in persona del Sindaco pro tempore e la Società consortile mista per l’attuazione del Piano degli insediamenti produttivi del Comune di Eboli, in persona del legale rappresentate pro tempore, non costituiti in giudizio,
nei confronti
della Società Logistica Europa s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 1335 del 2021, proposto dalla Società Eco Progress, società cooperativa a mutualità prevalente, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Sergio Perongini e Brunella Merola, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,
contro
il Comune di Eboli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ernesta Iorio, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,
nei confronti
del Consorzio Jonico Ortofrutticoltori società cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Michele Manfredonia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, nonché della Società consortile mista per l’attuazione del Piano degli insediamenti produttivi del Comune di Eboli e della Società Logistica Europa s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio,
per la riforma
quanto al ricorso n. 891 del 2013:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, sezione Prima, n. 1055 del 29 maggio 2012, resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 1335 del 2021:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno, sezione Prima, n. 870 del 13 luglio 2020, resa tra le parti.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Eboli e del Consorzio Jonico Ortofrutticoltori, società cooperativa, nel procedimento n.r.g. 1335 del 2021;
Viste le ordinanze n. 2064 del 9 febbraio 2021 e n. 6543 del 29 settembre 2021;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2022, alla quale nessuno è comparso per le parti, il Cons. Antonella Manzione e dato atto della richiesta di passaggio in decisione, senza discussione, presentata dal difensore della parte appellante in entrambi i ricorsi e dal difensore del Comune di Eboli nel ricorso n.r.g. 1335/2021;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con un primo ricorso al T.A.R. per la Campania, sede staccata di Salerno (n.r.g. 1610 del 2011) la Società Eco Progress, società cooperativa a mutualità prevalente (d’ora in avanti, solo la Società), ha impugnato il provvedimento prot. n. 855 del 23 maggio 2011 con il quale il Comune di Eboli ne ha dichiarato la decadenza dall’assegnazione di un lotto di terreno nell’ambito di un’area ricompresa nel Piano degli insediamenti produttivi (P.I.P.), nonché le note in esso richiamate, n. 1763 del 17 gennaio 2011 e n. 15789 del 19 aprile 2011, riferite alla Società consortile mista incaricata dell’attuazione dello strumento urbanistico (d’ora in avanti, il Consorzio). Ha lamentato l’incompetenza del dirigente ad adottare l’atto, di spettanza della Giunta municipale in quanto afferente comunque all’attuazione di provvedimenti di pianificazione urbanistica, nonché la violazione degli artt. 3, 7, 8 e 21 octies della l. n. 241 del 1990, anche alla luce del mancato coinvolgimento nel procedimento, giusta l’avvenuta notifica della comunicazione di avvio dello stesso a soggetto estraneo alla compagine societaria (la madre del legale rappresentante), per giunta affetta da “turbe mnesiche”, come da certificazione medica versata in atti.
2. Il Tribunale adito, con sentenza n. 1055 del 2012, ha dichiarato il ricorso irricevibile per tardività, individuando la data di perfezionamento della notifica del provvedimento impugnato, avvenuta per compiuta giacenza del plico postale ai sensi dell’art. 8 della l. n. 890 del 1982, nel 14 giugno 2011, come riferito dal Comune di Eboli.
2.1. Avverso tale sentenza la Società ha proposto appello (n.r.g. 891 del 2013), adducendo in primo luogo (motivo sub I, lett. a) e b), l’errata lettura della norma richiamata, che prevede il perfezionamento delle notifiche a mezzo posta per chi le riceve dal decorso infruttuoso del termine di giacenza di dieci giorni, ovvero dall’effettivo ritiro del plico, che nel caso di specie è avvenuto il 22 giugno 2011. Il primo giudice peraltro ha acquisito per certa la data indicata dal Comune, che tuttavia non aveva documentato in alcun modo il deposito dell’atto presso l’ufficio postale e l’inoltro della seconda raccomandata, adempimenti tutti imposti dalla legge n. 890 del 1982 ai fini dell’effettività della notifica effettuata. Ha pertanto riproposto le originarie censure siccome non esaminate dal primo giudice, articolandole in due distinti motivi (sub 2, lett. a) e b). Infine, a corroborare il lamentato travisamento dei fatti, illogicità, sviamento e vizio della funzione, ha ricordato di essersi attivata da subito per rimediare a quello che riteneva “un disguido” dovuto ad errori di notifica, manifestando reiteratamente, anche per le vie brevi, la volontà di adempiere alle obbligazioni in precedenza assunte, senza alcun esito stante l’atteggiamento preconcetto dell’Amministrazione ricollegabile ad un precedente contenzioso intrapreso per contestare l’entità dell’importo dell’indennità di espropriazione (motivo sub 3).
2.2. L’Amministrazione intimata non si è costituita in giudizio.
2.3. Con ordinanza collegiale n. 2064 dell’11 marzo 2021, i cui contenuti sono stati sostanzialmente reiterati nella successiva, n. 6543 del 29 settembre 2021, la Sezione, ritenendo necessario acquisire informazioni aggiuntive sull’esatto sviluppo del procedimento sfociato nella impugnata decadenza, ha chiesto:
- l’individuazione degli atti o provvedimenti o azioni attraverso i quali il Consorzio, in attuazione dell’art. 11 del Regolamento recante le modalità di assegnazione dei lotti, aveva determinato le modalità di pagamento degli oneri di urbanizzazione, in generale e avuto riguardo alla Società odierna appellante, rendendone la stessa edotta;
-la elencazione, corredata della relativa documentazione, delle diffide inoltrate alla Società e delle eventuali interlocuzioni tra le parti, anche a giustificare l’eventuale ritardo nel pagamento del dovuto;
- lo stato di fatto e di diritto della Pianificazione in controversia aggiornato all’attualità, con particolare riguardo al lotto in contestazione, specificando anche le iniziative assunte all’esito della dichiarata decadenza e l’assetto proprietario, anche formale, ad essa conseguito.
2.4. Con nota versata in atti il 30 settembre 2021 il Segretario generale del Comune di Eboli ha versato in atti la documentazione acquisita dallo liquidatore del Consorzio, debitamente indicizzata, senza accompagnarla dalla doverosa relazione ricostruttiva. Solo con riferimento alla attualizzazione dello stato di fatto e di diritto, il predetto funzionario ha riferito dell’avvenuta (ri)assegnazione del lotto D10, di cui oggi è causa, alla società cooperativa Consorzio Jonico Ortofrutticolo, giusta determinazione dirigenziale n. 1626 del 7 agosto 2018, all’esito di una nuova procedura ad evidenza pubblica, essa pure fatta oggetto di gravame da parte della Società dinanzi al T.A.R. per la Campania.
3. Con tale nuovo e autonomo ricorso al medesimo T.A.R. per la Campania, sede di Salerno (n.r.g. 1708 del 2018), avente ad oggetto il richiamato provvedimento di (ri)assegnazione del lotto e gli atti ad esso presupposti, ivi compreso il bando approvato con determinazione n. 9/314 del 22 febbraio 2018, la Società ha eccepito la mancanza di titolarità del bene da parte del Comune di Eboli, che disponendo dello stesso, senza peraltro avere neppure formalizzato la retrocessione, aveva attuato una sorta di surrettizia espropriazione.
3.1. Il T.A.R. per la Campania ha respinto il gravame con la sentenza n. 870 del 2020, condannando la Società anche alle spese di giudizio, sul postulato che la decadenza, seppure ancora sub iudice in altro procedimento, era di per sé sufficiente ad estinguere la proprietà, in quanto derivante da inadempimento di obblighi contrattuali che prevedevano ridetto effetto risolutivo automatico (v. art. 7 della convenzione preliminare per l’assegnazione dei lotti in diritto di proprietà del 27 settembre 2005). Non essendo più la Società proprietaria del lotto, non poteva pretendere alcun coinvolgimento nel procedimento di (ri)assegnazione, che in quanto atto generale era sottratto all’applicazione delle garanzie partecipative dal disposto dell’art. 13, comma 1, della l. n. 241 del 1990. Il Tribunale ha ritenuto infine priva di pregio la rivendicata inefficacia del Piano per decorrenza del termine decennale previsto dalla normativa al riguardo, stante che esso va riferito, come più volte affermato dalla giurisprudenza in materia di atti di governo del territorio, al procedimento espropriativo che ne consegue, non al regime giuridico dei suoli.
3.2. La Società ha impugnato anche tale sentenza (ricorso n.r.g. 1335 del 2021) contestandone la correttezza sia in fatto che in diritto. A suo avviso infatti la riacquisizione della proprietà aveva comunque bisogno di un formale procedimento di retrocessione, non a caso espressamente previsto dagli artt. 15 e 16 del Regolamento sulle modalità di assegnazione dei lotti P.I.P., con riferimento, rispettivamente, alla mancata ultimazione nella tempistica convenuta degli interventi edilizi previsti, ovvero alla violazione del divieto di vendita e locazione dei lotti ceduti in proprietà e non edificati, peraltro previa valutazione dell’interesse pubblico da parte della Giunta municipale. D’altro canto, lo stesso Comune ne era perfettamente consapevole, essendo l’atto impugnato condizionato al previo esperimento delle «formalità inerenti la retrocessione in proprietà al Comune di Eboli del lotto D10». Infine, avendo il primo giudice correttamente riconosciuto alla parte l’interesse ad agire che le veniva contestato dalla difesa civica, era poi caduto in contraddizione nel disconoscerle quello a prendere parte al procedimento di assegnazione di un terreno formalmente ancora di sua proprietà. Ha ricordato come in generale la giurisprudenza riconoscesse la necessità di previa comunicazione di avvio del procedimento ai proprietari di lotti ricompresi in un perimetro P.I.P. (v. Cons. Stato, sez. IV, n. 4140/2012; n. 4339/2009 e n. 6469/2005) nonché rivendicato la inefficacia, del Piano, la cui mancata attuazione sarebbe documentata per tabulas dai nuovi bandi assegnazione dei lotti residui (sul punto, v. Cass. civile, 24 febbraio 1999, n. 1602).
3.3. In tale procedimento si è costituito in giudizio il Comune di Eboli, con atto di stile, per resistere all’appello e chiederne il rigetto in quanto inammissibile, improcedibile e comunque infondato. Con successiva memoria ha negato la necessità di far ricorso all’istituto della retrocessione, avendo le clausole convenzionali sulla decadenza effetto estintivo immediato, come correttamente argomentato dal T.A.R. Inoltre ha ribadito la natura di atto generale del bando di assegnazione che di per sé esclude l’applicabilità delle garanzie partecipative ex art. 13, comma 1, l. n. 241/1990. Ha ricordato la giurisprudenza in forza della quale «allo scadere del termine decennale, il Comune consuma il proprio potere espropriativo, mentre la destinazione d’uso delle aree già impressa dallo strumento attuativo permane fino a nuova disciplina» (Cons. Stato, sez. IV, 18 maggio 2018, n. 3002). Ha concluso affermando che nel caso di specie non è stata attuata alcuna procedura espropriativa, stante che in seguito all’effetto risolutivo derivante dall’avvenuta decadenza per l’inosservanza degli obblighi contrattuali, si è in sostanza ristabilita la situazione giuridica antecedente il contratto di trasferimento risolto, ripristinando la proprietà del Comune di Eboli.
3.4. Si è costituito altresì il Consorzio Jonico Ortofrutticoltori, che ha eccepito in primo luogo la inammissibilità dell’appello per genericità. Nel merito ha egualmente difeso la correttezza della ricostruzione che ravvisa nell’inadempimento un automatico effetto risolutivo del diritto di proprietà, giusta la previsione in tal senso dell’art. 7 della Convenzione preliminare. Non avendo la Società realizzato alcun impianto produttivo sul lotto assegnatole, né adempiuto agli obblighi convenzionali, ne sarebbe conseguita in automatico la perdita della proprietà, laddove la retrocessione si sarebbe resa necessaria solo nella detenzione, quale attività meramente materiale per restituire al Comune la effettiva disponibilità del bene. Quanto al preteso coinvolgimento nel procedimento, l’art. 7 della l. n. 241/90 impone l’inoltro dell’avviso solo ai «soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari» ai quali «possa derivare un pregiudizio», che nel caso di specie va ricondotto alla sola decadenza, non alla riassegnazione del lotto, che la parte non potrebbe comunque ottenere, sicché ne deriverebbe un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso. Ha ricordato la continua attualizzazione dei contenuti del P.I.P. mediante l’approvazione di successive varianti, tanto più che la perdita di efficacia per decorso del tempo riguarderebbe il solo vincolo espropriativo, che nel caso di specie ha già trovato completa attuazione. Da ultimo ha sottolineato l’avvenuta percezione di finanziamenti comunitari ottenuti per ampliare l’attuale opificio conformemente agli standard previsti dall’area P.I.P.
4. All’udienza pubblica del 23 febbraio 2022, in vista della quale sia la Società, che il Comune di Eboli (nel ricorso nrg. 1335/2021) hanno avanzato richiesta scritta di passaggio in decisione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
5. Preliminarmente, stante la evidente connessione oggettiva e soggettiva, i due appelli in trattazione devono essere riuniti.
6. Vanno poi respinte le eccezioni di inammissibilità dell’appello n.r.g. 1335/2021 avanzate dal controinteressato Consorzio Jonico Ortofrutticoltori.
Detto gravame, pur riproponendo le censure di primo grado, le articola in maniera critica rispetto all’impostazione seguita dal T.A.R., avuto riguardo innanzi tutto all’inquadramento dell’istituto della decadenza dalla proprietà e delle formalità necessarie alla retrocessione del bene a favore del Comune, che non può essere derubricata all’attività meramente materiale di restituzione dello stesso. Né può essere condivisa l’affermata inutilità della richiesta caducazione della (ri)assegnazione, stante che al contrario la cristallizzazione dei suoi effetti impatterebbe sul rivendicato mantenimento della proprietà originaria, avendo i provvedimenti impugnati nei due distinti procedimenti il medesimo oggetto.
7. Si può pertanto procedere all’esame del primo motivo di appello del ricorso n.r.g. 891 del 2013.
Deve al riguardo rilevarsi che il Comune non ha fornito alcuna prova della compiuta giacenza, neppure all’esito dell’istruttoria affidata al Segretario generale, sicché non è possibile affermare con la dovuta certezza che essa si sarebbe perfezionata il 14 giugno 2011. Assume rilievo pertanto ai fini del computo della tempestività del ricorso la data di ritiro del plico, avvenuto il 22 giugno 2011. Inoltre nel caso di specie la ricevibilità del ricorso consegue anche al corretto inquadramento giuridico della disciplina applicabile, seppure sfuggita allo stesso appellante che basa la ricostruzione interpretativa sull’analitica esegesi dell’art. 8 della l. n. 890 del 1982, concernente le notifiche a mezzo posta degli atti giudiziari. Al contrario, per gli atti amministrativi, cui va evidentemente ricondotto il provvedimento impugnato, l’art. 40 del d.P.R. n. 655 del 1982 prevede quale termine di deposito quello più lungo di 30 giorni, sicché, tenuto conto del periodo di sospensione feriale nell’entità vigente ratione temporis, la notifica del ricorso avvenuta il 6 ottobre 2011, risulta tempestiva.
8. Occorre a questo punto esaminare nel merito le molteplici questioni che ruotano intorno al problema centrale posto da entrambi i ricorsi. Va premesso che la loro complessità consegue al fatto che esse riguardano istituti che si collocano in uno spazio intermedio tra l’esercizio del potere pubblico e la capacità negoziale privata comunque allo stesso riconosciuta e che si caratterizzano per l’utilizzo da parte dell’amministrazione pubblica di moduli decisionali consensuali, anziché di quelli tradizionali di tipo unilaterale.
9. Le vicende di cui è causa - delle quali la seconda costituisce mero sviluppo della prima – traggono origine dagli atti negoziali accessivi al Piano per gli insediamenti industriali (P.I.P.) che il Comune di Eboli ha approvato con delibera consiliare n. 11 del 3 marzo 1999 e dalla conseguente interpretazione degli stessi posta a base dell’impugnata decadenza.
9.1. Come la Sezione ha già avuto modo di ricordare con riferimento ad altre tipologie di atti urbanistici attuativi, la reductio ad unum della vasta pletora di strumenti pattizi ad essi connessi si è avuta con l’entrata in vigore dell’art. 11 della l. n. 241 del 1990, al quale si riconducono ormai tutte le astratte possibilità di accordo cui la pubblica amministrazione può addivenire con i privati, superando le letture “timide” delle singole pregresse norme di settore, ispirate quasi sempre dalla preoccupazione di difendere la preponderanza del profilo pubblicistico, quasi che l’attingere a strumenti e ambiti privatistici ne comportasse la messa in pericolo o il depotenziamento (ex ceteris, Cons. Stato, sez. II, 19 gennaio 2021, n. 579). Con tale norma di sistema si è definitivamente positivizzata la capacità negoziale delle amministrazioni pubbliche, individuando nel procedimento il “luogo” tipico nel quale potestà e autonomia negoziale possono trovare un giusto momento di sintesi, sì da asservire la seconda, in quanto modalità ritenuta più conveniente in relazione al singolo caso di specie, al perseguimento dell’interesse pubblico che connota la prima. Laddove, cioè, il responsabile del procedimento valuti che il modulo della negoziazione costituisce lo strumento più idoneo per la composizione degli interessi coinvolti nell’azione amministrativa, può addivenire alla stipula di un contratto cui l’ordinamento giuridico ricollega determinati effetti, ciascuno dei quali a sua volta conseguibile anche con provvedimenti. La significatività dell’istituto sta pertanto proprio nel suo mutuare aspetti necessariamente civilistici mischiandoli a contenuti tipicamente autoritativi. Si realizza così un’efficace sintesi -rectius, la miglior sintesi possibile, secondo la valutazione del soggetto pubblico agente- tra l’interesse pubblico sotteso all’intervento, complessivamente inteso, quale metodologia per il suo perseguimento e il necessario incontro tra le volontà. L’esercizio della potestà pubblicistica non va a detrimento della capacità privatistica, ma si somma ad essa: vi è un concorso e non un’alternatività di poteri, salva, ovviamente, l’impossibilità di conseguire due volte lo stesso risultato.
10. Le convenzioni o atti unilaterali d’obbligo accessivi a piani urbanistici attuativi, pur appartenendo al più ampio genus degli atti dispositivi coi quali il privato assume obbligazioni, in quanto per lo più orientate al rilascio del titolo edilizio in cui sono destinate a confluire, non rivestono un’autonoma efficacia negoziale, ma incidono tramite la stessa sul provvedimento cui sono intimamente collegate, tanto da divenirne un elemento qualificato, mutuando la terminologia di cui alla nota sistematica civilistica che distingue tra essentialia e accidentalia negotii, come “accidentale” (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 2013, n. 5628; Cass., Sez. Un., 11 luglio 1994, n. 6527; id., 20 aprile 2007, n. 9360). Si è perciò affermato, ad esempio, che la convenzione stipulata tra un Comune e un privato costruttore, con la quale questi, al fine di conseguire il rilascio di un titolo edilizio, si obbliga ad un facere o a determinati adempimenti nei confronti dell’ente pubblico (quale, ad esempio, la destinazione di un’area ad uno specifico uso, cedendola), non costituisce un contratto di diritto privato, ma neppure ha specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano poteri autoritativi della pubblica amministrazione.
11. La legge 22 ottobre 1971, n. 865 già conteneva due esempi “tipizzati” di ciò che nel tempo è stato sussunto nell’ampia e per certi versi impropria dizione di “edilizia convenzionata”, di fatto estendendo per utilità linguistica la definizione all’epoca contenuta nella rubrica dell’art. 7 della legge 28 febbraio 1977, n. 10, che in verità faceva esclusivo riferimento agli accordi siglati con il richiedente un titolo edilizio con finalità residenziale per calmierare preventivamente i futuri canoni di locazione o prezzi di vendita degli immobili relativi.
In particolare, l’art. 27, per quanto qui di specifico interesse, nel consentire ai Comuni dotati di piano regolatore o di programma di fabbricazione, di imprimere un regime giuridico lato sensu “produttivo” ad una determinata zona, nel contempo garantendo l’accesso alle aree ivi comprese ad operatori economici che ne garantiscano l’utilizzo in funzione dello stesso, prevede che all’atto della concessione dei lotti, in proprietà o in superficie, nella percentuale normativamente data, venga siglata una convenzione che individui anche «gli oneri posti a carico del concessionario o dell’acquirente e le sanzioni per la loro inosservanza» (ultimo comma).
Nell’ambito dell’edilizia residenziale l’art. 35 disciplina invece i c.d. Piani per l’edilizia economica e popolare (P.E.E.P.), che egualmente si completano con gli accordi tra privati superficiari e pubblica amministrazione, cristallizzati in una convenzione-tipo che può prevedere, tra le sanzioni per l’inosservanza degli obblighi ivi stabiliti, anche la decadenza, quale “punizione” per i casi ritenuti di maggiore gravità.
12. L’inserimento di “sanzioni”, riferito per lo più a quelle di natura pecuniaria, trova nella legge primaria la sua fonte di legittimazione, seppure il contenuto specifico delle condotte illecite venga demandato, mediante un meccanismo di rinvio che richiama, mutatis mutandis, quello delle norme penali in bianco, al livello sinallagmatico. Da qui la portata determinante, ai fini della legittimità della sanzione stessa, della regolamentazione generale dell’operazione, non a caso comprensiva dell’approvazione dello schema del successivo contratto.
13. Lo strumento di pianificazione attuativa e lo schema di convenzione ad esso allegato costituiscono in effetti atti distinti, ma giuridicamente connessi. Ovviamente, mentre, come chiarito, piano urbanistico attuativo e schema di convenzione formano oggetto di un unico atto di approvazione, la convenzione propriamente detta (cioè il contratto ad oggetto pubblico successivamente stipulato) costituisce certamente un atto negoziale autonomo (nel senso di essere giuridicamente distinto dal provvedimento – atto unilaterale di approvazione), purché ad esso conforme. A ciò consegue che il contenuto dell’atto negoziale in concreto può essere anche variegato e atipico, ma la parte di esso strumentale all’attuazione del Piano è necessariamente tipica. Siccome, cioè, l’attuazione dei P.I.P. dipende in larga misura dal rispetto degli accordi sottoscritti tra le parti, l’assegnazione dei lotti è soltanto un mezzo per raggiungere lo scopo ad essi sotteso. Essi, proprio in quanto qualificabili “convenzioni” di cessione delle aree, da ricondursi all’ambito degli accordi tra privati e pubblica amministrazione di cui all’art. 11 della legge n. 241 del 1990, in ragione della loro inerenza all’esercizio di poteri pubblici e a finalità pubblicistiche, implicano il mantenimento in capo all’amministrazione di una posizione di supremazia in funzione del raggiungimento dell’interesse pubblico connesso alla realizzazione di un impianto produttivo che si estrinseca mediante l’utilizzo di istituti mutuati dal codice civile.
14. D’altro canto non può non darsi rilievo alla diversità terminologica utilizzata dal legislatore, nel contesto peraltro del medesimo testo normativo (l.n.865/1971), con riferimento alle sanzioni previste dagli accordi connessi ai P.E.E.P. rispetto a quelle riconducibili ai P.I.P.: solo per i primi, infatti, con riferimento ai casi più gravi è richiamata la decadenza, che incide sul diritto di superficie, non essendo contemplata in tale ambito l’originaria concessione in proprietà.
15. Giova al riguardo ricordare quanto affermato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (cfr. A.P. 11 settembre 2020, n. 18) che, con riferimento alla decadenza quale misura sanzionatoria, ha ricordato la necessità, ai fini dell’integrazione dei presupposti, dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa, nonché il limite dell’effetto ablatorio prodotto, che può coincidere al massimo con l’utilità innanzi concessa attraverso il pregresso atto ampliativo sul quale essa incide. Tali tratti consentono peraltro di distinguerla dalla omonima, ma ben diversa vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc o in alcuni casi ex nunc, di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. “beneficio”).
16. Tali questioni consentono di mettere in luce un ulteriore profilo problematico posto dall’art. 11, comma 2, della l. n. 241 del 1990, laddove si afferma che «si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili». Ciò implica che lo stesso effetto della decadenza può essere ottenuto facendo ricorso ai normali istituti civilistici di scioglimento del contratto, comunque “punitivi” del comportamento inadempiente di una parte a fronte del pieno adempimento della controparte. La giurisprudenza si è da tempo pronunciata sulla applicabilità, ad esempio, dell’art. 1453, in materia di risoluzione per inadempimento (Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 2004, n. 7245), ovvero della clausola penale (Cons. Stato, sez. IV, 3 dicembre 2015, n. 5510), così come sono stati ritenuti compatibili con la materia i rimedi di cui all’art. 1463 c.c., sulla impossibilità sopravvenuta, ovvero 1467 c.c., sulla eccessiva onerosità sopravvenuta.
16.1. L’utilizzo dell’uno o dell’altro strumento non è affatto neutro da un punto di vista giuridico, stante che l’irrogazione della sanzione rientra tra i poteri autoritativi del soggetto pubblico che ne ha la competenza, in posizione sovraordinata rispetto al privato trasgressore, che nel caso di specie è anche contraente, mentre la risoluzione presuppone la previa condivisione pattizia della ripartizione degli obblighi e delle conseguenze che si intendono riconnettere alla loro violazione.
17. Può affermarsi che l’inadempimento agli obblighi strettamente funzionali all’esercizio del potere di governo del territorio fa venire meno la causa/giustificazione pubblicistica della concessione del diritto di proprietà, rendendone addirittura doverosa la revoca, sub specie di decadenza dal diritto preventivamente accordato, ovvero, più correttamente, di risoluzione della concessione-contratto (sul punto, v. Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 2021, n. 1864). Per tale via, la risoluzione dell’accordo di cessione finisce per comportare una “sostanziale” decadenza e conseguentemente implica effetti estintivi –recte, retrocessivi- della proprietà.
18. Proprio enfatizzando la finalità economico-sociale sottesa all’adozione dei P.I.P. la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha anche di recente ritenuto legittimo l’inserimento della decadenza dalla proprietà nelle clausole convenzionali, nonché necessitata e doverosa la sua applicazione a fronte dell’inerzia protratta nel tempo della parte beneficiaria di una proprietà teleologicamente orientata ad uno scopo pubblico. La peculiarità dello strumento urbanistico di cui oggi è causa risiede infatti nella necessità che la sua concreta attuazione passi attraverso un trasferimento di proprietà da soggetti privati a soggetti imprenditori, che vengono “privilegiati” rispetto ai primi nella misura in cui compartecipano alla finalità di riordino, ma anche di sviluppo in termini di attrattività economica del territorio (per la classificazione dei P.I.P. innanzi tutto quale strumento di politica economica, cfr., inter alia, Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2878; id., 5 marzo 2015, n. 1125; 13 febbraio 2020 n. 1158; sez. V, 15 gennaio 2020 n. 377; sez. II, 15 luglio 2019 n. 4961; nonché Cass. civ., sez. un., 26 marzo 2019, n. 8415). Il beneficio collettivo che deriva da tali scelte di politica economica, prima e oltre che urbanistica, diviene la cartina di tornasole della scelta comparativa tra interessi in gioco, tutti egualmente garantiti. Il P.I.P non ha in definitiva solo la finalità di assicurare l’assetto urbanistico voluto all’area ove si vanno a collocare i nuovi complessi produttivi, ovvero convergono, a seguito di delocalizzazione, quelli già attivi sul territorio; esso mira anche ad offrire alle imprese – ad un prezzo calmierato e previa espropriazione ed urbanizzazione – le aree medesime in quanto occorrenti per l’insediamento o la prosecuzione della loro attività. L’assegnazione dei lotti in proprietà o la concessione in uso a prezzi inferiori a quelli di mercato costituisce pertanto uno strumento di promozione mediante abbattimento di costi, con effetto economicamente equivalente ad un incentivo finanziario per la realizzazione di stabilimenti produttivi. In tal modo l’ordinamento realizza «un razionale e soddisfacente punto di equilibrio tra la tutela del diritto della proprietà privata e il sostegno alle produzioni economiche che creano posti di lavoro, redditi e ricchezza, non allo scopo di discriminare il proprietario terriero rispetto all’imprenditore, né di impoverire i bilanci degli enti locali, bensì all’unica finalità di conformare in senso sociale e redistributivo le ricchezze, consentendo il fruttuoso utilizzo di fondi altrimenti inutilizzati o utilizzati per scopi non produttivi o, comunque, per scopi non idonei ad assicurare l’incremento di ricchezza del territorio in generale» (cfr., inter alia, Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2878; id., 5 marzo 2015, n. 1125; 13 febbraio 2020, n. 1158; sez. V, 15 gennaio 2020, n. 377; sez. II, 15 luglio 2019 n. 4961; nonché Cass. civ., sez. un., 26 marzo 2019, n. 8415). Il «privato beneficiato da questo grave sacrificio individuale» si trova investito finanche «di una posizione giuridica fonte di responsabilità sociale, rispetto agli oneri e ai costi giuridici, economici e organizzativi sostenuti dall’Amministrazione pubblica per consentire la realizzazione del programma, ad un tempo urbanistico e di politica economica» (sul punto, v. ancora Cons. Stato, n. 1864/2021, cit. supra).
18.1. In sintesi, anche a non voler enfatizzare la funzione redistributiva della ricchezza del P.I.P., ne è innegabile la finalità (anche) socio-economica, che trasmoda necessariamente nell’accordo con il quale il privato si impegna a realizzare l’opera nello specifico contesto di riferimento. Da qui la possibilità di “recuperare” lo sviamento dalla causa pubblicistica utilizzando l’effetto risolutivo dell’inadempimento, addivenendo al medesimo risultato della decadenza sanzionatoria.
19. Che la questione sia di soluzione tutt’altro che agevole è tuttavia dimostrato dalla presenza nell’ordinamento di previsioni normative di settore che escludono la retrocessione della proprietà in mano pubblica quale effetto conseguenziale della decadenza del privato assegnatario inadempiente. L’art. 63 della l. 23 dicembre 1998, n. 448, recante «Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo», con riferimento all’attuazione dei P.I.P. per il tramite dei consorzi di sviluppo industriale di cui all’art. 36 della l. 5 ottobre 1991, n. 317, ovvero enti pubblici economici costituiti ai sensi della vigente legislazione nazionale e regionale con la finalità di promuovere «le condizioni necessarie per la creazione e lo sviluppo di attività produttive nei settori dell’industria e dei servizi», sotto la significativa rubrica «Provvedimenti per favorire lo sviluppo industriale», prevede espressamente la decadenza dalla proprietà dell’assegnatario in caso di inadempienza all’obbligo di costruzione del manufatto a vocazione produttiva in funzione della realizzazione del quale essa gli è stata assegnata. I consorzi dunque hanno la facoltà di “riacquistare” la proprietà delle aree cedute per iniziative industriali o artigianali nell’ipotesi in cui il cessionario non realizzi lo stabilimento nel termine di cinque anni dalla cessione, nonché finanche, unitamente alle stesse, gli stabilimenti industriali o artigianali ivi realizzati nell’ipotesi in cui sia cessata l’attività industriale o artigianale da più di tre anni. E’ stata più volte riconosciuta natura espropriativa al procedimento disciplinato dall’art. 63 della l. 23 dicembre 1998, n. 448, che di fatto attribuisce al consorzio il potere autoritativo di disporre la risoluzione del contratto ed il riacquisto dei beni venduti al privato per mancata realizzazione del programma industriale. Essa configura cioè un vero e proprio diritto potestativo pubblico, che si esplica in un’azione di recupero del bene per ripristinarne la destinazione istituzionale a mezzo di un atto che ha natura lato sensu espropriativa in quanto incide sul diritto di proprietà del titolare dello stesso, seppure funzionalizzato e soggetto ad immanente vincolo di destinazione (Cons. Stato, sez. VI, 7 febbraio 2012, n. 664; sez. IV, 9 novembre 2021, n. 7436; id., 29 ottobre 2021, n. 7251).
20. Ciò posto l’unico modo per individuare il giusto punto di equilibrio tra esigenze di effettività del procedimento di pianificazione e modalità negoziale di regolamentazione dei rapporti può essere individuato nella stretta compenetrazione dell’una nelle altre, presidiando - e quindi di fatto perseguendo - con maggior rigore solo quei comportamenti che minano alla radice la fattibilità dell’intervento, perché inerti, tardivi, ovvero, appunto, “sviati” dalla causa. L’inerzia o il ritardo nell’attivarsi da parte di un’impresa assegnataria va contro alla ratio della pianificazione, da svilupparsi nella tempistica stabilita per le varie iniziative, al fine di realizzare concretamente le finalità pubbliche ad essa sottese. Egualmente non può non essere escluso in radice (e quindi “sanzionato”), alla luce dei plurimi interessi collettivi che sottendono l’assegnazione dei lotti di cui si compone il P.I.P., qualsiasi intento speculativo, di carattere eminentemente privato, che le imprese stesse intendano eventualmente perseguire in assenza della realizzazione degli obiettivi pubblicistici per i quali l’assegnazione in loro favore è stata disposta. Spetta tuttavia all’amministrazione procedente indicare espressamente nella convenzione tipo i comportanti “devianti” con riferimento ai quali non è sufficiente l’irrogazione di una sanzione, comunque ricondotta alla violazione di singoli “oneri”.
21. Nel caso in esame l’inadempimento ascritto alla Società si sarebbe concretizzato nell’omesso pagamento degli oneri concessori al Consorzio che peraltro, malgrado l’esplicita previsione in tal senso contenuta nel Regolamento sulle modalità di assegnazione dei lotti, non risulta essersi dotato del richiesto atto generale che ne avrebbe dovuto chiarire preventivamente le modalità.
21.1. Secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria (A. P., 7 dicembre 2016, n. 24; conforme la giurisprudenza successiva, ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2017, n. 4123) un’amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti dell’intestatario di un titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri relativi al contributo di costruzione. Il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, generale, che prescinde totalmente delle singole opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, venendo determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere. In ragione di tanto, per la loro esecuzione, che consegue al fatto edificatorio in sé considerato, l’amministrazione comunale attinge normalmente alla fiscalità generale, senza necessariamente attendere il pagamento del contributo da parte dell’obbligato, e quindi a prescindere dal suo puntuale adempimento. Ciò implica tuttavia che «quand’anche risultino trasfuse in apposita convenzione urbanistica, le prestazioni da adempiere da parte dell’amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica. Come si è detto, infatti, l’amministrazione è tenuta ad eseguire le opere di urbanizzazione ed a dotare degli indispensabili standard il comparto ove viene allocato il nuovo insediamento edilizio a prescindere dal puntuale pagamento del contributo di costruzione da parte del soggetto che abbia ottenuto il titolo edilizio; per parte sua, questi è tenuto al pagamento del contributo senza poter pretendere la previa realizzazione delle opere di urbanizzazione» (ancora A.P., n. 24 del 2016). Per tale ragione il mancato pagamento degli oneri legittima l’amministrazione comunale ad esercitare il suo potere di applicare sanzioni pecuniarie crescenti in rapporto all’entità del ritardo (art. 42 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) e, in caso di persistenza dell’inadempimento, alla riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme in materia di riscossione coattiva delle entrate (Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2017, n. 5133), ma non ne viene intaccata la validità del titolo, sicché men che meno se ne può ipotizzare un impatto sulla proprietà.
21.2. La prospettiva non cambia laddove oggetto della convenzione urbanistica sia non l’ammontare degli oneri, ma l’accollo della realizzazione delle opere a scomputo delle stesse. In tali casi, infatti, premesso che il termine finale per l’adempimento viene ricondotto a quello di efficacia del piano urbanistico, tale termine costituisce anche il dies a quo per le azioni civilistiche finalizzate all’adempimento o al risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, non potendosi ritenere, ex art. 2935 c.c., che, in costanza di termine per adempiere, possa correre la prescrizione (Cons. Stato, sez. IV, 15 ottobre 2019, n. 7008; id., 14 maggio 2019, n. 3127; 13 novembre 2020, n. 7024). Questione tuttavia estranea al perimetro dell’odierna controversia, stante che non risulta in atti, né è stato chiarito ex post dal Comune di Eboli, l’accordo tra quest’ultimo e il Consorzio in ordine alla ripartizione degli oneri, prevedendosi solo che nell’eventualità che l’amministrazione non intenda realizzare le opere di urbanizzazione direttamente, l’imprenditore contribuisca ai costi «nella misura e con le modalità stabilite dalla Società consortile mista p.a.» (art. 2 della Convenzione preliminare di cessione del lotto). In sintesi, manca a monte, o comunque non è stato documentato, l’atto, anche pattizio, in forza del quale è stata ripartita la realizzazione delle opere di urbanizzazione, eventualmente a scomputo, tra il Comune di Eboli e il Consorzio, nonché, a cascata, tra quest’ultimo e i suoi soci. Da qui l’impossibilità di ricondurre all’inadempimento di un obbligo imprecisato nei suoi contorni effettivi una conseguenza così grave quale la perdita della proprietà.
22. D’altra parte l’inadempimento di cui si discute, peraltro solo parziale, riguarda gli obblighi assunti nei confronti del Consorzio, non dell’amministrazione, seppure quest’ultima se ne sia fatta in qualche modo garante, come meglio chiarito nel prosieguo, in sede di analisi del contenuto in concreto degli atti convenzionali. Lo schema seguito dal Comune di Eboli evoca ragionevolmente quello di cui all’art. 63 della l. n. 444 del 1998, richiamato al § 17, ma se ne diversifica ampiamente in quanto il soggetto attuatore è sì un Consorzio fra imprenditori, ma non preesistente e già finalizzato alla tutela delle ragioni di categoria, bensì creato ad hoc, attingendo al modello della società a partecipazione pubblica. Per il suo tramite, almeno in fase di prima attuazione, si ottiene altresì l’effetto di affidare direttamente la gestione dell’operazione, ritenendo accertata -in verità, in modo tutt’affatto chiaro- quella «comprovata valenza» e quegli «oggettivi elementi di forte innovazione e/o cospicuo valore economico ed occupazionale» che, ai sensi dell’art. 17 del più volte richiamato Regolamento, consentono di agire in deroga alle regole sull’evidenza pubblica.
22.1. Anche sotto tale profilo la prassi ha conosciuto e conosce varie soluzioni operative, con forme e contenuti diversi ed articolati, che spesso prevedono da parte dei lottizzanti -recte, nel caso di specie, assegnatari - l’impegno a conferire tutte le aree rientranti nell’ambito della lottizzazione a un Consorzio costituito all’uopo “mettendo in comunione” tra i consorziati le aree stesse o - magari - i soli beni funzionali alle opere di urbanizzazione con lo scopo ulteriore di addivenire alla redistribuzione delle aree residue (c.d. consorzio “di urbanizzazione”, istituto di elaborazione dottrinaria la cui sussunzione all’uno o all’altro dei sodalizi civilistici da cui attinge elementi è ad oggi fonte di acceso dibattito).
22.2. La soluzione scelta dal Comune di Eboli, di progressivo rafforzamento del ruolo del Consorzio misto nello sviluppo del procedimento, l’adesione al quale solo in un secondo momento è stata statuita “ a pena di decadenza”, impone una cautela ancora maggiore nella perimetrazione degli inadempimenti che possono integrare lo sviamento dalla finalità pubblicistica, distinguendoli da quelli che attengono ai rapporti tra le parti private, indici caso mai dell’incapacità gestionale del referente unico che l’amministrazione ha inteso darsi nel procedimento.
23. Si rende ora necessario ripercorrere rapidamente le tappe salienti del procedimento seguito dal Comune di Eboli per dare attuazione al proprio Piano per gli insediamenti industriali, approvato con delibera consiliare n. 11 del 3 marzo 1999, la cui gestione veniva affidata alla Società consortile costituita all’uopo approvandone lo Statuto con successiva delibera del Consiglio comunale n. 12 del 21 febbraio 2000, modificata con la n. 45 del 19 luglio 2001.
Le modalità di assegnazione dei lotti sono state declinate in apposito Regolamento, adottato in conformità alle previsioni delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del P.I.P., con delibera del Consiglio comunale n. 81 del 23 settembre 2002, successivamente modificata con delibera n. 88 del 9 dicembre 2004, proprio al dichiarato scopo di superare la criticità rappresentata dalla mancata cogenza delle precedenti disposizioni con riferimento, in particolare, « alla mancata previsione dell’automatica decadenza degli assegnatari nel caso in cui i medesimi non stipulino la convenzione di cessione in proprietà ovvero la convenzione di trasferimento in possesso dei lotti entro i termini precisamente stabiliti» (così testualmente le premesse alla delibera).
La procedura si è quindi sviluppata attraverso i seguenti atti:
-in data 13 ottobre 2003 veniva pubblicato il bando per l’assegnazione dei lotti, riferito ad aree non ancora acquisite;
- con atto di assegnazione n. 51 del 1 settembre 2005 il Comune assegnava alla Società il lotto “D10” (ancora di proprietà del signor Giovan Filippo Pirozzi, padre del legale rappresentante della stessa);
- in data 27 settembre 2005 veniva siglata la convenzione preliminare per l’assegnazione del lotto in diritto di proprietà, sulla base dello schema approvato con la già richiamata delibera consiliare n. 12 del 21 febbraio 2000, di contestuale approvazione anche dell’art. 9 del Bando;
- in data 26 gennaio 2006 veniva siglata la convenzione di trasferimento terreni dal Consorzio alla Società;
- in data 9 febbraio 2009 si perfezionava la cessione volontaria dei terreni del lotto “D10” al Consorzio, in rappresentanza della Società, aderente allo stesso, per un importo pari ad euro 78.691,50, comprensivo dell’indennità di occupazione, a favore del proprietario, dando atto che «gli assegnatari dei lotti interessati dalle particelle di proprietà della Ditta cedente hanno provveduto al pagamento dell’importo fissato con il predetto decreto di offerta di indennità di esproprio, depositando l’importo sul c/c intestato alla Società Consortile mista per azioni»;
-infine in data 27 marzo 2009 il lotto D10 veniva effettivamente assegnato in proprietà alla Società dal Comune di Eboli.
23.1. Sotto il profilo contenutistico l’art. 11 del Regolamento considera rilevanti “a pena di decadenza” i seguenti inadempimenti:
-mancata stipula della convenzione di assegnazione entro trenta giorni dalla stessa;
- mancata adesione alla Società consortile mista p.a. con i relativi oneri entro i termini definiti e comunicati dal Consiglio di amministrazione della stessa;
-mancata stipula della convenzione di cessione in proprietà o di trasferimento in possesso;
-mancata richiesta del permesso di costruire entro 4 mesi dalla stipula della convenzione di cessione in proprietà;
- mancata ultimazione dei lavori entro tre anni dal rilascio della concessione edilizia, salvo motivata proroga.
Il successivo art. 15, tuttavia, avuto riguardo all’ipotesi di mancata ultimazione delle opere nei tempi e modi stabiliti, condiziona l’operatività della decadenza -che richiede comunque uno «specifico provvedimento per il ritorno in proprietà dell’area» -ad una previa valutazione della Giunta comunale, che ne deve vagliare la conformità a pubblico interesse, evidentemente non ritenendo comunque intrinseco al ritardo lo sviamento dalla finalizzazione pubblica dell’operazione.
Con riferimento al pagamento della indennità di espropriazione o cessione volontaria dell’area, che diviene il sostanziale prezzo di acquisto da parte dell’assegnatario, così come al versamento delle quote di spettanza del singolo consorziato per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria che il Comune non intenda realizzare direttamente, si demanda espressamente alla autonoma competenza regolatoria del Consorzio (i cui esiti, richiesti espressamente in sede di istruttoria disposta dal Collegio, non risultano documentati, né semplicemente riferiti).
La Convenzione di cessione preliminare (“atto preliminare per la cessione della proprietà”, seconda la autodefinizione contenuta nella stessa), il cui modello è stato approvato con deliberazione n. 12 del 21 febbraio 2000, reca all’art. 2 l’assunzione “ a pena di decadenza” dell’obbligo di aderire, elencando poi a parte, e senza un chiaro legame con la medesima previsione “sanzionatoria”, gli impegni economici nei confronti del Consorzio (pagamento dell’indennità di espropriazione o cessione volontaria e delle quote di propria spettanza dei costi di costruzione «nella misura e con le modalità stabilite dalla società consortile mista p.a.» (art. 2). Per l’aliquota relativa alle opere di urbanizzazione primaria, tuttavia, il successivo art. 3 prevede la restituzione «non prima dei cinque anni dall’assegnazione» e comunque dopo il collaudo. L’art. 7, espressamente richiamato nell’atto di decadenza e posto dal T.A.R. alla base della decisione n. 870 del 2020, individua i casi, tassativamente elencati, che comportano, “in aggiunta” a non meglio identificate, ma distinte, «sanzioni penali ed amministrative comunali» da irrogare «ad iniziativa o a cura del Comune», la «risoluzione dell’atto di assegnazione, con conseguente estinzione del diritto di proprietà».
Trattasi segnatamente:
- della realizzazione di opere gravemente difformi da quelle previste nella convenzione;
- della commissione di atti che compromettano in modo diretto o indiretto le finalità pubbliche e sociali per le quali l’insediamento è stato realizzato;
- il recesso o l’esclusione dal Consorzio.
A tutto concedere alla tesi del Comune di Eboli, per ricondurre l’inadempimento (parziale, come chiaramente emerso all’esito dell’istruttoria) al pagamento degli oneri concessori al Consorzio alla elencazione riportata, l’amministrazione ne avrebbe dovuto motivare l’effetto di “compromissione” delle finalità pubbliche o sociali per le quali l’insediamento è stato realizzato. Il che non è in alcun modo avvenuto nel caso di specie.
La vaghezza della motivazione, insufficiente a configurare una contestazione conforme ai principi di tassatività, ove voglia ripercorrersi la tesi della decadenza quale atto sanzionatorio, egualmente non può fondare una risoluzione sostanzialmente unilaterale che finisce per risolversi in una sostanziale ablazione della proprietà, in dispregio di qualsivoglia necessaria proporzionalità ovvero, più genericamente, correttezza nei rapporti tra le parti. A ben altra conclusione dovrebbe addivenirsi laddove le inadempienze, come sostenuto dal Consorzio Jonico Ortofrutticoltori nella memoria da ultimo presentata, si fossero concretizzate nella mancata realizzazione dell’intervento nei tempi dati. Ciò tuttavia non solo non figura nella motivazione del provvedimento impugnato, sicché non ne è ammissibile una integrazione postuma, ma risulta addirittura smentito dagli atti di causa. La Società, infatti, ha conseguito in data 1 luglio 2008 il permesso di costruire n. 7, relativo alla costruzione di un opificio da adibire alla produzione e al riciclaggio della carta da imballaggio, i cui lavori hanno avuto inizio, come da formale comunicazione, in data 7 luglio 2009, senza che il Comune abbia eccepito alcunché avuto riguardo agli oneri concessori. Quanto a questi ultimi, peraltro, dalla documentazione da ultimo fornita dal Segretario generale in ottemperanza della seconda istruttoria del Collegio, una volta circoscritto l’esame alle sole richieste antecedenti l’adozione del provvedimento di decadenza, ma successive all’assegnazione del lotto, sembrerebbero ridursi ad una sola annualità, non risultando neppure chiaro, in ragione della rilevata mancanza della previa regolamentazione a monte, tale frazionamento del debito su base annua.
24. Da tutto quanto sopra consegue l’accoglimento dell’appello con riferimento ai motivi sub II, lett. b) e c) e III e il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado n.r.g. 1610 del 2011, in riforma dell’impugnata sentenza del T.A.R. per la Campania, sede di Salerno, n. 1055 del 2012.
25. All’accoglimento del ricorso n.r.g. 891 del 2013 consegue l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse di quello n.r.g. 1335/2021, nonché, a monte, del ricorso di primo grado n.r.g. 1708/2018.
26. Oggetto di tale sopravvenuto contenzioso, infatti, è l’atto di (ri)assegnazione del medesimo lotto D10 ad altra Società all’esito di apposita procedura ad evidenza pubblica, che presuppone la titolarità dell’area in capo al Comune. Una volta escluso, al contrario, che la proprietà del terreno sia traslata, peraltro in maniera automatica e senza alcun adempimento formale, dall’assegnataria all’amministrazione, è evidente che lo stesso non poteva metterne a bando il conferimento per la medesima finalità pianificatoria ad altro soggetto.
26.1. Quanto detto consente di prescindere da un più approfondito scrutinio sulla efficacia in concreto del provvedimento impugnato, dichiaratamente soggetto a condizione risolutiva per il caso di esito negativo del giudizio pendente avverso la decadenza, prevedendo che in tale ipotesi, in concreto verificatasi con l’odierna decisione, «la suddetta Determinazione sarà oggetto di annullamento [in autotutela] in base alle statuizioni del Giudice, con conseguente risoluzione dell’eventuale contratto di assegnazione, se sottoscritto». L’autonomia tra i due procedimenti (di decadenza e di (ri)acquisizione della proprietà da parte del Comune), dei quali il primo prodromico al secondo, è altresì confermata dalla dicitura in forza della quale «prima della stipula dell’atto di assegnazione in proprietà, dovranno, da parte degli uffici comunali competenti, essere esperite le formalità inerenti la retrocessione in proprietà al Comune di Eboli del lotto D10».
27. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
28. La complessità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti n.r.g. 891 del 2013 e n.r.g. 1335 del 2021, accoglie il primo e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania, sede di Salerno, n. 1055 del 2012, accoglie il ricorso di primo grado n.r.g. 1610 del 2011; dichiara improcedibile il secondo e conseguentemente improcedibile il ricorso di primo grado n.r.g. 1335 del 2021 dinanzi al medesimo T.A.R. per la Campania.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2022 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere
Fabrizio D'Alessandri, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Antonella Manzione
Carlo Saltelli
IL SEGRETARIO