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Locazione immobili demanio e patrimonio Stato

Privato
Lunedì, 25 Novembre, 2024 - 20:00

Cass. civ., Sez. III, Ord., (data ud. 27/06/2024) 27/07/2024, n. 21082, locazione immobili demanio e patrimonio Stato

MASSIMA

In tema di canoni dovuti dagli assegnatari di alloggi destinati ad uso abitativo dei dipendenti pubblici, l'art. 23 della l. n. 146 del 1998, nel richiamare una disciplina complessiva e le sue "successive modificazioni", opera un rinvio dinamico alla l. n. 392 del 1978, sicché sono applicabili le successive modifiche, medio tempore, intervenute, tra cui l'art. 14 della l. n. 431 del 1998, che ha sostanzialmente abrogato il cd. equo canone, determinando l'adeguamento dei canoni alla stregua dei criteri di cui alla l. n. 537 del 1993.

L'art. 23 della legge n. 146/1998, che prevede che i rapporti di locazione aventi ad oggetto gli immobili del demanio e del patrimonio dello Stato destinati ad uso abitativo dei dipendenti pubblici siano disciplinati dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e successive modificazioni, contiene un rinvio dinamico. Pertanto, le modifiche normative successive, inclusa la legge n. 431/1998 che ha sostanzialmente abrogato il c.d. equo canone, sono applicabili.

ORDINANZA

Svolgimento del processo

1.A - seguito di una lunga vicenda giudiziaria, nell'ambito della quale sia il giudice amministrativo che il giudice ordinario avevano rispettivamente dichiarato la propria incompetenza in materia di determinazione dei canoni degli alloggi di servizio l'uno nei confronti dell'altro, la Corte d'Appello di Roma con sentenza n. 1457/16 dichiarò la giurisdizione dell'A.G.O. e dispose la remissione della causa al primo giudice ex art. 353 c.p.c.

2. - Pertanto, il A.A. iscriveva ricorso in riassunzione ex 447 bis presso il Tribunale di Roma; ricorso successivamente trattato con rito ordinario.

Il Ministero dell'Interno si costituiva in giudizio contestando la fondatezza della domanda attorea.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 4051/2017, in accoglimento delle domande presentate dal, dichiarava illegittimi i decreti prefettizi del 7/3/2011 e del 7/3/2012, che avevano rideterminato in aumento, anche in via retroattiva - per il periodo dall'1/1/1978 all'1/1/2010 - il canone relativo all'immobile di proprietà demaniale (sito in Roma, via T n. 35, int. 10) condotto in locazione dal A.A., appartenente alla Polizia di Stato, quale alloggio di servizio.

In particolare, il Tribunale dichiarava che il canone dovuto alla Prefettura di Roma per la fruizione dell'alloggio demaniale e di servizio andasse determinato alla stregua degli artt. 12 e segg. della legge n. 392/78; dichiarava "prescritti i canoni dovuti per la fruizione dell'alloggio predetto e maturati sino al 6/4/2006" e condannava il Ministero dell'Interno al pagamento delle spese processuali.

Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponevano appello il Ministero dell'Interno e la Prefettura di Roma, chiedendo, in riforma della stessa, il rigetto della domanda di accertamento negativo proposta dalla controparte, con vittoria di spese legali del doppio grado di giudizio. In particolare, per quanto qui rileva, con il primo motivo di appello le amministrazioni censuravano il capo della sentenza in cui il giudice di primo grado, richiamando la deliberazione n. 9/2000 della Corte dei Conti, aveva sostenuto l'inapplicabilità della legge 431/98, abrogativa delle disposizioni più qualificanti della legge 392/78 e soprattutto di quelle che individuavano i criteri dell'equo canone come applicabili agli alloggi di servizio, argomentando (p. 4) dal fatto che l'art. 23 della legge 146/98, nel richiamare la legge 392/78 e successive modificazioni, "sembra aver inteso riferirsi all'equo canone quale si era venuto evolvendo fino a quel momento per effetto dei numerosi aggiustamenti normativi intervenuti successivamente e non certo ad un tipo di determinazione del canone completamente nuovo e diverso che, all'epoca dell'emanazione della legge 431/98 non era ancora vigente". Secondo le amministrazioni appellanti, tale assunto non era condivisibile, non essendo applicabile la normativa richiamata dal Tribunale poiché riguardante soltanto gli alloggi concessi in locazione "vera e propria", mentre nel caso di specie non vi sarebbe stato contratto di locazione.

Si costituiva il A.A. contestando in fatto e in diritto l'impugnazione avversaria.

La Corte di appello di Roma con sentenza n. 5071/2021, modificando parzialmente il dictum del giudice di primo grado, rigettava la domanda, proposta dal A.A. in primo grado, e compensava tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

3.Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso il A.A.

Le Amministrazioni intimate non hanno svolto difese.

Per l'odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte ed il Difensore di parte ricorrente non ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1.Le - questioni sottese al ricorso sono fondamentalmente le seguenti:

a) - se la legge n. 392/1978 (nota come legge sull'equo canone), per effetto della successiva entrata in vigore della legge n. 431/1998 (nota come legge sulle locazioni abitative ed abrogativa delle disposizioni qualificanti della L. 392/78 e soprattutto quelle che individuavano i criteri di calcolo dell'equo canone), sia o no divenuta inapplicabile, in virtù del rinvio operato dall'art. 23 della legge 146/1998 (recante "Disposizioni per la semplificazione e la razionalizzazione del sistema tributario e per il funzionamento dell'Amministrazione finanziaria, nonchè disposizioni varie di carattere finanziario) alla legge sull'equo canone e successive modifiche e, dunque, anche all'art. 14 legge 431/1998;

b) - se, anche a voler ritenere dinamico detto rinvio, sia o no applicabile al caso di specie la norma di cui all'art. 14 comma 5 legge 431/1998, essendo la disponibilità dell'alloggio frutto (non di una determinazione volontaria e paritaria tra le parti ma) di un provvedimento concessorio correlato al perdurare del servizio e, quindi, non essendo equiparabili gli alloggi di servizio ad un vero contratto di locazione.

2. - A tali questioni sono state date soluzioni diverse da entrambi i giudici di merito.

2.1. Il giudice di primo grado ha annullato i provvedimenti della Prefettura di Roma recanti la rideterminazione dei canoni a decorrere dal 01.01.1993 al 01.01.2010, statuendo che il canone dovuto per la locazione dal A.A. dovesse essere computato secondo la legge sull'equo canone e che era intervenuta prescrizione in relazione ai canoni maturati sino al 06.04.2006.

All'accoglimento della domanda il giudice di primo grado perveniva sulla base delle seguenti argomentazioni:

"é pacifico che l'alloggio in oggetto è un alloggio "demaniale" e di "servizio" in quanto circostanza mai contestata dal Ministero e risultante dalla documentazione prodotta, da cui l'applicabilità dell'art. 23 della legge n. 146/98. Invero pur trattandosi in questo caso di rapporto assimilabile ad una "concessione" (piuttosto che una locazione) tuttavia, come affermato dalla giurisprudenza - in particolare nella sentenza della Corte Costituzionale n. 417/94 -quanto alla determinazione del canone si deve fare riferimento alle modalità previste dalla normativa sulle locazioni.

A tale proposito l'art. 23 della citata legge n. 146/98 stabilisce che "a decorrere dal 1 gennaio 1994 il rapporto di locazione avente ad oggetto gli immobili del demanio e del patrimonio dello stato destinato ad uso abitativo dei dipendenti pubblici è disciplinato dalla legge 27.7.1998 n. 392, e successive modificazioni.

Come chiarito dalla Corte dei conti nella deliberazione n. 9/2000 la disposizione, che si riferisce a tutti indistintamente gli alloggi di servizio e non solo a quelli assegnati in vera e propria locazione, è stata emanata per rispondere alla necessità di mettere ordine in un settore che, per effetto di particolari normative di favore e di successivi e non perfettamente coordinati interventi moralizzatori, era andata assumendo caratteri di farraginosità e di contraddittorietà. La Corte dei Conti, interrogandosi proprio sugli effetti della successiva introduzione della legge n. 431/98 (abrogativa delle disposizioni qualificanti della L. 392/78 e soprattutto quelle che individuavano i criteri di calcolo dell'equo canone) ha escluso l'applicabilità di quest'ultima normativa agli alloggi di servizio argomentando "dal fatto che l'art. 23 della legge n. 146/98 richiamando la L. 392/78 "e successive modificazioni" sembra aver inteso riferirsi all'equo canone quale si era venuto evolvendo fino a quel momento per effetto dei numerosi aggiustamenti normativi intervenuti successivamente, e non certo ad un tipo di determinazione del canone completamente nuovo e diverso, che all'epoca dell'emanazione della legge 431/98 non era ancora vigente".

Peraltro chiarimenti sulla perdurante applicabilità della legge n. 392/78 possono trarsi anche dall'art. 14 della legge n. 431/98 che al comma 5 recita: "Ai contratti per la loro intera durata e ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge continuano al applicarsi ad ogni effetto le disposizioni normative in materia di locazioni vigenti prima di tale data". In sostanza, quindi, ai contratti soggetti al c.d. equo canone continueranno ad applicarsi le disposizioni della legge n. L. 392/78. In accoglimento, pertanto, della domanda dell'attore va dichiarato che il canone dovuto per la fruizione dell'alloggio a lui concesso dall'Amministrazione convenuta va determinato alla stregua degli artt. 12 e ss. della L. 392/78".

2.2. A conclusioni opposte è pervenuta la corte territoriale, invocando quanto statuito da Cass. n. 1618/2016 e considerando il disposto di cui all'art. 9 della L. n. 537/93 (in base al quale, a decorrere dal 1 gennaio 1994, "il canone degli alloggi concessi in uso personale ai propri dipendenti dall'amministrazione dello Stato, dalle regioni dagli enti locali, nonché quello corrisposto dagli utenti privati relativo ad immobili del demanio, compresi quelli appartenenti al demanio militare, nonché ad immobili del patrimonio dello Stato, delle regioni e degli enti locali, è aggiornato eventualmente su base nazionale, annualmente, con decreto dei Ministri competenti, d'intesa col Ministro del Tesoro, o degli organi corrispondenti, sulla base dei prezzi praticati in regime di libero mercato per immobili aventi analoghe caratteristiche, e comunque in misura non inferiore all'equo canone").

Inoltre, la corte territoriale, contrariamente al giudice di primo grado, ha ritenuto che le disposizioni della legge n.392/78 non siano applicabili al caso in esame in base all'art. 14 comma 5 della stessa legge 431/98, in quanto il contratto intercorso tra il dipendente della Polizia di Stato e la Prefettura di Roma attributivo del godimento dell'alloggio demaniale di servizio non è equiparabile ad un vero e proprio contratto di locazione, ma è originato e disciplinato da un provvedimento concessorio della p.a., correlato al perdurare del rapporto di servizio. Con la conseguenza che nella specie non troverebbe applicazione l'art. 15, comma quinto, della legge 431/1998, proprio perché tale previsione sarebbe coerente con la (sola) disciplina del contratto di locazione, connotato da una posizione di parità tra le parti e dalla possibilità di rinnovare o meno, anche tacitamente, il contratto sulla base di una determinazione volontaria. In definitiva, secondo la corte territoriale, il rinvio alla disciplina della locazione operato dall'art. 23 della legge 146/1998 varrebbe esclusivamente in relazione ai criteri di determinazione del canone dovuto dal dipendente per la fruizione dell'alloggio demaniale di servizio, ma non renderebbe applicabile il quinto comma dell'art. 14 della legge 431/1998.

3. Il A.A. impugna la sentenza della corte territoriale articolando in ricorso tre motivi.

3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia: "Error iudicando. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. 1.Violazione ed errata applicazione della legge n. 146/98 e legge n. 431/98 - illogicità, erroneità e contraddittorietà della motivazione" nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto applicabili le disposizioni normative recate all'art. 14, comma 4, della legge 431/1998 che hanno abrogato gli articoli 1, 3, 12, 13, 14, 15, 16,17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 54, 60, 61, 62, 63, 64, 65,66, 75, 76, 77, 78, 79, della legge sull'equo canone; tanto sul presupposto che l'art. 23 della legge 146/98 contenga un rinvio dinamico alle norme sull'equo canone e successive modifiche e, pertanto, con l'emanazione della legge 431/1998, abrogativa della legge 392/1978, detta normativa non sia più applicabile.

Sostiene che l'art. 23 della legge 146 del 1998 opera un rinvio statico alla legge sull'equo canone ed alle modifiche intervenute sino all'entrata in vigore della legge 146/1998 (15.05.1998).

Sottolinea che è irragionevole ritenere che il legislatore sia intervenuto in materia, attraverso l'emanazione dell'art. 23 della legge 146/1998 che ha esteso l'applicazione della legge sull'equo canone agli alloggi di servizio (maggio 1998), per poi, qualche mese più tardi, ritrattare il precedente intervento attraverso l'emanazione della legge 431/1998, dal contenuto diametralmente opposto (passando dall'applicazione dei prezzi calmierati della legge sull'equo canone ai prezzi di libero mercato).

Aggiunge che una simile interpretazione risulta ancora più illogica avuto riguardo al dato che l'art. 9 comma 3 della legge 537 del 1993 già prima dell'avvento dell'art. 23 legge 146/1998 contemplava che -a decorrere dal 1 gennaio 1994 - il canone degli alloggi concessi in uso ai dipendenti dello Stato......... dovesse essere aggiornato con decreto dei ministri competenti sulla base dei prezzi di mercato per gli immobili aventi analoghe caratteristiche e, comunque, in misura non inferiore dell'equo canone.

In definitiva, secondo il ricorrente, in considerazione del fatto che il legislatore è intervenuto con la legge 146/1998 disponendo l'applicazione dell'equo canone agli alloggi di servizio e superando la previgente normativa che prevedeva l'applicazione dei prezzi del libero mercato (legge 537/1993), il rinvio operato dal citato art. 23 è di tipo recettizio alla legge sull'equo canone ed alle modifiche intervenute sino all'entrata in vigore della legge 146/1998.

Sostiene il ricorrente che, anche laddove l'intenzione del legislatore fosse stata quella di operare per il tramite del citato art. 23 legge 146/1998 un rinvio dinamico, ad ogni modo, la legge 431/1998 non sarebbe comunque applicabile al caso di specie, in quanto il contenuto dell'articolo 14 della legge 431/1998 limiterebbe l'ambito applicativo dell'intervenuta abrogazione alle sole locazioni abitative disciplinate dalla normativa in esame che consistono per l'appunto nelle tipologie contrattuali 4+4 o 3+2.

Osserva che l'illegittima estensione operata dal giudice di appello confligge sia con il tenore letterale della norma di cui all'art. 14 legge 431/1998 che con la volontà espressa dal legislatore attraverso l'art. 23 della legge 146/1998.

Osserva altresì che l'assegnazione di un alloggio di servizio ad un dipendente pubblico non è funzionale solo al soddisfacimento dell'interesse abitativo che fa capo a quest'ultimo, ma risponde ad esigenze di interesse pubblico, giacché l'amministrazione, mediante l'assegnazione, persegue il fine di agevolare lo svolgimento delle mansioni del dipendente e di assicurarne una maggiore presenza e una migliore reperibilità nel luogo di prestazione dell'attività lavorativa.

Sottolinea il differente scopo sotteso alle norme in esame: l'art. 23 della legge 146/1998 avrebbe lo scopo di garantire il suddetto trattamento di favore in considerazione dell'interesse soddisfatto dalla p.a. tramite la concessione degli alloggi di servizio ai dipendenti; mentre la legge 431/1998 ha lo scopo di eliminare il limite imposto dalla legge sull'equo canone alla libera contrattazione tra i privati in ragione delle migliori condizioni economiche della nazione.

In definitiva, secondo parte ricorrente, al caso di specie dovrebbe essere applicabile la legge sull'equo canone sia nella determinazione dei canoni pregressi che nella determinazione dei canoni presenti e futuri sino all'eventuale successiva modificazione normativa (ad oggi non intervenuta) atta a regolare la peculiare materia concernente gli alloggi di servizio concessi in uso ai dipendenti delle p.a.

3.2. Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia: " Error in iudicando Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. 2. Violazione e falsa applicazione dell'art. 14 della legge 431/1998 - motivazione illogica e contraddittoria" nella parte in cui la corte territoriale, dopo aver ritenuto applicabile al caso di specie l'articolo 14 della legge 431/1998, ha motivato in maniera del tutto contraddittoria ed illogica, ritenendo applicabile il comma quarto e non applicabile il comma quinto.

In sostanza, secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe assimilato gli alloggi di servizio alle locazioni per ciò che concerne le "nuove" modalità di determinazione del prezzo del canone, ritenendo inapplicabili al caso di specie le norme sull'equo canone sulla scorta della disposizione normativa contenuta al comma 4 che le ha abrogate ma, poi, improvvidamente avrebbe considerato gli alloggi di servizio diversi dalle locazioni per ciò che concerne l'applicazione della richiamata norma di cui al richiamato comma 5.

Osserva che, al fine di giustificare il rinvio dinamico nel senso voluto dalla Corte d'Appello, non può che riconoscersi nella norma di cui all'art. 23 legge 146/98 l'intento del legislatore di uniformare la disciplina in materia di affitti estendendola anche agli alloggi di servizio. Con la conseguenza che un'applicazione parziale del richiamato articolo 14 contrasterebbe con la ratio stessa della norma in parola e risulterebbe del tutto irragionevole ed illegittima.

Sostiene che è errato ritenere non applicabile l'art. 14 comma 5 in ragione della durata delle concessioni che coincide con la durata del rapporto di lavoro ed in ragione del fatto che il presupposto legittimante la disponibilità dell'alloggio di servizio non è equiparabile ad un vero contratto di locazione, non essendo frutto di una determinazione volontaria delle parti ma di un provvedimento autoritativo/discrezionale.

Sostiene altresì che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, anche nei rapporti tra dipendente e p.a. può trovare agevolmente applicazione il comma 5 del richiamato articolo 14: la P.A. con l'adozione di apposito provvedimento (contenente l'indicazione del nuovo prezzo nonché la data di decorrenza dello stesso) avrebbe potuto mettere al corrente il dipendente delle nuove condizioni economiche, consentendogli così di valutare l'opportunità dell'alloggio.

In definitiva, secondo il ricorrente, se di rinvio dinamico si tratta, detto rinvio dovrebbe applicarsi a tutta la normativa e non solo ad una parte di essa, essendo illogico ritenere che l'art. 23 della legge 146/1998 abbia operato un rinvio dinamico solo ad alcuni dei commi contenuti all'art. 14 escludendo l'applicazione del comma quinto che si palesa essere in combinato disposto con il precedente comma quarto. Pertanto, anche nel caso in cui fosse ritenuta inapplicabile la legge sull'equo canone al rapporto concessorio in essere, ai sensi dell'art. 14, comma 5, della legge 431/1998, la sentenza della corte territoriale dovrebbe essere riformata dichiarando ed accertando la nullità e/o annullabilità della determinazione della Prefettura di Roma prot. 41069/AFP/Alloggi di servizio del 07.03.2012 con cui in via retroattiva era stato riconteggiato il canone di locazione secondo i nuovi criteri del libero mercato e, conseguentemente, statuendo per il prosieguo che i canoni vengano conteggiati secondo i criteri dell'equo canone sino all'emanazione da parte della p.a. di apposito provvedimento contenente le "nuove condizioni" di calcolo del prezzo secondo i criteri del libero mercato.

3.3. Con il terzo motivo parte ricorrente denuncia: "Error in iudicando. Art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. 3. Omessa pronuncia circa un fatto decisivo per il giudizio" nella parte in cui la corte territoriale non ha tenuto conto del fatto nuovo, rappresentato dal fatto che la Prefettura con i decreti 0447474 datati 22.12.2020 e 447585 del 22.12.2020 aveva disposto il ricomputo dei canoni di occupazione degli alloggi di servizio concessi in uso ai rispettivi assegnatari, collocati nel plesso immobiliare di via Trionfale ove era ubicato anche l'alloggio dell'odierno ricorrente.

Sostiene che, a fronte di tale di fatto cessata materia del contendere, la corte territoriale ha illegittimamente omesso di considerare la volontà della p.a. di mettere fine all'annoso contenzioso con gli occupanti degli alloggi di servizio siti in Via T n. 33 attraverso la decretazione d'ufficio delle norme sull'equo canone.

4. Ai fini della decisione, è opportuno ripercorrere in sintesi il quadro normativo, con speciale riferimento alla disciplina in tema di alloggi concessi in uso personale a dipendenti pubblici.

4.1. La legge n. 392/1978, meglio nota come legge sull'equo canone, promulgata nel corso di una stagione caratterizzata da profondi cambiamenti sociali e da incisive riforme del nostro ordinamento giuridico, aveva introdotto norme che, sia pure nella prospettiva di un superamento della legislazione vincolistica e di un ritorno alle regole del libero mercato, erano comunque limitative della autonomia negoziale privata ed incidevano sullo stesso funzionamento del sinallagma contrattuale, realizzando, in armonia con il sistema di valori della Costituzione, un quadro legislativo ispirato alla tutela del contraente più debole, che veniva individuato nella persona del conduttore. A tal fine trovavano diversa regolamentazione, in relazione alle differenti esigenze da soddisfare, i vari tipi di locazione. E, proprio con riguardo alle locazioni ad uso abitativo, erano previste, con limitate eccezioni, una durata minima quadriennale del rapporto ed un sistema dettagliato per la determinazione del canone massimo percepibile. Il legislatore del 1978 si era preoccupato anche di introdurre norme processuali volte a garantire una effettiva tutela al contraente più debole; sotto questo aspetto, particolare rilievo aveva l'art. 55 che, in deroga al disposto di cui all'art. 1453 comma 3 c.c., attribuiva al conduttore, cui fosse intimato lo sfratto per morosità, la facoltà di sanare quest'ultima anche per più di una volta.

Con la successiva legge n. 359/1992 il legislatore per la prima volta operava una netta inversione di tendenza rispetto alla disciplina vincolistica, ristabilendo, a certe condizioni, la libera determinazione del canone anche per le unità immobiliari ad uso abitativo. Con questa "miniriforma", non abrogativa della precedente legislazione, si era venuto a creare un "doppio binario", potendosi stipulare, relativamente agli immobili privi del requisito della novità, sia contratti di locazione ad equo canone, che rimanevano la regola, sia c.d. patti in deroga alla legge sull'equo canone, a condizione che il locatore rinunziasse alla facoltà di disdettare il contratto alla prima scadenza, salvo che avesse l'esigenza di adibire l'immobile agli usi elencati nell'art. 29 della legge n. 392/1978 ovvero di effettuare sullo stesso le opere previste dall'art. 59 della medesima legge. Per i contratti relativi agli immobili c.d. nuovi (la cui ultimazione cioè fosse successiva all'entrata in vigore del decreto), l'operatività della legge sull'equo canone veniva esclusa limitatamente alle disposizioni (artt. Da 12 a 22) concernenti il calcolo del canone, mentre veniva mantenuta ferma la durata legale del rapporto (quattro + quattro, salvo disdetta).

Infine, la legge n. 431/1998 prefigura anch'essa un doppio canale, ma presenta un elemento di forte rottura rispetto alla precedente disciplina.

Sotto il primo profilo, essa prevede: da un lato, la possibilità di determinare liberamente il corrispettivo della locazione, la cui durata minima deve essere, però, di otto anni (quattro + quattro, salvo disdetta alla prima scadenza nei casi consentiti); dall'altro prevede la possibilità di far propri contratti tipo definiti localmente sulla scorta di un accordo quadro a livello nazionale tra associazioni della proprietà e associazioni degli inquilini (l'utilizzo di detta seconda modalità di contrattazione ha come contropartita: un incentivo sul piano delle imposte erariale e della imposta di registro, nonché un incentivo in ordine alla durata del contratto, che, essendo tre + due, è più breve).

Quanto all'elemento di rottura, il mancato assolvimento degli obblighi posti dalla normativa fiscale ridonda per la prima volta sul piano civilistico, essendo previsto il diritto del conduttore a ripetere quanto versato in più rispetto agli importi indicati nel contratto registrato (e con la legge finanziaria 2005 è stata introdotta una sanzione di nullità dell'intero contratto nell'ipotesi di mancata registrazione dello stesso).

4.2. Nel quadro della suddetta evoluzione normativa, in tema di alloggi concessi in uso personale a dipendenti pubblici, sono intervenuti:

a) - dapprima, la legge n. 537/1993, che, all'art. 9 comma 3, prevedeva che, a decorrere dal 1 gennaio 1994, "il canone degli alloggi concessi in uso personale ai propri dipendenti dall'amministrazione dello Stato, dalle regioni dagli enti locali, nonché quello corrisposto dagli utenti privati relativo ad immobili del demanio, compresi quelli appartenenti al demanio militare, nonché ad immobili del patrimonio dello Stato, delle regioni e degli enti locali, è aggiornato eventualmente su base nazionale, annualmente, con decreto dei Ministri competenti, d'intesa col Ministro del Tesoro, o degli organi corrispondenti, sulla base dei prezzi praticati in regime di libero mercato per immobili aventi analoghe caratteristiche, e comunque in misura non inferiore all'equo canone"; e poi b) - e poi la legge n. 146/1998, che, all'art. 23 comma primo, prevedeva che: "A decorrere dal 1 gennaio 1994, il rapporto di locazione avente ad oggetto gli immobili del demanio e del patrimonio dello Stato destinati ad uso abitativo dei dipendenti pubblici è disciplinato dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e successive modificazioni".

5. Il primo motivo non è fondato.

La corte territoriale, in ragione della locuzione "successive modificazioni", ha ritenuto che il richiamato articolo 23 contenga un rinvio dinamico alle norme della legge n. 392/1978 sull'equo canone ed alle successive modifiche delle stesse, con la conseguenza che, a seguito della sostanziale abrogazione della suddetta legge n. 392/1978 ad opera della legge 431/98, al caso di specie fosse applicabile (non la legge n. 392/1978, ma) la legge n. 537/1993.

Al contrario, secondo l'assunto sostenuto da parte ricorrente -poiché il legislatore con legge n. 537/1993 aveva previsto l'applicazione dei prezzi del libero mercato agli alloggi di servizio, ma successivamente con la legge 146/1998 ha disposto l'applicazione a detti alloggi dell'equo canone - l'art. 23 della legge 146/1998 opererebbe un rinvio statico alla legge sull'equo canone ed alle modifiche intervenute sino alla data di entrata in vigore della legge 146/1998 (e quindi sino alla data del 15.05.1998). Nel senso della natura statica del rinvio deporrebbero anche i seguenti due elementi: a) secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2111/2004, espressamente richiamato), in caso di dubbio, è preferibile trattare il rinvio come recettizio; b) l'art. 14 comma 5 della legge n. 431/1998 limita espressamente l'ambito applicativo dell'intervenuta abrogazione alle sole locazioni abitative che consistono per l'appunto nelle tipologie contrattuali 4+4 o 3+2.

La tesi sostenuta dal ricorrente non è corretta

Come è noto, la tecnica di produzione normativa mediante rinvio ad altre fonti è utilizzata frequentemente dal legislatore: il rinvio, per i fini che interessano nella presente vicenda, può essere dinamico (altrimenti definito come formale, o mobile), ovvero statico (altrimenti definito come materiale, recettizio, fisso). Nel primo caso viene richiamata la fonte della disposizione normativa, con la conseguenza che potranno assumere rilievo tutte le modificazioni che interesseranno il contenuto precettivo della disposizione oggetto del rinvio; nella seconda ipotesi si determina una sorta di cristallizzazione della disciplina richiamata, nel senso che quest'ultima "diviene parte del contenuto della norma richiamante", ragion per cui le "vicende della norma richiamata resteranno prive di effetto ai fini dell'esistenza e dell'efficacia della norma richiamante" (Corte cost., 25 ottobre 2004, n. 315.)

Orbene, la riflessione dottrinale e l'elaborazione giurisprudenziale hanno individuato alcuni indici rilevatori della natura del rinvio (se materiale o formale). In primo luogo, occorre far riferimento al tenore letterale della disposizione (cfr. Cass. n. 16196/2003), con la conseguenza che ci si trova in presenza di un rinvio statico ogniqualvolta si faccia espresso riferimento a una specifica versione del testo richiamato, ovvero a norme determinate ed esattamente individuate (Corte cost., n. 311/1993); mentre ci si trova in presenza di un rinvio dinamico (cfr., in motivazione, Corte cost. n. 292/1984) ogniqualvolta si effettui l'esplicito richiamo ad un'intera disciplina, nonché alle "successive modificazioni" del testo formativo richiamato. Inoltre, occorre considerare gli scopi che il legislatore intende perseguire (Cass. n. 15926/2001), nonché la ragionevolezza del risultato ermeneutico anche alla luce del principio di uguaglianza e di altri valori costituzionalmente protetti (Corte cost., n. 6/1994). In estrema sintesi, al fine di stabilire se il rinvio sia di tipo "statico" o di tipo "dinamico", soccorrono: il criterio letterale, il criterio teleologico ed il criterio sistematico.

Orbene, l'applicazione complessiva dei suddetti criteri induce a ritenere che il rinvio operato dall'art. 23 della legge n. 146/1998 sia di tipo dinamico. Quanto al criterio letterale, il riferimento a una complessiva disciplina si colloca su un versante all'opposto all'intenzione, in capo al legislatore, di determinare la cristallizzazione di una specifica previsione normativa; inoltre, l'esplicita indicazione delle "successive modificazioni" è sintomatica di un riferimento di tipo dinamico. Quanto poi ai criteri di tipo teleologico e sistematico: come già osservato da questa Corte (cfr. Cass. n. 1618/2016, citata), il collegamento esistente tra la disposizione di detto art. 23 e quella di cui all'art. 9 comma 3 della legge n. 537/1993 (evidenziato dall'unicità della decorrenza, ottenuta mediante l'efficacia retroattiva, dal gennaio del 1994, della suindicata norma richiamante) "dimostra la volontà del legislatore di disancorare la disciplina degli alloggi di servizio dalla previgente disciplina ispirata a trattamenti evidentemente disparitari..., inserendola nel quadro più ampio dell'intero comporto abitativo".

In definitiva, per le ragioni che precedono, dando continuità al principio affermato da Cass. n. 1618/2016, occorre qui ribadire che, "in tema di canoni dovuti dagli assegnatari di alloggi destinato ad uso abitativo dei dipendenti pubblici, l'art. 23 della L. n. 146 del 1998 alla L. n. 392 del 1978, nel richiamare una disciplina complessiva e le sue "successive modificazioni", opera un rinvio dinamico, sicché sono applicabili le successive modifiche intervenute, tra cui l'art. 14 della L. n. 431 del 1998, che ha sostanzialmente abrogato il cd. equo canone, determinando l'adeguamento dei canoni alla stregua dei criteri di cui alla L. n. 537 del 1993"

Invero, l'entrata in vigore della L. n. 431/1998 ha spiegato l'effetto di sopprimere l'efficacia dell'art. 23 della L. n. 146/1998, in quanto la legge n. 431/1998 rappresenta una "modifica" in senso soppressivo della norma dell'art. 23 e, quindi, ha determinato l'esclusione della soggezione delle locazioni degli alloggi dei pubblici dipendenti all'equo canone.

6. Fondato è invece il motivo secondo.

Il punto è che la legge n. 431/1998, all'art. 15, oltre ad abrogare la normativa sull'equo canone (comma quarto), al comma 5 contiene la disposizione generale in materia di regolamentazione delle locazioni in corso de iure alla data di entrata in vigore della nuova disciplina (cioè alla data del 30 dicembre 1998).

Precisamente, in base a detta disposizione: "Ai contratti per la loro intera durata ed ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ad ogni effetto le disposizioni normative in materia di locazioni vigenti prima di tale data".

Orbene, detta disposizione:

- sancisce la regola della irretroattività della novella, in linea con il principio generale di cui all'art. 11 comma primo delle preleggi, in quanto ai contratti in corso per la loro intera durata ed ai giudizi pendenti continuano ad applicarsi ad ogni effetto le norme vigenti prima di tale data: le nuove disposizioni, dunque, trovano applicazione soltanto per i contratti stipulati dopo l'entrata in vigore della novella;

- stabilisce, per quanto concerne i rapporti locativi in corso, la regola dell'ultrattività delle norme previgenti, anche se oggetto di abrogazione espressa; di conseguenza tali rapporti conservano piena validità ed efficacia anche se stipulati in forma orale e, più in generale, gli stessi continuano ad essere assoggettati alla previgente disciplina sia per ciò che concerne la durata che per ciò che attiene agli aspetti economici del rapporto (salvo quanto previsto dall'art. 6 comma 6).

Pertanto, sotto il profilo economico, i rapporti ancora disciplinati dall'equo canone continuano ad essere assoggettati alle regole cogenti sulla determinazione del corrispettivo, mentre, per le locazioni stipulate ai sensi della legge n. 359/1992, continuano a valere le disposizioni imperative della legge n. 392/1978, limitative dell'autonomia contrattuale (come quelle relative all'aggiornamento del canone pur liberamente pattuito).

In definiva, fino alla cessazione del periodo di durata pendente all'atto dell'entrata in vigore della L. n. 431/1998, continua ad applicarsi la disciplina dell'equo canone; e, se il contratto si rinnova tacitamente (e non con una rinnovazione concordata ai sensi del comma 6 dell'art. 2 della legge), rimane applicabile la normativa sull'equo canone.

Quindi, nel caso degli alloggi di cui trattasi, venuta meno l'efficacia dell'art. 23, i rapporti pendenti, non essendo prevista né una tacita rinnovazione né una rinnovazione per accordo, sono restati soggetti alla disciplina di cui all'art. 9 della L. n. 537 del 1993 e, dunque, al potere del ministero competente, in forza di tale norma, di determinare il canone secondo i criteri ivi indicati.

Tuttavia, fino a quando il potere ministeriale non viene esercitato l'effetto della soggezione all'equo canone del rapporto pendente rimane in vigore e ciò, come invoca parte ricorrente, ai sensi del comma 5 dell'art. 14, applicato alla particolare fattispecie di tali contratti.

In sostanza, la pendenza del contratto fra privati fino alla cessazione della durata in corso come comporta la permanenza dell'applicabilità dell'equo canone, in via di implicazione della logica della concessione dell'alloggio senza una durata e senza previsione di rinnovazione, comporta altresì che il ministero competente possa rideterminare immediatamente il canone, esercitando il potere dell'art. 9 citato, ma, fino a quando tale esercizio non vi sia stato, la logica del comma 5 implica la permanente soggezione del rapporto all'equo canone.

In senso contrario, non vale osservare che l'art. 14, comma 5, della L. n. 431/1998 assicurerebbe la permanenza del regime di equo canone per la durata contrattuale situatasi sì durante la vigenza della 1. n. 431/1998, ma fino al momento della rinnovazione tacita intervenuta sotto ed alla stregua di essa quoad durata. Invero tale interpretazione non solo omette di considerare le ampie considerazioni svolte da Cass. n. 12996/2009 (paragrafo 2.3. sul significato della detta norma e dell'ultrattività dell'art. 79 1. n. 392 del 1978 da essa giustificata), ma, come precisato da Cass. n. 19231/2015, si risolve altresì in un'esegesi delle parole "per tutta la loro durata" che, supponendo che tale espressione riguardi il contratto in corso solo fino al periodo di rinnovazione tacita intervenuto sotto l'impero della legge del 1998, trascura il valore che proprio alla tacita rinnovazione deve attribuirsi in termini di permanenza della nullità della clausola attributiva del canone ultralegale prima di quella rinnovazione (come ampiamente motivato da Cass. n. 12996/2009, nel paragrafo 2.4).

In tale prospettiva ermeneutica non rileva il fatto che nella specie il contratto intercorso tra il dipendente della Polizia di Stato e la Prefettura di Roma, attributivo del godimento dell'alloggio demaniale di servizio, è originato e disciplinato da un provvedimento concessorio della p.a., correlato al perdurare del rapporto di servizio.

7. Per le ragioni che precedono, dell'impugnata sentenza s'impone la cassazione in relazione al motivo secondo, rigettato il motivo primo e dichiarato assorbito il motivo terzo.

Ne segue il rinvio alla Corte d'Appello di Roma, che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame dando applicazione ai principi, sopra esposti.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

Stante l'accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera del ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte:

- rigetta il primo motivo;

- accoglie il secondo motivo;

- dichiara assorbito il terzo;

- cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte d'Appello di Roma, comunque in diversa composizione.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2024, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2024.

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