Destinazione a logistica ed oneri concessori
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), sentenza n. 5297 del 27 giugno 2022, sulla destinazione immobili a logistica ed oneri concessori
MASSIMA
Le categorie di destinazione urbanistica di cui all’art. 23-ter nel testo unico per l’edilizia, assolvono lo scopo di omogeneizzare le scelte di governo del territorio, evitando frammentazioni contrarie ai principi di certezza del diritto. In caso di destinazione di un immobile a una funzione non declinata in maniera esplicita nello strumento urbanistico, ne può essere ammessa la compatibilità con una o più delle categorie tipizzate, purché se ne valuti l’impatto in termini di carico urbanistico. In particolare, la destinaziome a “logistica” va assimilata alla destinazione d’uso dell’immobile che ospita quella cui è strumentale, che non necessariamente si identifica nella categoria commerciale, giusta il contenuto poliedrico della stessa.
L’ammissibilità di un insediamento di attività di logistica in una determinata area non ne implica automaticamente l’omogeneizzazione in termini di valutazione del carico urbanistico, che deve essere effettuata in concreto, ove non ne sia stata data adeguata ponderazione preventiva in sede di pianificazione urbanistica, anche attuativa. La concessione accessiva ad un Piano di lottizzazione avente ad oggetto attività di “logistica e trasporti”, tuttavia, ben può determinare il costo di costruzione in relazione all’urbanizzazione dell’ambito territoriale in funzione della categoria “commerciale”. L’insufficiente pagamento degli stessi non impatta sulla validità del titolo edilizio, dovendo i relativi importi essere recuperati dal Comune secondo le norme in materia di riscossione coattiva delle entrate. Esso pertanto non può neppure incidere sul procedimento di rilascio - oggi, di dichiarazione – del certificato di agibilità, che non si risolve ex se in una modifica di destinazione d’uso, valutabile quale violazione urbanistica rilevante in senso ostativo, come confermato dall’attuale formulazione dell’art. 24 del d.P.R. n. 380 del 2001.
La possibilità di ordinare lo sgombero per mancanza di agibilità di un locale, prevista dall’art. 222 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, espressamente richiamato dall’art. 26 del d.P.R. n. 380 del 2001, implica una valutazione della carenza dei requisiti igienico-sanitari previsti dalla norma, e non del solo documento formale
SENTENZA
N. 05297/2022REG.PROV.COLL.
N. 06111/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6111 del 2013, proposto dalle Società OMISSIS s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Paolo Bonomi e Alessio Petretti, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via degli Scipioni, n. 268/A,
contro
il Comune di Boltiere, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Calvi e Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Tagliamento, n. 14,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, (Sezione Prima), n. 423/2013, resa tra le parti, concernente la cessazione dell’utilizzo di immobili per mancanza di agibilità.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Boltiere;
Viste le ordinanze n. 3548 del 6 maggio 2021 e n. 6659 del 6 ottobre 2021;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 17 maggio 2022, il Cons. Antonella Manzione e udito per il Comune di Boltiere l’avvocato Gabriele Pafundi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso al T.A.R. per la Lombardia, sede staccata di Brescia, le Società OMISSIS. s.r.l. (d’ora in avanti, solo le Società), del cui gruppo la prima fa parte, hanno impugnato l’ordinanza n. 11 del 6 agosto 2010, con la quale il Comune di Boltiere ha imposto la cessazione dell’utilizzo degli immobili posti in via Brembate, realizzati nell’ambito del Piano di lottizzazione denominato “Gualdi”, in quanto privi di agibilità, intimandone lo sgombero entro 30 giorni. Hanno impugnato altresì le note ad essa sottese di sospensione del procedimento di rilascio della agibilità degli stessi. Nello specifico, hanno lamentato la pretestuosità degli ostacoli frapposti dal Comune alla acquisizione di ridetta agibilità, malgrado la regolarità urbanistico-edilizia dell’intervento effettuato, che non ha comportato l’acquisizione di una destinazione “commerciale”, come preteso dall’Amministrazione intimata al solo scopo di ragguagliarvi il calcolo degli oneri concessori.
2. Il T.A.R. per la Lombardia ha respinto il ricorso sull’assunto che, al contrario, «in loco, in relazione a molteplici profili funzionali in fatto strutturalmente di carattere commerciale, si svolga anche quest’ultima in modo concreto sì da delinearsi tale anche sotto l’aspetto giuridico». Ha poi precisato che non sarebbe stata adottata alcuna sanzione di tipo economico, ma imposto un obbligo economico aggiuntivo «al certo prospettarsi delle condizioni richieste». Infine, ha ravvisato il fondamento normativo dell’agire del Comune nell’art. 221 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 (Testo unico delle leggi sanitarie), che impone lo sgombero dell’abitazione priva di licenza di abitabilità (o agibilità), a prescindere dalla sua effettiva salubrità, igienicità ed incolumità.
3. Con l’odierno appello le Società, premessa una ricostruzione del complesso iter giuridico sfociato nel provvedimento di sgombero, hanno impugnato la sentenza articolando un’unica censura con la quale contestano la correttezza del presupposto motivazionale di tutti i provvedimenti, ovvero la pretesa vocazione “commerciale” dell’area in controversia e la conseguente insufficienza degli importi già versati a titolo di costi di costruzione. In tale contesto, hanno chiarito di avere tuttavia corrisposto la richiesta somma di euro 158.382,36, «con espressa riserva di ripetere quanto versato», al fine di non procrastinare oltre la ripresa della propria attività aziendale. In data 14 gennaio 2014, a conferma della propria tesi, hanno depositato apposita relazione a firma di un consulente di parte, che attesta che nell’immobile per cui è giudizio non si svolgerebbe alcuna attività commerciale o aperta al pubblico, essendo il deposito presente in loco destinato ai pezzi di ricambio e a alla manutenzione dei veicoli in uso all’impresa.
3.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Boltiere e con successive memorie ha eccepito la inammissibilità del gravame, in quanto privo di concreti rilievi avverso la sentenza appellata, nonché per mancato gravame di un atto presupposto, vale a dire la comunicazione del 6 luglio 2009, di indicazione dei criteri alla stregua dei quali sarebbero stati eseguiti i calcoli degli oneri per le opere di urbanizzazione, ragguagliandoli alle aree commerciali e terziario-direzionali e non a quelle produttive, «in quanto quest’ultima destinazione urbanistica non è compatibile con la destinazione [...] D3». L’assimilazione alla destinazione commerciale di quella logistica era infatti condizione pregiudiziale per l’ammissibilità dell’insediamento -e quindi la legittimità dell’intera operazione- come desumibile dal tenore letterale dell’art. 3 delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del P.R.G., dall’accatastamento degli immobili nella categoria “A/8”, relativa a «fabbricati fruiti o adattati per le speciali esigenze di attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni», nonché dal contenuto della convenzione di lottizzazione. Infine, come chiarito dalla giurisprudenza, la destinazione d’uso di un magazzino, ai fini della determinazione dell’importo del contributo di urbanizzazione dovuto, va individuata avuto riguardo a quella degli ulteriori immobili con i quali si pone in collegamento strutturale e quindi in posizione servente.
4. Con ordinanza n. 3548 del 6 maggio 2021 la Sezione ha ritenuto necessario ai fini della decisione un supplemento istruttorio, incaricando il Segretario generale del Comune di Boltiere di versare in atti la deliberazione del Consiglio comunale n. 24 del 23 aprile 2009, di approvazione del piano di lottizzazione denominato “Gualdi”, corredata delle N.T.A. e della relazione illustrativa e la convenzione intercorsa tra l’Amministrazione procedente e la Società Immobiliare Gualdi di Gualdi Edvige & c. s.n.c., utilizzatrice dell’area.
4.1. In data 6 maggio 2021 il Segretario generale, anziché provvedere a quanto richiestogli, ha predisposto solo la “sintetica relazione ricostruttiva”, includendovi singoli stralci dei provvedimenti citati, ma non acclusi, nonché esprimendo le proprie autonome considerazioni sulla vicenda e sulla tematica giuridica dell’inquadramento urbanistico dell’attività di logistica.
4.2. Le Società appellanti hanno chiesto la declaratoria di inammissibilità del documento, assimilabile piuttosto ad una memoria, che ad un adempimento istruttorio. Per contro, la difesa del Comune ne ha enfatizzato le conclusioni, ritenendole confermative delle proprie deduzioni e ricostruzioni in fatto.
4.3. Con successiva ordinanza n. 6659 del 6 ottobre 2021 la Sezione ha stralciato, valutandola inammissibile ai fini del giudizio, la relazione de qua, «intrisa di considerazioni giuridiche volte a giustificare l’operato dell’Amministrazione, avallandone retrospettivamente l’interpretazione […]». Ha quindi deciso di colmare le rilevate carenze istruttorie disponendo una verificazione, affidata al Dirigente dell’Unità organizzativa competente in materia di urbanistica e assetto del territorio della Regione Lombardia, o suo delegato. Nello specifico, ha chiesto di chiarire il regime giuridico esistente sull’area del Comune di Boltiere distinta al catasto al foglio 4512 sub 1 e 2, avuto riguardo alle varianti eventualmente adottate, previa disamina degli atti inerenti il procedimento di approvazione e attuazione del piano di lottizzazione denominato “Gualdi”.
4.4. In data 21 gennaio 2022 il verificatore ha depositato la propria relazione tecnica, corredata dalla documentazione richiesta, dando preliminarmente atto di avere proceduto in contraddittorio con i tecnici delle parti, da ultimo tramite apposito sopralluogo all’esito del quale è definitivamente emerso «che gli edifici realizzati hanno un effettivo uso come attività logistica o attività di trasporto per conto terzi, in particolare è stata realizzata una palazzina ad uffici di due piani fuori terra e dei locali di deposito merci, nella palazzina ad uffici è presente un appartamento per il custode a destinazione residenziale che attualmente non risulta utilizzato».
In ordine al regime giuridico dell’area, ha così riassunto la situazione:
- essa fa parte di un più vasto ambito, interamente ricadente in zona “D3- Insediamenti commerciali di espansione” secondo il vigente P.R.G., le cui N.T.A. non consentono in linea di massima destinazioni diverse da quella commerciale;
- la destinazione “logistica” è stata avallata con il Piano attuativo adottato con deliberazione del Consiglio comunale n. 5 del 29 gennaio 2009 e approvato con deliberazione n. 24 del 23 aprile 2009, in variante al P.R.G., in quanto dichiaratamente finalizzato alla realizzazione, su uno soltanto dei due lotti di cui si compone, di una struttura con destinazione ad attività di autotrasporto per conto terzi, poi fatta oggetto di convenzione urbanistica stipulata con atto notarile del 29 maggio 2009;
- la richiesta dei proponenti era riferita espressamente ed esclusivamente a tale tipologia di attività, da realizzare su una superficie lorda di pavimento complessiva di mq. 3.000;
- la categoria catastale attribuita agli immobili realizzati è in maggior parte “D8-Fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni (Grandi negozi, centri commerciali)”, con la presenza di un appartamento riconducibile alla categoria “A3” da adibire a residenza del custode.
5. Le parti si sono scambiate ulteriori memorie, anche all’esito della richiamata relazione di verificazione, per ribadire le proprie contrapposte prospettazioni.
6. Alla pubblica udienza del 17 maggio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
7. Preliminarmente il Collegio ritiene di dover respingere le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa civica. Appare infatti chiaro sin dall’incipit della parte in diritto del ricorso l’error in iudicando ascritto alla sentenza, nella parte in cui dà per accertato (in particolare ai § 7, 7.1, 7.2 e 8) lo svolgimento di un’attività «strutturalmente di carattere commerciale», anche sulla base di non meglio identificati «atti fidefacenti». D’altro canto, l’intera vicenda ruota intorno alla problematica, anche fattuale, della concreta destinazione d’uso degli immobili in controversia: da qui la rilevanza della “riproposizione” di tutte le «circostanze di fatto» già presenti nel ricorso di primo grado, non derubricabili a “motivi intrusi” seppure sistematizzate nella parte intitolata “Fatto” (pag. 3, § 2) dell’atto di appello. Né può darsi rilievo alla mancata impugnativa dell’atto con il quale a detta del Comune era stata esplicitata la volontà di calcolare gli oneri di urbanizzazione facendo riferimento alla categoria “commerciale”: a tutto concedere alla tesi di parte appellata, che ne rivendica sostanzialmente in tal modo la natura provvedimentale, anziché, come parrebbe più consono, endoprocedimentale, essa sopravviene alla stipula della convenzione (9 luglio 2009), sicché ne costituirebbe comunque un’interpretazione postuma per quanto consta mai accondiscesa dalle Società.
8. Nel merito, l’appello è fondato e deve essere accolto.
9. La vicenda interseca molteplici problematiche di diritto, alle quali è opportuno fare separatamente cenno.
9.1. Va innanzi tutto premesso un richiamo alla tipologia degli atti impugnati, ovvero l’ordinanza n. 11 del 6 agosto 2010, con la quale il Comune di Boltiere ha imposto alla Società la cessazione dell’attività di logistica e lo sgombero dei locali utilizzati allo scopo, e i provvedimenti che ne costituiscono il fondamento, vale a dire le note del 10 giugno 2010, 23 giugno 2010 (espressamente richiamata), 4 agosto 2010 e 6 agosto 2010, di sospensione del procedimento finalizzato all’acquisizione del certificato di agibilità, fino a completo versamento degli importi richiesti ad integrazione del contributo di costruzione già versato relativamente alle d.i.a. presentate in data 1 giugno 2009 e 29 marzo 2010. Essendo dunque gli uni il presupposto dell’altra, punto essenziale della controversia diviene effettivamente, come sostenuto dalle appellanti, la legittimità della pretesa del Comune di Boltiere di parametrare la richiesta degli oneri concessori al regime urbanistico della zona (commerciale), anziché a quello dell’attività concretamente svolta dall’azienda (di logistica), sull’assunto che ciò conseguirebbe necessariamente alla sua ammissione in quella zona. Ad avviso del Collegio solo all’esito di tale valutazione sarà infatti possibile scrutinare la legittimità dei provvedimenti impugnati in concreto e, ancor prima, in astratto, valutare l’adeguatezza alla fattispecie dei paradigmi procedurali attinti. Per quanto l’eccesso di sintesi della sentenza impugnata non giovi alla ricostruzione del percorso ermeneutico seguito, la diagnosi favorevole del primo giudice rispetto a tale quesito pregiudiziale parrebbe esprimersi nella qualificazione del diniego di agibilità come rimedio ad un «obbligo economico aggiuntivo» sussistente a condizioni date, non come sanzione; dell’ordinanza di sgombero previa cessazione dell’attività come scelta «conforme allo schema legale tipico previsto in astratto dalla norma».
10. Il regime edificatorio dell’area in parte interessata dall’intervento di cui è causa, classificata come “Insediamenti commerciali di espansione - D3” nel Piano regolatore generale del Comune di Boltiere, è declinato all’art. 39 delle N.T.A., che lo subordina alla previa approvazione di un piano attuativo. Con la delibera n. 24 del 23 aprile 2009, l’Ente ha dunque approvato in via definitiva un Piano di lottizzazione e nel contempo una variante semplificata ai sensi dell’art. 2, comma 2, lettera f, della legge regionale Lombardia n. 23 del 23 giugno 1997, al P.R.G., su richiesta degli attuatori, allo scopo di anticipare la realizzazione di un solo lotto, contrassegnato come “A”, posticipando ad una fase successiva l’altro (“B”). Oggetto del Piano, denominato “Gualdi”, era la realizzazione di un intervento di localizzazione dell’attività di autotrasporto per conto terzi dell’attuatore, già operativo nel Comune di Dalmine, «con annessi tutti gli spazi e gli impianti tecnologici» (v. § 1.0, recante “Premesse” della relazione illustrativa al Piano). In maggior dettaglio, nel declinare la “Caratteristiche progettuali” (§ 4.0) vengono indicate quali strutture da realizzare «uffici, (logistici amministrativi e direzionali), abitazione del custode, magazzino ricambi, deposito, area ad uso dipendenti (servizi, spogliatoi, ecc), impianti di autolavaggio, impianto di distribuzione di carburanti ad uso privato e aree da destinare alla manovra dei mezzi da lavoro, parcheggi e a verde attrezzato».
10.1. La convenzione urbanistica accessiva veniva rogata agli atti del notaio Pezzoli di Treviglio in data 29 maggio 2009. L’art. 10, rubricato «Permessi di costruire», si limita a prevedere le modalità di scomputo dagli importi complessivamente dovuti degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, di cui si fornisce una stima all’attualità, dei costi delle opere di urbanizzazione primaria, la cui quantificazione esatta e definitiva è rinviata al momento dell’approvazione del relativo progetto esecutivo, prodromico al rilascio del titolo. Nel corso dell’anno 2009 la Società presentava una serie di d.i.a. (nn. 5274 e 5275 del 1 giugno 2009 e n. 5448 del 5 giugno 2009) per la realizzazione delle opere previste nel Piano, ultimate alla data dell’11 giugno 2010. In data 15 giugno 2010 avanzava quindi la domanda prot. 5694 per l’ottenimento del certificato di agibilità, sfociata negli atti oggi impugnati.
11. Le categorie di destinazione urbanistica sono state introdotte col c.d. decreto legge “Sblocca Italia” (d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 novembre 2014, n. 164) tramite l’inserimento dell’articolo 23-ter nel Testo unico per l’edilizia, al preciso scopo di omogeneizzare le scelte di governo del territorio, evitando frammentazioni finanche terminologiche sicuramente contrarie ai più elementari principi di certezza del diritto e troppo spesso foriere di oneri aggiuntivi per i cittadini-utenti. Per quanto la disposizione, che riduce a cinque le categorie previste (residenziale; turistico-ricettiva; produttiva e direzionale; commerciale; rurale) sia inapplicabile ratione temporis, essa si palesa comunque utile ai fini della individuazione, almeno in termini astratti e generali, di raggruppamenti connotati da valutata similarità di carico urbanistico, tanto da qualificare “rilevante” il mutamento della destinazione d’uso dall’una all’altra, seppure non accompagnato dall’esecuzione di opere edilizie (c.d. mutamento “funzionale”). All’interno di tali distinzioni generali, l’identificazione delle categorie avviene ad opera della legislazione regionale e ancor più in dettaglio negli strumenti urbanistici comunali.
12. Con il termine “logistica”, mutuato dal linguaggio militare, deve intendersi il complesso delle attività organizzative, gestionali e strategiche che in un ente, struttura o azienda, governa i flussi di materiali e delle relative informazioni dall’origine presso i produttori-fornitori, fino alla consegna-disponibilità dei prodotti finiti agli utenti-clienti e, laddove esista, al servizio postvendita. La logistica, quindi, si concretizza nella gestione del flusso di materie, servizi e informazioni necessaria a permettere di mantenere un elevato livello di efficienza e competitività di un’impresa, i cui contenuti sono variegati e difficilmente tipizzabili, se non attingendo all’attività principale cui essa accede, quale suo strumento di valorizzazione ed efficientamento. La originaria accezione ristretta del termine, tuttavia, confinata alla distribuzione di un prodotto finale e quindi consistente in un insieme di attività operative legate alla gestione dei magazzini e dei trasporti è stata via via superata, sicché oggi è più corretto parlare di un settore disciplinare integrato, come ambito di gestione aziendale volto prevalentemente all’ottimizzazione della rete distributiva e promozionale, non necessariamente legata ad una merce, ovvero del centro nevralgico di governo di un’impresa o di una rete di imprese che integrano i loro processi attraverso scambi informativi, per assicurare la corretta acquisizione, movimentazione e gestione dei materiali e finanche dei servizi, propri o di altre aziende.
12.1. Proprio in ragione del fatto che tale ambito definitorio, oltre che sfumato ex se, è in continua evoluzione, le scelte urbanistiche degli enti territoriali sono state le più disparate, risolvendosi ora nella (esplicitata) riconduzione all’una o all’altra delle categorie tipiche normate a livello locale, ora più genericamente nella ritenuta compatibilità dei relativi insediamenti per lo più con l’ambito produttivo, direzionale o commerciale, anche indifferentemente. E’ talvolta perfino accaduto che le Regioni e le Amministrazioni comunali si siano orientate nel senso di riconoscere la possibilità di realizzare interventi edilizi aventi qualunque destinazione - e dunque anche logistica - non espressamente esclusa dagli strumenti urbanistici nella zona interessata all’insediamento, con ciò superando la problematica relativa all’eventuale incompatibilità di siffatti impianti con il regime giuridico della zona. Assai raramente, invece, e per lo più in particolari atti di pianificazione del territorio previsti dalla legislazione regionale, come i piani delle funzioni, ha trovato spazio una disciplina nominativamente mirata alla logistica, comunque intesa.
12.2. L’approccio alla tematica ha assunto contorni più rigorosi laddove si è trattato di perseguire, ovvero, a monte, legittimare, un cambio di destinazione d’uso in quanto, seppure solo funzionale, “rilevante”: è di tutta evidenza, infatti, che quale che sia la scelta pianificatoria adottata e anche in assenza della stessa non può disconoscersi il maggior carico urbanistico riveniente da attività di logistica, in luogo di un utilizzo semplicemente residenziale. Sicché ammetterne sic et simpliciter l’insediamento, sull’assunto della mancanza di un esplicito divieto, può risolversi a sua volta in un’alterazione degli equilibri tra edifici e opere a servizio della collettività dei fruitori degli stessi che l’Amministrazione dovrebbe aver perseguito nell’adozione delle proprie scelte urbanistiche. Da qui la progressiva valorizzazione del dato sostanziale della strumentalità ad altra attività, per lo più commerciale, con la quale tuttavia non condivide necessariamente il requisito dell’accessibilità indiscriminata del pubblico ai relativi locali.
Come è intuibile, non si tratta affatto di una questione soltanto nominalistica, dato che spesso l’insediamento di attività commerciali comporta costi maggiori rispetto a quanto avvenga con riferimento a quelle produttive o industriali relativamente agli oneri di urbanizzazione per le necessarie dotazioni di aree a parcheggio e ad altri servizi collettivi. Il più elevato impatto urbanistico di tali attività rispetto a quelle produttive o industriali trova conferma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha posto in evidenza la differenza, a tali fini, tra «trasporto per lo stoccaggio della distribuzione» e situazioni che implicano un «afflusso di pubblico indistinto», con le conseguenze «che ne derivano inevitabilmente e principalmente sulla quantità necessaria di infrastrutture stradali e di parcheggio» (Cons. Stato, sez. V, 27 gennaio 2016, n. 263; id., 9 febbraio 2001, n. 583).
12.3. L’analisi della tematica si è via via affinata, nel senso di evitare categorizzazioni preconcette, ma affidandosi piuttosto allo scrutinio in concreto dell’attività principale cui quella logistica accede, che ne determina inscindibilmente l’incidenza sul carico urbanistico. Si è pertanto affermato che la logistica può costituire, a seconda dei casi, una sub funzione sia dell’attività commerciale che di quella industriale (Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2018, n. 6388; sez. II, 27 ottobre 2021, n. 7193; id., 5 maggio 2021, n. 3512). Determinante al riguardo diviene l’analisi della tipologia di flusso di utenze correlata al locale magazzino, normalmente presenti in un’azienda di logistica, che può comportare un differente carico urbanistico «se è funzionale all’esercizio di attività produttiva, venendo utilizzato per la gestione di materiali derivanti da un fabbricato industriale, ovvero se è strumentale all’esercizio di attività commerciale, fungendo da deposito di prodotti finiti pronti per essere immessi sul mercato» (v. ancora Cons. Stato, sez. II, n. 3512/2021, cit. supra). Solo in tale ultima ipotesi, invero, la gestione del magazzino si inserisce, come fase autonoma, nel ciclo della commercializzazione, svolgendo esso pure un ruolo di intermediazione commerciale, in quanto mediante il deposito viene di fatto regolato il flusso ed il deflusso delle scorte.
13.4. Con riferimento all’attività di logistica, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento da ultimo richiamato secondo il quale, per individuare la destinazione d’uso dell’immobile, non si può prescindere dalla considerazione dell’attività principale svolta, che nel caso di specie dall’oggetto sociale risulta essere quella di “trasporti e spedizioni nazionali di merci e rifiuti pericolosi e non pericolosi”. Il locale magazzino, ben descritto nella relazione illustrativa del Piano attuativo, si riferisce a pezzi di ricambio meccanici e pneumatici da sostituire, ovvero a beni strumentali dell’attività (principale) di autotrasporto. D’altro canto, che non venga svolta alcuna attività “commerciale” è stato definitivamente accertato dalla verificazione, che ha attestato un’attività di logistica “pura”, da parte di una ditta di autotrasporti in conto proprio e di terzi, senza produzione né commercializzazione di merci. Ciò smentisce per tabulas la –in verità non chiara – affermazione del primo giudice che ha individuato non meglio precisati, neanche in termini descrittivi, «profili funzionali in fatto strutturalmente di carattere commerciale».
14. La finalità del contributo per il rilascio del permesso di costruire, con particolare riguardo alla parte correlata agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, è di natura pubblicistica, in quanto mirante a “socializzare” le spese che la collettività è chiamata a sostenere per la realizzazione delle opere a servizio della zona ove le stesse vanno a localizzarsi. In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e vuole in qualche modo “compensare” la c.d. compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare in ragione della trasformazione del territorio consentita al privato istante, quella commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione di compensare invece la collettività «per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti» (v. Cons. Stato, sez.VI, 7 maggio 2015, n. 2294; id., 7 maggio 2018, n. 2694 e 29 agosto 2019, n. 5964 ).
15. A ben guardare, il T.A.R. per la Lombardia non pare cogliere appieno la necessaria distinzione tra aspetti in fatto e conseguenze in diritto, laddove afferma, in verità in maniera alquanto assertiva, che nel caso di specie vi sarebbe (anche) una concreta attività commerciale, il cui svolgimento è stato da ultimo smentito dagli esiti della verificazione. L’Amministrazione, a sua volta, poggia la propria tesi sul ragionamento sillogistico in forza del quale una volta ammessa la compatibilità con la categoria “commerciale”, ne discenderebbe anche una totale sovrapposizione di regime giuridico.
15.1. La ricostruzione non può essere condivisa, in quanto una cosa è consentire, in sede di pianificazione urbanistica o in via di interpretazione della stessa, un determinato insediamento, altra assimilarne l’impatto urbanistico a quello della zona ove lo stesso si va ad inserire. In assenza di una esplicita categoria urbanistica nominata (la “logistica”, appunto), spetta dunque all’Amministrazione valutarne la compatibilità con le singole scelte contenute nei propri atti di pianificazione. Ma nel momento in cui accerta e accetta tale compatibilità, addirittura mediante l’approvazione di un apposito strumento attuativo, non può poi inferirne conclusioni aggiuntive ove non chiaramente esplicitate negli atti di riferimento. Il Comune, cioè, quale Ente chiamato ad esprimere le valutazioni più vicine al territorio in forza del principio di sussidiarietà che governa il rapporto tra i vari livelli di regolazione dell’uso del suolo, può inserire una funzione non tipica tra quelle ammissibili in una singola zona; ma da ciò non discende in automatico, in assenza di un’esplicita previsione, un’obbligatoria compartecipazione agli oneri di realizzazione del livello di urbanizzazione commisurato comunque alla categoria di maggiore incisività sui relativi carichi. Tale scelta di urbanizzazione “massima” per la zona complessivamente intesa, infatti, può al più riverberarsi sulla futura compatibilità urbanistica di ipotetiche modifiche di destinazione d’uso, seppure non accompagnate da opere edilizie. Né a chiarire la scelta del Comune di Boltiere è di aiuto l’art. 3 delle N.T.A. del P.R.G., la cui formulazione, tutt’altro che felice, viene non a caso invocata in senso diametralmente opposto da entrambe le parti. Quand’anche, infatti, voglia attribuirsi all’uso della disgiuntiva «ovvero comunque» tra il richiamo all’ «attività logistica» e «di trasporto» - quest’ultima citata distintamente - e quello a qualsivoglia altra «attività propria degli insediamenti commerciali», il senso della riconducibilità ad un unico contenitore, piuttosto che, come parrebbe fatto proprio dal senso letterale delle parole, ad ipotesi distinte, non può attribuirsi alla norma altro significato che quello di una (incontestata) valutazione di compatibilità di tutte le fattispecie menzionate con la destinazione “commerciale” dell’intera zona.
16. Il Collegio ricorda a tale riguardo come i Piani attuativi costituiscano specifici strumenti di dettaglio, talvolta rimessi all’iniziativa dei privati, come nel caso di specie, con la finalità di “attuare”, appunto, le scelte rivenienti dallo strumento urbanistico generale. Essi si inseriscono cioè nell’ambito dell’attività di governo del suolo di competenza degli Enti territoriali, cui resta il compito di valutarne la coerenza con l’intero impianto delle proprie scelte di settore, non limitandosi ad un riscontro di compatibilità formale, ma penetrandone l’impatto con l’assetto, anche futuro, dell’area di riferimento, purché ovviamente riconducibile a documentati fattori di incidenza sulla stessa. Il diniego di approvazione, quindi, comunque possibile, può derivare da ragioni interne al medesimo, quali i temi dell’organizzazione urbanistica, viabilistica o architettonica dell’intervento, ovvero esterne, quali la necessità di valutarne la conformità anche a strumenti sovraordinati, ai quali evidentemente si intende adeguarsi, evitando da subito di avallare scelte in contrasto (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2013, n. 1479; id., 19 settembre 2012, n. 4977).
16.1. Il quadro si completa poi con lo strumento della convenzione urbanistica, la cui funzione non è quella di integrare la disciplina urbanistica, di per sé completa, bensì di definire nel dettaglio gli impegni delle parti, e principalmente dei privati, in vista del conseguimento dell’equilibrio nello scambio di utilità. La Sezione ha già avuto modo di occuparsi della riconducibilità di tale tipologia di atti alla categoria degli accordi sostitutivi o integrativi di provvedimento (cfr. Cons. Stato, sez. II, 19 gennaio 2021, n. 579). Sotto l’egida dell’art. 11 della l. n. 241 del 1990 sono infatti state ricondotte le numerose fattispecie consensuali tipicamente in uso nella materia urbanistica, dove l’immanente esigenza di collocare l’esercizio dello ius aedificandi in una più vasta cornice di buon governo del territorio, rende talvolta conveniente per l’Amministrazione “scendere a patti”, richiedendo sforzi aggiuntivi al privato in termini di dare ovvero di facere, onde orientarne la maggiore libertà di movimento verso i propri obiettivi di programmazione, nel contempo ottimizzando le aspirazioni dello stesso a ricavare i maggiori vantaggi possibili dalla proprietà.
16.1. L’inosservanza degli obblighi pattizi per lo più finisce per incidere sulla legittimità del titolo finale. I più recenti arresti convergono infatti sulla accentuazione della funzione di individuazione convenzionale del contenuto del provvedimento che l’amministrazione andrà ad emettere a conclusione del procedimento preordinato all’esercizio della funzione urbanistico-edilizia, appunto. Si è perciò affermato che la convenzione, stipulata tra un Comune e un privato costruttore, con la quale questi, al fine di conseguire il rilascio di un titolo edilizio, si obblighi ad un facere o a determinati adempimenti nei confronti dell’ente pubblico, non costituisce un contratto di diritto privato, ma neppure ha specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano gli effetti dell’esercizio di poteri autoritativi della pubblica amministrazione. A valle, dunque, si pone il provvedimento amministrativo; a monte, l’accordo, via via paragonato alla accettazione della proposta pubblica, in quanto finalizzato a perseguire programmati e manifestati obiettivi urbanistici del Comune; ovvero al contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, secondo il modulo semplificato dell’art. 1333 c.c.; ovvero infine ad un mero atto negoziale, funzionale alla definizione consensuale del contenuto del provvedimento finale, che si iscrive nel procedimento di rilascio del titolo abilitativo edilizio ed è dallo stesso recepito.
Quale che sia l’opzione ermeneutica preferibile, di certo l’atto d’obbligo, unilaterale o negoziale, non si esaurisce nello stesso, in quanto “accessivo” rispetto al titolo edilizio che lo ingloba. Spetta tuttavia all’amministrazione procedente indicare espressamente nella convenzione tipo i comportanti “devianti” con riferimento ai quali non è sufficiente l’irrogazione di una sanzione, comunque ricondotta alla violazione di singoli “oneri”.
16.2. Ma nel caso di specie non è dato rinvenire nella convenzione alcun riferimento alla assunzione di un obbligo di corrispondere il costo di costruzione in misura commisurata alla destinazione urbanistica della zona, sicché non si palesa affatto chiaro il generico richiamo agli inadempimenti alla stessa contenuto negli atti che hanno dato luogo alla sospensione del procedimento di rilascio dell’agibilità.
17. Ma vi è di più. Il Collegio rileva come con riferimento agli inadempimenti in materia di oneri di urbanizzazione, secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria, un’amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti dell’intestatario di un titolo edilizio, sanzioni pecuniarie crescenti in rapporto all’entità del ritardo (art. 42 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) e, in caso di persistenza dell’inadempimento, di procedere alla riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme in materia di riscossione coattiva delle entrate; ma non può mettere in discussione la validità del titolo edilizio (A. P., 7 dicembre 2016, n. 24; conforme la giurisprudenza successiva, ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2017, n. 4123; id., 7 novembre 2017, n. 5133). A maggior ragione, dunque, tale inadempimento non può impattare sull’agibilità, dopo che peraltro nulla è stato rilevato per “interrompere” l’efficacia delle s.c.i.a.
La natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, generale, che prescinde totalmente delle singole opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, del contributo per il rilascio del permesso di costruire (ma analoghe considerazioni non possono non valere per la s.c.i.a.) fa sì che esso venga determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere. In ragione di tanto, per la loro esecuzione, che consegue al fatto edificatorio in sé considerato, l’amministrazione comunale attinge normalmente alla fiscalità generale, senza necessariamente attendere il pagamento del contributo da parte dell’obbligato, e quindi a prescindere dal suo puntuale adempimento. Ciò implica tuttavia che «quand’anche risultino trasfuse in apposita convenzione urbanistica, le prestazioni da adempiere da parte dell’amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica. Come si è detto, infatti, l’amministrazione è tenuta ad eseguire le opere di urbanizzazione ed a dotare degli indispensabili standard il comparto ove viene allocato il nuovo insediamento edilizio a prescindere dal puntuale pagamento del contributo di costruzione da parte del soggetto che abbia ottenuto il titolo edilizio; per parte sua, questi è tenuto al pagamento del contributo senza poter pretendere la previa realizzazione delle opere di urbanizzazione» (ancora A.P., n. 24 del 2016).
18. La prospettiva non cambia laddove oggetto della convenzione urbanistica sia non l’ammontare degli oneri, ma l’accollo della realizzazione delle opere a scomputo delle stesse. In tali casi, infatti, occorre solo avere a mente che il termine finale per l’adempimento coincide con quello di efficacia del piano urbanistico, costituendo anche il dies a quo per le azioni civilistiche finalizzate all’adempimento o al risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale (Cons. Stato, sez. IV, 15 ottobre 2019, n. 7008; id., 14 maggio 2019, n. 3127; 13 novembre 2020, n. 7024).
19. Neanche per tale via, dunque, il diniego di agibilità appare anche solo astrattamente giustificabile.
20. Occorre ora esaminare il fondamento dell’ordinanza di sgombero per mancanza di agibilità.
21. La nozione di agibilità ha subito nel tempo un’evoluzione sia di tipo oggettivo, mediante ampliamento della tipologia di immobili cui fa riferimento, sia di tipo funzionale, a seguito della progressiva estensione dei requisiti richiesti per il suo conseguimento (si pensi, da ultimo, all’inserimento del rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale, ad opera dell’art. 4 del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 207). Da qui anche il mutamento terminologico da originaria “abitabilità”, appunto, declinata negli artt. 220 e 221 del T.u.ll.ss., che prevedono, rispettivamente, un “visto” sul progetto di costruzione, ricostruzione, sopraelevazione o modificazione di qualunque “casa”, urbana o rurale e la certificazione da parte dell’ufficiale sanitario della possibilità di abitare “gli edifici o parti di essi”, ad “agibilità”. La prima sopravvive ormai per lo più nel gergo dei professionisti, che continuano ad utilizzare il relativo termine con riferimento agli immobili a destinazione residenziale (“gli edifici o parti di essi” da “abitare”, appunto), salvo poi attingere alla più generica dizione di “inagibilità” per segnalare, in negativo, la non utilizzabilità di qualsivoglia tipologia di edificio.
22. L’art. 24 del d.P.R. n. 380 del 2001, dunque, nella sua stesura originaria, vigente al momento dell’odierna controversia, stabiliva che: «Il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente». L’elencazione andava integrata con il richiamo, contenuto nell’art. 25, abrogato dal d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222, alla «conformità dell’opera rispetto al progetto approvato», ovvero, in buona sostanza, alla sua regolarità edilizia e, conseguentemente, urbanistica. La riconduzione del titolo di legittimazione ad una s.c.i.a., attuata con la richiamata novella del 2016, ha riscritto la parte contenutistica sostanziale di cui all’art. 24, incorporandovi la necessaria sussistenza della «conformità dell’opera al progetto presentato», che il tecnico deve asseverare, unitamente peraltro alla «agibilità» vera e propria, autonomamente richiamata in funzione riassuntiva e onnicomprensiva di qualsivoglia requisito atto a connotarne la specifica idoneità funzionale, in primo luogo, appunto, la destinazione d’uso (sul punto v. Cons. Stato, sez. II, 17 maggio 2021, n. 3836, che contiene anche una ricostruzione dello sviluppo normativo dell’istituto).
23. Le conseguenze della mancanza di agibilità sono state approcciate in dottrina e in giurisprudenza da due contrapposte angolazioni, basate sulla distinzione tra la mancanza dell’agibilità, e la mancanza del certificato di agibilità, che operano su piani diversi, sostanziale l’uno, e formale l’altro. L’approccio sostanzialistico considera la mera mancanza della certificazione priva di rilievo laddove non emergano anche le carenze sostanziali dei requisiti che la relativa certificazione è chiamata a suggellare; quello formalistico invece ritiene sufficiente tale riscontro documentale, a prescindere dall’accertamento di effettive penurie strutturali o funzionali. La questione pare in verità ormai risolta con la riformulazione dell’art. 24 ad opera della già ricordata novella del 2016: il rinvio, contenuto al comma 3, alle previsioni dell’art. 19, commi 3 e 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, consente infatti di fare ricorso, modulandoli alla situazione concreta, ai poteri integrativi, interdittivi o conformativi ivi previsti. Ma in passato, e per quanto qui di interesse in ragione della normativa applicabile ratione temporis, salvo attingere ai procedimenti sanzionatori previsti per le singole carenze ove costituenti autonoma fattispecie di illecito (si pensi al caso dell’immobile abusivo in quanto realizzato in difformità dal titolo edilizio e quindi anche non agibile), l’unico rimedio possibile per fare cessare l’utilizzo abusivo era effettivamente ravvisabile nell’art. 222 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, cui ha fatto ricorso anche il Comune di Boltiere, pur senza menzionarlo esplicitamente. La norma, peraltro, è ancora oggi richiamata dall’art. 26 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per i casi di riscontrata mancanza dei requisiti di igienicità.
24. Nessuna efficacia deterrente, infatti, può essere attribuita alla sanzione pecuniaria prevista in materia, in assenza di qualsivoglia sanzione accessoria, men che meno all’esito della nuova configurazione della relativa fattispecie di illecito. Rileva il Collegio come prima facie appariva caso mai addirittura più incisiva quella contenuta nell’art. 221, secondo comma, del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, abrogato a decorrere dal 30 giugno 2003, dall’articolo 136, comma 2, lettera a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in quanto riferita alla condotta (permanente) di utilizzo/occupazione di un immobile senza il previo possesso del certificato di abitabilità, rispetto all’attuale, declinata all’art. 24, comma 3, di ridetto Testo unico, che sanziona la mera mancata presentazione della segnalazione.
25. Chiarito quanto sopra, è ora possibile ricondurre a sistema tutte le considerazioni svolte, esaminando nuovamente e compiutamente la sequela di atti adottati dal Comune di Boltiere, a partire da quelli di sostanziale diniego della agibilità.
26. L’Amministrazione, dunque, ha dapprima “sospeso” il procedimento di rilascio di ridetta agibilità, richiedendo l’« assolvimento al pagamento del contributo di costruzione» e di «ottemperare a tutte le disposizioni della Convenzione urbanistica sottoscritta » (comunicazione del 23 giugno 2010); indi comunicato l’avvio del procedimento di diniego, preannunciando un sopralluogo «per accertamenti relativi all’utilizzo di locali inagibili» ( avvio del procedimento del 21 luglio 2010), poi effettuato il 2 agosto 2010 (v. le risultanze del relativo verbale di accertamento); infine intimato la cessazione dell’attività e lo sgombero dei locali (ordinanza impugnata). Il tutto peraltro senza che, per quanto consta, sia mai stato in qualche modo interrotto il procedimento conseguente all’avvenuta presentazione delle varie s.c.i.a. edilizie, cioè, di fatto, senza andare neppure ad impattare sul titolo di legittimazione dei singoli interventi.
27. Il primo giudice costruisce sulla natura “commerciale” dell’attività svolta, un «obbligo economico aggiuntivo al certo prospettarsi delle condizioni richieste». Ma non chiarisce come si passi dal riconoscimento dello stesso alla sua coazione mediante il diniego della agibilità. Indi afferma che l’amministrazione comunale avrebbe agito in modo «conforme allo schema legale tipico previsto in astratto dalla norma attributiva del potere ( a prescindere dal fatto che non siano indicate nel provvedimento, in quanto l’indicazione delle ragioni di diritto, che compone con l’esposizione delle ragioni di fatto l’obbligo di motivazione, consiste nell’obbligo di enunciare il ragionamento logico in diritto effettuato dall’amministrazione, ma non necessariamente quello di riportare gli articoli di legge su cui esso si fonda) […]», ovvero l’art. 221 del T.u.ll.ss. Con ciò aderendo alla prospettazione formalistica che vede nella semplice mancanza del certificato di agibilità requisito necessario e sufficiente all’utilizzo del richiamato strumento interdittivo. Senza tuttavia preoccuparsi della effettiva riconducibilità del mancato pagamento degli oneri concessori alla platea dei presupposti di tale agibilità.
28. Il Collegio intende conformarsi alla tesi sostanzialistica che non consente di ordinare lo sgombero dei locali in presenza dei presupposti sostanziali di agibilità. Rileva il Collegio come a conferma della correttezza della tesi sostanzialistica deponga la assimilabilità del caso di specie al caso di edifici privi di certificato già esistenti alla data di entrata in vigore del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per i quali non siano state eseguite le tipologie di interventi edilizi indicate all’art. 24, comma 2, che comportano l’obbligo di acquisire il certificato, o di locali per i quali, pur essendo obbligatorio il possesso del certificato, questo manchi per inerzia degli interessati, che non lo hanno chiesto, o per il diniego del Comune motivato con riferimento ad incompletezze di carattere istruttorio, trattandosi di ipotesi regolarizzabili sul piano formale, un’ordinanza di sgombero risulterebbe comunque non giustificata. A tutto concedere alla contrapposta prospettazione, una volta venuto il diniego di agibilità, la mancanza dei requisiti sostanziali per il suo rilascio, mai oggetto di contestazione, fa venire meno anche il presupposto formale del provvedimento ex art. 222 T.u.ll.ss.
29. D’altro canto, ove l’interesse primario del Comune di Boltiere, perseguito con l’adozione della variante al piano regolatore, fosse stato quello di ripartire comunque i costi di urbanizzazione, “tarati” su un ambito a destinazione “commerciale”, sulle diverse attività ritenute compatibili, quali la “logistica”, avrebbe dovuto dotarsi degli strumenti giuridici necessari da utilizzare in caso di inadempimento, ad esempio trasfondendo la relativa previsione nell’atto convenzionale.
30. Le conclusioni raggiunte non possono essere messe in discussione dalla dicitura risultante dall’accatastamento degli immobili, come evidenziato dalla difesa delle appellanti, stante che le relative categorie nazionali non contemplano la dicitura “logistica”, seppure alla stessa le parti abbiano fatto puntuale riferimento in sede di inserimento delle richieste nell’apposito sistema informatico (Documento Catasto Fabbricati – DOCFA).
31. In conclusione, il ricorso va accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Brescia, n. 423 del 2013, va accolto il ricorso di primo grado, n.r.g. 985 del 2010.
32. La complessità della vicenda, in fatto e in diritto, e la novità di talune questioni trattate giustificano la compensazione delle spese di lite, fatta eccezione per i costi della verificazione, che sono posti a carico dell’Amministrazione soccombente nella misura richiesta dal verificatore incaricato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 423 del 2013, accoglie il ricorso n.r.g. 985 del 2010.
Spese compensate, salvo i costi della verificazione, quantificati in euro 2.000,00, oltre accessori, se dovuti, posti a carico dell’Amministrazione soccombente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2022 con l’intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente FF
Giovanni Sabbato, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino, Consigliere
Fabrizio D'Alessandri, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Antonella Manzione
Oberdan Forlenza
IL SEGRETARIO