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Divieto rinnovo concessioni scadute

Privato
Lunedì, 25 Novembre, 2024 - 20:15

Cons. Stato, Sez. VII, 23/08/2024, n. 7220, sul divieto di rinnovo concessioni scadute

MASSIMA

L'art. 107 del TUEL stabilisce il principio della divisione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e l'attività di gestione dell'Ente. Il suddetto principio comporta che l'adozione di un provvedimento di gestione amministrativa -, quale quello del diniego del rinnovo di una concessione - in cui si tratta di un atto di gestione del patrimonio immobiliare dell'Ente, deve intendersi riservata, anche qualora sia richiesto l'esperimento di accertamenti o valutazioni di natura discrezionale, alla competenza dei dirigenti dell'Ente locale o, nei Comuni privi di dirigenti, ai responsabili dei servizi e degli uffici (e non all'organo consigliare). (Conferma T.A.R. Lazio Roma, Sez. II Stralcio, 19 gennaio 2023, n. 996.).

A fronte di un'istanza di rinnovo della concessione di bene pubblico non si può configurare un rinnovo tacito o per facta concludentia, ovvero un rinnovo automatico, stante il principio giuridico secondo cui la volontà di obbligarsi della P.A. non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l'atto scritto ad substantiam, e pertanto nei confronti di essa non è configurabile il rinnovo tacito del contratto, né rileva, per la formazione del contratto stesso, un mero comportamento concludente, anche se protrattosi per anni. (Conferma T.A.R. Lazio Roma, Sez. II Stralcio, 19 gennaio 2023, n. 996.).

L'art. 107 del TUEL, il quale stabilisce il principio della divisione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e l'attività di gestione dell'Ente. Il suddetto principio comporta che l'adozione di un provvedimento di gestione amministrativa - quale quello del diniego del rinnovo di una concessione - in cui si tratta di un atto di gestione del patrimonio immobiliare dell'Ente, deve intendersi riservata, anche qualora sia richiesto l'esperimento di accertamenti o valutazioni di natura discrezionale, alla competenza dei dirigenti dell'Ente locale o, nei Comuni privi di dirigenti, ai responsabili dei servizi e degli uffici (e non all'organo consigliare). A fronte di un'istanza di rinnovo della concessione di bene pubblico non si può configurare un rinnovo tacito o per facta concludentia, ovvero un rinnovo automatico, stante il principio giuridico secondo cui la volontà di obbligarsi della P.A. non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l'atto scritto ad substantiam, e pertanto nei confronti di essa non è configurabile il rinnovo tacito del contratto, né rileva, per la formazione del contratto stesso, un mero comportamento concludente, anche se protrattosi per anni. A fronte della presenza di un rapporto concessorio scaduto ormai da molti anni e mai rinnovato, il Comune ha l'obbligo – senza possibilità di distinzioni a seconda di una maggiore o minore meritevolezza degli interessi perseguiti – di procedere al recupero dell'immobile di proprietà comunale già assentito in concessione.

SENTENZA

Svolgimento del processo

Con l'appello in epigrafe la Fondazione I.M.) impugna la sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-stralcio, n. 996/2023 del 19 gennaio 2023, che ha respinto il ricorso della stessa F. contro il provvedimento del Comune di Roma - Dipartimento Patrimonio Sviluppo e Valorizzazione - Direzione Gestione - U.O. Gestione Concessioni - Servizio Gestione Patrimonio in Concessione - Ufficio Concessioni Immobili a Fini Sociali, prot. n. (...) dell'8 novembre 2017, recante rigetto dell'istanza di rinnovo della concessione dell'immobile di proprietà comunale sito in via C. di L., n. 7, nonché contro gli atti presupposti e connessi, compresa la deliberazione della Giunta Capitolina n. 140 del 30 aprile 2015, contenente "Linee guida per il riordino, in corso, del patrimonio indisponibile in concessione".

L'immobile per il quale è stato negato il rinnovo della concessione è l'ex alloggio di servizio della scuola media statale "Col di L.", che era stato assegnato in concessione alla Fondazione dapprima con ordinanza del Sindaco del 1997. La concessione è stata rinnovata nel 2006 per la durata di sei anni a decorrere dalla scadenza del precedente atto di concessione (11 maggio 2005): essa, perciò, è scaduta l'11 maggio 2011 e non è stata mai più rinnovata.

La F. espone di aver svolto molteplici iniziative culturali sul territorio e di avere adibito i locali concessi dal Comune a sede della biblioteca "S.G.", dedicata alla musica, organologia, liuteria ecc., unica nel suo genere e aperta al pubblico; precisa poi di aver versato per la concessione dell'immobile un'indennità d'uso (€ 228,48) ridotta dell'80% rispetto ai valori di mercato, vista la meritevolezza degli interessi perseguiti.

Senonché, la Corte dei conti avviava un'indagine sui beni di proprietà comunale, segnalando a Roma Capitale come nei casi di assenza o scadenza del titolo concessorio il Comune dovesse procedere alla riacquisizione del bene concesso e in ogni caso venissero meno i presupposti della riduzione dell'80% dell'indennità corrisposta.

A seguito di tale segnalazione, Roma Capitale disponeva la riacquisizione dell'immobile e detto provvedimento ha formato oggetto di distinto ricorso presentato dalla Fondazione: il relativo appello di quest'ultima avverso la sfavorevole sentenza del T.A.R., rubricato al n. 7277/2023 di R.G., è stato chiamato anch'esso in decisione nella presente udienza pubblica.

Con istanza del 16 ottobre 2017 la F., reiterando la precedente istanza presentata il 9 novembre 2010, chiedeva il rinnovo della concessione dell'ex alloggio di servizio, ma Roma Capitale, con il provvedimento oggetto di impugnazione, rigettava l'istanza, allegando, da un lato, il mancato rinnovo della concessione, scaduta da molti anni e non rinnovabile automaticamente; dall'altro, le esigenze di riordino gestionale del patrimonio comunale, comportanti la necessità di procedere all'assegnazione dei beni tramite procedure di evidenza pubblica; infine, la pendenza tra le parti del contenzioso sulla riacquisizione dell'immobile.

Come detto, la Fondazione impugnava l'ora visto diniego innanzi al T.A.R. Lazio, Roma, unitamente ai succitati atti presupposti, ma l'adito Tribunale, con la sentenza impugnata, ha respinto il ricorso, in ragione dell'infondatezza dei motivi in esso formulati, mediante richiamo, ai sensi dell'art. 74 c.p.a., alla sentenza della stessa Sezione di reiezione del ricorso avverso il provvedimento di riacquisizione dell'immobile (n. 723/2023 del 16 gennaio 2023).

Nell'appello la Fondazione censura le motivazioni e le statuizioni della sentenza appellata, deducendo con l'unico motivo di gravame le censure di: violazione degli articoli 2, 3, 97 e 118 Cost.; eccesso di potere per carenza di motivazione, erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità, manifesta ingiustizia e contraddittorietà dell'atto con altri atti della stessa Amministrazione e tra essi, in particolare le ordinanze del Sindaco di Roma n. 46 del 2006 e n. 47 del 2007, la deliberazione della Giunta Capitolina n. 140 del 30 aprile 2015, la deliberazione del Consiglio Comunale n. 5625 del 27 settembre 1983 e le deliberazioni consiliari n. 26 del 1995 e n. 202 del 1996; erronea applicazione ed interpretazione del Regolamento sulla gestione del patrimonio immobiliare; violazione della L. 6 giugno 2016, n. 106, recante la delega al Governo per la riforma del Terzo Settore; incompetenza e violazione dell'art. art. 68 della deliberazione del Consiglio Comunale di Roma Capitale n. 10/1999 in materia di decentramento amministrativo.

La Fondazione ha altresì avanzato istanza di riunione della causa a quella introdotta con il ricorso R.G. n. 7277/2023.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale, depositando successivamente una memoria con cui, dopo aver ricapitolato la vicenda, ha eccepito la legittimità del proprio operato e quindi l'infondatezza dei motivi dell'appello.

Anche la Fondazione appellante ha depositato una memoria, ricapitolando a sua volta la vicenda ed insistendo nelle conclusioni già formulate. La Fondazione ha altresì depositato istanza di passaggio della causa in decisione in base agli scritti difensivi.

All'udienza pubblica dell'11 giugno 2024 è comparso il difensore di Roma Capitale, che ha discusso brevemente la causa (unitamente al connesso ricorso R.G. n. 7277/2023: v. supra). Di seguito questa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

Motivi della decisione

Viene in decisione l'appello proposto dalla F. avverso la sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, che ha respinto il ricorso della citata Fondazione contro il provvedimento del Comune di Roma recante il diniego di rinnovo della concessione per l'occupazione e l'uso dell'immobile comunale (l'ex alloggio di servizio della scuola "Col di L."), già concesso all'appellante, da ultimo con provvedimento venuto a scadenza nel 2011 senza ulteriori rinnovi.

In via preliminare il Collegio, pronunciandosi sull'istanza di riunione dell'appello a quello (R.G. n. 7277/2023) avente a oggetto la reiezione del ricorso avverso la riacquisizione dell'immobile de quo, presentata dall'odierna appellante, ritiene di non accogliere detta istanza.

Ragioni di opportunità, infatti, suggeriscono di tenere distinte la trattazione del contenzioso relativo al diniego di rinnovo dei locali da quella del contenzioso sulla riacquisizione degli stessi, trattandosi nel primo caso di una causa che ha ad oggetto un provvedimento discrezionale della P.A., nel secondo caso di una causa che concerne, invece, un atto dovuto e vincolato.

Con la sentenza oggetto del presente appello il T.A.R., prendendo atto della circostanza che la F. aveva ripresentato pedissequamente nel ricorso le stesse censure dedotte contro il provvedimento di riacquisizione dell'immobile, ha motivato la reiezione del ricorso richiamandosi integralmente alla sentenza della medesima Sez. II-stralcio n. 723/2023 del 16 gennaio 2023, che ha respinto il ricorso avverso la suddetta riacquisizione.

Nell'appello la Fondazione, dopo aver ripercorso le vicende del giudizio di primo grado, dalle censure del ricorso introduttivo al contenuto della sentenza appellata, nella parte finale formula critiche alla sentenza stessa, che però non ne scalfiscono l'apparato motivazionale.

Venendo pertanto all'esame delle censure dedotte con l'unico motivo di appello, occorre principiare, secondo l'ordine desunto dalla legge (v. art. 34, comma 2, c.p.a.), da quella di incompetenza, poiché, ove tale vizio sia assodato, il giudice non può fare altro che rilevarlo e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell'azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus (C.d.S., A.P., 27 aprile 2015, n. 5).

La stessa appellante, del resto, apre l'elenco delle proprie doglianze lamentando che il T.A.R. avrebbe disatteso la censura di incompetenza del Dipartimento Patrimonio di Roma Capitale senza valutare la portata del Regolamento sul decentramento.

Sostiene sul punto la F., da un lato, che il potere di emissione dei provvedimenti di rinnovo delle concessioni e di rilascio degli immobili rientrerebbe nelle attribuzioni dell'organo consiliare, anziché in quelle della dirigenza; dall'altro, che sin dal 1999 la competenza in ordine alla gestione dei rapporti concessori aventi ad oggetto beni demaniali o indisponibili di Roma Capitale sarebbe stata trasferita dall'Amministrazione comunale centrale, e quindi dai suoi Dipartimenti, alle Circoscrizioni (divenute poi Municipi) e perciò alla dirigenza municipale. Indipendentemente dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 267 del 2000, richiamato dal primo giudice, l'adozione dell'atto impugnato ad opera del Dipartimento Patrimonio sarebbe avvenuta in violazione della deliberazione del Consiglio Comunale di Roma n. 10/1999 in tema di decentramento amministrativo, com'era stato evidenziato con specifica censura nel ricorso di primo grado.

Sotto questo profilo, l'appellante conclude chiedendo la riforma della sentenza impugnata in relazione all'omessa considerazione da parte del T.A.R. della disposizione richiamata, vigente al momento di adozione del provvedimento di mancato rinnovo della concessione.

La doglianza è infondata.

In via preliminare e dirimente si osserva che il rinnovo della concessione dell'utilizzo dell'immobile di proprietà del Comune sito in via C. di L. n. 7 fu disposto con determinazione dirigenziale n. 35/2006 del Dipartimento III - Politiche del Patrimonio del Comune di Roma (cfr. doc. 6 depositato nel giudizio di primo grado da Roma Capitale). Ad essa ha fatto poi seguito in data 10 aprile 2006, sempre ad opera del Dipartimento III - Politiche del Patrimonio del Comune di Roma, l'adozione del formale atto di concessione, sottoscritto per accettazione dal legale rappresentante della Fondazione (cfr. doc. 11 depositato in primo grado da Roma Capitale). È dunque evidente che, in mancanza di modifiche normative e/o organizzative medio tempore intervenute, competente a provvedere sulla richiesta di ulteriore rinnovo della concessione del bene non può che essere lo stesso organo centrale dell'Amministrazione capitolina e non già un organo decentrato.

Invero, la tesi della Fondazione prova troppo: poiché, infatti, il rinnovo della concessione è avvenuto allorché già erano in vigore le disposizioni da essa invocate a sostegno della tesi della competenza municipale, anziché dipartimentale, e in specie la deliberazione del Consiglio Comunale n. 10/1999 sul decentramento amministrativo, ne seguirebbe, a rigore, che anche l'atto di concessione del bene del 2006 sarebbe illegittimo perché viziato da incompetenza dell'organo che l'ha disposta e dunque la detenzione del bene stesso da parte della F. sarebbe comunque sine titulo addirittura sin dal momento iniziale del rinnovo.

Vanno quindi condivise, in proposito, le argomentazioni difensive del Comune di Roma, il quale ha osservato come il riparto delle competenze tra strutture dipartimentali e strutture municipali si ispiri al criterio funzionale o a quello della materia o ancora a quello territoriale, ma come, in molti casi, si sovrapponga una duplicazione di competenze, potendo queste afferire sia alla sfera di gestione dei Municipi, sia a quella dei Dipartimenti, sicché il discrimine ultimo è dato dall'assegnazione del bene: se il bene non risulta assegnato al Municipio, le competenze gestionali sullo stesso vengono esercitate dal Dipartimento Patrimonio, il che è quanto si è verificato nel caso di specie.

Da ultimo, si osserva che appare corretta e condivisibile la ricostruzione giuridica operata dal T.A.R. nella sentenza n. 723/2023 e richiamata ex art. 74 c.p.a. dalla sentenza appellata, secondo cui, con riferimento alla questione della competenza dirigenziale all'emanazione del provvedimento, si deve evidenziare la prevalenza delle disposizioni del D.Lgs. n. 267 del 2000 (TUEL) sulle eventuali contrarie previsioni regolamentari del Comune, in forza del criterio di gerarchia.

Al riguardo la sentenza ha giustamente richiamato l'art. 107 del TUEL, il quale stabilisce il principio della divisione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e l'attività di gestione dell'Ente. Il suddetto principio comporta che l'adozione di un provvedimento di gestione amministrativa, com'è appunto nel caso di specie, in cui si tratta di un atto di gestione del patrimonio immobiliare dell'Ente, debba intendersi riservata, anche qualora sia richiesto l'esperimento di accertamenti o valutazioni di natura discrezionale, alla competenza dei dirigenti dell'Ente locale o, nei Comuni privi di dirigenti, ai responsabili dei servizi e degli uffici (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 3 agosto 2023, n. 7503; Sez. VI, 6 giugno 2023, n. 5524; id., 7 febbraio 2023, n. 1338; Sez. II, 10 febbraio 2020, n. 1092; Sez. I, parere n. 224 del 15 febbraio 2023). Invero, dall'art. 107, commi 3 e 6, TUEL, emerge che ai dirigenti è attribuita tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell'adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, incluse le autorizzazioni e concessioni (e quindi anche i loro simmetrici atti negativi), e su di essi incombe la diretta ed esclusiva responsabilità della correttezza amministrativa di tale gestione (C.d.S., Sez. V, 7 aprile 2011, n. 2154).

È, dunque, infondata la tesi dell'appellante volta a ricondurre il potere di emanare il provvedimento gravato nelle attribuzioni dell'organo consiliare dell'Ente.

Con un secondo gruppo di censure l'appellante contesta la motivazione della sentenza n. 723/2023, richiamata dalla decisione gravata, nella parte in cui afferma che dal mancato rinnovo del rapporto concessorio, spirato nel 2011, è disceso l'immanente interesse pubblico alla ripresa del bene e che ad essere contestata è l'esistenza di un titolo valido per l'occupazione dell'immobile.

La Fondazione lamenta che il T.A.R. avrebbe ignorato che, al momento dell'emissione dell'ordine di rilascio, Roma Capitale non aveva ancora disposto alcunché in ordine alla scelta di non rinnovare la concessione, essendo detta scelta intervenuta solo in seguito, con il Provv. dell'8 novembre 2017 oggetto della presente controversia.

Non potrebbe essere condivisa la drastica motivazione del primo giudice, in base alla quale la potestà amministrativa di procedere al rinnovo delle concessioni ha carattere meramente discrezionale. Ciò, perché l'Ente territoriale, nella gestione degli immobili di proprietà, non dismetterebbe il suo ruolo di Ente esponenziale degli interessi ed aspettative della comunità cittadina e dovrebbe favorire lo sviluppo delle attività di natura sociale e culturale a beneficio di questa, svolte dai cittadini singoli e associati (art. 118, quarto comma, Cost.): e l'assolvimento di tali compiti non cambierebbe a seconda che ci si trovi dinanzi all'iniziale assegnazione del bene pubblico, ovvero nella fase del rinnovo della sua concessione.

In tale prospettiva, sarebbe viziata la decisione di Roma Capitale di non addivenire al rinnovo della concessione in favore della F., pur in presenza delle medesime condizioni in base alle quali l'Ente locale si era determinato precedentemente ad assegnare il predetto immobile e poi a rinnovarne la concessione: infatti il Comune avrebbe scelto, senza motivazione, di non permettere la prosecuzione di un'attività già ritenuta meritevole di sostegno per varie ragioni, attinenti sia alla valenza culturale, sociale, educativa e artistica dell'attività della Fondazione, sia all'utilizzo dello spazio concesso all'interno della scuola "Col di L.".

Roma Capitale - sottolinea l'appellante - non avrebbe espresso alcuna indicazione in ordine ad un utilizzo alternativo dello spazio concesso, alla compatibilità di attività diverse da quelle sinora svolte con la specifica collocazione del luogo all'interno della struttura scolastica e, pertanto, in ordine alla necessità e opportunità di provvedere, anche con una selezione pubblica, a una diversa assegnazione degli spazi, sia sotto il profilo dell'attività da svolgere che dei profili richiesti al soggetto assegnatario. La discrezionalità amministrativa insita nella decisione sull'assegnazione dell'ex alloggio di servizio non avrebbe potuto essere esercitata prescindendo da criteri di valutazione improntati all'interesse pubblico: ciò tanto più che questo era stato congruamente valutato all'atto dell'assegnazione del bene alla F. e ulteriormente considerato all'atto del rinnovo della concessione.

La concessione di uno spazio interno ad un edificio scolastico, di proprietà comunale, ad un Ente di prestigio, che cura una biblioteca di valore unico integrata nel sistema delle biblioteche comunali, che svolge attività di ricerca storica e di natura didattica in campo musicale e che gode di riconoscimenti sul piano nazionale ed internazionale, costituirebbe un valore per l'intera comunità cittadina e la scelta di privarsene, mediante il mancato rinnovo della concessione, senza indicare la volontà di destinare ad altro scopo l'immobile comunale, integrerebbe un diniego immotivato (e perciò illegittimo): ma le considerazioni del T.A.R. sul punto prescinderebbero dalla valutazione della fattispecie concreta, ignorerebbero la genesi e lo sviluppo della questione e si risolverebbero nell'avallare l'immotivato diniego di Roma Capitale.

Le doglianze non sono suscettibili di positivo apprezzamento.

Il diniego impugnato, innanzitutto, ha correttamente richiamato l'insegnamento giurisprudenziale, il quale esclude che, in presenza di un'istanza di rinnovo della concessione di bene pubblico, si possa configurare un rinnovo tacito o per facta concludentia, ovvero un rinnovo automatico.

Sotto il primo profilo, occorre richiamare il principio giuridico "secondo cui la volontà di obbligarsi della P.A. non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l'atto scritto ad substantiam, e pertanto nei confronti di essa non è configurabile il rinnovo tacito del contratto, né rileva, per la formazione del contratto stesso, un mero comportamento concludente, anche se protrattosi per anni" (così Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2015, n. 22994, citata dal diniego impugnato; nello stesso senso v. pure Cass. civ., Sez. III, 10 giugno 2005, n. 12323; id., 12 febbraio 2002, n. 1970; id., 11 gennaio 2000, n. 188). Dunque, non rileva la circostanza - su cui l'appellante insiste nella memoria finale - che a seguito dall'istanza di rinnovo presentata dalla F. nel 2010, Roma Capitale le abbia comunicato la nuova indennità d'uso e che il relativo importo sia stato accettato dal Presidente della Fondazione con nota acquisita al protocollo il 14 marzo 2013. La giurisprudenza di questo Consiglio, del resto, ha costantemente affermato che il pagamento dei canoni dopo l'intervenuta scadenza del titolo non può considerarsi, di per sé, come rinnovo tacito della concessione (cfr. C.d.S., Sez. II, 18 luglio 2019, n. 5076; Sez. V, 30 luglio 2018, n. 4662; Sez. VI, 9 giugno 2014, n. 2933), assumendo esso il significato di incameramento di quanto dovuto a parziale ristoro della persistente occupazione del bene (C.d.S., Sez. VI, 6 agosto 2013, n. 4098).

Sotto il secondo aspetto, poi, la giurisprudenza ha evidenziato come gli atti di rinnovo implichino una rivalutazione della compatibilità dell'attività consentita al privato con le ragioni di interesse pubblico (Cass. civ., Sez. I, 23 marzo 1985, n. 2089) e come all'istanza di rinnovo della concessione non possa essere attribuito valore automatico, occorrendo, di volta in volta, una nuova valutazione e istruttoria dello stato dei luoghi (Cass. civ., Sez. Un., 22 dicembre 2010, n. 25985).

Il diniego impugnato ha poi invocato il riordino gestionale del patrimonio comunale, come regolato dalla Giunta Capitolina con la già ricordata deliberazione n. 140/2015, da cui discende "la necessità di procedere, in linea con la normativa vigente in materia, all'assegnazione del patrimonio capitolino attraverso procedure di evidenza pubblica". E va evidenziato come nel merito il suddetto richiamo alla necessità di affidare i beni in concessione tramite procedure comparative non sia stato neppure censurato dall'appellante.

Per vero, non solo il rinnovo della concessione è una mera facoltà discrezionale della P.A., come ha ricordato il T.A.R. nella sentenza n. 723/2023 cit., ma nel caso di specie esso risulta precluso, poiché, come giustamente eccepisce la difesa di Roma Capitale, esso sarebbe andato a detrimento delle più corrette e doverose procedure comparative, volte alla massimizzazione dell'interesse pubblico e alle quali, in ogni caso, non è impedito alla Fondazione di partecipare con una sua proposta, assoggettata al vaglio della P.A., in concorso con altre aventi pari dignità: ciò, tenuto conto del fatto che, se è vero che le finalità perseguite dalla F. sono pregevoli, altrettanto si può dire per le finalità di altre realtà associative e/o benefiche, che, perciò, hanno pari diritto di essere apprezzate e supportate dalla P.A. nella realizzazione dei loro progetti.

In presenza di un rapporto concessorio scaduto ormai da molti anni e mai rinnovato, Roma Capitale aveva l'obbligo - come per tutti i casi analoghi, senza possibilità di distinzioni a seconda di una maggiore o minore meritevolezza degli interessi perseguiti - di procedere al recupero dell'immobile di proprietà comunale già assentito in concessione. Cosicché da un lato non possono essere ammessi favoritismi e disparità di trattamento nello svolgimento, da parte dell'Amministrazione, dell'attività di affidamento dei beni in concessione, di eventuale rinnovo delle stesse e di recupero dei suddetti beni una volta che la concessione sia scaduta senza essere rinnovata; dall'altro, la Fondazione non può invocare la meritevolezza delle attività svolte nei locali concessi e delle iniziative assunte nel Municipio I di Roma Capitale per accampare la pretesa a un'occupazione sine die dei predetti locali, senza un titolo valido ed efficace e al di fuori di qualunque procedura comparativa.

Con ulteriore censura la Fondazione invoca le pronunce della magistratura contabile (e, in specie, la sentenza della Corte dei conti, Sez. giurisd. Lazio, n. 77 del 18 aprile 2017), che hanno respinto le domande di condanna per danno erariale nei confronti dei funzionari del Comune di Roma che non avevano proceduto alla riacquisizione degli immobili concessi ad Enti "no profit" (quindi a canone agevolato) all'esito del mancato rinnovo delle concessioni.

La censura, in disparte la sua inammissibilità (siccome concernente piuttosto la determinazione di riacquisizione dell'immobile, che richiama tra l'altro l'impossibilità di continuare a versare il canone agevolato in caso di concessione scaduta), è comunque infondata.

La questione del mancato accertamento ad opera della Corte dei conti in sede giurisdizionale di una responsabilità erariale dei funzionari del Comune per il mancato recupero dei beni dati in concessione, una volta scaduta quest'ultima, non incide sulla vicenda per cui è causa, che attiene - come obietta giustamente Roma Capitale - al differente profilo del riordino del patrimonio comunale, nel rispetto del principio di legalità e tenuto conto del pubblico interesse a recuperare la disponibilità del bene immobile per riassegnarlo, al pari di tutti gli altri, attraverso procedure comparative, da cui possano emergere i progetti socioculturali e assistenziali più meritevoli e più rispondenti agli interessi della comunità cittadina, in un'ottica di massimizzazione di detti interessi.

Con un'ultima censura la Fondazione invoca, infine, la disciplina transitoria prevista dalla delibera consiliare di Roma Capitale n. 104 del 16 dicembre 2022 (avente a oggetto l'utilizzo degli immobili comunali per fini di interesse generale), in base alla quale il soggetto utilizzatore del bene a cui non è stata rinnovata la concessione può fare istanza per ottenere una nuova concessione e, salva l'ipotesi di mancato svolgimento delle attività per cui l'immobile è stato assegnato, allo stesso sarà accordata preferenza rispetto ad altri eventuali richiedenti (art. 42).

Tale disciplina transitoria, nel contemplare la possibilità alle condizioni da essa stabilite, per la F., di conseguire una nuova concessione, non può, tuttavia, incidere in alcun modo sulla legittimità del provvedimento di diniego di rinnovo, in base alla regola tempus regit actum, che governa l'adozione dei provvedimenti amministrativi e che esclude l'ipotizzabilità di un'illegittimità postuma di questi (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VII, 23 febbraio 2024, n. 1787; id., 20 ottobre 2022, n. 8935; Sez. VI, 30 gennaio 2023, n. 1024; id., 6 giugno 2022, n. 4587).

Nella memoria conclusiva l'appellante torna sulla questione, depositando copia dell'istanza da essa presentata per il rilascio di una nuova concessione ai sensi della disciplina transitoria di cui al predetto art. 42 e insistendo nel sostenere che da tali più recenti determinazioni, assunte in via regolamentare da Roma Capitale, emergerebbe la conferma dell'irragionevolezza e illegittimità delle determinazioni anteriori e in specie, per quanto qui rileva, del diniego di rinnovo della concessione.

Senonché, oltre a quanto già detto in relazione al principio tempus regit actum, il Collegio osserva che, a ben guardare, la deliberazione n. 104/2022 conferma la legittimità del diniego di rinnovo, con riferimento alla motivazione di questo fondata sulla necessità di procedere all'assegnazione dei beni attraverso procedure di evidenza pubblica: come nota la difesa comunale, infatti, anche la disciplina transitoria di cui all'art. 42 cit. prevede comunque procedure comparative per l'assegnazione dei beni del patrimonio indisponibile o demaniale dell'Amministrazione.

Dunque, anche la doglianza ora esaminata risulta destituita di fondamento.

In conclusione, l'appello è infondato, attesa l'infondatezza di tutte le censure con esso dedotte, e deve perciò essere respinto, dovendo la sentenza appellata essere confermata.

La peculiare natura della controversia e delle questioni esaminate giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Settima (VII), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, previo rigetto dell'istanza di riunione formulata dall'appellante.

Compensa le spese del giudizio di appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2024, con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Daniela Di Carlo, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Pietro De Berardinis, Consigliere, Estensore

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